|
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata
di Catania (sez. III) composto dai sigg. magistrati:
dott. VINCENZO ZINGALES - Presidente
dott. SALVATORE SCHILLACI - Consigliere
dott. ROSALIA MESSINA - Consigliere, rel. est.
ha pronunciato la seguente
ricorso nr: 3504/99 R.G.;
ricorrente: DI GIUNTA Giovanni (avv. Angelo. Russo, domiciliatario);
resistente: QUESTURA DI CATANIA, MINISTERO DELL'INTERNO (Avvocatura dello
Stato).
Oggetto: annullamento del provvedimento di revoca porto fucile e libretto
9 luglio 1997;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti e letti gli atti di causa;
Relatore la dott. Rosalia Messina;
Uditi, alla pubblica udienza del 26 aprile 2001 i difensori delle parti,
come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
- che tutte le censure dedotte dal ricorrente sono fondate;
- che, in particolare, è fondata la prima doglianza (violazione
degli
art. 7, 8 e 10 L. 241/1990, essendo senz'altro nella fattispecie necessario
il rispetto delle c.d. garanzie partecipative, come oramai pacificamente
ritenuto in relazione ai provvedimenti con i quali si ritira un precedente
atto ampliativo della sfera giuridica del privato.
(nella specie, porto d'arma);
- che appare fondato anche il secondo motivo di gravame (violazione degli
artt.,11 e 43 R.D.,n. 773/1931), in. quanto non ricorre alcuna delle ipotesi
che tali norme contemplano come sanzionabili con la revoca (e ciò
vale sia per la revoca che l'autorità di p.s. è vincolata
ad adottare, sia per la revoca che detta autorità può discrezionalmente
adottare, per le ragioni che subito saranno esposte);
- che, sotto il primo profilo (revoca vincolata), nessuna delle ipotesi
elencate nel primo comma dell'art. 11 di detto R.D. (articolo che nel
suo insieme disciplina le cause di diniego e revoca delle autorizzazioni
di polizia in generale, mentre ipotesi specifiche di diniego e revoca
del porto d'arma sono previste dall'art. 43 stesso R.D.) ricorre nella
specie, essendo stato il ricorrente sottoposto a procedimento penale per
reati di truffa e falso in atto pubblico (ipotesi sotto nessun profilo
annoverabile fra quelle previste nella citata disposizione);
- che, infine, la fattispecie concreta non corrisponde ad alcuna delle
ipotesi di diniego (e revoca, alla luce dell'art. 43 stesso R.D.) discrezionale
di cui al secondo comma dell'art. 11, che contempla fattispecie di reato
del tutto diverse;
- che, pertanto, non ricorrono le condizioni indicate nel terzo comma
dell'art. 11, a mente del quale le autorizzazioni di polizia devono
essere revocate ove successivamente al rilascio vengano - a mancarne,
anche solo in parte, le condizioni, e possono essere revocate al
sopraggiungere o all'emergere di circostanze che avrebbero consentito
o imposto il diniego;
- che nessuna delle specifiche ipotesi di cui all'art. 42 R.D. n. 773/1931
ricorre nella fattispecie, non soltanto con riguardo alle gravi fattispecie
di reato di cui al primo comma ma neppure con riguardo alla previsione
di cui al secondo comma, che richiede la condanna per delitti anche diversi
(e qui non ricorreva alcuna condanna, ma solo la pendenza di un procedimento
penale), congiunta alla "non affidabilità" sul non abuso delle
armi;
- che è fondata, altresì, la terza ed ultima doglianza,
contenuta nel terzo articolato motivo di ricorso (eccesso di potere per
difetto di motivazione), in quanto gli enunciati che dovrebbero sopportare
l'adozione della revoca impugnata. si riducono ad una sorta di clausola
di stile, che ripete all'incirca le formule normative senza riempirle
di concreto e specifico contenuto riferibile a circostanze di fatto (possono
assorbirsi i restanti profili di doglianza di cui al medesimo terzo motivo,
ovvero eccesso di potere per sviamento e per carenza di istruttoria);
- che, pertanto, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento
dell'atto impugnato;
- che il ricorrente lamenta altresì di avere subito danni dei qualichiede
il risarcimento, proponendo autonoma domanda con atto notificato alla
resistente amministrazione, inserito dalla segreteria nel medesimo fascicolo,
mentre più opportunamente doveva essere predisposto un autonomo
fascicolo;
- che tale domanda, pur riguardando un periodo anteriore alla modifica
dell'art. 7, terzo comma, L. n. 1034/1971, introdotta dalla nuova formulazione
dell'art. 35, comma quarto, D.l.vo n. 80/1998 (art. 7, lett. c), L. n.
205/2000), che attribuisce al giudice amministrativo la cognizione di
tutte le questioni attinenti al risarcimento del danno nelle materie di
sua giurisdizione, è tuttavia da ritenere ammissibile in quanto
intervenuta entro il termine della prescrizione quinquennale;
- che le linee guida cui il collegio ritiene di attenersi sono quelle
sancite dalla ponderosa sentenza della SS.uu. della Cassazione n. 500/1999;
che, in particolare, sussistono tutti gli elementi richiesti dall'art.
2043 C.c. ai fini della risarcibilità del danno, con la precisazione
che delle tre sub-domande in cui si articola la domanda di risarcimento
(danno emergente, danno da perdita di chance e danno non meglio qualificato
dal ricorrente se non in termini di danno per le privazioni conseguenti
al provvedimento lesivo, da qualificare, alla stregua della attuale concezione
del danno risarcibile che non sia né patrimoniale né morale,
come danno esistenziale, o biologico, o edonistico), soltanto la prima
e la terza meritano accoglimento, per le ragioni subito appresso esposte;
- che, infatti, in relazione alla seconda delle suelencate voci di danno,
non è sufficiente a comprovarne l'esistenza la mera affermazione,
senza che neppure siano state indicate le concrete occasioni di gareggiare
perdute dal ricorrente;
- che, in definitiva, nella concreta fattispecie si ravvisano:
a) l'evento dannoso, da individuare nella ingiusta privazione del
ricorrente del porto d'arma revocatogli, con tutte le conseguenze patrimoniali
da lui puntualrnente indicate;
b) l'ingiustizia del danno, in quanto incidente su una situazione
tutelata dall'ordinamento, avente consistenza di interesse legittimo
(interesse ad essere autorizzato al porto delle armi), ed in quanto
il ricorrente è stato non soltanto depauperato nella sfera
patrimoniale, in termini di danno emergente, ma altresì privato
di benefici che nella nuova concezione del danno risarcibile vendono presi
in considerazione, a seconda delle diverse impostazioni, in termini
di danno biologico (cfr.: Casa. civ., 5 sett. 1988, n. 5033, che prende
in considerazione la menomazione della integrità psicofisica
della persona in sé considerata, e quindi fa rientrare nell'area
di detto danno gli impedimenti all'attività sportiva, ricreativa,
culturale, ai rapporti sentimentali etc.), ovvero di danno esistenziale
(come danno che almeno potenzialmente ostacola le attività realizzatrici
della persone:, ai sensi dell'art. 2043 C.c., correlato all'art. 2 ss.
Cost.: cfr., per l'affermazione del principio generale: Cass. civ., 7
giugno 2000, n. 7713), ovvero ancora di danno edonistico (v. sempre
per 1'affermazione del principio, Trib. Firenze, sent. n.
451/2000);
c) la riferibilità dell'evento ad una condotta positiva dell'amministrazione
(attraverso l'organo emanante), che ha emesso un provvedimento restrittivo
della, sfera giuridica del ricorrente;
d) la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, a fronte
delle macroscopiche violazioni di norme positive che inficiano, come già
detto, il provvedimento impugnato ed annullato con la presente sentenza,
ed a fronte altresì della diffida diretta alla dott.ssa Angelica
Riso, funzionario della Questura di Catania responsabile del procedimento
affinché revocasse il provvedimento impugnato;
Ritenuto, inoltre:
- che l'esistenza e l'entità del danno emergente sono state comprovate
dal ricorrente, il qua ha indicato le spese sostenute per mantenere e
curare i cani da caccia senza tuttavia poter esercitare la relativa attività,
nonché le spese sostenute per l'accesso (impeditogli dalla mancanza
di porto d'arma) all'azienda faunistico-venatoria "Scippa", mentre il
danno esistenziale (o biologico, o edonistico) deriva dalla privazione
- che indubitabilmente il ricorrente ha subito - della possibilità
di svolgere un'attività ricreativa, derivante dal mancato possesso,
per fatto dell'amministrazione, dell'autorizzazione necessaria;
- che, pertanto, 1'arnministrazione resistente è tenuta a risarcire
il danno nella misura quantificata in ricorso (lire 16.083.290), come
danno emergente, mentre quanto all'altra "voce" di danno ritenuta risarcibile
dal Collegio (danno esistenziale, o biologico o edonistico che di si voglia),
si reputa di liquidarlo equitativamente - ai sensi del combinato disposto
degli arti. 1226 e 2056/1 C.C nella misura della metà del danno
emergente e cioè in lire 8.000.000;
- che le spese vengono addossate in parte (per tre quarti) alla resistente
amministrazione, in parte (per il rimanente quarto) compensate, attesa
la parziale reciproca soccombenza (liquidazione in dispositivo);
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata
di Catania (sez. III) - accoglie, nei sensi e nei limiti precisati in parte
motiva, il ricorso in epigrafe, per l'effetto annullando l'atto impugnato,
e condannando altresì la resistente amministrazione a risarcire il
danno emergente e quello esistenziale nella misura indicata in motivazione.
Spese per un quarto compensate, e per tre quarti poste a carico della resistente
amministrazione, liquidate nella somma complessiva e forfettaria di lire-
4.000.000 (quattromilioni), dei quali si compensa, come detto, un quarto,
condannandosi l'amministrazione a corrispondere al ricorrente lire 3.000.000
(tremiIioni).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania, nella camera di consiglio del 26 aprile 2001.
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
|