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È in atto un movimento tendente ad ottenere dal Parlamento o dal
Ministero dell'Interno una semplificazione del regime giuridico delle
armi ad aria compressa destinate al tiro sportivo. Ritengo di fare cosa
utile riportando in questo sito la mia relazione sull'argomento, presentata
nel febbraio 1998 al XIV Convegno Nazionale di Studio sulla disciplina
delle Armi di Brescia
Legislazione nazionale e diritto europeo
Armi ad aria compressa ed armi giocattolo
Il problema del trattamento giuridico delle armi giocattolo e delle
armi ad aria compressa era stato affrontato da me già nel Congresso
del 1994. Questa volta riprenderemo l'argomento, tenendo conto anche degli
sviluppi della legislazione europea e comunitaria.
Vediamo innanzitutto ciò che questi testi legislativi dicono al
riguardo.
Le fonti del diritto internazionale da prendere in esame sono:
1) La convenzione europea di Strasburgo del 28 giugno 1978, ratificata
dall'Italia con la legge 8 maggio 1889
2) L'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 a cui l'Italia ha aderito
nel novembre 1990.
3) La direttiva europea del 18 giugno 1991. (Vedi)
La convenzione di Strasburgo.
A metà circa degli anni 70 il Consiglio d'Europa, creato nel
1949 e di cui fanno parte oltre 20 Stati, tra i quali Svizzera, Svezia,
Norvegia, Turchia (da non confondere quindi con la CEE) si poneva il problema
delle armi che i cittadini di uno Stato membro andavano ad acquistare
in un altro paese europeo senza che poi il loro paese d'origine ne fosse
informato (ad esempio un italiano poteva acquistare un fucile da caccia
in Belgio, senza problemi, e poi contrabbandarlo in Italia e detenerlo
illegalmente). Veniva quindi iniziata l'apposita procedura che terminava
con l'approvazione della Convenzione europea sul controllo dell'acquisto
e della detenzione di armi da fuoco adottata a Strasburgo il 28 giugno
1978.
In essa, in sostanza, si diceva che gli Stati membri si obbligavano a
comunicare al paese d'origine gli acquisti di armi da fuoco e relative
munizioni effettuati da stranieri ed a non vendere armi a stranieri che
non fossero in possesso di un'autorizzazione del proprio paese d'origine.
L'Italia ha ratificato la convenzione solo con legge 8 maggio 1989, senza
però provvedere ad adeguare la nostra legislazione ai nuovi obblighi.
La convenzione era comunque destinata a restare lettera morta perché
non aveva tenuto sufficiente conto delle diversità normative nazionali.
In alcuni paesi europei (Francia, Belgio) la vendita di armi da caccia
e sportive è libera (e ciò non ha mai creato problemi di
sicurezza pubblica, a riprova di quanto sia utopistico il ritenere che
il controllo sulle armi limiti la criminalità) ed essi sono stati
ancor meno solleciti dell'Italia nel ratificare la convenzione.
Il contenuto della convenzione è, molto sinteticamente, il seguente:
1) Gli Stati contraenti si obbligano ad adottare un adeguato sistema di
controllo sulle armi da fuoco per impedire traffici illeciti e per controllare
gli spostamenti di armi da uno Stato ad un altro; ogni Stato resta libero
di adottare la normativa che crede, purché non sia in contrasto
con gli obblighi imposti dalla convenzione.
2) I soggetti residenti in uno Stato straniero che acquistano armi in
uno Stato debbono essere adeguatamente identificati e l'acquisto deve
essere comunicato al più presto, tramite Interpol o altra autorità
concordata, allo Stato ove il soggetto risiede.
3) Nel caso suddetto l'arma potrà essere venduta al non residente
solo a seguito di autorizzazione e dopo aver accertato che egli è
legittimato ad acquistarla in base alle disposizioni del paese di appartenenza
(acquisto libero, acquisto in base a licenza specifica o a licenza generale
o a licenza internazionale).
Ai fini degli sviluppi futuri della normativa, la parte più interessante
del trattato è l'Allegato I che cerca di stabilire una terminologia
comune al fine di individuare le armi assoggettate a controllo.
Lo sforzo dei legislatori europei è stato notevole, ma i risultati
sono stati modesti in modo altrettanto notevole! Troppe volte si percepisce
che i burocrati hanno discusso di cose su cui sapevano ben poco, senza
riuscire a cogliere la realtà dei problemi. Ricordo qui la mia
personale esperienza della partecipazione ad una riunione dei delegati
delle varie nazioni a Strasburgo in cui gli unici a parlare in termini
tecnici erano il sottoscritto, il rappresentante del Banco di prova belga
e un esperto balistico della polizia tedesca; gli altri, tra cui il rappresentante
del Ministero degli Interni italiano, si affannavano ad esporre quanto
belle ed intelligenti fossero le loro legislazioni in materia di armi!
La convenzione inizia ben male quando afferma che essa concerne le armi
da fuoco e poi, nella riga successiva, dà invece una definizione
che ricomprende tutta una serie di armi che con la polvere da sparo non
hanno nulla a che vedere. In effetti la convenzione concerne tutte quelle
che noi correttamente chiamiamo armi da sparo; la nozione è leggermente
allargata poiché non è richiesto che venga lanciato un proiettile,
ma è sufficiente che vengano proiettate sostanze dannose di qualsiasi
genere. Quindi, oltre alle armi da fuoco, anche quelle ad aria compressa
e quelle che usano gas compressi in bombola.
La convenzione è del tutto oscura su alcuni punti:
non si riesce a comprendere che cosa si intenda per lanciarazzi
portatili; la convenzione esclude comunque dal novero delle armi tutti
quegli strumenti che servono per segnalazione o salvataggio, ma pone poi
la condizione impossibile che essi non possano servire che a questo preciso
scopo.
non si riesce a comprendere quali siano le armi che sparano dei
proiettili propulsi solamente da una molla. E' escluso che si sia voluto
far riferimento agli archi ed alle balestre, considerati strumenti sportivi
in quasi tutti i paesi firmatari, per il fatto che non vi sarebbe stato
motivo di non indicarli specificamente con il loro nome. Pare che gli
estensori si siano preoccupati della possibilità del tutto teorica
che venissero fabbricati delle specie di arpioni a molla diversi da quelli
destinati alla pesca. E' però possibile che abbiano voluto far
riferimento alle armi ad aria compressa senza serbatoio ma funzionanti
solo per la compressione momentanea creata da uno stantuffo a molla.
E' appena il caso di rilevare che armi a propulsione mediante gas non
sono quelle che proiettano gas tossici (come ha tradotto il nostro Ministero
nell'art. 2 L. 110!), ma quelle che usano gas in bombola per proiettare
proiettili. Comunque la dicitura usata nel definire le armi è talmente
ampia che ogni oggetto (anche una bomboletta) che espelle sostanze tossiche
o corrosive viene considerato un'arma, salvo che non sia assoggettato
a controllo in ragione della sua debole potenza. Il fatto è,
però, che ogni paese ha le sue idee circa il concetto di potenza
ed avviene così che strumenti di libera vendita in un paese, siano
considerati strumenti di morte nel paese vicino (ad esempio in Germania
si possono acquistare liberamente bombolette di gas lacrimogeno e munizioni
a gas lacrimogeno; in molto paesi le armi ad aria compressa sono pure
di libera vendita) e perciò la disposizione è priva di utilità
pratica ed ha consentito a molti paesi di lasciare le cose così
com'erano.
Eguale incertezza è stata lasciata per le armi antiche: in alcuni
paesi sono antiche quelle anteriori al 1871, in altri quelle anteriori
al 1890, in altri si distingue a seconda del tipo di caricamento o di
munizionamento, in altri ancora ci si affida a una specie di classificazione
arma per arma: che senso ha però che l'Italia comunichi alla Germania
che un turista tedesco ha comperato un'arma antica, se nel suo paese la
stessa arma non deve essere denunziata?
La nozione di parte d'arma è stata notevolmente ristretta: per
le armi da fuoco, in sostanza, si considera parte d'arma solo la canna
e il tamburo; non sono parti quindi l'otturatore e il serbatoio amovibile.
Rimarchevole è invece che si sia previsto l'equiparazione giuridica
alle armi di alcuni accessori e cioè dei visori notturni e dei
silenziatori, purché destinati ad essere montati su di un'arma
(meno male che lo hanno precisato, poiché altrimenti occorreva
controllare anche i silenziatori dei ciclomotori!).
Particolarmente sofferta è la definizione di arma corta ed arma
lunga: le armi corte sono quelle la cui canna non supera i 30 cm oppure
la cui lunghezza totale non supera i 60 cm; vale a dire che dovrebbe essere
considerato arma corta un fucile lungo un metro ma con canna di 29 cm,
così quanto una pistola di 59 cm e con canna di 40 cm. Logica vorrebbe
che tutte le altri armi (e cioè tutte quelle con canna superiore
a 30 cm o di lunghezza complessiva superiore a 60 cm, venissero considerate
lunghe); non si comprende però perché nella convenzione
si usi una dicitura più equivoca, a meno che alla lett. f) non
sia sfuggita ai redattori o al tipografo una "o" a metà
della frase.
La convenzione contiene ben poche norme che incidano sulla nostra legislazione
nazionale. A parte gli obblighi di informazione tra gli Stati, che riguardano
solo l'amministrazione di PS, tutte le armi contemplate dalla convenzione
sono già assoggettate a controllo e sono vietate oppure possono
essere acquistate solo da persone autorizzate.
In effetti l'unica disposizione che l'Italia avrebbe dovuto introdurre
con un'apposita legge è quella concernente la sottoposizione a
controllo dei visori notturni e dei silenziatori specificamente destinati
ad essere montati su armi: vale a dire quei visori appositamente costruiti
per una specifica arma o muniti di specifici attacchi incorporati; per
contro un visore notturno costruito per usi generici e utilizzabile sia
di per sé, sia unitamente ad una cinepresa, ad una telecamera o
ad un'arma, continuerà ad essere sottratto ad ogni controllo.
La convenzione, infine, pone alcuni limiti, che vedremo, alla facoltà
del nostro legislatore di adottare norme più favorevoli in relazione
a certi tipi di armi.
Accordo di Schengen
Il 14 giugno 1985, o per l'inconsistenza del trattato di Strasburgo,
o per il fatto che esso tardava ad essere ratificato dai vari Stati, cinque
paesi europei (Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Olanda) approvavano
un secondo trattato (accordo di Schengen) in cui, al fine di affrontare
il progressivo venir meno dei controlli doganali, si stabiliva di provvedere
ad armonizzare le rispettive legislazioni in materia di stupefacenti,
armi ed esplosivi. Il trattato conteneva solo dichiarazioni di principio
e demandava le disposizioni di applicazione per le singole materie a successivi
accordi; nel novembre 1990 l'Italia aderiva al trattato; nel giugno 1991
vi aderivano anche la Spagna e il Portogallo.
Le disposizioni di attuazione in materia di armi venivano approvate
il 19 giugno 1990 e l'Italia ha ratificato e dato esecuzione al trattato
con legge 30 settembre 1993 n. 388 (vedi allegato). Nel frattempo
però era stata adottata la direttiva europea in materia di armi,
abbastanza simile, così che il trattato, a rigor di logica, avrebbe
dovuto essere considerato come superato dai fatti. In caso di contrasto
tra norme del trattato e norme della direttiva europea, si pone un grave
problema interpretativo che, a mio parere, dovrebbe essere risolto ritenendo
sempre prevalenti le norme comunitarie.
Il contenuto essenziale dell'accordo di Schengen è il seguente:
Le armi da fuoco vengono classificate in tre categorie:
1) Le armi che sono proibite ai privati, salvo casi particolari, e cioè
le armi da guerra, le armi automatiche, le armi camuffate da altro oggetto,
i proiettili per arma corta a punta cava, i proiettili a nucleo perforante.
2) Le armi che possono essere acquistate solo in forza di un'apposita
autorizzazione e cioè le armi corte (definite come quelle con canna
fino a 30 cm o lunghezza totale fino a 60 cm), le armi lunghe semiautomatiche
a più di tre colpi, le armi lunghe a ripetizione con canna liscia
inferiore a 60 cm, le armi comuni aventi l'aspetto di armi da guerra.
3) Le armi che possono essere acquistate liberamente ma con identificazione
e registrazione dell'acquirente e con obbligo di denunzia e cioè
le restanti armi (doppiette, combinati, fucili a canna rigata a ripetizione
ordinaria, ecc.).
Non rientrano tra le armi da fuoco le armi anteriori al 1870, le repliche
di armi antiche non impieganti cartucce metalliche, le armi rese inerti
purché munite di apposito marchio ufficiale, le armi ad aria
compressa.
Inoltre viene introdotta la disposizione secondo cui le armi di cui al
punto 2 possono essere acquistate e detenute solo da chi dimostra un valido
motivo per farlo.
Il trattato è estremamente sorprendente per la sua superficialità:
si sono vietate le armi da guerra, senza che le parti fossero riuscite
a stabilire quali esse siano: per la Germania sono da guerra solo le armi
automatiche, per la Francia è già da guerra una pistola
di cal. 7,65 mm para, per l'Italia è ancora da guerra una pistola
cal 9 mm para; la terminologia del trattato è approssimativa tanto
che vi si parla ancora di proiettili "dumdum", espressione
ottocentesca ignota ai tecnici e che si trova solo nei romanzi di Salgàri;
si considerano pericolose le armi prodotte tra il 1870 e il 1890 sebbene
non via sia un unico caso di impiego di esse da parte della criminalità;
si introduce la possibilità di limitare il diritto del cittadino
del cittadino a possedere armi corte.
Ancora più sorprendente è che l'Italia si sia obbligata
ad adottare norme così incisive sulla nostra situazione interna
(la norma sulle armi antiche devasterebbe le collezioni di armi, la necessità
di un valido motivo per detenere armi corte, porterebbe all'espropriazione
forzata a carico di molti cittadini, ecc.) senza il minimo dibattito politico.
Il trattato è stato ratificato di straforo in qualche oscura commissione
parlamentare, senza che nessuno ne sapesse nulla e il cittadino può
trovarsi nella poco piacevole posizione di doverlo soltanto subire, senza
neppure sapere chi egli deve ringraziare.
La cosa però veramente strabiliante è che, per incapacità
dei traduttori di tradurre e dei politici e dei ministeri competenti di
comprendere ciò che leggono, i testi francesi, tedeschi ed italiani
non concordano fra di loro! Ad esempio nel testo italiano, all'art. 78,
sono classificate tra le parti di armi "l'otturatore e il caricatore".
Nel testo tedesco, invece di otturatore si parla, più correttamente
e genericamente del "meccanismo di chiusura e, invece che di caricatore,
si parla di "Patronenlager", il che significa "camera di
scoppio " o "camera di cartuccia" (ovviamente in quei casi
in cui essa è autonoma rispetto alla canna) e quindi, in sostanza,
al tamburo, che, nel testo italiano, rimane escluso dal novero delle parti!
L'esattezza di questa osservazione trova conferma nell'art. 80 in cui,
per l'appunto, nel calcolare il numero di colpi massimo per un'arma semiautomatica,
si fa riferimento a "serbatoio o camera". Il bel risultato
di queste traduzioni è che in base al trattato di Schengen i caricatori
sono parti di arma in Italia e non li sono in Germania ed in Austria!
Il contrario avviene per il tamburo.
Per quanto riguarda il problema al nostro esame, le norme da tenere
presenti sono:
- l'art. 80 n. 2 il quale esclude dal novero delle armi soggette ad autorizzazione
"le armi da segnalazione, lacrimogene o di allarme, purché
l'impossibilità di trasformarle, con utensileria corrente, in armi
che permettano di sparare munizioni a pallottole, sia garantita da mezzi
tecnici e purché il getto di una sostanza irritante non provochi
lesioni irreversibili alle persone".
- l'art 82 che esclude dal trattato le armi di modello anteriore al 1870
e le loro riproduzioni, purché non permettano l'impiego di una
cartuccia con bossolo metallico, nonché le armi da fuoco rese inservibili
per sparare munizioni in seguito a procedimenti tecnici garantiti dal
punzone di un organismo ufficiale o da esso riconosciuti.
- Il trattato non concerne le armi ad aria compressa.
Direttiva europea
La direttiva europea, che purtroppo in italiano è stata tradotta
in modo ancor più sciagurato delle precedenti, concerne solo le
armi da fuoco e quindi non si occupa delle armi ad aria compressa. Essa
è entrata è stata approvata nel 1991 e, come ho anticipato,
si deve ritenere che, nella materia delle armi, prevalga sulle disposizioni
degli altri trattati, quantomeno nei confronti degli Stati appartenenti
alla Comunità Europea. Le norme comunitarie hanno infatti un valore
giuridico superiore persino alle costituzioni dei singoli Stati e accordi
parziali tra alcuni degli Stati membri non possono prevalere sugli accordi
che vincolato tutti gli Satti membri.
Per la parte che ci concerne, l'allegato della direttiva ha tenuto a
precisare che:
III. Ai sensi del presente allegato, non sono inclusi nella definizione
di armi da fuoco gli oggetti che, seppure conformi alla definizione, a)
sono stati resi definitivamente inservibili mediante l'applicazione di
procedimenti tecnici garantiti da un organismo ufficiale o riconosciuti
da tale organismo; b) sono concepiti per allarme, segnalazione, salvataggio,
macellazione, pesca all'arpione oppure sono destinati a impieghi industriali
e tecnici, purché possano venire utilizzati unicamente per tali
scopi specifici; c) sono armi antiche o loro riproduzioni, a condizione
che non siano comprese nelle categorie precedenti e che siano soggette
alle legislazioni nazionali.
Quest'ultima lettera c) sulle armi antiche è il frutto del compromesso
resosi necessario per superare l'assurda barriera del 1870 prevista dal
trattato di Schengen; purtroppo il compromesso ha operato anche sul piano
linguistico e non si riesce a comprendere che cosa si sia voluto dire.
Se si tiene conto delle definizioni date più avanti si deduce che
la direttiva non considera armi da fuoco delle categorie A-B-C-D quelle
ad avancarica e perciò si può affermare che sono sicuramente
antiche le armi ad avancarica e le loro repliche in quanto mai possono
ricadere "nelle categorie precedenti"; ma che cosa significa
questo requisito per le armi antiche che non sono ad avancarica? Forse
che un fucile ad ago non può essere fatto rientrare tra le armi
antiche perché è un "fucile a colpo singolo dotato
di canna rigata" della cat. C nr.2 ? Sarebbe veramente ridicolo ed
assurdo. E il requisito "che esse siano soggette alle legislazioni
nazionali" che cosa sta a significare? È positivo o negativo?
In altre parole va a favore od a svantaggio dell'arma antica il fatto
che essa in Germania sia di libera vendita?
I vincoli al legislatore italiano
Ciò posto, possiamo tentare di riassumere le disposizioni di
diritto comunitario che, in qualche modo, vincolano il legislatore italiano
rispetto alle armi non da fuoco.
Armi antiche:
- La convenzione di Strasburgo si limita ad escludere dal novero delle
armi da assoggettare a controllo quelle che nel rispettivo paese non
sono soggette ad alcun controllo in ragione della loro vetustà
e quindi lascia ampia liberà ai singoli Stati di stabilire quali
armi siano ancora pericolose per la sicurezza pubblica. Per converso,
la convenzione parte dal presupposto che se uno Stato decide che un'arma
non è pericolosa perché troppo vecchia, si deve ritenere
che il legislatore di quello Stato sappia ciò che fa.
- L'accordo di Schengen esclude dalla armi assoggettate a controllo le
armi da fuoco il cui modello od anno di fabbricazione sono, salvo eccezioni
(ovviamente ampliatrici), anteriori al gennaio 1870, sempreché
esse non possano usare munizioni destinate ad armi proibite o soggette
ad autorizzazione. E sarebbe interessante che i tecnici di Schengen
ci spiegassero quali munizioni attuali esistevano già prima del
1870!
- La direttiva europea è alquanto equivoca e di difficile interpretazione,
ma sicuramente non assoggetta a controllo le armi ad avancarica.
Se diamo uno sguardo ad altri paesi che hanno emanato leggi recenti
in materia di armi, troviamo che l'Austria considera armi antiche le
armi da sparo a miccia, a ruota o con acciarino a pietra e ogni altra
arma da sparo prodotta prima del 1871 (art. 45 della Legge sulle armi
del 1996).
La Svizzera, che ha voluto adeguare le proprio norme a quelle della
Comunità europea con la legge 20 giugno 1997, ha preferito non
definire affatto le armi antiche, lasciando il compito a successivi provvedimenti
amministrativi; essa comunque non considera più armi quelle le
cui munizioni non sono più in commercio al pubblico e non sono
più prodotte, così creando intelligentemente la categoria
degli oggetti che hanno la struttura di arma ma, in concreto, non possono
essere utilizzate come tali, siano esse o meno antiche.
In Germania sono liberalizzate (Regolamento 5-11-1978) le armi ad avancarica
a miccia od a pietra focaia, le armi ad ago, le armi a percussione ad
una canna prodotte prima del 1° gennaio 1871.
È opportuno ricordare che questa data del 1871 non è il
frutto di considerazioni tecniche, poiché essa è assolutamente
irrilevante nella storia dello sviluppo delle armi, ma deriva semplicemente
dal fatto che nel 1970 la Germania emanò disposizioni relative
alle armi antiche e scelse la data esatta di un secolo prima come limite,
per esclusive ragioni doganali in quanto i prodotti più
vecchi di 100 anni godevano di un particolare regime di favore! Purtroppo
poi questa data, per la forza "contrattuale" della Germania,
è passata in alcun trattati e in alcune legislazioni, senza che
chi la recepiva si rendesse conto del suo significato! Trattassi perciò
di una data arbitraria che potrebbe tranquillamente essere spostata in
avanti di una ventina d'anni senza per ciò venire a liberalizzare
armi in grado di essere utilizzate per impieghi criminosi e di maggior
pericolosità rispetto alle armi anteriori al 1871.
Come si vede i legislatori europei sono riusciti a creare un bel po'
di confusione, senza che si riesca a comprendere la ratio seguita:
se lo scopo delle norme è di tutelare la sicurezza pubblica, riesce
davvero difficile credere che questa possa essere messa in pericolo da
armi ottocentesche e riesce difficile immaginarsi rapinatori che usano
armi ad avancarica, anche perché è quasi un secolo che a
nessun rapinatore viene in mente una simile balzana idea. Se lo scopo
è quello di impedire incidenti od infortuni, bisogna dire che sono
privi di ogni controllo strumenti sportivi ben più pericolosi per
la salute pubblica, quali gli sci e gli snowboards (media di feriti che
ogni domenica giungono al pronto soccorso di Trento o di Bolzano, circa
300!) e che non a senso ritenere un'avancarica moderna meno pericolosa
di un fucile ad ago a retrocarica.
Ad ogni modo va detto che la normativa italiana non è in discussione
per il fatto che essa comunque assoggetta a controllo anche le armi antiche
e quindi non viola alcuna norma della normativa comunitaria.
Se ci si pone il problema dei limiti che la normativa internazionale
(ma in concreto quella della direttiva europea) pone ad una liberalizzazione
delle armi antiche (cioè a non considerarle armi soggette quantomeno
a denunzia, pur se liberamente acquistabili), si può affermare
con una certa tranquillità che:
- sono liberalizzabili tutte le armi di modello o tipologia anteriore
al 1871;
- sono liberalizzabili le armi ad avancarica, qualunque sia il sistema
di accensione ed anche se repliche moderne, poiché esse non possono
essere che di modello anteriore al 1871;
- sono liberalizzabili altri modelli di arma, con specifica disposizione
amministrativa o legislativa, rispetto alle quali sia accertata l'indisponibilità
commerciale delle munizioni; in sostanza si potrebbe, attraverso questa
via, arrivare, per quasi tutte le armi, alla data del 1891, saggiamente
stabilita dal legislatore italiano sulla base di ragionevoli presupposti
tecnici e storici (in sostanza il fatto che solo dopo il 1890 la polvere
senza fumo soppianta la polvere nera).
Altre armi non da fuoco
La convenzione di Strasburgo prevede un controllo per le armi
che proiettano sostanze nocive, i lanciarazzi portatili, le armi che lanciano
un proiettile spinto solo da una molla, purché le singole legislazione
ne escludano il controllo a causa della scarsa potenza.
Non si comprende bene a quale strumento si sia inteso riferirsi quando
si è parlato di armi che lanciano un proiettile mediante una molla,
visto che sicuramente la convenzione non voleva far riferimento a balestre,
archi, fucili da pesca, liberi in tutti i paesi. Forse la frase è
stata inserita per mera completezza, senza pensare a strumenti effettivamente
esistenti.
Per gli strumenti lanciarazzi la convenzione consente comunque l'esenzione
da controllo per quelli "creati per motivi di allarme, di segnalazione,
di salvataggio".
La convenzione di Schengen esclude dall'elenco delle armi soggette
a controllo "le armi per segnalazione, lacrimogene, o di allarme
purché l'impossibilità di trasformarle con utensileria corrente
in armi che permettano di sparare munizioni a pallottole sia garantita
da mezzi tecnici e purché il getto di una sostanza irritante non
provochi lesioni irreversibili alle persone".
Essa è l'unica a prendere poi in considerazione le armi da fuoco
disattivate stabilendo che sono libere se rese inservibili per sparare
munizioni di qualunque tipo in seguito a procedimenti tecnici garantiti
dal punzone di un organismo ufficiale o da esso riconosciuti. Questa
disposizione è del tutto assurda perché, stando alla lettera,
vieterebbe di trasformare un'arma vera in un'arma a salve, mentre il comma
precedente liberalizza le repliche funzionanti purché non idonee
ad impiegare munizioni con bossolo metallico!
La direttiva europea, come detto, si occupa solo delle armi da
fuoco e esclude da controllo quelle concepite per allarme, segnalazione,
salvataggio, macellazione, pesca all'arpione, per impieghi industriali
o tecnici, purché possano venire utilizzate unicamente per tali
scopi specifici. Con questa frase essa interpreta e chiarisce l'analoga
frase usata nella convenzione di Strasburgo in cui la specificità
dell'uso pareva essere riferita solo agli strumenti per impieghi tecnici
o industriali.
Si può quindi tranquillamente affermare che la normativa europea
non pone particolari limiti per le pistole lanciarazzi ed altri strumenti
funzionanti con cartucce, purché sia garantita la loro intrasformabilità
in armi da sparo, intrasformabilità che dovrebbe essere attestata
da un apposito marchio.
Quindi la legislazione italiana dovrebbe introdurre l'obbligo di questo
marchio.
Sarebbe anche necessario stabilire ufficialmente quali sono gli strumenti
lanciarazzi da liberalizzare e quali quelli da assoggettare a controllo.
Armi ad aria compressa
La convenzione di Strasburgo le elenca espressamente tra le armi, siano
esse ad aria oppure ad altro gas compresso oppure a stantuffo, salvo "quelle
che non sono soggette nel loro paese ad un controllo stante la debole
potenza" ed introduce così la distinzione basata sulla
potenza..
Il trattato di Schengen e la direttiva europea non prendono in considerazione
le armi non da fuoco e quindi non richiedono alcun controllo per le armi
ad aria compressa e, come si è detto, deve ritenersi che questi
due provvedimenti rendano superate le disposizioni del trattato di Strasburgo
all'interno della comunità europea; resta fermo l'obbligo di non
lasciar esportare armi ad aria compressa potenti a cittadini extracomunitari
non autorizzati.
Il problema dell'aria compressa è stato risolto in vario modo
nei vari paesi europei;
- In Germania ed in Spagna sono di libera vendita ai maggiorenni le armi
ad aria compressa, ed armi da fuoco cal 4 mm, che imprimono al proiettile
un'energia non superiore a 7,5 Joule (velocità iniziale circa 175
m/s per un pallino cal 4,5 mm.)
- La Svizzera, e la Francia non le ricomprendono fra le armi;
- L'Austria non le ricomprende fra le armi, purché di calibro
inferiore ai 6 mm.
- In Inghilterra (salvo recenti modifiche apportate dalla nuova legislazione,
che non ho potuto ben interpretare), erano libere le pistole ad aria compressa
con una energia non superiore a 8,15 Joule (velocità iniziale circa
180 m/s, per un pallino cal 4,5 mm.; velocità residua a 10 metri
circa 160 m/s, pari a 6,5 J) e le carabine con una energia non superiore
a 16,30 Joule (velocità iniziale circa 260 m/s, per un pallino
cal 4,5 mm.; a 10 metri circa 215 m/s, pari a 11,5 J).
Risulta quindi che, nella sostanza, le armi ad aria o gas compressi
non sono state considerate degne di menzione dalla normativa europea che
le ha considerate irrilevanti ai fini della sicurezza pubblica. La disposizione
del trattato di Strasburgo può tranquillamente essere riferita
esclusivamente a quelle armi ad aria compressa di grosso calibro (superiore
ai sei millimetri, come recita la legge Austriaca), equiparabili in tutto
e per tutto alle armi da fuoco; non è invero difficile sostenere
che la potenza di una carabina ad aria compressa di calibro 4,5 mm, pari,
al massimo a circa 26 Joule, è sicuramente di "debole potenza"
rispetto, ad esempio al più miserabile proiettile per pistola (il
cal. 6,35 mm) che raggiunge gli 86 Joule. Sia infatti ben chiaro che quando
il trattato consente di escludere da controllo certe armi in ragione della
loro debole potenza, non intende affatto riferirsi ad un concetto relativo,
all'interno della singola categoria di strumenti, ma pone un concetto
assoluto, in rapporto all'intero genere delle armi; in altre parole, non
ha voluto dire che sono libere le armi ad aria compressa di debole potenza
rispetto ad altre armi ad aria compressa più potenti, ma più
semplicemente che sono libere quelle di debole potenza rispetto ad altre
armi, anche da fuoco.
Nulla perciò impedisce la liberalizzazione delle armi ad aria
compressa in calibro 4,5 millimetri, ed ovviamente ed a maggior ragione,
anche di quei giocattoli che sparano palline di plastica o di vernice,
che solo con uno sforzo di fantasia possono essere fatte rientrare fra
le armi; ferma restando l'opportunità di vietarne l'affidamento
a minori od incapaci (ricordo infatti che l'attuale normativa italiana
è stata introdotta per il fatto che sconsiderati genitori regalavano
armi ad aria compressa ai propri bambini o ragazzi che le usavano poi
per spararsi negli occhi; sarebbe però stato sufficiente introdurre,
per l'appunto, un divieto di affidamento a minori).
Anche la vigente legislazione italiana non è di ostacolo a questa
soluzione.
Essa (art. 30 TULPS) considera armi proprie solo gli strumenti la cui
destinazione naturale è l'offesa alla persona e poi, all'art. 45
del Regolamento, ha cura di precisare che non sono considerate armi
gli strumenti ... che pur potendo prestarsi occasionalmente all'offesa,
hanno una specifica e diversa destinazione, come gli strumenti destinati
ad uso... sportivo, e non vi è dubbio che questo sia il principio
generale da osservare in tutti i casi, salvo ovviamente disposizioni eccezionali.
Questa specifica eccezione, mediante assimilazione delle armi da sparo
alle armi da fuoco, è contenuta nell'art. 585 del CP (per le armi
da bersaglio da sala - armi di piccolo calibro con munizione a polvere
- e per le armi ad aria compressa, vi era già una specifica eccezione
contenuta nell'art. 44 del Regolamento).
Lo stesso legislatore però ha dovuto riconosce che la generalizzazione
così operata era eccessiva in quanto è una forzatura l'affermare
che chiari strumenti sportivi, come la maggior parte delle armi ad aria
compressa, fossero destinati per natura ad offendere la persona. È
per questo motivo che l'art. 2 della legge 18 aprile 1975 n. 110 ha stabilito
che può essere esclusa la natura di arma comune per le armi da
bersaglio da sala, le armi ad aria compressa o a gas compresso (quelle
dette "ad emissione di gas"), una volta accertato che esse non
sono idonee a recare offesa alla persona.
Trattasi perciò, in definitiva, di stabilire quale sia il significato
da attribuire a questa espressione, invero poco felice, usata dal legislatore.
Alcuni "paletti" del percorso logico da seguire sono però
facilmente individuabili:
- La legge stessa prevede che certe armi da bersaglio da sala o ad aria
compressa possono essere ritenute non idonee ad offendere la persona;
è quindi erronea ogni tesi secondo cui tutte le armi da bersaglio
da sala e tutte le armi ad aria compressa cal. 4,5 debbono ritenersi idonee
ad offendere. L'affermare che non sono armi esclusivamente i giocattoli
che sparano solo tappetti di plastica è una emerita stupidaggine
perché è evidente che la legge non intendeva regolare i
giocattoli, ma le armi, ed era doveroso operare una distinzione nel loro
ambito (si consideri che agendo come si è fatto, gli oggetti ad
aria compressa ritenuti essere di libera vendita, non rientrano neppure
tra gli strumenti ad offendere perché la Commissione Consultiva
ne ha preteso l'innocuità totale!).
- Il concetto di offesa alla persona, così come scritto, è
talmente inconsistente, che deve necessariamente essere interpretato sulla
base della ratio della norma. Lo scopo della legge non è quello
di vietare ogni strumento o arnese che possa far male alla persona, perché
in tal caso dovrebbero essere vietati archi, balestre, fucili da pesca,
giavellotti, e simili attrezzi sportivi, sicuramente in grado di uccidere
una persona a distanza, ma piuttosto era quello di creare una scala di
pericolosità fra i vari strumenti da sparo. Per un'arma da sparo,
che proietta un proiettile attraverso una canna con grande precisione,
si può essere un po' più severi rispetto ad un arco che
richiede forza ed addestramento per essere usato con efficacia, ma è
necessario ammettere che l'idoneità ad offendere deve essere intesa
in senso relativo, prendendo come punto di riferimento minimo l'idoneità
ad offendere degli strumenti atti ad offendere. Non ha senso che solo
per le armi da sparo si escluda che esse possano essere inserite nella
categoria intermedia degli strumenti atti ad offendere, che esse possano
essere solo armi micidiali o giocattoli innocui.
- L'idoneità ad offendere deve essere valutata in relazione all'uso
normale dello strumento e non in relazione ad eventi eccezionali. Anche
una penna infilata in un occhio può accecare, ma non è questo
il parametro per valutare la pericolosità di una penna.
- Se la legge consente di liberalizzare certe armi da bersaglio da sala,
vuol dire che ha la legge stessa ha ammesso che certe armi da fuoco con
munizioni a palla possono essere considerate non idonee ad offendere la
persona (ricordo che in Germania sono libere le armi da fuoco in calibro
4 mm. purché con potenza non superiore a 7,5 Joule).
Sulla base di queste premesse si può poi constatare come la lesività
degli strumenti atti ad offendere vada dalla idoneità ad uccidere
(archi, balestre, coltelli) fino alla capacità a cagionare lesioni
gravi o gravissime: gli strumenti elencati sono di metallo, taglienti
od appuntiti, idonei a penetrare od a tagliare un corpo umano e, per quelli
contundenti, si richiede una consistente capacità invalidante.
Nessuno si è mai sognato di considerare strumento atto ad offendere
un pezzo di legno appuntito o un ombrello o un pugnale di plastica o un
bastone non appesantito a guisa di mazza. Eppure anche con questi oggetti,
usando un po' di impegno, si può uccidere una persona e un omicida
robusto ne può persino fare tranquillamente a meno. Il fatto è
che nel valutare giuridicamente le situazioni si fa sempre riferimento
al quod plerumque accidit, alle situazioni normali, e la norma
è che certi strumenti non sono in grado di cagionare altro che
lesioni lievi o lievissime.
Rispetto alle armi ad aria compressa sono stati eseguiti approfonditi
studi di medicina legale i quali hanno stabilito che al di sotto di 60
m/s un proiettile per aria compressa cal. 4,5 mm non è in grado
di forare la pelle umana nuda e che perde quindi 60 m/s di velocità
per effetto del solo impatto; poiché anche il muscolo richiede
una velocità minima di circa 60 m/s per essere perforato, si è
concluso che al di sotto della velocità di 120 m/s, pari a 3,6
J, non vi è una lesione vera e propria; con una velocità
di 200 m/s la penetrazione nei tessuti molli non arriva oltre i 7-8 millimetri
e quindi non vi è il pericolo di lesioni in profondità:
la lesività di un'arma ad aria compressa è quindi paragonabile
a quella di un chiodo o di un ferro da calza. Non deve dimenticarsi poi
che i pallini usuali, tipo diabolo, hanno una forma aerodinamica svantaggiosa
per cui vi è una rapida perdita di velocità lungo la traiettoria,
così che è esclusa ogni pericolosità a distanza.
Si può perciò ragionevolmente concludere che le armi ad
aria compressa, anche se capaci di imprimere al proiettile una consistente
velocità, non sono idonee a cagionare, nell'uso normale,
più che lesioni lievi.
Il dato di fatto giuridico e quello scientifico debbono essere fusi con
quello socio-politico per stabilire, sul piano interpretativo (visti gli
ampi spazi lasciati dal legislatore alla Commissione Consultiva) o su
quello legislativo, al fine di operare una scelta largamente politica.
Deve stabilirsi :
- quali sono i concreti pericoli che si temono dalla diffusione delle
armi ad aria compressa. Esse non possono di certo essere usate per scopi
criminali e, sul piano dei delitti, non vi è nulla da temere se
non qualche sparo dal balcone verso lampadine o piccioni. Il pericolo
di lesioni colpose è limitato dalla sostanziale innocuità
a distanza e dal divieto, comunque da imporre, di affidarle senza giustificato
motivo a minori di una certa età. Esistono comunque norme di legge
che vietano di danneggiare cose o animali altrui, di cacciare con certi
tipi di armi, di ferire o molestare ed esse sono certamente sufficienti
a reprimere l'uso illecito anche di questi strumenti sportivi.
- se sia ragionevole fare una distinzione così drastica tra strumenti
di pari pericolosità, come, ad esempio, una fionda e una carabina
ad aria compressa;
- se sia ragionevole introdurre un limite di potenzialità nell'ambito
di strumenti dello stesso calibro, come in Germania ed Inghilterra, oppure
se sia più semplice (anche per evitare poi infiniti contenziosi
giudiziari che creano una sostanziale ingiustizia) liberalizzarle totalmente,
come ha deciso di recente l'Austria, lasciando fermo il divieto solo per
le armi ad aria compressa di grosso calibro.
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