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Il dottor Claudio Lo Curto, Avvocato Generale della Repubblica a Sassari, da molti anni impegnato nell’ardua fatica di migliorare l’applicazione delle norme in penali in materia di armi, ha affrontato più volte il tema della distinzione tra armi e munizioni da guerra e armi e munizioni comuni. Già nel 2005 aveva pubblicato una poderosa sentenza di 140 pagine, che trovate qui su questo sito, in cui aveva sviscerato la questione in tutti i suoi aspetti.
La sentenza, motivata in modo assolutamente incontestabile, pubblicata su riviste giuridiche, aveva lasciato indifferente la Cassazione, ottusamente abbarbicata alla sua giurisprudenza ottocentesca, impermeabile ai tempi e alle modifiche legislative.
Ora il giudice Lo Curto torna alla carica con un trattato imponente, di quasi 500 pagine, dal titolo Armi e munizioni comuni e da guerra, in un bel volume rilegato dell’editore Giuffré, che contiene la dimostrazione esaustiva ed inconfutabile di quella che è la corretta interpretazione delle norme in materia di armi e munizioni da guerra. Quale sia questa corretta interpretazione è che cosa ben nota fin dal 1975 a chiunque abbia affrontato il problema con un po’ di intelligenza, ma, come già detto, non è stato mai possibile, se non in casi isolati, sfondare il muro di gomma creato da coloro per i quali studiare e pensare è una sofferenza o, come minimo, una odiosa distrazione da cose più piacevoli.
L’autore ha affrontato il problema con l’acribia e l’accuratezza dei giudici istruttori di un tempo, quale lui è stato: non vi è norma, sentenza, interpretazione, obiezione, dato tecnico, che egli non abbia scovato ed affrontato per dimostrare come il sistema normativo consenta un’univoca interpretazione coerente. La sua dimostrazione è implacabile e chiunque se ne discosterà dimostrerà di non aver letto il libro o di non essere in grado di comprenderlo; cosa che in modo altrettanto implacabile si verificherà perché, come noto, troppi dei nostri giudici non amano studiare e considerano un inutile sforzo il cercare di capire ciò che stanno facendo! Come alle anatre di Lorenz quando sono entrati in magistratura è stata trasmessa loro l’informazione (il cosiddetto imprinting), ormai entrata nel loro DNA, che tutto ciò che viene toccato da un militare diventa da guerra, che il calibro nove parabellum è da guerra, che se su un bossolo c’è scritto Nato è da guerra, che un oggetto da guerra rimane tale anche se è stato ridotto in polvere ed altre analoghe baggianate; per loro cambiare idea è andare contro natura! E se non sono già nella loro mente, vi vengono messe da investigatori e periti incompetenti.
Il libro del giudice Lo Curto potrebbe essere il “libro da guerra”, per smantellare questo andazzo e dovrà essere un dovere per ogni avvocato che vuol trattare l’argomento di avere il libro nella propria biblioteca e, possibilmente, di conoscerne il contenuto.
Il mio pessimismo sul futuro deriva da ciò che ho letto di recente e cioè dalle prime decisioni del Tar di Brescia in materia proprio di classificazione di armi da guerra da parte del Banco di Prova.
Cosa sorprendente è innanzitutto che il Tar di Brescia abbia ritenuto la propria competenza senza sentire il bisogno di spendere neppure una parola sull’argomento. Eppure l’interpretazione corrente sulle competenze del Tar porterebbe a concludere che è competente a decidere il Tar del Lazio in quanto non si tratta di un problema locale ma nazionale.
Manca poi ogni approfondimento sulla nozione di “calibro per arma da guerra”, come se fosse ancora valida la regola del 1940 per cui ogni cartuccia usata dai militari diventa da guerra e neppure si sono accorti che la legge sul 9 para è cambiata e che esso certamente non è più da guerra.
Mi viene in mente il titolo di un film “Miseria e Nobiltà”; da un lato la Nobiltà intellettuale dell’opera di Claudio Lo Curto basata su di un lavoro impressionante, dall’altro la Miseria quotidiana della giustizia che crede di potersela sbrigare con quattro frasette, senza aver preso sufficiente cognizione dei problemi da risolvere.
Non sto a spiegare al Tar di Brescia dove sono gli errori di ragionamento delle decisioni adottate; spero proprio che si leggano il libro di Lo Curto!
***
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 561 del 2013, proposto da: Dtg - Defense Technology Group - Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Stefania Galbiati, Cesare De Mattei, con domicilio eletto presso Mariagabriella Bertoli in Brescia, p.za Mercato, 30;
contro
Banco Nazionale di Prova Per Le Armi Da Fuoco Portatili e Per Le Munizioni Commerciali, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Ferrari Chazelat, con domicilio eletto presso Marcello Ferrari Chazelat in Brescia, via Cairoli, 8; Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distr.le Brescia, domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
-del provvedimento 15 maggio 2013 prot. n°273/AG — ep, notificato in pari data, con il quale il Responsabile del procedimento presso il Banco nazionale di prova per le armi da fuoco di Gardone Valtrompia ha respinto le domande presentate dalla ricorrente al fine di ottenere la qualifica di arma comune da sparo per le pistole Olympic Arms calibro .223 Remington e calibro 5,45x39;
-degli atti presupposti, e in particolare:
-del preavviso di diniego;
-delle linee guida del Banco nazionale;
nonché la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Banco Nazionale di Prova Per Le Armi Da Fuoco Portatili e Per Le Munizioni Commerciali e di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2014 il dott. Mario Mosconi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Rilevato:
- che la ricorrenti è un’impresa di commercializzazione di armi sul mercato civile italiano che in tale sua qualità, con il provvedimento meglio indicato in epigrafe, ha visto denegare la qualifica di “arma comune da sparo” per due prodotti alla cui commercializzazione sono interessati, ovvero due pistole di fabbricazione statunitense, tipo Olympic Arms calibro .223 Remington e calibro 5,45x39, e ciò con la motivazione per la quale esse, potendo utilizzare lo stesso munizionamento di talune armi da guerra, vanno considerate “arma tipo guerra” (doc. 3 ricorrenti, copia provvedimento impugnato). Come è noto, l’ente preposto a rilasciare tale riconoscimento è l’odierno intimato, Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia, un ente pubblico, sorto dall’evoluzione di un analogo organismo creato dagli armaioli del bresciano, che in base da ultimo al d.l. 6 luglio 2012 n°95 convertito nella l. 7 agosto 2012 n°135 è titolare esclusivo della funzione di verifica e classificazione delle armi da fuoco in Italia. In altre parole, il Banco, per ogni arma che gli viene sottoposta, esegue le verifiche tecniche per accertare in quale delle categorie normative essa rientri; se in particolare esso accerta che si tratta di arma da guerra o di tipo guerra, ne discende per legge che l’uso e il porto da parte dei privati ne è proibito, ai sensi della l. 18 aprile 1975 n°110, e quindi, per quanto qui interessa, ne è preclusa la commercializzazione. Nel caso di specie, le armi per cui è processo, come è non contestato in fatto, possono utilizzare rispettivamente la munizione militare 5,56 NATO e la munizione 5,45x39, di ordinanza negli eserciti dell’ex Patto di Varsavia , e quindi sono state ritenute di tipo guerra ai sensi dell’art. 1 comma 2 della l. 110/1975 (memoria Banco 15 luglio 2013,
- che la ricorrente ha impugnato il predetto diniego, con ricorso articolato in un'unica complessa censura, secondo la quale, in sintesi estrema, il concetto di arma di tipo guerra di cui all’art. 1 comma 2 l. 110/1975 sarebbe stato male interpretato, e non si applicherebbe al caso di specie;
- che detto motivo è infondato e va respinto, dovendo motivatamente il Collegio discostarsi da quanto affermato in sede cautelare. Come si è già detto, e si ripete per chiarezza, il provvedimento impugnato nega alle armi per cui è causa la qualità di arma comune da sparo perché le considera “arma tipo guerra”, categoria normativamente prevista dall’art. 1 comma 2 della l. 110/1975, e ciò perché ricorre uno dei requisiti previsti dalla norma stessa, ovvero la possibilità di “utilizzare lo stesso munizionamento delle armi da guerra”. Inoltre, le armi in questione vanno pacificamente qualificate come “arma corta”, precisamente “pistola semiautomatica”, non già “arma lunga”, ovvero “fucile o carabina” (così già il ricorso introduttivo). Da ciò discende, come prima conseguenza che tutte le deduzioni -su cui la ricorrente si è ampiamente soffermata, da ultimo anche all’odierna udienza- sui requisiti normativi delle “armi da guerra” in rapporto alle loro caratteristiche tecniche sono non pertinenti, perché non è di tale categoria che si ragiona. Ciò posto, il legislatore considera tutte le armi che possono utilizzare le munizioni da guerra come “tipo guerra”, con una sola eccezione, quella prevista dall’art. 2 comma 2 della stessa l. 110/1975, per cui possono qualificarsi “arma comune da sparo” soltanto “i fucili e le carabine che, pur potendosi prestare all' utilizzazione del munizionamento da guerra, presentino specifiche caratteristiche”, di seguito elencate. La ricorrente si è pure molto soffermata sulla pretesa inconsistenza tecnica di tali caratteristiche, ma anche in tal caso con deduzioni non pertinenti, perché le stesse valgono a consentire la deroga, cioè a far autorizzare come arma comune un’arma che sarebbe, in virtù del criterio generale, arma tipo guerra vietata, nei soli casi di armi lunghe, fucili o carabine, e non nel caso per cui è processo, di pistole. Detto altrimenti, ogni pistola, come quelle per cui è causa, che possa utilizzare munizioni da guerra è arma “tipo guerra” vietata, senza possibilità di deroghe. Si tratta di un risultato indubbiamente restrittivo, ma conforme ai principi del nostro ordinamento, nel quale, a differenza di quanto accade, ad esempio, nell’ordinamento statunitense, non sussiste un diritto a portare armi in capo al cittadino. La circostanza, pur valorizzata dalla ricorrente, per cui in altri casi il Banco avrebbe accordato la classificazione per armi identiche, ovvero per armi che possono utilizzare munizionamento considerato non più da guerra per la versione normale, ma che resta da guerra nelle versioni tracciante, o perforante, o incendiario, andrebbe allora spiegata, se sussistesse, come un errore, per cui vale il noto principio per cui la tolleranza non dà titolo all’abuso;
- che la reiezione della domanda di annullamento comporta all’evidenza la reiezione anche della domanda risarcitoria;
- che le spese di fase possono compensarsi attesa la particolarità della questione;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge sia quanto alla domanda di annullamento sia quanto alla domanda risarcitoria.. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente Mario Mosconi, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
***
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 781 del 2013, proposto da: Vozza Giacomo, quale delegato dalla Soc. Gunstrade Srl, Emanuela Casini, quale legale rappresentante della Soc. Gunstrade Srl, rappresentati e difesi dagli avv. Pierluigi Cesa, Corrado Zasso, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3;
contro
Banco Nazionale di Prova per le Armi da Fuoco Portatili e per le Munizioni Commerciali, rappresentato e difeso dagli avv. Silvio Paroli, Marcello Ferrari Chazelat, con domicilio eletto presso Silvio Paroli in Brescia, via Cairoli, 8;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
del provvedimento 15 maggio 2013 prot. n°277/AG — ep, notificato in data non precisata, con il quale il Responsabile del procedimento presso il Banco nazionale di prova per le armi da fuoco di Gardone Valtrompia ha respinto la domanda presentata dal ricorrente al fine di ottenere la qualifica di arma comune da sparo per la pistola F.N. Random calibro .223 Remington modello Mini Archer;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Banco Nazionale di Prova Per Le Armi Da Fuoco Portatili e Per Le Munizioni Commerciali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2014 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Rilevato:
- che i ricorrenti sono rispettivamente un’impresa di commercializzazione di armi sul mercato civile italiano e il rappresentante procuratore della stessa; in tale loro qualità, con il provvedimento meglio indicato in epigrafe, hanno visto denegare la qualifica di “arma comune da sparo” per un prodotto alla cui commercializzazione sono interessati, ovvero una pistola di fabbricazione polacca, tipo F.N. Random, calibro .223 Remington e modello Mini Archer, e ciò con la motivazione per la quale essa, potendo utilizzare lo stesso munizionamento di talune armi da guerra, va considerata “arma tipo guerra” (doc. 3 ricorrenti, copia provvedimento impugnato). Come è noto, l’ente preposto a rilasciare tale riconoscimento è l’odierno intimato, Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia, un ente pubblico, sorto dall’evoluzione di un analogo organismo creato dagli armaioli del bresciano, che in base da ultimo al d.l. 6 luglio 2012 n°95 convertito nella l. 7 agosto 2012 n°135 è titolare esclusivo della funzione di verifica e classificazione delle armi da fuoco in Italia. In altre parole, il Banco, per ogni arma che gli viene sottoposta, esegue le verifiche tecniche per accertare in quale delle categorie normative essa rientri; se in particolare esso accerta che si tratta di arma da guerra o di tipo guerra, ne discende per legge che l’uso e il porto da parte dei privati ne è proibito, ai sensi della l. 18 aprile 1975 n°110, e quindi, per quanto qui interessa, ne è preclusa la commercializzazione. Nel caso di specie, l’arma per cui è processo, come è non contestato in fatto, può utilizzare la munizione militare 5,56 NATO, e quindi è stata ritenuta di tipo guerra ai sensi dell’art. 1 comma 2 della l. 110/1975;
- che i ricorrenti hanno impugnato il predetto diniego, con ricorso articolato in un'unica complessa censura, secondo la quale, in sintesi estrema, il concetto di
arma di tipo guerra di cui all’art. 1 comma 2 l. 110/1975 sarebbe stato male interpretato, e non si applicherebbe al caso di specie;
- che detto motivo è infondato e va respinto, dovendo motivatamente il Collegio discostarsi da quanto affermato in sede cautelare. Come si è già detto, e si ripete per chiarezza, il provvedimento impugnato nega all’arma per cui è causa la qualità di arma comune da sparo perché la considera “arma tipo guerra”, categoria normativamente prevista dall’art. 1 comma 2 della l. 110/1975, e ciò perché ricorre uno dei requisiti previsti dalla norma stessa, ovvero la possibilità di “utilizzare lo stesso munizionamento delle armi da guerra”. Inoltre, l’arma in questione, date le sue dimensioni, va qualificata “arma corta”, precisamente “pistola semiautomatica”, non già “arma lunga”, ovvero “fucile o carabina” (memoria Banco 23 settembre 2013, p.11: le misure ivi esposte non sono contestate). Da ciò discende, come prima conseguenza che tutte le deduzioni -su cui i ricorrenti si sono ampiamente soffermati da ultimo nella memoria 27 maggio 2014 e poi anche all’odierna udienza- sui requisiti normativi delle “armi da guerra” in rapporto alle loro caratteristiche tecniche sono non pertinenti, perché non è di tale categoria che si ragiona. Ciò posto, il legislatore considera tutte le armi che possono utilizzare le munizioni da guerra come “tipo guerra”, con una sola eccezione, quella prevista dall’art. 2 comma 2 della stessa l. 110/1975, per cui possono qualificarsi “arma comune da sparo” soltanto “i fucili e le carabine che, pur potendosi prestare all'utilizzazione del munizionamento da guerra, presentino specifiche caratteristiche”, di seguito elencate. I ricorrenti si sono pure molto soffermati sulla pretesa inconsistenza tecnica di tali caratteristiche, ma anche in tal caso con deduzioni non pertinenti, perché le stesse valgono a consentire la deroga, cioè a far autorizzare come arma comune un’arma che sarebbe, in virtù del criterio generale, arma tipo guerra vietata, nei soli casi di armi lunghe, fucili o carabine, e non nel caso per cui è processo, di una pistola. Detto altrimenti, ogni pistola, come quella per cui è causa, che possa utilizzare munizioni da guerra è arma “tipo guerra” vietata, senza possibilità di deroghe. Si tratta di un risultato indubbiamente restrittivo, ma conforme ai principi del nostro ordinamento, nel quale, a differenza di quanto accade, ad esempio, nell’ordinamento statunitense, non sussiste un diritto a portare armi in capo al cittadino. La circostanza, pur valorizzata dai ricorrenti, per cui in altri casi il Banco avrebbe accordato la classificazione per armi identiche andrebbe allora spiegata, se sussistesse, come un errore, per cui vale il noto principio per cui la tolleranza non dà titolo all’abuso. E’ solo per completezza che si ricorda come tale conclusione non muti alla luce delle deduzioni dei ricorrenti contenute nella memoria 27 maggio 2014, e in particolare da p. 5. Nell’ordine, che una pistola semiautomatica non possa essere qualificata “arma da guerra” nulla dice sulla diversa classificazione di “arma tipo guerra”. Che poi il legislatore abbia inteso vietare senza eccezioni le pistole semiautomatiche in calibro 9 Parabellum si spiega agevolmente con l’intento di proibirle sempre e comunque, anche se tutti i corpi armati esistenti abbandonassero l’uso bellico di tale cartuccia. Infine, restano non pertinenti le deduzioni sulla possibile qualificazione di arma sportiva della pistola in questione, perché tale qualità è esclusa se, come nella specie, l’arma è di “tipo guerra”;
- che le spese di fase possono compensarsi attesa la particolarità della questione;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente Mario Mosconi, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 23/06/2014, n. 669
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