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TRIBUNALE DI LANUSEI
Sentenza del GUP dr. Claudio Lo Curto del 20 ottobre 2005
MASSIMA
La distinzione fra arma da guerra ed arma comune è data dalla L. 185/1990 che definisce i criteri tecnici indicati nell’art. 1 L. 110/1975.
Armi tipo guerra sono esclusivamente le armi comuni illegalmente prodotte o modificate per assumere le caratteristiche di armi da guerra come stabilite dalla L. 185/1990 che definisce i criteri tecnici indicati nell’art. 1 L. 110/1975.
Le cartucce di piccolo calibro (non superiore a 12,7 mm) per arma lunga o corta, fra cui le più comuni 9 parabellum e 7,62 Nato, comunque denominate, sono da guerra solo quando montano proiettili incendiari, esplosivi, traccianti o a nucleo perforante, mentre il tipo di camiciatura è irrilevante, così come è irrilevante ogni tipo di marchiatura presente sul bossolo.
La cartuccia in calibro 9 parabellum non è munizione da guerra, ma munizione destinata ad essere utilizzata in armi comuni da sparo, già catalogate come tali.
Le armi lunghe a canna rigata che impiegano munizioni in calibri utilizzati anche in armi militari, sono armi comuni, salvo quelle a funzionamento automatico e senza che ricorrano specifiche caratteristiche per l’impiego venatorie o sportive poiché le successive leggi 85/1986 (armi sportive) e 157/1992 (legge sulla caccia) non hanno prescritto alcuna caratteristica specifica, così abrogando, sul punto, l’art. 2 L. 110/1975.
La Commissione Consultiva esprime parere obbligatorio non vincolante. Il Ministro può discostarsene con congrua motivazione giuridica e tecnica
In materia di catalogazione la competenza della Commissione è limitata esclusivamente a dire, con adeguata motivazione, se un’arma rientra o meno nella definizione normativa di arma da guerra in base a dati tecnici. Essa non può esprimere valutazioni che investono altri problemi (sicurezza pubblica, estetica. opportunità).
Sono illegittimi i DM emessi con riferimento al parere della Commissione su questioni non di sua competenza o ininfluenti ai fini della decisione circa la sua qualità di arma da guerra (accessori, tipo di munizionamento, numero di colpi, ecc).
I provvedimenti affetti da tali vizi possono essere disapplicati direttamente dal giudice civile o penale.
La sentenza è di 140 pagine e riporto qui solo la mia nota.
NOTA ALLA SENTENZA
Edoardo Mori
Chiarezza tecnica e giuridica sulla linea di confine fra
armi da guerra e armi comuni.
Le questioni giuridiche che coinvolgono la comprensione di realtà tecniche tendono sovente a sfuggire alla comprensione dei giudici. Ciò è palese nel settore delle armi in cui ben pochi saprebbero dire la differenza tra termini della lingua italiana quali cartuccia, proiettile e bossolo. Non riuscendo ad afferrare nella loro completezza la realtà, si affidano a coloro che sostengono di riuscirci. Cioè ai periti che purtroppo, nel 90% dei casi, si autoproclamano esperti, si iscrivono all’albo dei “periti estimatori” (sic!) della Camera di Commercio e ben di rado sono in grado di rispondere a quesiti elementari ! In molti casi poi i Giudici si affidano interamente al parere della polizia giudiziaria, sia per le nozioni tecniche (del tutto rudimentali) che, addirittura, per le norme giuridiche da applicare in materia di armi.
Il problema è aggravato dal fatto che quando il Giudice stabilisce un principio sulla base di una perizia sbagliata (ad es. che un bossolo di cannone sia riutilizzabile), i periti che affrontano il problema in casi successivi, invece di esporre il proprio giudizio tecnico, giurano con animo sereno che i bossoli di cannone sono riutilizzabili perché così ha stabilito la Cassazione! E l’errore si perpetua in un atto di fede consolidato.
Questo è ciò che è avvenuto in materia di armi da guerra dal 1931 in poi, in base ad affermazioni che sono più vicine ad atti di fede in vaghe leggende metropolitane (quali: che i Carabinieri hanno armi potentissime e micidiali; che se un soldato ha un’arma questa deve essere per forza terribile; che se sopra un oggetto c’è scritto NATO è ovvio che serve per fare la guerra) piuttosto che ad una corretta applicazione della prima regola interpretativa: accertare ciò che voleva dire il legislatore.
L’estensore della sentenza che si annota (e che è già passata in giudicato non essendo stata impugnata) si è assunto l’immane compito di sviscerare il problema della definizione di arma da guerra e di munizione da guerra nell’unico punto rimasto oscuro ai giuristi: in quel limbo costituito dalle armi tipo guerra in cui vengono collocate le pistole semiautomatiche cal. 9 Luger (o 9x19 o 9 parabellum o 9 para, che dir si voglia, essendo dizioni assolutamente equivalenti) e i fucili a canna rigata che sono nello stesso calibro dimensionale (poco importa il nome tecnico) di armi da guerra.
L’estensore ha proceduto ad esaminare con assoluta acribia tutte le norme coinvolte, tutte le decisioni giurisprudenziali, tutti i dati tecnici che potessero consentire di trovare un filo rosso di collegamento che portasse ad un risultato coerente. E c’è riuscito. Il suo percorso logico è incontrovertibile e porta all’unico risultato coerente possibile, sia sul piano tecnico che giuridico.
Del resto il risultato tecnico era già sotto gli occhi di tutti ed era sufficiente abbandonare le leggende metropolitane per vederlo, come già lo scrivente aveva fatto nel 1977: se in tutti i paesi della Nato le pistole semiautomatiche in calibro 9 para non sono da guerra ma normali armi civili, perché mai devono esserlo solo in Italia?
Se il problema non fosse stato complicato dalle suddette leggende metropolitane, sarebbe stato di soluzione semplicissima: la legge 185/1990, integrata con il DM 13 giugno 2003 (approvazione dell’elenco dei materiali di armamento) ha stabilito che, fra le armi di piccolo calibro che interessano anche i privati, appartengono al materiale di armamento, e sono quindi armi da guerra, solo le armi lunghe o corte automatiche (= a raffica) prodotte per eserciti moderni. Tutte le altre sono comuni, così come le munizioni che impiegano. Oltre a ciò la legge 110/1975 ha stabilito che sono assimilate alle armi da guerra le armi comuni modificate per assumere caratteristiche di arma da guerra (ad. es. fucile da caccia modificato per sparare a raffica) e che sono considerate militari le munizioni civili che montino proiettile tracciante, incendiario, esplosivo o a nucleo perforante (si badi bene, è il nucleo che deve avere qualità perforanti speciali, non il proiettile il quale, per definizione, è nato proprio per fare dei fori). E il problema sarebbe stato chiaramente e definitivamente risolto in dieci righe, così come avviene nelle altre legislazioni europee. Siccome ciò non è avvenuto, si tratta di dimostrare che la corretta interpretazione delle norme porta proprio a questo risultato.
Lo scopo di questa nota è solo di guidare il lettore della sentenza alla sua lettura, certamente non facile per chi si trova davanti, quasi in ogni riga, nozioni tecniche sconosciute e riferimenti a norme di difficile comprensione per la frammentazione e per la scarsa sistematicità. Esporrò quindi, passo passo, il percorso logico seguito, lineare come una dimostrazione geometrica.
Lascio l’indicazione delle sezioni in cui è suddivisa la sentenza (numero romano) per consentire di rintracciare la dimostrazione di ciò che sintetizzo come postulati dimostrati. La I) sezione, qui omessa, era dedicata alla esposizione dei fatti.
II
Unico parametro normativo che identifica l’arma da guerra (art. 1 L. 110/1975) è quello della spiccata potenzialità che rende l’arma idonea alla guerra moderna. Parametri confermati ed esplicitati nella legge 185/1990, e relativi decreti applicativi, che ha indicato quali fra le armi usate dai militari (non tutte perché è pacifico che essi possono impiegare anche armi civili!) rientrano fra il materiale di armamento. La legge ha implicitamente fornito la nozione del “volume di fuoco”, che deve essere limitato nelle armi comuni, in quanto solo le armi a raffica hanno sistemi di alimentazione (serbatoi, nastri) che consentono di sparare un elevato numero di colpi ogni secondo. Sicuramente non si può parlare di elevato volume di fuoco per armi non a raffica in cui, per ragioni tecniche, il caricatore può contenere al massimo venti cartucce da sparare manualmente, una dopo l’altra.
Fermo restando quindi che il problema, il punto critico, di stabilire la natura di un’arma si è posto solamente per le pistole e per le armi lunghe a canna rigata di piccolo calibro (per definizione normativa è piccolo ogni calibro non superiore 12,7 mm) e che non siano a raffica, risulta che la spiccata potenzialità può essere riferita solo alle munizioni e non all’arma perché ogni altra caratteristica è necessariamente identica, sia che l’arma sia comune, sia da guerra.
L’art. 2 L. 110 elenca una serie di armi, tra le quali le pistole semiautomatiche ed i fucili a canna rigata (termine equivalente a carabina o moschetto), per loro natura e definizione comuni, salvo due sole eccezioni: se esse sono a raffica o se esse hanno spiccata potenzialità; per i fucili introduce inoltre dei requisiti (specifiche caratteristiche venatorie o sportive, destinazione ad impiegare cartucce diverse da quelle militari) che si sono rivelati irrealizzabili e sono stati ignorati, per necessità di cose, dalla prassi ministeriale e mai sono stati oggetto di valutazione giudiziaria.
III
Se non ricorrono queste eccezioni l’arma è sicuramente comune. Se ricorrono, l’arma diviene arma tipo guerra (art. 1. 2° comma L. 110). Ma si tratterà sempre di armi nate (progettate, costruite, ideate) come comuni e che sono state poi modificate.
Quindi si può già a questo punto, sulla base della sola lettera delle norme, stabilire l’assioma che una pistola semiautomatica o un fucile semiautomatico a canna rigata non sono mai da guerra e che possono diventare tipo guerra solo se modificati per renderli a raffica oppure per usare munizioni di spiccata potenzialità (ovviamente avendo come parametro la potenzialità delle munizioni usate nelle armi sicuramente comuni).
Nel corso del processo, come si dirà ancora, una perizia al massimo livello della scienza balistica, ha escluso che il cal. 9 parabellum per le pistole e il cal. 7,62 Nato per i fucili, abbiano spiccata potenzialità. Essi sono sotto ogni aspetto inferiori a numerosissimi calibri di cui nessuno contesta che essi siano comuni.
Rimane poi assodato per inequivoca volontà del legislatore che:
- arma da guerra = materiale di armamento;
- arma da guerra = produzione specifica per eserciti e destinazione specifica ad usi militari;
- arma tipo guerra = arma non prodotta per l’esercito, ma arma comune alterata per avere le caratteristiche di un’arma da guerra;
- armi e munizioni comuni possono essere destinate alle Forze Armate, ma ciò non cambia la loro natura e, ovviamente, non implica una spiccata potenzialità;
- la circostanza che un’arma a raffica impieghi munizioni di un certo calibro, non dimostra che il calibro sia di spiccata potenzialità; le pistole mitragliatrici si chiamano così proprio perché sono nate strutturalmente come normali pistole modificate per sparare a raffica; è ovvio che impieghino quindi munizioni comuni (esiste un fucile mitragliatore in cal. 22 l.r. , ma nessuno ha mai pensato che il 22, tipico calibro del tiro a segno sportivo, sia con ciò divenuto un calibro da guerra!).
Del resto il problema è stato chiaramente risolto dalla legge 185/1990 la quale ha detto in modo esplicito che fra le molteplici armi leggere usabili dai militari, rientrano fra il materiale di armamento (e quindi non fra il materiale comune) solo quelle automatiche, il che equivale a dire che solo esse hanno spiccati potenzialità offensiva e/o volume di fuoco, in relazione alla tipologia meccanica, non al calibro. Inoltre si chiarisce implicitamente che le munizioni di calibro inferiore a 12,7 mm (c.d. piccoli calibri) non sono tipicamente militari salvo che abbiano particolari caratteristiche non richieste per gli usi civili.
L’assurdo è che la giurisprudenza, di fronte a precise norme tecniche emanate dai competenti organi dello Stato, abbia deciso di ignorarle non comprendendone l’esatta portata! E così si è arrivati ad assurde sentenze (ad es. la 4032/1991) in cui si è affermato che una pistola 9 para è da guerra in Italia e diviene comune se esportata!!
IV
La sentenza passa poi ad illustrare il sistema della Catalogazione delle armi, farraginoso ed inconcludente e da abolire al più presto. Il tema è pertinente perché la Commissione Consultiva per le armi ha espresso ripetutamente parere favorevole alla catalogazione quali armi comuni dei revolver in calibro 9 para, parere accolto nei decreti ministeriali di catalogazione i quali, come è noto, attribuiscono carattere definitivo e irrevocabile di arma comune al modello di arma catalogato. Il significato di ciò verrà illustrato più avanti, ma è importante rendersi conto dei meccanismi procedurali che portano a situazioni confuse difficilmente districabili da chi non è del mestiere (a dire il vero è più che palese che non riescono a districarvisi neppure i membri della Commissione, i quali, come emerge dai verbali delle sedute, operano alla giornata senza che MAI, nel corso di 30 anni, siano stati fissati i principi giuridici da applicare!
V
La sentenza approfondisce in questa sezione la critica alla affermazione (uno dei tanti atti di fede dei Giudici secondo cui le pistole in 9 para sono tipo guerra perché usano munizioni da guerra; si può facilmente dimostrare che ciò è falso.
Armi tipo guerra sono armi che non possono far parte dell’armamento militare; quindi in primo luogo quelle prodotte al di fuori delle forniture militari e quindi illecitamente e che possiedano le stesse caratteristiche essenziali: automatismo oppure spiccata potenzialità. Ma siccome l’automatismo è requisito sufficiente ed autonomo, vuol dire che non può essere tipo guerra un’arma che usa munizioni prive di spiccata potenzialità e cioè comuni, come emerge incontestabilmente dalla realtà tecnica. Un’arma non automatica può divenire tipo guerra, ma solo se si dimostra che le sue munizioni sono dotate di potenzialità superiore a quella delle munizioni sicuramente comuni.
Le armi tipo guerra sono una categoria delle armi da guerra e non delle armi comuni; ma un’arma comune può diventare arma tipo guerra solo a seguito di alterazioni. Mai esse diventano materiale di armamento e mai possono essere in regolare commercio od essere destinate ad usi militari. Perciò: le armi comuni da sparo acquistano, a tenore della riserva contenuta in apertura del primo comma dell’art. 2 L. 110/75, la qualifica di armi tipo guerra, perdendo al contempo quella originaria, esclusivamente allorché nella fase della loro circolazione sulle stesse vengono realizzate, a mezzo di illeciti interventi di alterazione meccanica o di altro genere, le caratteristiche tecnico-balistiche di cui al secondo comma dell’art. 1 citato. Le armi da sparo prodotte lecitamente o sono armi da guerra o sono armi comuni da sparo.
V/a
Va poi esaminata la disposizione dell’art. 2 L. 110 relativa ai fucili a canna rigata in calibro militare i quali, per essere comuni, dovrebbero avere specifiche caratteristiche venatorie o sportive e dovrebbero essere “destinate ad usare munizioni di tipo diverso da quelle militari”.
Ovviamente si può con animo sereno affermare che la norma è stata abrogata dalla legge 185/1990 la quale si era resa conto che la frase nascondeva il vuoto assoluto; tipico frutto della mentalità dei giuristi i quali ritengono che le parole possano acchiappare o persino creare realtà insistenti.
La norma riesce un po’ più comprensibile se si capisce che essa è stata scritta non per regolare il futuro, ma il passato. Nel 1975 già erano di regolare detenzione come armi da caccia, fucili ex ordinanza militare, allestiti per uso di caccia, come consentito dall’art. 1 della L. 186/1960, situazione di cui nessuno si era mai reso conto, fino a che lo scrivente aveva messo in evidenza la cosa ! L’art. 2 citato intendeva per l’appunto regolarizzare questa situazione, nata esclusivamente da uno di quegli atti di fede di cui abbiamo parlato (trasfuso persino nel Reg. al TULPS!), per cui un’arma ex ordinanza doveva ineluttabilmente essere più potente e pericolosa di un’arma da caccia; al Ministero dell’Interno, fin da allora, ignoravano che un elefante o una tigre sono ben più dure a morire di un soldato e richiedono armi ben migliori di quelle comprate dalle Forze Armate, risparmiando su tutto.
Va detto che la norma è stata accantonata perché priva di concretezza tecnica. Ed infatti numerosissime armi di origine militare sono state catalogate come armi comuni (da caccia o sportive), senza alcuna modifica nella struttura o nel calibro, senza particolari caratteristiche e senza problemi per i calibro. Talvolta non è stato modificato neppure il serbatoio. I modelli automatici sono stati resi semiautomatici (intervento minimale, risolvibile con l’eliminazione di piccole parti e qualche saldatura) e, talvolta è stata imposta l’eliminazione di parti o accessori di esclusivo impiego militare (baionetta, treppiedi).
In particolare è irrealizzabile la condizione che esse non potessero impiegare munizioni di tipo militare poiché nessuna norma ha mai potuto individuare questa misteriosa tipologia di armi civili che si prestano ad impiegare munizioni dello stesso calibro dell’originaria arma militare, ma diverse da esse…! La disposizione ha la stessa sensatezza di una norma la quale stabilisse che in un certo buco tondo ci deve poter passare un perno di legno, ma non uno di plastica! Come si vedrà è vero che certi tipi di cartucce con particolari proiettili sono precluse ai civili, ma nulla potrà mai impedire che una di queste cartucce venga inserita e sparata in un’arma da caccia o sportiva.
La sentenza esamina poi le norme della legge 85/1986 sulle armi sportive e della legge venatoria 157/1992 rilevando come queste non hanno in alcun modo fatto riferimento a queste fantomatiche limitazioni, non hanno indicato nessuna specifica caratteristica delle armi da caccia e sportive, così che è lecito affermare che esse hanno implicitamente abrogato le prescrizioni dell’art. 2 legge 110.
V/b
In questa sezione viene approfondito il problema delle pistole in calibro 9 para, specialmente in relazione alla circostanza che numerose pistole a rotazione sono state catalogate in tal calibro con la pubblicazione sulla Gazzetta Uff. di una nota in cui si dice che i detentore può usare in esse solo munizioni di piombo nudo (vale a dire diverse da quelle usate da forze armate e di polizia in cui il piombo è protetto da un sottile lamierino).
È appena il caso di dire che anche questa disposizione deriva da un atto di fede nella leggenda metropolitana che gira da mezzo secolo per i corridoi dei Ministeri, in base alla quale, mediante il divieto di pallottole 9 para camiciate, se si trova un tizio con un proiettile di piombo nudo nella schiena, si sa per certo che non lo ha sparato un soldato o un poliziotto! Come se un civile non potesse procurarsi munizioni “militari” e viceversa. Deriva inoltre da un altro atto di fede ministeriale secondo cui se i civili potessero usare le stesse cartucce dei poliziotti, questi se le venderebbero subito, con grave danno per le finanze pubbliche.
È facile dimostrare come tutta la costruzione ministerial-giudiziaria sul problema non stia in piedi.
Già si è illustrato il motivo per cui le pistole semiautomatiche o a rotazione siano sempre armi comuni da sparo, salvo che siano state alterate per funzionare a raffica o per acquisire una spiccata potenzialità (e sia detto subito che quest’ultima è una operazione tecnicamente irrealizzabile). Se sono prodotte regolarmente non possono che essere armi comuni. Persino il Reg. al TULPS del 1940, all’art. 44 già stabiliva categoricamente: “Sono considerate armi comuni da sparo …. e) le rivoltelle o pistole a rotazione, di qualsiasi peso, calibro o dimensione”.
Ed infatti i revolver in cal. 9 para (o Luger o parabellum o 9x19 che dir si voglia), in cui può essere caricata ogni tipo di munizione 9 para, sono catalogati come armi comuni.
Oltre 400 modelli di armi in cal. 9x21 sono catalogate comuni ed esse possono essere caricate con cartucce in cal. 9x19 (= para); quindi sono atte all’impiego di munizioni cosiddette “militari”; il che conferma che un’arma lecitamente prodotta può usarlo senza problemi giuridici.
Inoltre decine di pistole comuni sono in calibri che vengono utilizzati anche da armi militari (mitra). Ergo: l’assioma che se un arma da guerra spara un certo calibro, quel calibro diventa da guerra, è totalmente FALSO. I militari possono usar armi comuni in calibri comuni e viceversa, un’arma di tipologia e calibro comune può diventare materiale di armamento se prodotta per l’esercito con funzionamento automatico.
La Cassazione pur di superare questa barriera e di restare fedele ai suoi atti di fede si è persino inventata che l’iscrizione delle rivoltelle è avvenuta in via eccezionale, come se il Ministero avesse discrezionalità al riguardo). Ma non potendo dire, come avrebbe agognato, che il Ministero si era sbagliato, perché sulla qualificazione quale arma comune esso ha l’ultima parola, si è inventata la “arma comune in via eccezionale”!!
Va detto che non sempre la colpa è della Cassazione, costretta a basarsi, per le considerazioni di merito, su perizie di bassissimo profilo in cui si scrive che il 9 para è da guerra perché lo ha detto la Cassazione (la quale è tutto meno che un ente per le perizie balistiche) o perché il bossolo reca il simbolo Nato (lo recano anche le scatolette di carne per i soldati, ma non sono da guerra!) che non identifica caratteristiche tecniche, ma solo amministrative.
Perciò la Cassazione ha regolarmente omesso di prendere atto del fatto che se un’arma è catalogata, le sue munizioni diventano necessariamente comuni, indipendentemente dal fatto che il proiettile sia o meno interamente camiciato, essendo il particolare tecnicamente e formalmente irrilevante, visto che tutte le munizioni comuni per pistola sono, nel tipo base, totalmente camiciate.
Del tutto irrilevante è la circostanza che il Ministero abbia ritenuto di imporre, al di fuori delle procedure prescritte, l’uso nei revolver di munizioni con palla in piombo perché prescrizione illegittima, non basata su alcun potere conferito dalla legge, priva di sanzione, irrilevante ai fini della natura dell’arma. In sostanza è solo un parere informale sulla natura delle cartucce 9 para camiciate, privo di valore giuridico, contrario al parere espresso dalla Commissione! Si consideri, a conferma della assurdità delle opinioni che il Ministero pretende di imporre contra legem, che le convenzioni internazionali vietano le munizioni di piombo nudo ai militari perché troppo lesive e che alcuni Stati (ad es. la Svizzera), in applicazione dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale del 2002, hanno imposto ai civili di usare munizioni totalmente camiciate nelle armi corte.
Il problema della camiciatura, per chi voleva vederlo, era tanto chiaro da convincere anche la S. C. che con sent. n. 3159 di data 27/5/1988 scriveva che per intendere la nozione di munizione da guerra occorre far riferimento al quarto comma dell’art. 2 per il quale “ le munizioni a palla destinate alla armi da sparo comuni non possono comunque essere costituite con pallottole a nucleo perforante, traccianti, incendiarie, a carica esplosiva, autopropellenti…” . In tal modo - si affermava ancora nella decisione – l’unico criterio valido per stabilire che trattasi di munizione da guerra, la cui definizione è posta nell’ultimo comma dell’articolo 1 citato…. è l’integrazione…di tale definizione con quanto stabilito dal quarto comma dell’art. 2 della stessa legge .
Quindi correttamente si rinveniva il criterio discriminante delle munizioni da guerra nel fatto di essere dotate di spiccata potenzialità. Poi la sentenza in esame e altre successive, tratte in inganno da bestialità di periti incompetenti, scelti senza discernimento, hanno affermato che le 9 para sono perforanti e quindi da guerra, ma ciò non toglie l’esattezza del principio giuridico affermato.
Non rimane quindi che dimostrare come sia falso l’assunto della spiccata potenzialità del 9 para.
Pur essendo i dati tecnici alla portata di chiunque si occupi di armi, ma considerando la tragica superficialità del 90% dei periti italiani, il GUP ha deciso di disporre un accertamento peritale che fosse risolutivo e inoppugnabile: ha quindi affidato a tre fra i migliori e più affidabili periti italiani (Compagnini, Romanini, Benedetti) il compito di comparare la potenzialità di offesa di vari tipi di munizioni e proiettili, tenuto conto di ogni possibile parametro della balistica terminale.
Tutte le prove hanno confermato che ogni tipo di cartuccia in cal. 9 para ha prestazioni inferiori ad altri calibri pacificamente comuni (.45, 9x21, .357 Mag, .44 Mag, ecc).
Il 9 para ha una energia di circa 500 Joule, il .454 Casull di 2.600 Joule). Il 7,62 Nato = 7,62x51 = .308 Win.) per fucile si pone a metà della scala di potenzialità delle cartucce da caccia ( Cal. 7,62 = 3.300 Joule; Cal. .577 da caccia = 13.600 Joule)
Voler sostenere il contrario non è atto di fede, ma … eresia !
VII
In questa sezione la sentenza espone considerazioni sulla procedura di catalogazione e sulla illegittimità delle procedure e decisioni adottate negli ultimi anni, basate su criteri che non è in alcun modo possibile rinvenire nella legge e che stanno rendendo nebuloso il sistema della catalogazione. Chi ama questo genere di lettura, troverà un vero museo degli orrori giuridici a cui può abbandonarsi la burocrazia non contenuta dalla giustizia.
Il problema della Commissione Consultiva è di essere priva di veri esperti. I membri ministeriali sono “comandati” a sedervi in modo casuale, i militari si intendono di missili e cannoni, ma poco di armi comuni, i periti balistici autocertificano la loro alta capacità, mancano i giuristi esperti che aiutino gli altri a capire le leggi. E così negli ultimi 20 anni le decisioni sono state prese alla giornata, secondo l’occasionale maggioranza dei membri presenti, senza che nessuno abbia mai scritto nero su bianco quali regole vengono applicate! È così successo che la Commissione, che ha il compito di riferire al Ministro solo se un’arma è comune o da guerra, si è arrogata di decidere quali dovessero essere le caratteristiche delle armi sicuramente comuni, in relazione alle quali non vi era nulla da decidere. Ad esempio ha rifiutato la catalogazione di un fucile a canna liscia, per legge sottratto alla catalogazione, perché l’arma aveva un aspetto militare; ha catalogato un altro fucile a canna liscia, ma ha stabilito ufficialmente che non è arma da caccia perché ha la canna troppo corta (nulla autorizza la Commissione a dire quali sono le armi da caccia e quale è la lunghezza minima della canna per i fucili da caccia; la lunghezza è fissata da norme europee che vanno rispettate); ha respinto la catalogazione di un revolver affermando che la cartuccia era troppo potente (ma meno potente di altre già accettate!), ecc. ecc. Un vero trionfo della illegittimità dell’azione amministrativa. Il fatto è che la Commissione è facilmente indirizzabile su percorsi erronei poiché al suo interno gli unici che conoscono i meccanismi amministrativi da applicare, gli unici che possono far credere di conoscere le norme sulle armi, sono proprio i funzionari ministeriali i quali, alla fine, decidono per conto del Ministro.
Così il Ministero, servendosi della Commissione come di un suo strumento, abbia creato di fatto, in modo strisciante, una abnorme categoria di armi che non sono né da guerra né comuni, ma sono proibite ai cittadini italiani. Peccato che il legislatore non abbia mai voluto ciò e che le regole dettate dal Ministero siano spesso in contrasto con la libertà di concorrenza nel mercato europeo.
email - Edoardo Mori |
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