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La annotata sentenza del Cds è allegata qui
Un anno fa, in considerazione della modifica dell’art. 43 del T.U.L.P.S., pensavamo che, finalmente, fosse stata scritta la parola fine alla lunga e contrastata interpretazione sul valore dei precedenti penali per il rilascio/rinnovo delle licenze di porto d’armi.
Infatti, dopo tale riforma, la Corte Costituzionale aveva osservato che, con la riforma dell’art. 43, per effetto del D.L.vo n. 104/2018, il legislatore attenua la rigidità della preclusione del primo comma dell’art. 43 nei confronti di chi abbia riportato condanne per i delitti ivi menzionati, ripristinando un potere discrezionale dell’Autorità amministrativa nella valutazione dei presupposti della concessione delle licenze di porto di armi, allorchè il condannato abbia ottenuto la riabilitazione (Corte Cost. n. 109/2019).
Anche il Consiglio di Stato aveva evidenziato che, con tale modifica, l’Amministrazione può e non più deve rifiutare il porto d’armi ai soggetti condannati per i delitti di cui al primo comma dell’art. 43, per i quali sia intervenuto il beneficio della riabilitazione, così configurando come discrezionale e non più vincolata la valutazione rimessa all’Autorità di pubblica sicurezza (Cons. St. n. 7901/2019).
Lo stesso Ministero dell’Interno, in merito, aveva chiarito che le condanne per i reati di cui al primo comma sono ostative al conseguimento dei titoli di polizia in parola, salvo che non sia intervenuta la sentenza di riabilitazione (Circ. 12 settembre 2018).
Purtroppo dobbiamo constatare che, ancora, il cittadino deve perdere tempo e sprecare denaro, ricorrendo al giudice amministrativo, per farsi riconoscere ciò che è previsto dalla vigente normativa in materia ed esplicitato dalla giurisprudenza.
Per l’uomo della strada è incomprensibile l’atteggiamento del Ministero, sempre disposto ad avallare anche i comportamenti illegittimi degli uffici periferici, presentando ricorsi in appello contro le sentenze dei TAR, spesso respinti.
Così è accaduto con la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 1543/2021. Infatti, Il Ministero ha proposto appello per la riforma della sentenza del TAR per la Calabria, che ha accolto il ricorso di un cacciatore che si è visto rigettare l’istanza di rinnovo del porto di fucile, siccome condannato per un reato ostativo, nonostante l’intervenuta riabilitazione.
Il TAR ha accolto il ricorso perché il provvedimento era viziato di eccesso di potere per difetto di motivazione, in quanto l’Amministrazione avrebbe violato un oggettivo criterio di ragionevolezza, non tenendo conto che, nonostante il precedente ostativo, il ricorrente aveva sempre ottenuto il rinnovo della licenza e anche la riabilitazione.
Il Consiglio di Stato, respingendo il ricorso in appello del Ministero, ha condiviso integralmente la decisione del TAR ed ha confermato l’indirizzo interpretativo già espresso in precedenza. Lo stesso ha evidenziato che, dopo la riforma dell’art. 43, nel nuovo assetto normativo, in caso di condanna per reati ostativi qualora sia intervenuta la riabilitazione, la licenza può essere ricusata (e non più deve). In tal modo è venuto meno il precedente automatismo, in forza del quale, nonostante la riabilitazione, la condanna era inderogabilmente ostativa al rilascio della licenza (Cons. St. n. 1543/2021).
Non considerando valido il motivo del ricorso del Ministero, basato sul fatto che il precedente era anteriore alla riforma dell’art. 43, il Consiglio di Stato ha anche rilevato che l’intervento normativo, sebbene valga solo per il futuro, esprime comunque un criterio di ragionevolezza, applicabile anche alle fattispecie precedenti l’entrata in vigore della novella legislativa (Cons. St. n. 1543/2021).
Nonostante ciò, è stata ribadita l’ampia discrezionalità dell’Autorità di P.S. nella valutazione del pericolo dell’abuso delle armi, per cui è sufficiente a giustificare l’adozione di provvedimenti di rifiuto la sussistenza di circostanze che consentano di trarre una ragionevole previsione circa la sussistenza di possibili rischi di inappropriato o abusivo uso delle armi (Cons. St. n. 1543/2021).
Purtroppo, nel caso di specie, vi è mancanza di una motivazione fondata, siccome il diniego del rinnovo della licenza si è basato solo sulla presenza di un precedente penale, non essendo stata presa in considerazione la modifica dell’art. 43 e quindi la rilevanza della riabilitazione. Infatti il Questore ha attribuito efficacia inderogabilmente ostativa alla condanna, omettendo di valutare il complesso delle circostanze rilevanti ai fini del rinnovo della licenza (Cons. St. n. 1543/2021).
Quindi, oramai, dovrebbe essere chiaro che, con la riforma dell’art. 43, in presenza anche di reati ostativi, per i quali sia intervenuto il beneficio della riabilitazione, la valutazione dell’Autorità di P.S. è discrezionale e non più vincolata, come era in precedenza,con l’esclusione di qualsiasi automatismo preclusivo.
In pratica, tale Autorità non può limitarsi a rifiutare una istanza per la licenza di porto d’armi basandosi sulla semplice ed esclusiva motivazione di un precedente ostativo, se quest’ultimo sia riabilitato, ma, quando non ritenga opportuno accoglierla, deve esplicitare dettagliatamente ulteriori elementi, anche privi di rilevanza penale, che denotino un’inaffidabilità del soggetto all’uso lecito delle armi (Cons. St. n. 1814/2020).
Inoltre, sebbene la riforma trovi applicazione a decorrere dal 14 settembre 2018, da essa nondimeno possono ricavarsi utili spunti ai fini della corretta interpretazione della disposizione previgente (Cons. St. n. 1814/2020).
Dunque, si ha la netta sensazione che spesso il Ministero si senta obbligato a ricorrere in appello contro le decisioni dei TAR, che dichiarano illegittimi alcuni provvedimenti degli uffici territoriali, alla stregua di un buon padre di famiglia, sempre pronto a difendere i propri figli. Lodevole comportamento, ma che, come l’esperienza insegna, spesso non fa il bene dei figli, anzi…..
Nel caso di specie, siamo sicuri che, se il Ministero avesse avuto la pazienza di leggere la sentenza del Consiglio di Stato n. 1814/2020, della stessa Sez. III, questa volta avrebbe ritenuto opportuno non ricorrere in appello, risparmiando e facendo risparmiare tempo e denaro a tutti i diretti interessati.
Infatti, la sentenza in commento (n. 1543/2021) è il risultato del copia/incolla della sentenza n. 1814, del 2020.
Stessa storia: un cacciatore che si era visto rifiutare il rinnovo del porto di fucile per un reato ostativo, datato e riabilitato; accoglimento del ricorso al TAR; respingimento dell’appello del Ministero.
Come si dice errare è umano, ma perseverare è..……., soprattutto quando a rimetterci è il cittadino che, nonostante il tempo perso e la riconosciuta ragione, deve pagare anche l’avvocato per le solite spese compensate !........
Firenze 6 marzo 2021
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