Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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TAR di Bari - Le querele non giustificano il ritiro di armi e licenze

N. 101/2005
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA
Sede di Bari - Sezione Prima
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 96 del 2003, proposto da

**** ****
contro
il Prefetto della Provincia di Bari
per l'annullamento
- del rigetto della istanza di restituzione armi, e del decreto prefettizio col quale veniva fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni;
- del decreto prefettizio successivamente notificato, col quale è stata revocata la licenza per porto di pistola per uso personale già concessa al ricorrente;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale;
per l’annullamento
della nota del Prefetto di Bari  del 10.6.2003 con la quale sì è denegato il riesame in sede di autotutela delle istanze di restituzione delle armi e di revoca dei provvedimenti impugnati;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con atto notificato il 24 dicembre 2002  il ricorrente ha impugnato gli atti in epigrafe indicati e cioè:
a) la nota provvedimentale  con cui il Prefetto ha rigettato l’istanza di restituzione di armi richiamando a riguardo provvedimento - in corso di notifica - recante divieto di detenzione di armi e munizioni;
b) il provvedimento di divieto di detenzione, cui innanzi si è fatto cenno, così motivato: Viste le informazioni all’uopo esperite dagli organi di polizia dalle quali risulta che l’interessato è stato più volte denunciato per minacce aggravate con l’uso dell’arma in suo possesso e che, alla luce della richiesta di riottenere il possesso delle armi a lui ritirate cautelativamente, in presenza di situazioni di litigio con il coniuge per ragioni di divorzio, l’interessato non da affidamento di non abusare della armi già in suo possesso;    
c) la revoca della licenza di porto di pistola, motivata oltre che con riferimento al provvedimento di divieto di armi e munizioni citato sub b), anche nella considerazione che “…i competenti organi di polizia hanno evidenziato che il sig. *** risulta altre volte denunciato per minacce aggravate con l’uso dell’arma in suo possesso e che non dà affidamento di non abusare delle armi”.
L’interessato nell’atto introduttivo premette di essere imprenditore finanziario, che dal 1982 gli era stata sempre rinnovata la licenza per il porto di pistola per uso personale e che nel ventennio 1982/2002 non era stato mai al centro di vicende caratterizzate dall’uso delle armi neanche per legittima difesa. Continua che di recente si stava separando dalla moglie la quale, per suo conto, aveva ritenuto di esasperare lo stato di tensione (di per sé comune in situazioni del genere) sporgendo querela nei confronti del marito asserendo di essere stata da questi minacciata. L’interessato in data 8.4.2002, a conoscenza della querela, spontaneamente si era recato preso la Stazione dei CC di Trani chiedendo di conferire in consegna le armi regolarmente detenute, come poi avvenuto. Dopo trenta giorni dall’avvenuta spontanea consegna (e nel frattempo in data 15.4.2002 gli era stata rinnovata la licenza di porto d’armi), aveva chiesto di riottenere la restituzione delle armi, richiesta riscontrata negativamente dalla Prefettura in virtù della nota di cui sopra si è detto, che viene ora impugnata con i connessi provvedimenti di divieto di detenzione di armi e munizioni e di revoca del porto di pistola in base alle seguenti censure:
1) Violazione di legge: artt. 39 e 40 r.d. 773/1931; violazione art. 13 legge 241/90 ed art. 6 legge 152/1975; eccesso di potere per carenza di motivazione.
E’ pur vero che in tema di divieto di detenzione di armi a “persone ritenute capaci di abusarne” l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, ma detta discrezionalità deve far riferimento a circostanze oggettive ed esplicitata attraverso una puntuale motivazione, qui invece carente. Esse circostanze obiettive non possono riportarsi alla semplice denuncia del coniuge separando derivante dalla ordinaria conflittualità che usualmente si accompagna allo scioglimento dei vincoli coniugali. Tra l’altro l’esito della denuncia querela, non noto al momento, ben potrebbe essere oggetto di archiviazione da parte della magistratura penale.
2) Violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di istruttoria.
Non consta che vi sia stata alcuna istruttoria svolta dagli organi di polizia, da cui risulti la non affidabilità del soggetto; anzi, in data 15.4.2002, l’amministrazione ha rinnovato il porto d’armi all’interessato.
3) Eccesso di potere. Falsa rappresentazione della realtà. Travisamento.
E’ errato affermare che “l’interessato è stato più volte denunziato per minacce aggravate con l’uso dell’arma in suo possesso”.
Successivamente il ricorrente ha prodotto atto di motivi aggiunti avverso la nota del Prefetto del 10.6.2003 con la quale si è denegato il riesame in sede di autotutela di istanze di restituzione delle armi e revoca dei provvedimenti già assunti (istanze avanzate dal ricorrente a conoscenza della archiviazione da parte della magistratura penale della querela sporta dalla moglie).
Motivava il Prefetto che la questione aveva formato oggetto di impugnativa dinanzi al TAR e che allo stato alcuna decisione era stata adottata in merito per cui non poteva prendere in esame la richiesta di revoca. Aggiungeva il Prefetto che il diniego di rilascio di porto d’armi poteva essere motivato anche con fatti penalmente irrilevanti, ma tali da far ritenere che il richiedente fosse privo dei requisiti necessari a garantire un sufficiente grado di affidabilità nei confronti della collettività.
Deduce l’interessato:
1) Violazione di legge (artt. 39 e 40 T.U. LL.PP.SS. nonché art. 13 L. 241/90 ed art. 6 L.152/1975) ed eccesso di potere.
Richiamando quanto detto nel 1° motivo dell’atto introduttivo, sottolinea che nella specie ci si trova di fronte più che ad un fatto penalmente irrilevante ad un fatto penalmente inesistente, atteso che nei provvedimenti di archiviazione della querela del coniuge separando il Tribunale di Trani evidenzia non già l’inaffidabilità del ricorrente bensì della querelante nei cui confronti la stessa Procura ha ritenuto di procedere d’ufficio per la innegabile natura calunniosa delle sue affermazioni.
2) Violazione di legge ed eccesso di potere evidenziato dalla carenza di istruttoria.
Il Ministero dell’Interno nella sua circolare n. 6454 del 17 marzo 2003 ribadisce la necessità di congrua motivazione a supporto dei  provvedimenti di diniego ovvero di revoca di autorizzazione di Polizia, motivazione che non deve fare esclusivo riferimento ad un singolo provvedimento (e nel caso della circolare si faceva riferimento ad una sentenza patteggiata, nel mentre nella specie il tutto muove da una denuncia-querele archiviata) bensì deve riporre il proprio fondamento in ulteriori provvedimenti e circostanze. Nella specie non ci si trova di fronte ad alcun fatto accertato.
3) Carenza di motivazione e di istruttoria. Violazione legge 241/90.
L’amministrazione, declinando l’esercizio del potere, non ha espresso alcun avviso circa la rilevanza delle nuove circostanze sottoposte alla sua cognizione.
Nell’atto di motivi aggiunti l’interessato svolge pure azione di risarcimento danni derivanti, a suo dire , dagli  illegittimi provvedimenti posti in essere.
Si accenna dall’interessato a danni commerciali relativi al calo qualitativo e quantitativo che la società di cui egli è socio al 98% ha fatto registrare (calo di fatturato), il tutto non a caso concomitante con l’emanazione dei provvedimenti interdettivi ora impugnati. Richiama anche rischi lavorativi e  danni morali relativi al forzato cambiamento di vita a seguito di immotivata ed improvvisa impossibilità di autodifesa. Parte ricorrente ritiene pure di riferire la circostanza di aver  proceduto alla vendita di due autovetture ed una imbarcazione causa l’indicatività di un elevato tenore di vita conseguente al possesso di detti mezzi con rischio di atti criminosi a proprio danno, rischio che ha comportato persino la impossibilità di trascorrere vacanze estive nella residenza di campagna perché lontana dal centro abitato; infine è stato impossibilitato ad esercitare l’attività di tiro a segno.
L’amministrazione dell’Interno per suo conto, costituendosi in giudizio, ha depositato documentazione e relazione in cui, previa ricostruzione della intera vicenda, ha concluso per il rigetto dell’avverso gravame.
In corso di giudizio il ricorrente con memoria del 4 dic. 2004 ha ribadito le sue prospettazioni difensive.
DIRITTO
Nel presente giudizio il ricorrente svolge azione impugnatoria avverso gli atti - via via succedutisi - del Prefetto di Bari disponenti per il divieto di detenere armi e munizioni, la revoca del porto di pistola, nonché il rigetto dell’istanza di restituzione delle armi e di quella intesa all’assunzione di provvedimento di revoca degli atti interdettivi già assunti; svolge pure -nell’atto di motivi aggiunti - azione intesa al risarcimento danni, a suo dire conseguenti ai provvedimenti prefettizi di cui innanzi.
A) L’azione impugnatoria va accolta, risultando fondate le censure dedotte dal ricorrente.
Va subito annotato in punto di fatto che i provvedimenti interdettivi del Prefetto muovono da informazioni esperite dagli organi di polizia “dalle quali risulta che l’interessato è stato più volte denunciato per minacce aggravate con l’uso dell’arma in suo possesso e che alla luce della richiesta di riottenere il possesso delle armi a lui ritirate cautelativamente in presenza di situazioni di litigio con il coniuge per ragioni di divorzio, l’interessato non dà affidamento di non abusare delle armi già in suo possesso” cui consegue il ritenere del Prefetto di “pertanto dover adottare un provvedimento cautelare a tutela della pubblica incolumità ….” come riportato a motivazione del provvedimento del 9 sett. 2002 e del successivo del 15 ott. 2002, rispettivamente di divieto di detenzione di armi e munizioni e di revoca della licenza di porto di pistola.
Osserva il Collegio che dalla documentazione in atti si evince che il tutto trova origine in una separazione coniugale particolarmente conflittuale tra l’attuale ricorrente e sua moglie ed in nutrito scambio di querele tra i due; tra queste e per quanto interessa il sanzionato “abuso” di armi assume rilievo determinante al fine del successivo procedere dell’Amministrazione dell’Interno la querela del 8.4.2002 prodotta dalla moglie nei confronti del marito ed in cui la sig.ra asseriva “sostanzialmente di essere stata ingiuriata, minacciata e convinta dalla presenza della pistola che il coniuge le avrebbe fatto vedere alzando giacca lato destro. Precisando che prima o poi l’avrebbe fatto assaggiare”.
Quanto innanzi si legge testualmente dalla relazione dei Carabinieri di Trani dcl 15.4.2002, portata a conoscenza della Questura di Bari e citata nella informativa della Polizia del 17 giugno 2002 resa all’Ufficio Territoriale del Governo di Bari e su cui il Prefetto basa i propri atti.
Orbene considera il Collegio che il pericolo di abuso delle armi, che costituisce giusta e responsabile preoccupazione per le autorità incaricate del rispetto dell’ordine pubblico e delle incolumità delle persone, non solo deve essere comprovato ma richiede un adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio necessariamente prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, atteso che la mera denuncia all’Autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare la revoca ovvero il diniego del porto d’armi (cfr. sent. questa Sezione n. 5361/04 e giurisprudenza ivi richiamata).
Nel caso in esame detta valutazione è carente; a ben vedere, come già accennato, il tutto si regge su fatto non significativo agli effetti della decisione che l’Autorità era chiamata ad adottare, vuoi perché la denuncia-querela si inseriva nel contesto di una separazione coniugale conflittuale (situazione che solitamente che vede i contendenti coniugi strumentalizzare qualsivoglia episodio ciascuno a danno dell’altro, spesso connotandolo di circostanze non veritiere e/o comunque tutte da provare profferite per offuscare la dignità dell’ex consorte) vuoi perché l’interessato era stato ritenuto idoneo a portare le armi per oltre un ventennio senza mai dare adito a qualsivoglia appunto, vuoi perché ancora dopo l’8 aprile 2002 - data del denunciato episodio di minaccia con la pistola e dopo che l’interessato aveva provveduto a consegnare le armi regolarmente possedute ai Carabinieri e ciò sostanzialmente per tuziorismo (non consta infatti che vi fosse un provvedimento sanzionatorio che a tale data a ciò lo obbligasse) - l’amministrazione in data 15.4.2002 aveva disposto per il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso personale. A fronte di ciò si imponeva una particolare motivazione in ordine alla sopravvenuta “pericolosità” del *** che potesse legittimare il giudizio negativo del 17.6.2002 a fronte di quello positivo di appena due mesi prima  quando, cioè, si era disposto per il rinnovo della licenza.
In conclusione, e giuste censure espresse in particolare nel 1° motivo, è mancata negli atti interdettivi del Prefetto una motivazione congrua ed adeguata sulla capacità del soggetto di abusare delle armi. Invero, lo si ripete, l’Autorità procedente si è limitata a rapportare tale valutazione alla  querela sporta dal coniuge separando che pure poteva far propendere per una considerazione di conflittualità ordinaria che usualmente accompagna gli scioglimenti di vincoli coniugali anziché far concludere per un giudizio di disvalore a carico del marito in tema di uso, rectius abuso di armi. A suffragio delle considerazioni esposte nella tesi del ricorrente va menzionata la circostanza dell’esito della suddetta querela che risulta archiviata con decreto del 3 febbraio del 2003; anzi a riguardo va sottolineato - giusta documentazione agli atti depositata dal ricorrente in data 31 marzo 2003 - che il coniuge querelante si era opposto alla richiesta di archiviazione del Sostituto Procuratore c/o il Tribunale di Trani del 9.1.2003 insistendo per la formulazione nei confronti del ricorrente dei capi di imputazione per il delitto di minaccia aggravata che questi a suo dire avrebbe commesso in data 8.4.02, opposizione disattesa siccome intervenuto il decreto di archiviazione definitivo a firma del Giudice delle indagini preliminari del 3.2.03.
E’ pur vero che nel decreto del 9 sett. 2002 recante divieto di detenzione di armi e munizioni (oltre che nel successivo 15 ott. 2002 di revoca licenza porto di pistola) si riferisce che “l’interessato è stato più volte denunciato per minacce aggravate con l’uso dell’arma in suo possesso” ma di dette ulteriori denunce (ulteriori cioè rispetto alla querela datata 8.4.02 dell’ex coniuge di cui sopra si è detto) e se del caso rapportabili ad altri contesti ed avanzati da soggetti ancora diversi dall’ex moglie non v’è traccia negli atti di causa, il che maggiormente rafforza il dedotto vizio di eccesso di potere. Anzi a riguardo va sottolineato che nel provvedimento di revoca della licenza di porto di pistola a pag. 1 si riferisce di querela sporta il 23.10.2001 da parte dell’ex coniuge sig.ra *** ; non trattasi, però, di altra denuncia, ma sempre della stessa denuncia querela del 8.4.02 che per errore materiale di dattilografia era stata indicata dall’Ufficio territoriale del governo con data diversa (cfr. errata corrige della Prefettura del 12 dic. 2002, depositata in atti).
La riscontrata fondatezza dell’azione impugnatoria comporta l’annullamento degli atti gravati e con l’atto introduttivo e con quello di motivi aggiunti.
B) Il ricorso deve essere invece rigettato quanto all’azione rivolta ad ottenere una sentenza di condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni asseritamene subiti in conseguenza degli atti del Prefetto interdettivi di cui si è discusso.
Ed invero il ricorrente, promotore finanziario, evidenzia oltre che danni morali, danni patrimoniali relazionati  questi ultimi al calo quantitativo e qualitativo della società di cui egli è socio al 98%.
Orbene la giurisprudenza ha più volte avvertito che l’accertamento della illegittimità dell’atto adottato dall’amministrazione, da cui dipende la lesione della situazione soggettiva tutelata, è presupposto necessario ma non sufficiente per la configurazione di una responsabilità risarcitoria, costituendo ulteriore passaggio  necessario la prova dell’esistenza del danno e del nesso causale con l’atto illegittimo, prova che va fornita dall’interessato.
A riguardo è agevole rilevare che nella specie insussistente si appalesa il nesso eziologico tra evento dannoso (calo finanziario) ed il fatto materiale (non possesso dell’arma). Parte ricorrente nella sua suggestiva prospettazione difensiva parla di impossibilità di autodifesa da parte di esso promotore finanziario, portatore di notevole liquidità a termine di una giornata di recupero crediti, liquidità - leggi somme di danaro - che ben giustificano atti criminosi.
Sul punto ben può replicarsi che il profferito bisogno imprescindibile di andare armato connesso all’attività lavorativa, pena calo dei ricavi (e ciò a voler seguire la particolare tesi dell’interessato), ben poteva essere soddisfatto da strumenti alternativi a quello concretato dal porto d’armi, quale il ricorso alla vigilanza privata, il che porta ad escludere che il mancato possesso di armi si ponga di per sé come fatto causale e determinante della sofferta perdita economica. Tra l’altro e sempre facendosi riferimento alla determinazione della causalità materiale del danno (calo dei ricavi della società finanziaria), non può certo sfuggire ad un attento interprete che agli inizi degli anni duemila il mercato finanziario ha fatto registrare un forte calo (per es. è notorio che investimenti dei privati risparmiatori indirizzati al mercato azionario si sono sempre più ridotti) legato a contingenze di ordine economico ed a crak finanziari che non vanno certo qui analizzati, ma che è opportuno richiamare quali ben possibili fattori causali determinanti dei minori introiti di cui ora ci si lamenta, fattori all’evidenza del tutto scollegati dal invocato bisogno per il promotore finanziario di andare necessariamente armato.
A maggior ragione vanno disattesi gli altri profili che parte ricorrente ritiene di evidenziare a dimostrazione del danno patito, vedi l’essere stato costretto a vendersi due macchine di grossa cilindrata ed una imbarcazione “…causa l’indicatività di tali beni di un certo tenor di vita, al rischio di atti criminosi a suo danno” (cosi testualmente nell’atto di motivi aggiunti), cui aggiunge “la impossibilità persino di trascorrere le vacanze estive nella residenza di campagna poiché lontana dal centro abitato e particolarmente isolata”.
Premesso che l’autodifesa armata è nel nostro ordinamento una eccezione e che nel vigente sistema di pubblica sicurezza esiste una disciplina di stretta regolamentazione di detenzione e porto d’armi da parte dei privati, quanto lamentato dal ricorrente e sopra riferito, in uno con la pure evidenziata dalla parte impossibilità di aver potuto esercitare l’attività sportiva del Tiro a Segno, si rapporta al concetto di danno morale (lo stesso interessato parla a riguardo di danni morali). Orbene il risarcimento dei danni morali è ammesso, come è noto, dall’art. 2059 c.c. nei soli casi previsti dalla legge (cpc 89, 120; cod. pen. 185,187,198 e 598), non ricorrenti nel caso di specie.
La giurisprudenza (cfr. Tar Lazio Sez. 1, 12 nov. 2002, n. 9881; cfr. anche Csi, 1 giugno 1993, n. 218) ha pure avuto modo di affermare che il vigente sistema normativo non contempla il risarcimento dei danni morali salvo che gli stessi non derivino da fatti di reato accertati in sede penale.
In conclusione la svolta azione risarcitoria va reietta.
Quanto alle spese ed onorari di giudizio, si ravvisano ragioni atteso anche l’esito del ricorso (parte accolto e parte respinto) per disporne la compensazione tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari Sez. I, definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte e cioè quanto alla svolta azione impugnatoria, e per l’effetto annulla gli atti del Prefetto impugnati e con l’atto introduttivo e con quello di motivi aggiunti; lo respinge per il resto e cioè quanto all’azione risarcitoria avanzata nell’atto di motivi aggiunti.
Compensa tra le parti spese ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004, con l'intervento dei Magistrati
Gennaro Ferrari                                                 - Presidente
Vito Mangialardi                                                - Componente Est.
Roberto M. Bucchi                                            - Componente

NOTA
Per leggere del comportamento della prefettura di Bari ci vuole lo stomaco forte: un onesto cittadino, munito da vent’anni di licenza di porto d’armi a pieno titolo, con un fratello già ucciso nel corso di una rapina, entra in disaccordo con la moglie e questa presenta una querela contro di lui sostenendo, tra l'altro, che egli le ha fatto vedere la pistola alla cintura minacciandola.
Lo stesso onesto cittadino si preoccupa di portare subito le sue armi ai Carabinieri dicendo loro di tenerle in custodia.
Pur di fronte a tale limpido comportamento il prefetto ritira tutte le armi e sospende la licenza di porto d’armi, mettendo in difficoltà il cittadino che svolge una attività che a Bari rende indispensabile andare armati.
Sebbene le querele vengano rapidamente archiviate in quanto riconosciute calunniose, con apertura di procedimnto a carico del calunniatore, la prefettura se ne frega e non restituisce né le armi né la licenza di porto.
Il cittadino fa ricorso e il TAR tratta severamente la prefettura per la totale inconsistenza delle motivazioni adottate e per lo spregio della logica e del buon senso.
La prefettura, obtorto collo, restituisce le armi ma omette di decidere sulla richiesta di rilascio della licenza di porto d’armi. Visto che i possibili motivi di diniego sono stati spazzati via dalla sentenza del TAR è difficile vedere nel diniego comportamenti legittimi e non penalmente rilevanti.
Ricordo che a Bari vi è una criminalità elevatissima con scippi, rapine, omicidi, che le forze dell’ordine hanno perso il controllo di parte del territorio (mettete in Google le parole “ Bari criminalità” e vedrete se vi dico la verità), che la responsabilità di tale situazione non può che ricadere sul prefetto! Ma la prefettura ha scelto la più comoda via di tutelare “l’incolumità pubblica” togliendo il porto d’armi a chi è onesto e ne ha bisogno per lavorare.
Purtroppo per i prefetti fa più scalpore sulla stampa  un cittadino che ha ammazzato un rapinatore che la notizia della morte di un cittadino rapinato; ed i prefetti si adeguano: non fosse mai che a Roma qualcuno si accorge che a Bari ci sono i rapinatori!
Purtroppo anche il TAR, che ha ottimanente deciso in diritto, non è esente da pecche; seguendo il solido illecito andazzo dei TAR ha compensato le spese così che il cittadino è rimasto “cornuto e mazziato” pur avendo tutte le ragioni del mondo. Inoltre non ha voluto riconoscere alcun risarcimento del danno con la scusa che esso non  era sufficientemente provato! Qualunque giudice civile avrebbe liquidato al cittadino un danno di parecchie migliaia di euro in via equitativa, perché il danno alla vita di relazione è in re ipsa e non ne può essere addossata una prova impossibile al cittadino. Assolutamente ridicola poi l’affermazione che il cittadino non aveva bisogno del porto d’armi perché poteva prendersi una guardia del corpo! Probabilmente i giudici del TAR credono che tutti i cittadini abbiano redditi come i loro. 

Mi dicono che l'armiere a cui il prefetto aveva affidato le armi in custodia, ha dovuto iniziare una causa civile per ottenere il compenso che gli spetta; spero solo che condannino il prefetto (o chi responsabile) a pagare di tasca propria!
La sentenza non ha affrontato il problema generale del valore di una querela, anche se non ancora archiviata, ma è di tutta evidenza che non vi può essere automatismo fra querela e provvedimenti del prefetto in materia di armi; la querela è un atto di un privato privo di contenuto probatorio e il prefetto ha il dovere di fare una una precisa valutazione delle prove. Di per sé la querela è un pezzo di carta dal valore nullo.

(1 dicembre 2006)  

 

 


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