Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Acquisto armi dall'Arsenale di Terni

(articolo già pubblicato su Diana Armi)
Come è noto l' Arsenale di Terni cede a privati vecchie armi di ordinanza seguendo una procedura assurdamente ed inutilmente complicata; pare proprio che all'esercito italiano i soldi non servano!
Per prima cosa bisogna inviare una domanda sia al Ministero della Difesa (Direzione Generale A.M.,A.T. V° Reparto 13° Divisione Sez. II°, 06104 Roma) sia all'Arsenale di Terni (Polo Mantenimento Armi Leggere, Viale B. Brin, 05100 Temi), allegando ad entrambe copia della licenza di porto darmi, (o di nulla osta all'acquisto, in teoria, poiché esso è valido tre mesi e la pratica di acquisto richiede oltre un anno!) e copia della licenza di collezione per armi moderne; dopo circa un anno (pare sia il tempo minimo richiesto a Rema per leggere una lettera e rispondere ad un cittadino) il ministero invia una lettera con l'indicazione del materiale a disposizione ed invito a fare il proprio ordine entro 10 giorni (tempo massimo che lo Stato assegna ad ogni cittadino per scrivere una lettera, sebbene sia attività più complessa che leggerla). Se si risponde, si resta in trepida attesa, per un tempo che dipende esclusivamente dal destino, della autorizzazione alla vendita che il ministero invia sia ai richiedente che all'Arsenale ili Terni. Dopo un po' Terni scrive comunicando l'importo da versare presso una Tesoreria dello Stato. A questo punto, effettuato i1 versamento, spedita copia della ricevuta e delle licenze (copie già inviate, ma che sono finite in altri uffici) e previo appuntamento, ci si reca a Terni muniti della licenza di porto e di collezione in originale, si ritirano le armi e si portano via (fino a sei pezzi se non si ha apposita licenza di trasporto.)
Pare che l'idea di aprire punti vendita in caserme sparse per l’Italia in cui un cittadino va con i suoi documenti, compra, paga e porta via, sia stata scartata perché avrebbe comportato il licenziamento di molti burocrati inutili.
A parte le inutili sofferenze inflitte dalla burocrazia, tutta l'operazione sarebbe lenta ma non tragica se non fossero sorti altri problemi,
Al momento di decidere la vendita delle vecchie armi comuni dell'esercito, la Questura e l'Arsenale di Terni vennero colti dal dubbio circa 1'efficienza di date armi (dubbio in molti casi più che giustificato stante la loro vetustà e i1 fatto che sovente sono state riassemblate a casaccio e senza aggiustaggio con parti provenienti da diverse armi) e le possibili responsabilità dell'Esercito nel caso in cui l'arma fosse scoppiata in faccia all'acquirente; e così studiarono il contratto di vendita con la seguente dicitura: “Come già ribadito con il Dispaccio in riferimento, le armi non disattivate vengono cedute nello stato in cui si trovano, al solo scopo di collezione. L'A.D, non assume alcuna responsabilità nel caso d'impiego delle stesse a fuoco. Qualora l'acquirente intenda inserire tutte le armi disponibili, o parte di esse, nella licenza di collezione di cui in possesso, dovrà attenersi a quanto disposto dalla circolare del Ministero dell'interno n° 5591 C.25372.10171(3) datata 15 Maggio 1995. Tale circolare prevede che la S.V. dovrà preventivamente rivolgere istanza all'Autorità di Pubblica Sicurezza competente territorialmente, tesa ad ottenere la iscrizione dell' armi nel provvedimento autorizzativo in argomento”.
Il tenore della clausola e le intenzioni del cedente sono chiaro e non equivoche: l'Arsenale avvisa che le armi sono buone solo per essere usate come oggetto da collezione ma non per tiro o difesa e che perciò se l'acquirente si fa male sono cavoli suoi. Non impone affatto di inserire le armi in collezione.
Mi si obietterà giustamente: ma perché allora l'acquirente deve essere in possesso di licenza di collezione se poi può non mettere le armi in collezione? La spiegazione (a quanto mi si dice) è che questa della licenza di collezione è stata una invenzione della questura di Terni la quale ha fatto la semplicistica equazione «arma da collezione = licenza di collezione»,
Su questa situazione si sono poi innestati gli usuali piccoli deliri giuridici che colgono i commissariati quando devono applicare una norma giuridica, con effetti esilaranti:
- che dette armi non sono commerciabili perché non sono bancate;
- che le armi possono essere vendute solo a soggetti muniti di licenza di collezione;
- che le armi non possono vendute a nessuno perché le armi da collezione non possono uscire dal luogo in cui sono custodite» (Sic! Giuro che ciò stato sostenuto in una importante Questura).
Ciò detto, vediamo quale è il regime giuridico di queste anni in base alla legge.
In primis diciamo subito che la richiesta della licenza di collezione agli acquirenti è priva di future conseguenze; per acquistare le armi è triste necessità di «legare il padrone dove vuole l'asino» e se il Ministero pretende ciò, bisogna adeguarsi; esso ci rimette molte centinaia di milioni, ma poi paga il contribuente!
Una volta acquistata l'arma essa può essere messa in collezione o può essere tenuta fuori di collezione, come espressamente previsto dall'atto di vendita,
A ciò non osta né il fatto che essa, di norma, non rechi i marchi del Banco di Prova né
che essa sia divenuta tecnicamente inaffidabile. Ed infatti:
a) le armi militari sono legittimamente prive del marchio di un Banco di Prova perché la legge prevede che esse sono soggette a controlli diversi (art. 7 L, 23 febbraio 1960 n,186 e RDL 9 dicembre 1935 n, 2482). La stessa legge del 1960, art. 1, stabilisce che le armi militari devono essere bancate solo se «allestite a nuovo o modificate». La circostanza infine che le armi non rechino il marchio di un Banco di Prova non le rende affatto clandestine perché questo marchio non è un segno distintivo (la Cassazione in una sentenza ha detto il contrario, ma ò facile dimostrare, legge alla mano, che ha preso una cantonata). Si consideri del resto che se non fosse vero al cento per cento quanto appena detto, le armi non potrebbero essere vendute a nessuno; se Terni le vende è perché esse sono formalmente in regola.
b) È del tutto normale che una vecchia arma in possesso di un privato divenga inaffidabile con il passare del tempo: può essere conservata male, può essere strapazzata, può aver sparato troppi colpi, possono essere state sostituite parti non immatricolate (ad esempio l'otturatore), possono essere state effettuate riparazioni, eppure l'arma non deve essere mandata al Banco di Prova prima di essere ceduta. La legge non richiede la prova neppure se un riparatore ha sostituito o ritubato la canna! Ciò significa, in mancanza di una diversa normativa, che la responsabilità in ordine alla sicurezza di queste armi rimane sul piano civilistico; il venditore è tenuto a far presente i difetti dell'arma, l'acquirente ha il dovere di considerare che un' arma vecchia ha i suoi limiti e deve astenersi dallo spararvi se non è sicuro che essa regge al colpo.
Quindi non vi é nessuna ragione per cui le armi acquistate a Terni vengano assoggettate ad un diverso regime giuridico,
c) È del tutto pacifico che le anni in collezione possono essere passate fuori collezione e viceversa, a piacimento del detentore e che le armi in collezione possono essere liberamente cedute come ogni altra arma, In certe questure nella licenza viene illegittimamente imposto d1 non usare 1e anni in collezione o, peggio ancora, di non spostarle dal luogo di custodia, ma questa imposizione non può essere interpretata oltre il suo stretto valore che é quello di impedire (chissà perché) che il cittadino vada con esse a sparare in un poligono (unico uso ipotizzabile, visto il divieto di detenere munizioni relative ad esse).
In conclusione la corretta soluzione è che le armi acquistate a Terni sono armi comuni non soggette ad alcuna limitazione nel regime giuridico.


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