(articolo già pubblicato su Diana Armi)
Come è noto l' Arsenale di Terni cede a privati vecchie armi di ordinanza
seguendo una procedura assurdamente ed inutilmente complicata; pare proprio
che all'esercito italiano i soldi non servano!
Per prima cosa bisogna inviare una domanda sia al Ministero della Difesa (Direzione
Generale A.M.,A.T. V° Reparto 13° Divisione Sez. II°, 06104 Roma)
sia all'Arsenale di Terni (Polo Mantenimento Armi Leggere, Viale B. Brin,
05100 Temi), allegando ad entrambe copia della licenza di porto darmi, (o
di nulla osta all'acquisto, in teoria, poiché esso è valido
tre mesi e la pratica di acquisto richiede oltre un anno!) e copia della licenza
di collezione per armi moderne; dopo circa un anno (pare sia il tempo minimo
richiesto a Rema per leggere una lettera e rispondere ad un cittadino) il
ministero invia una lettera con l'indicazione del materiale a disposizione
ed invito a fare il proprio ordine entro 10 giorni (tempo massimo che lo Stato
assegna ad ogni cittadino per scrivere una lettera, sebbene sia attività
più complessa che leggerla). Se si risponde, si resta in trepida attesa,
per un tempo che dipende esclusivamente dal destino, della autorizzazione
alla vendita che il ministero invia sia ai richiedente che all'Arsenale ili
Terni. Dopo un po' Terni scrive comunicando l'importo da versare presso una
Tesoreria dello Stato. A questo punto, effettuato i1 versamento, spedita copia
della ricevuta e delle licenze (copie già inviate, ma che sono finite
in altri uffici) e previo appuntamento, ci si reca a Terni muniti della licenza
di porto e di collezione in originale, si ritirano le armi e si portano via
(fino a sei pezzi se non si ha apposita licenza di trasporto.)
Pare che l'idea di aprire punti vendita in caserme sparse per l’Italia
in cui un cittadino va con i suoi documenti, compra, paga e porta via, sia
stata scartata perché avrebbe comportato il licenziamento di molti
burocrati inutili.
A parte le inutili sofferenze inflitte dalla burocrazia, tutta l'operazione
sarebbe lenta ma non tragica se non fossero sorti altri problemi,
Al momento di decidere la vendita delle vecchie armi comuni dell'esercito,
la Questura e l'Arsenale di Terni vennero colti dal dubbio circa 1'efficienza
di date armi (dubbio in molti casi più che giustificato stante la loro
vetustà e i1 fatto che sovente sono state riassemblate a casaccio e
senza aggiustaggio con parti provenienti da diverse armi) e le possibili responsabilità
dell'Esercito nel caso in cui l'arma fosse scoppiata in faccia all'acquirente;
e così studiarono il contratto di vendita con la seguente dicitura:
“Come già ribadito con il Dispaccio in riferimento, le armi non
disattivate vengono cedute nello stato in cui si trovano, al solo scopo di
collezione. L'A.D, non assume alcuna responsabilità nel caso d'impiego
delle stesse a fuoco. Qualora l'acquirente intenda inserire tutte le armi
disponibili, o parte di esse, nella licenza di collezione di cui in possesso,
dovrà attenersi a quanto disposto dalla circolare del Ministero dell'interno
n° 5591 C.25372.10171(3) datata 15 Maggio 1995. Tale circolare prevede
che la S.V. dovrà preventivamente rivolgere istanza all'Autorità
di Pubblica Sicurezza competente territorialmente, tesa ad ottenere la iscrizione
dell' armi nel provvedimento autorizzativo in argomento”.
Il tenore della clausola e le intenzioni del cedente sono chiaro e non equivoche:
l'Arsenale avvisa che le armi sono buone solo per essere usate come oggetto
da collezione ma non per tiro o difesa e che perciò se l'acquirente
si fa male sono cavoli suoi. Non impone affatto di inserire le armi in collezione.
Mi si obietterà giustamente: ma perché allora l'acquirente deve
essere in possesso di licenza di collezione se poi può non mettere
le armi in collezione? La spiegazione (a quanto mi si dice) è che questa
della licenza di collezione è stata una invenzione della questura di
Terni la quale ha fatto la semplicistica equazione «arma da collezione
= licenza di collezione»,
Su questa situazione si sono poi innestati gli usuali piccoli deliri giuridici
che colgono i commissariati quando devono applicare una norma giuridica, con
effetti esilaranti:
- che dette armi non sono commerciabili perché non sono bancate;
- che le armi possono essere vendute solo a soggetti muniti di licenza di
collezione;
- che le armi non possono vendute a nessuno perché le armi da collezione
non possono uscire dal luogo in cui sono custodite» (Sic! Giuro che
ciò stato sostenuto in una importante Questura).
Ciò detto, vediamo quale è il regime giuridico di queste anni
in base alla legge.
In primis diciamo subito che la richiesta della licenza di collezione agli
acquirenti è priva di future conseguenze; per acquistare le armi è
triste necessità di «legare il padrone dove vuole l'asino»
e se il Ministero pretende ciò, bisogna adeguarsi; esso ci rimette
molte centinaia di milioni, ma poi paga il contribuente!
Una volta acquistata l'arma essa può essere messa in collezione o può
essere tenuta fuori di collezione, come espressamente previsto dall'atto di
vendita,
A ciò non osta né il fatto che essa, di norma, non rechi i marchi
del Banco di Prova né
che essa sia divenuta tecnicamente inaffidabile. Ed infatti:
a) le armi militari sono legittimamente prive del marchio di un Banco di Prova
perché la legge prevede che esse sono soggette a controlli diversi
(art. 7 L, 23 febbraio 1960 n,186 e RDL 9 dicembre 1935 n, 2482). La stessa
legge del 1960, art. 1, stabilisce che le armi militari devono essere bancate
solo se «allestite a nuovo o modificate». La circostanza infine
che le armi non rechino il marchio di un Banco di Prova non le rende affatto
clandestine perché questo marchio non è un segno distintivo
(la Cassazione in una sentenza ha detto il contrario, ma ò facile dimostrare,
legge alla mano, che ha preso una cantonata). Si consideri del resto che se
non fosse vero al cento per cento quanto appena detto, le armi non potrebbero
essere vendute a nessuno; se Terni le vende è perché esse sono
formalmente in regola.
b) È del tutto normale che una vecchia arma in possesso di un privato
divenga inaffidabile con il passare del tempo: può essere conservata
male, può essere strapazzata, può aver sparato troppi colpi,
possono essere state sostituite parti non immatricolate (ad esempio l'otturatore),
possono essere state effettuate riparazioni, eppure l'arma non deve essere
mandata al Banco di Prova prima di essere ceduta. La legge non richiede la
prova neppure se un riparatore ha sostituito o ritubato la canna! Ciò
significa, in mancanza di una diversa normativa, che la responsabilità
in ordine alla sicurezza di queste armi rimane sul piano civilistico; il venditore
è tenuto a far presente i difetti dell'arma, l'acquirente ha il dovere
di considerare che un' arma vecchia ha i suoi limiti e deve astenersi dallo
spararvi se non è sicuro che essa regge al colpo.
Quindi non vi é nessuna ragione per cui le armi acquistate a Terni
vengano assoggettate ad un diverso regime giuridico,
c) È del tutto pacifico che le anni in collezione possono essere passate
fuori collezione e viceversa, a piacimento del detentore e che le armi in
collezione possono essere liberamente cedute come ogni altra arma, In certe
questure nella licenza viene illegittimamente imposto d1 non usare 1e anni
in collezione o, peggio ancora, di non spostarle dal luogo di custodia, ma
questa imposizione non può essere interpretata oltre il suo stretto
valore che é quello di impedire (chissà perché) che il
cittadino vada con esse a sparare in un poligono (unico uso ipotizzabile,
visto il divieto di detenere munizioni relative ad esse).
In conclusione la corretta soluzione è che le armi acquistate a Terni
sono armi comuni non soggette ad alcuna limitazione nel regime giuridico.