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Sta divenendo prassi abituale che agenti
delle forze di polizia, quando fanno un accertamento in materia di armi
a carico di un cittadino e trovano qualche cosa che non gli quadra
(spesso contestazioni dovuta alla ottusa ignoranza di chi procede, come
quei forestali che hanno scambiato il numero di catalogo per il numero
di matricola o quel carabiniere che ha sostenuto che chi non ha licenza
di porto di pistola non può tenere la pistola carica in casa o l’altro
che crede fuori legge le canne delle doppiette prive di matricola, ecc.
ecc.), oltre a sequestrare l’arma incriminata, si portino via
“cautelativamente” tutte le armi de povero cittadino, facendo un
verbale di sequestro cautelativo.
Purtroppo non si limitano ad
agire sulla base di concreti elementi, come l’accertamento
diretto di un reato, ma si scatenano anche per una semplice denunzia di
un coniuge litigioso.
È procedura del tutto illegittima, non prevista da nessuna legge, che viola gravemente i diritti del cittadino.
La legge prevede solo il sequestro nell’ambito del processo
penale mediante un provvedimento che deve essere trasmesso
immediatamente al procuratore della repubblica per la convalida la
quale deve avvenire al massimo entro 96 ore dal sequestro. Se manca la
convalida il sequestro viene meno. Gli agenti di PS possono sequestrare
solo cose che servono alla prova del reato e il cosiddetto corpo del
reato, vale a dire l’arma che secondo loro non è in regola.
Il cittadino è tutelato da sequestri illegittimi perché può
immediatamente far presente al PM che il sequestro è illegittimo e, se
il PM non ci sente, può fare ricorso al Tribunale della libertà.
Questi, se il caso è chiaro, restituisce le armi e, di fatto, già
spiega perché l’indagato è innocente.
Di fronte ad un “sequestro cautelativo” che non è un atto processuale,
ma un atto amministrativo soggetto a precisi requisiti giuridici, ad un
preciso obbligo di motivazione, ad un preventivo avviso di inizio
procedimento, il cittadino è disarmato perché ha l’unica arma di fare
un costoso ricorso al TAR (e se lo facesse potrebbe anche richiedere il
risarcimento dei danni, ma “campa cavallo!”) oppure un ricorso
gerarchico, se riesce a individuare il superiore competente. Ma è
chiaro che non è accettabile che la precisa tutela della
proprietà, stabilita dalla legge quando si muove la polizia giudiziaria
o il PM, rimanga priva di una adeguata tutela quando ci si trova di
fronte ad ufficio di PS di infimo rango!
La legge (art. 39 TULPS) prevede che unica autorità competente a
emettere un provvedimento di divieto di detenzione di armi è il
prefetto; dove sta scritto che carabinieri, commissari, forestali,
possono sostituirsi al prefetto?
In genere si obietta che vi sono situazioni tali in cui è necessario
intervenire perché vi è il pericolo che il cittadino commetta davvero
pazzie. È vero, ma è facile rispondere che:
- il prefetto è una autorità sempre presente e raggiungibile (se non lo
è, meglio farne a meno!) la quale, immediatamente informata, può
intervenire in tempo reale, o quasi;
- che se un soggetto ha già commesso un reato di solito viene arrestato
o comunque condotto negli uffici di polizia o all’ospedale psichiatrico
e quindi vi è tutto i tempo di informare il prefetto e di contenere il
pericolo.
- che se sussiste una reale urgenza, il ritiro delle armi, magari con
la scusa di un controllo, può essere fatta, ma esso non deve durare più
di due o tre giorni, e cioè lo stretto tempo necessario al prefetto per
svegliarsi. Ed invece è normale che le armi vengano ritirate per mesi,
senza cittadino riesca a capire chi sia competente a restituirgliele e
a chi possa ricorrere.
- non vi è nessuna norma che preveda esplicitamente che un agente od
ufficiale di PS possa adottare provvedimenti di polizia in via di
urgenza. L’art. 1 TULPS dice che le autorità di PS “vegliano sulla …
sicurezza dei cittadini” e l’art. 5 prevede “l’esecuzione in via di
urgenza di provvedimenti” il che è cosa diversa dalla competenza ad
emettere il provvedimento; questa comunque non fa capo ad ogni
ufficiale od agente di PS, ma solo al “capo dell’ufficio di PS del
luogo”
Ciò che non proprio non si comprende è perché carabinieri ed altri
debbano abusare dei proprio poteri, commettere atti illegittimi,
assumersi responsabilità che non competono loro, solo perché i prefetti
o le altre competenti autorità non sono “disponibili”.
Quanto scrivo trova autorevolmente conferma dal Consiglio di Stato che
con sentenza 3150/06 scrive: “nondimeno l’adozione (del provvedimento di ritiro delle armi ex art. 39 TULPS)
non può eludere l’obbligo generale sancito dell’art. 7 L. n. 241/1990
di dare comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei
confronti dei quali è destinato ad esplicare i suoi effetti.”
Si veda ora la modifica legislativa contenuta nel DL 121/2015
Riporto qui di seguito un'ulteriore presa di posizione del dr. Vicari sull'argomento. "ART. 39 TULPS - NECESSITA’ DI ULTERIORE INTEGRAZIONE”
Abbiamo già espresso perplessità sulla modifica all’art. 39 del T.U.L.P.S., introdotta dal D.L.vo n. 121/2013 (in questo sito “Esposizione organica del
decreto 121”); in particolare e’ stata evidenziata la mancanza di un
termine entro il quale il Prefetto deve convalidare, o meno, il ritiro
delle armi da parte degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza,
finalizzato a mettere in grado il diretto interessato di attivare la
propria difesa, nonché a ridurre il più possibile il periodo di
deposito delle armi negli uffici e comandi degli agenti operanti.
Nonostante sia una “norma pensata e scritta male” (Mori, Codice,
pag.370), bisogna riconoscere che, rispetto al generico testo del 1931,
è stata finalmente legittimata la prassi seguita dalle Forze di polizia
di ritirare in via cautelare le armi ai sospettati di abusarne, anche
senza alcun provvedimento del Prefetto, assumendosi, così,
responsabilità che non competevano loro. Infatti, Il T.U.L.P.S. ( art.
2) riconosce al solo Prefetto, nei casi d’urgenza o per grave necessità
pubblica, la facoltà di adottare provvedimenti indispensabili per la
tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, peraltro con il limite
del rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico, come stabilito
dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.26/1961.
Purtroppo, con la suddetta riforma si è perso l’occasione di
legittimare anche l’ulteriore, consequenziale prassi degli ufficiali e
agenti di p.s. di procedere al ritiro contestuale delle licenze di
porto d’armi, nell’eventualità che il soggetto, cui vengono ritirate le
armi, sia in possesso di tali titoli che autorizzano l’acquisto.
Infatti, sarebbe privo di qualsiasi logica, il comportamento di
ufficiali e agenti di p.s. che, nel procedere al ritiro d’urgenza di
armi, non provvedano, anche, al ritiro di eventuali licenze di porto,
permettendo, così, alla persona ritenuta inaffidabile, la possibilita’
di acquisire altre armi.
Purtroppo, il personale operante procede arbitrariamente, in assenza
del decreto del Questore, Autorita’ di p.s. competente alla
revoca/sospensione delle licenze di porto (artt. 43 e 11 t.u.l.p.s.),
siccome potrebbe anche non convalidare il ritiro, a maggior ragione nei
casi in cui il Prefetto non ritenga che sussistano gli estremi per
emettere provvedimento di cui all’art. 39 del T.U.L.P.S..
Tale negativa determinazione del Questore lascerebbe privo di
legittimazione l’atto di ritiro del personale operante, seppur
necessitato e giustificato dal punto di vista pratico, a differenza
della mancata convalida del Prefetto, siccome, come abbiamo gia’
precisato, la riforma dell’art. 39 legittima l’intervento urgente degli
ufficiali e agenti di P.S., anche in mancanza di ratifica da parte del
Prefetto.
Recentemente, con il disegno di legge n. 2216 (consultabile in questo
sito “Disegno di legge 2216/2016 sul controllo delle armi”), è stata
proposta una ulteriore modifica allo stesso art. 39, che comunque,
anche se approvata, non risolverà la problematica in questione, ma ne
genererà altre, come quella relativa allo stravolgimento delle
competenze del Prefetto e del Questore, nonostante siano ambedue
Autorità provinciali di P.S..
E’ importante, quindi, che i nostri politici si facciano carico non di
presentare nuove norme che vanno a complicare quelle già vigenti, ma di
perfezionarle, così da renderle concretamente applicabili,
salvaguardando coloro che si trovano ad operare sul territorio.
Dunque, è necessaria e urgente una ulteriore rivisitazione dell’art.
39. Non necessita di particolari modifiche, ma di semplici,
comprensibili, applicabili integrazioni, come: la legittimazione anche
al ritiro delle licenze di porto, quando si proceda a quello d’urgenza
delle armi; l’indicazione di un preciso termine entro il quale Prefetto
e Questore devono emettere, o meno, i rispettivi provvedimenti di
convalida.
In considerazione delle suddette osservazioni, il nuovo art. 39 potrebbe essere così formulato (in corsivo le modifiche):
“ Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni
e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente,
alle persone ritenute capaci di abusarne.
Nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza
provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo
comma, nonché di tutte le licenze di p.s. che legittimano l’acquisto di
armi, redigendo relativo verbale, con il motivo del provvedimento,
consegnandone copia alla persona interessata.
Il verbale è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore al prefetto e al questore.
Il prefetto e il questore, nelle quarantotto ore successive, con
decreti motivati, convalidano il sequestro cautelativo se ne ricorrono
i presupposti, ovvero dispongono la restituzione delle armi, munizioni,
materie esplodenti e delle licenze di p.s..
Con il provvedimento di divieto il prefetto assegna all’interessato un
termine di 150 giorni per la eventuale cessione a terzi, non
conviventi, o per la disattivazione dei materiali di cui al primo
comma. Nello stesso termine l’interessato comunica al prefetto
l’avvenuta cessione o disattivazione.
Il provvedimento di divieto dispone, in caso di mancata cessione, o
disattivazione, anche la confisca dei materiali ai sensi dell’articolo
6, quinto comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152.”
Precisazioni:
nella scelta dei termini e delle modalità da rispettare si è fatto
ricorso a quanto previsto dal codice di procedura penale per il
sequestro della polizia giudiziaria (art. 355 c.p.p.), siccome, pur
trattandosi nella fattispecie di sequestro amministrativo, la legge
sulla depenalizzazione n. 689/81 (art. 13) richiama, anche per il
sequestro cautelare, l’osservanza dei “modi e limiti”stabiliti per
quello penale;
si è ritenuto opportuno stabilire anche un termine per l’invio del
verbale da parte degli agenti operanti, perché quello attuale
“immediato”, può dare adito ad interpretazioni restrittive, ma anche
estensive, come accadeva per la presentazione della denuncia di
detenzione prima della modifica del D.L.vo n. 204/2010;
abbiamo, infine, ritenuto necessario precisare che le armi siano cedute
a terzi, però “non conviventi”, per impedire la eventuale disponibilità
delle stesse da parte dell’interessato, nonché la possibilità che lo
stesso possa decidere anche di far “disattivare” le armi, continuando a
detenerle come semplici, inoffensivi simulacri.
Firenze 31 gennaio
2017
Angelo Vicari
email - Edoardo Mori |
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