Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Denunzia di caricatori e caricatori non catalogati

Cercherò di affrontare globalmente il problema dei caricatori su cui ben pochi hanno le idee chiare.

NB: Questo articolo è in parte superato. La denunzia è stata ora abolita dal decreto L.vo 204/2010, mentre il decreto 121/2013 ha introdotto limitazioni al numero di colpi dei caricatori e dei serbatoi). Si veda specialmente quanto scritto in tale pagina

La denunzia dei caricatori
E' attuale il tormentone dei caricatori: la Cassazione condanna chi non li denunzia, ma il cittadino che porta la denunzia alla PS od ai CC se la vede respingere perché "il computer non la accetta". Ed ai primi di settembre 2006 il Ministero ha risposto ad un cittadino affermando solennemente che i caricatori non vanno denunziati.
Premesso che con il termine "caricatore" si intende nel linguaggio comune il "serbatoio mobile" di un' arma da fuoco e che il problema  della denunzia sorge in relazione ai caricatori di scorta di un'arma od ai caricatori detenuti senza l'arma pertinente, va detto che il problema generale della denunzia delle parti di arma si è posto con la legge 895/1967 in cui si definivano reati e pene per la detenzione illegale di "parti di arma da guerra o tipo guerra". Norma inconsulta perché mancava ogni definizione di arma tipo guerra ed ogni definizione di parte!
La legge 497/1974, art. 7,  stabiliva poi che le pene previste per i reati in materia di armi da guerra si applicano, ridotte di un terzo, anche quando i fatti si riferiscono alle armi comuni da sparo o a parti di esse, atte all'impiego.
La Cassazione dopo qualche anno è arrivata, a torto o a ragione, forse più a torto che a ragione, alla conclusione che il legislatore aveva inteso creare il nuovo reato di detenzione di parte di arma e quindi ha affermato il principio ormai decennale, per cui costituisce detenzione illegale di arma anche il non denunziare parti di arma.
La legge 110/1975, art. 19, ha opportunamente definito le parti di armi comune da considerare specifiche di un'arma funzionante (parti essenziali) e ha  inserito nell'elenco il caricatore.
La convenzione internazionale di Strasburgo (1978) e  la direttiva europea (1991) non considerano parte di arma il caricatore; la convenzione di Schengen (1985) presenta la strana anomalia che mentre il testo italiano, inglese, francese e spagnolo considerano parti di arma i caricatori (magasin, magazine, déposito de munición) unitamente all'otturatore e alla canna, il testo tedesco traduce il termine come "Patronenlager" e cioè come "camera di cartuccia" ! È noto che i tedeschi, fin dalla elaborazione della direttiva europea, erano fermamente contrari a considerare i caricatori parte di arma e così hanno risolto il problema di Schengen facendo finta di sbagliare la traduzione! Il Protocollo ONU (L. 146/2006) non elenca il caricatore fra le parti di arma e quindi forse, lo prende in considerazione  solo in quei casi in cui, come ogni altra parte “esso sia indispensabile al funzionamento dell’arma”; ipotesi che si verifica solo in rarissimo modelli di arma e non certo nelle pistole o nei fucili civili.
Si ritiene comunemente che la direttiva europea abbia superato la convenzione di Schengen e quindi  si può affermare che attualmente la normativa internazionale non fa rientrare il caricatore fra le parti di arma, mentre essi in Italia sono soggetti a controllo di PS per l’art. 19 L. 110/1975 e per la discutibile interpretazione della Cassazione sull’obbligo di denunziare le parti di arma.
Si consideri che in base alla interpretazione della Cassazione, se il caricatore è parte essenziale di un’arma, allora ciò significa che l’arma priva caricatore non è un’arma completa, ma, a sua volta, solo una parte di arma (o, per meglio dire, una parte “complessa” formata da più parti semplici, ma comunque che si assume non funzionante, perché se fosse funzionante, allora il caricatore non potrebbe essere “essenziale”), con la conseguenza che, come giustamente detto dalla Cassazione in materia di parti d’arma, viene meno l’obbligo di custodia.
Le incongruenze non finiscono qui, perché non vi è alcuna logica nel pretendere la denunzia di una parte non identificabile, perché priva di marchi e numeri, non necessariamente tipica e riferibile ad uno specifico modello di arma, persino costruibile in struttura “usa e getta”!
È comunque un dato giurisprudenziale difficile da modificare, che i caricatori di scorta o i caricatori detenuti senza l'arma pertinente devono essere denunziati.
Il comportamento degli uffici che si rifiutano di ricevere la denunzia dei caricatori è oltremodo dannoso per i cittadini i quali si trovano soggetti a rischio di condanna a tre o quattro mesi di reclusione. A fare i controlli non saranno infatti i burocrati dell'ufficio armi che rifiutano la denunzia, ma i loro colleghi della squadra mobile o del NO dei Carabinieri, la Guardia di Finanza, i guardacaccia, i quali non sentono altra ragione che le statistiche di sequestri di arma!
L'obiezione che il computer non accetta la denunzia dei caricatori è bambinesca perché ancor oggi la denunzia è cartacea: il cittadino ne porta due copie all'ufficio competente, ha diritto di scrivere nella denunzia tutto ciò che ritiene opportuno per tutelarsi da sorprese e chi la riceve ha il dovere di prenderla, giusta o sbagliata che sia, e di timbrare immediatamente la copia che restituisce al denunziante. È una prassi completamente sbagliata ed illegittima quella di prendere la denunzia per controllarla e poi di restituirla al cittadino dopo parecchi giorni e solo se fatta nel modo voluto dal funzionario, perché il cittadino corre il rischio di denunzia se viene controllato nell'intervallo di tempo. Dopo aver ricevuto la denunzia il funzionario se la controlla  con comodo, eventualmente chiede integrazioni al denunziante, se necessarie, e alla fine inserisce nel computer i dati che questo gli chiede e che non hanno nulla a che vedere con le formalità della denunzia; una cosa è la denunzia e tutt'altra cosa è la scheda da inserire nel CED. Se il ministero non vuol sapere quanti caricatori ci sono in Italia, fa bene perché è un dato del tutto inutile, ma ciò non toglie che il cittadino deve avere in tasca la prova di avere denunziato il suo.
In caso di rifiuto di ricevere la denunzia di caricatori non resta quindi che scrivere una bella raccomandata RR all'ufficio competente, del seguente tenore "Al fine di adempiere all'obbligo di legge e ad integrazione della denunzia di armi già ai vostri atti, comunico di detenere anche un caricatore di scorta  relativo ad un'arma mod. …, calibro …. di nr. colpi ….."

Detenzione ed uso di caricatore maggiorato rispetto a quello catalogato
Succede alquanto di frequente  che qualcuno si ritrovi a detenere caricatori che non corrispondono per numeri di colpi a quello indicato nel provvedimento di catalogazione (caricatori “maggiorati”). È superfluo dire che la detenzione di caricatori “minorati” è sempre lecita.
Si pone il problema delle conseguenze a cui può andare incontro chi detiene questi caricatori.
Le ipotesi possibili sono:
1) Arma sicuramente non militare il cui caricatore di serie è indicato contenere un dato numero di colpi.
2) Arma già militare, ma ormai declassata ad arma comune il cui caricatore di serie è indicato contenere un dato numero di colpi.
3) Arma militare in versione civile che la Commissione ha catalogato imponendo una limitazione al numero di colpi rispetto al caricatore originale.

Le ipotesi 1) e 2) vanno raggruppate poiché è evidente che non ha nessuna importanza se un’arma prima di essere classificata come comune era o meno militare in passato.
Quindi ci si deve chiedere, tanto per fare un esempio: che cosa mi succede se per la mia carabina cal. 22 sportiva compero un caricatore  da 20 colpi invece del caricatore da 10 previsto all’origine? Vi è un reato e una sanzione?
La prima risposta che viene in mente è che vi sia una alterazione dell’arma. Ma occorre quantomeno fare delle distinzioni. Se compero il caricatore e lo tengo in un cassetto o in tasca senza inserirlo nella carabina sicuramente non  altero l’arma. Ma anche se lo inserisco, la condotta non rientra sicuramente nella previsione dell’art. 3 L. 110/1975, secondo la volontà del legislatore il quale ha regolato esclusivamente le alterazioni meccaniche o dimensionali, vale a dire operazioni che necessariamente presuppongono interventi meccanici con  saldature, tagli, lavorazioni di parti, ecc. Di certo non basta il fatto di applicare un accessorio ad un’arma o di infilare qualche cosa di diverso dal previsto nell’alloggiamento del caricatore.
Ed infatti la legge punisce esclusivamente chi abbia fatto delle alterazioni materiali all’arma, non colui che la detenga o la usi; e sicuramente chi usa l’arma con un caricatore maggiorato, non commette alcuna alterazione, attribuibile semmai, in ipotesi assurda, a chi ha costruito tale caricatore. Si configurerebbe inoltre una situazione giuridica ridicola e incostituzionale se si ritenne possibile  distinguere la responsabilità di chi detiene il caricatore in un cassetto e di chi  osa invece infilarlo nella parte posteriore di un’arma.   Non si può affatto presumere che chi detiene il caricatore lo abbia anche maggiorato (Cassazione - Sez. VI, 24/6/04-7/10/04, n. 39231).
Devo però avvertire che la Cassazione sul punto ha seguito strade proprie imperscrutabili, in base alle quali vi è effettivamente il pericolo che ritenga sussistere l’alterazione di arma.   
Tolto così di mezzo il problema della alterazione, non si riesce a ravvisare alcun altro reato (cosa pericolosissima perché la Cassazione ben di rado, in materia di armi, è disposta ad accettare l’idea che un cittadino possa essere innocente e così compie vere e proprie acrobazie per affermare che invece un qualche reato c’è; se ragionasse alla stessa maniera con gli albanesi, in Italia non ve ne sarebbero più!). Non certo la detenzione di parte clandestina perché la legge limita la nozione di parte clandestina alle sole canne prive di matricola e solo per esse prevede una sanzione penale.
Si consideri inoltre che un caricatore non reca né marchi né matricola, così che, salvo rari casi di caricatori di forma specialissima, non vi è nessuna prova certa che un caricatore sia destinato ad una specifica arma. È quindi spesso impossibile affermare con certezza che un dato caricatore appartiene ad un’arma di un certo modello; in teoria potrebbe anche appartenere ad un’arma anteriore alla catalogazione o potrebbe essere un esperimento di caricatore non riferibile ad alcuna arma in concreto o riferibile a più armi analoghe.
Qualcuno ha ipotizzato che ci si troverebbe di fronte ad una parte di arma non catalogata. Ma si ricade nell’ipotesi già vista dell’arma clandestina: nessuna norma punisce la  detenzione di parte di arma non catalogata, salvo la canna. E se la canna è di calibro minore a quello catalogato (e reca la matricola), non vi è neppure alterazione di arma in quanto non si aumentano né la potenzialità né le dimensioni.

Vediamo ora il caso sub 3). Le ipotesi che si possono fare sono due: che il caricatore maggiorato sia lo stesso usato nell’arma militare, oppure che sia maggiorato ma diverso, per numero di colpi o struttura, da quello in dotazione all’ arma da guerra.
Se è lo stesso impiegato dall’arma da guerra, non vi è dubbio che esso rientri nel materiale di armamento; però allora è necessario fare riferimento alla L. 185/1960 e al delegato DM 13 giugno 2003 il quale espressamente dice che i serbatoi per arma da guerra sono accessori e non componenti dell’arma (Cat. I, lett. d); e se non sono parte di un’arma da guerra, logica vuole che non siano nemmeno parte di un’arma comune!
Se esso è detenuto senza l’arma pertinente, si dovrà anche dimostrare che esso è sicuramente ed esclusivamente pertinente ad un’arma da guerra, non potendosi escludere che il caricatore possa appartenere ad altra arma ed essere del tutto in regola (stesse argomentazioni già fatte per le armi di cui al punto 1). Purtroppo i periti si intendono ben poco di armi da guerra, di solito non ne hanno mai presa in mano una,  e le perizie in materia le fanno sulle foto dei libri, con risultati drammatici. Basti vedere che cosa è successo di recente (giugno 2007) quando i “periti balistici” dell’arsenale di Terni hanno voluto riesaminare il caso Kennedy ed hanno fatto ridere il mondo con i loro improvvisati esperimenti.
Se il caricatore non è identico a quello dell’arma da guerra, si apre una serie di interrogativi di incerta risposta.
Primo fra tutti, da dove deriva il potere della Commissione per le armi di stabilire di quanto colpi l’arma civilizzata deve differire dall’arma da guerra da cui deriva? Di certo può stabilire (ma non necessariamente) che essa deve avere un diverso caricatore, ma di fronte, ad esempio, ad un fucile di derivazione militare, il quale non è più automatico, ma semiautomatico, il quale spara una cartuccia civile, che senso ha che la Commissione, a seconda del relatore a cui capita la pratica o a seconda delle simpatie e raccomandazioni del richiedente, decida, di volta in volta, che deve avere un caricatore da 5 colpi piuttosto che da 10 o da 20?  Sono valutazioni idiote di inesperti i quali non si rendono conto che se uno vuol abusare dell’arma è meglio avere con sé due caricatori da 10 colpi, ben occultabili, piuttosto che un unico intralciante caricatore da 20 colpi.
Secondo: se il caricatore è diverso da quello da guerra, può esso diventare da guerra solo perché è diverso da quello che la Commissione ha indicato nel provvedimento di catalogazione?  Riduciamo il problema ad absurdum, come facevano i logici del medioevo: forse che sarebbe da guerra un caricatore di un metro di lunghezza applicato ad una carabina semiautomatica AR 15 in calibro 22 lungo? Ovviamente no; sarebbe solo un inutile oggetto strambo e si ricadrebbe quindi nell’ipotesi già vista al punto 1), e cioè che non vi è alcun reato, salvo si possa configurare una alterazione di arma.
Problema subordinato è poi quello se cambia la natura dell’arma quando su di esso viene montato un caricatore diverso da quello catalogato.
Il dubbio si pone solo per i fucili, poiché non possono esistere pistole la cui natura (comune o da guerra) varii solo in relazione al numero dei colpi (in realtà le pistole non sono mai da guerra, ma questo è altro discorso). Siccome fucili da guerra sono solo quelli automatici è chiaro che il fatto di montare sulla versione  civilizzata un caricatore originale o maggiorato rispetto all’originale, non può far diventare da guerra il fucile perché l'arma rimane sempre semiautomatica, con lo stesso calibro e le stesse dimensioni, e le armi semiauto non possono essere mai né da guerra: il caricatore da guerra non rende l'arma né dotata di spiccata potenzialità offensiva, né è in grado di realizzare caratteristiche balistiche o di impiego comuni con le armi da guerra (art.1/2°c. ult. parte, L. 110) perché l'arma rimane nella sua struttura sempre comune. Al massimo si può ipotizzare che essa diventi tipo guerra per il fatto che viene meno il requisito del “limitato volume di fuoco” (art. 2, secondo comma L. 110/1975). Ma qui ritorniamo da capo: il pensare che in un’arma semiautomatica cambi il volume di fuoco a seconda che io abbia due caricatori da 5 colpi o un caricatore solo da 10 colpi è pura sega mentale dei burocrati e periti della Commissione  i quali, sotto questo aspetto, hanno senz’altro un “alto volume di sparo” (non “di fuoco” perché purtroppo manca la necessaria scintilla; di intelligenza!).

(27 giugno 2010 e 30 maggio 2014)

 


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