Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Armi a bordo di natanti

BarcaA bordo di natanti sono senz'altro consentiti la detenzione e l’uso di strumenti di segnalazione e quindi di lanciarazzi in quanto ciò è imposto da norme di legge Del pari sono consentiti strumenti da sparo come lancia-sagole e lancia-arpioni che non sono armi proprie.
Mancano invece disposizioni normative che regolino il porto e la detenzione di altre armi da caccia e da tiro o da difesa.
Se il natante non esce dalle acque territoriali, non pare che vi siano particolari problemi giuridici; chi è munito di licenza di porto d’armi, può portare le armi per cui ha licenza sulla barca e lì usarle. Egli dovrà ovviamente assicurare un'adeguata custodia delle armi quando lascia la barca agli ormeggi (e se la custodia non è possibile, dovrà portarsele appresso!). Chi ha licenza di porto di un’arma non deve denunziarne il cambiamento del luogo di custodia fino a che tiene le armi con sé (il porto prevale sulla detenzione). Nulla vieta, con le previste autorizzazioni, di trasportare e detenere armi a bordo anche a chi non ha licenza di porto per tali armi; però poi non potrebbe usarle per sparare, salvo che in caso di legittima difesa. Però, in pratica… basta che non ci sia una motovedetta entro la linea d’orizzonte!
I problemi giuridici sorgono quando la barca (e le armi su di essa) escono dalle acque territoriali perché la legge dice che è vietato esportare armi senza licenza.
Le interpretazioni possibili sono due a seconda del significato che si vuole dare al termine “esportare” .
Se esso viene intesto nel senso di “far pervenire armi dall’Italia ad un paese straniero” è chiaro che il fatto di uscire con il natante in acque extraterritoriali è irrilevante perché non si ha alcuna esportazione. Però si dovrebbe ritenere realizzata l’esportazione quando si entra nelle acque di un paese straniero, a meno di ricorrere alla finzione di considerare il natante territorio del paese di cui batte la bandiera (art. 4 Cod. Nav.: Le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano); in tal caso l’esportazione si avrebbe solo con l’uscita delle armi dalla barca.
Se invece si intende nel senso di “far uscire le armi dal territorio italiano”, allora si pone il problema del rapporto tra norme penali in materia di armi e Codice della Navigazione e si potrebbe anche pervenire alla conclusione che per entrare in acque territoriali straniere occorre essere muniti di licenza di esportazione delle armi trasportate.
Il problema, teoricamente alquanto complicato, offre però delle soluzioni pratiche per chi vuole essere tranquillo di fronte alla legge italiana, sempre avendo presente che quando si entra in acque straniere occorre conoscere ed osservare anche le disposizioni locali.
Le soluzioni pratiche che si offrono sono le seguenti. Fermo restando che per uscire in acque internazionali non occorre alcuna licenza, chi intende navigare solo nei mari di paesi della comunità europea è sufficiente che si munisca della Carta Europea su cui sono annotate le armi da caccia o sportive che si intendono esportare e non deve neppure far controllare le armi quando entra nella zona extradoganale. Se intende recarsi in paesi extracomunitari dovrà invece richiedere la licenza temporanea di esportazione valida tre mesi (licenza che, in alternativa, può richiedere anche per paesi comunitari) e dovrà far accertare l’uscita e il rientro delle armi dagli uffici di polizia alla dogana o in mancanza dalla Capitaneria di porto . Non è prevista però la licenza per l’esportazione temporanea di armi da difesa. È chiaro poi che queste autorizzazioni hanno solo lo scopo di controllare uscita e rientro delle armi e che poco importa in quali acque poi effettivamente si vada a navigare.
Questa è la soluzione che dà assoluta tranquillità dal punto di vista giuridico.
Il problema dell’esportazione non si pone per le navi di linea e da carico battenti bandiera italiana le quali sono obbligate a tenere un manifesto di carico che fa le veci di un registro di polizia e su cui vengono registrate le merci caricate e le dotazioni di bordo; se il passeggero, in ottemperanza alle disposizioni impartite dal Comandante, ha segnalato il possesso di armi e queste sono state ufficialmente registrate, non possono essere più soggette a distrazione, non vi è pericolo che vengano cedute a stranieri e si considera che rimangano sempre sul territorio italiano.
Un problema particolare è sorto per una clamorosa cantonata presa dal Ministero dell’Interno (che in materia di cantonate una ne fa e cento ne pensa!) con la circolare 28 luglio 1990 nr. 559/C. 10100815) che ha completamente equivocato sulle norme contenute nella legge 9 luglio 1990 n. 185 (Legge sul materiale di armamento).
Detta legge è chiarissima e inequivocabile nello stabilire (art. 1 comma 11) che essa non si applica alle armi sportive, da caccia e da difesa e relative munizioni e cioè alle armi e munizioni comuni da sparo nonché agli esplosivi diversi da quelli di uso militare.
L’art. 16 comma 2 stabilisce poi che al materiale di armamento (cioè armi da guerra e materiale assimilato) in transito e iscritto sul manifesto di carico, che non varchi la linea doganale non si applicano le norme sull’importazione, ma solo quelle dell’art. 28 TULPS e dell’art. 40 Reg. TULPS (vale a dire l’obbligo di dare avviso al prefetto per il materiale in transito); il comma 3 stabilisce poi che l’obbligo dell’avviso al prefetto si applica anche per le armi che facciano parte della dotazione di bordo. E proprio qui è cascato l’asino ministeriale il quale non si è accorto che la legge voleva e poteva riferirsi solo alle armi da guerra facente parti della dotazione di bordo (è normale in certe marinerie che vi siano in dotazione anche armi da guerra, quali pistole mitragliatrici) e non certo ai fucili per il tiro a volo! Di conseguenza la circolare se ne è uscita con ridicole e stravaganti disposizioni secondo cui ogni barchetta con un fucile da caccia a bordo deve comunicare al prefetto del luogo di arrivo che sta arrivando, in modo che detto prefetto possa avvisare gli altri prefetti interessati; inoltre la barchetta che esce dal porto e intende dirigersi in acque extraterritoriali dovrebbe richiedere l’autorizzazione (errore: l’art. 28 parla comunque di “avviso”!) a ognuno dei prefetti competenti per i porti che toccherà prima di uscire. Davvero la burocrazia ha toccato qui il fondo della più ignobile ottusità.

Lanciarazzi e pistole Very

Un cenno particolare merita la normativa concernente quegli strumenti da segnalazione che sono considerati armi comuni da sparo, quali le armi lanciarazzi e, tra essi, le più note pistole tipo Very, perché la materia è stata oggetto di più norme, poco note e poco comprese.
La legge 18 aprile 1975 n. 110, art. 2, dichiarava armi comuni da sparo gli strumenti lanciarazzi, ma li liberalizzava rispetto a denunzia e porto “quando il loro impiego è previsto da disposizioni regolamentari e legislative”. L’art. 5 della L. 8 agosto 1977 n. 533 confermava tale liberalizzazione limitandola però solo per gli strumenti omologati.
Però la legge 21 febbraio 1990 nr. 36 ha modificato nuovamente la situazione perché stabilisce che si possono sempre portare lanciarazzi e relative munizioni, oltre che quando il loro impiego è previsto da disposizioni normative o regolamentari, anche “quando sono comunque detenuti o portati per essere utilizzati come strumenti di segnalazione per soccorso, salvataggio o attività di protezione civile”. Attualmente è vero che il Decreto ministeriale 29 settembre 1999, n. 387 non prevede più l’impiego di pistole tipo Very (o per meglio dire, impone caratteristiche del mezzo di segnalazione difficili da osservare con esse), ma non impedisce affatto di detenere ed usare, in aggiunta agli obbligatori razzi omologati, anche altri strumenti di segnalazione i quali continuano a non dover essere denunziati, a poter essere detenuti sul natante, a poter essere acquistati presso i fornitori di bordo di cui alla legge del 1977.
Ricordo per completezza che attualmente le cartucce a salve che non siano nello stesso calibro di munizioni con proiettile per armi comuni da sparo, sono di libera vendita e detenzione. Le cartucce per le Very sono pure di libera vendita in quanto rientrano tra le munizioni per strumenti tecnici.


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