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La legge 20 luglio 2004, n.189 ha introdotto nuove regole sul
rispetto degli animali introducendo un nuovo Titolo IX bis nel Titolo
II del nostro codice penale.
Le condotte punite sono:
a) per crudeltà o senza necessità cagionare la morte di un animale;
b) per crudeltà o senza necessità cagionare una lesione ad un animale
ovvero sottoporlo a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori
insopportabili per le sue caratteristiche etologiche;
c) somministrare agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero
sottoporli a trattamenti che procurano un danno alla salute degli
stessi o la loro morte;
d) abbandonare animali domestici o che abbiano acquisito abitudini
della cattività (art. 727 C.P.);
e) detenere animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e
produttive di gravi sofferenze" (art. 727 C.P.)
Alle lettere a), b), c) si tratta di delitti che devono essere commessi
con dolo, cioè con la volontà di uccidere o ledere l’animale; alle
lettere d) ed e) si tratta di contravvenzioni che possono essere
commesse sia per colpa (disattenzione, inesperienza, stupidità, ecc.)
che con dolo, cosa che estende esageratamente la facoltà del giudice di
applicare la legge a suo piacimento personale, visto che la nozione di
colpa può essere molto soggettiva. È quello, tanto per fare un esempio,
che avviene in materia di circolazione stradale in cui la valutazione
su quale era la “velocità adeguata” e se il conducente sia stato o meno
abbastanza abile, viene lasciata al giudizio non di un esperto di
guida, ma di un giudice che magari non ha la patente o che riesce a
parcheggiare solo nelle piazze!
La nuova leggenon si applica ai casi previsti dalle leggi
speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di
trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione
scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici,
nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Non si applica
altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla
regione competente.
Vediamo di analizzare le espressioni usate dal legislatore, punto per
punto; si consideri che stranamente la legge non è presentata come una
legge a tutela degli animali, ma a tutela del sentimento che i
cittadini hanno per gli animali, così come il codice penale tutela il
sentimento verso i defunti! Scelta assurda perché mentre il sentimento
verso i defunti è una cosa innata, che rientra nell’etologia umana, il
sentimento verso gli animali è, nel mondo occidentale, non certo basato
su radici bibliche e cristiane che hanno parlato degli animali solo per
dire che l’uomo poteva farne ciò che voleva, ma è una recente
costruzione di una minoranza. E sfido chiunque a dimostrare che nella
popolazione esiste un sentimento che porta a rispettare insetti,
rettili e ratti! Ricordiamoci però che le nuove norme per volontà del
legislatore, presuppongono che si possa condannare solo se si accerta
una lesione del sentimento verso gli animali; accertamento che non può
prendere come parametro di valutazione il sentimento del singolo
giudice che si occupa del caso.
a) Per crudeltà o senza necessità cagionare la morte di un
animale;
La legge si applica a tutti gli esseri appartenenti al regno animale;
vale a dire che si può uccidere una zanzara solo se è necessario e che
occorre farlo senza crudeltà e senza sottoporla a sofferenze evitabili.
Sorge evidentemente il problema di stabilire quando l’uccisione sia
necessaria. Essa è necessaria in caso si agisca per legittima difesa o
in stato di necessità, secondo le regole poste dal Codice Penale
nonché, per dirla con la Cassazione, in ogni altra situazione che
induce all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un
pericolo imminente o un danno giuridicamente apprezzabile. Per
crudeltà si intende l'inflizione di gravi sofferenze fisiche senza
giustificato motivo.
Da quale momento un formicaio in giardino diventa tanto molesto o
dannoso perché si possa ritenere necessario di eliminarlo; un nido di
vespe va tollerato o si può far sparire? Stante la notevole differenza
di opinioni fra gli animalisti e l’uomo qualunque è prevedibile un
certo contenzioso giudiziario sul tema, con imprevedibili soluzioni; è
nota la vicenda di quando due giudici, a distanza di pochi giorni,
hanno affrontato il problema di come conservare i gamberi vivi senza
farli soffrire e un giudice ha condannato il cuoco che li faceva
soffrire al caldo fuori dal frigo e l’altro ha invece condannato il
cuoco che li faceva soffrire al freddo sul ghiaccio! E come va
accertata la necessità? Prendiamo l’esempio di chi ha in casa un
vecchio animale domestico chiaramente ammalato; in quale momento il
padrone è legittimato a fare opera di eutanasia, così come in molti
paesi ormai si fa anche con gli esseri umani ?
La risposta per noi è chiara: siccome la legge non prevede procedure di
accertamento, siccome non vi sono organi incaricati di decidere, è il
possessore dell’animale che ha il diritto di valutare la situazione. Il
giudizio non può certo essere lasciato ad una guardia zoofila, che non
è un esperto in materia, ma solo una persona con una particolare
impostazione ideologica che non garantisce di certo valutazioni
spassionate.
b) Per crudeltà o senza necessità cagionare una lesione ad un
animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a
lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
Questo punto è nel complesso abbastanza chiaro; la condotta vietata può
essere commessa sia mediante lesioni sia mediante sevizie, che non
necessariamente provocano lesioni (ad es. percosse). Qualche dubbio
solleva la parola “sevizie”, che nel linguaggio comune ha assunto
connotazioni una volta sconosciute; spesso viene persino usata per
descrivere una violenza sessuale limitata ad un atto sessuale non
voluto. Nei dizionari della lingua italiana il termine implica
attualmente un concetto che va dal maltrattamento crudele, fino a
confondersi con il concetto di tortura.
Del tutto fantasiosa è la nozione di fatiche o lavori
insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale,
che presuppone la possibilità di sondare la psiche, i gusti, gli
istinti dello stesso; che cosa può mai c’entrare con
l’etologia il fatto che un pappagallo venga addestrato a tirare un
carretto o una foca a giocare con un pallone, se l’animale chiaramente
lo fa senza alcun problema? Con nozioni così vaghe, più filosofiche che
scientifiche, si può pervenire ad ogni imprevedibile ed assurda
interpretazione. Già si è verificato il caso di un tizio condannato per
aver fatto accoppiare cani con donne al fine di produrre filmini porno,
sebbene i cani non manifestassero alcun segno di disagio o sofferenza.
Quindi l’etologia trasformata in regola morale!
c) Somministrare agli animali sostanze stupefacenti o vietate
ovvero sottoporli a trattamenti che procurano un danno alla salute
degli stessi o la loro morte;
Questo punto non presenta particolari difficoltà anche perché è solo un
caso particolare rispetto ai divieti generali e perciò nulla aggiunge
di concreto.
Del tutto misteriosa è la nozione di “sostanza vietata”, buttata lì ad
orecchio senza capire che non esistono nel nostro ordinamento sostanze
vietate se non per certi usi determinati. Ad esempio certe sostanze
dopanti sono vietate per usi sportivi e talvolta non sono vietate
perché siano dannose, ma perché alterano la genuinità delle prestazioni
e violano la correttezza sportiva; il che vuol dire che la nozione di
sostanza vietata per gli sport umani, non può essere esportata agli
sport ippici e che un divieto sportivo, privo di motivazioni sanitarie,
punito solo sul piano disciplinare, non può davvero comportare sanzioni
penali se viene violato nell’ippica.
d) Abbandonare animali domestici o che abbiano acquisito
abitudini della cattività;
Sul fatto che sia vietato abbandonare animali domestici non ci sono
problemi; caso mai il problema sorge sulla nozione di abbandono. Il
legislatore, che probabilmente gli animali li conosceva dai libri, ha
ignorato, ad esempio, che greggi di pecore vengono lasciati liberi e
incustoditi sugli alpeggi; andava perciò fatto un accenno ad usi e
consuetudini; e non sarebbe neppure stato male considerare abbandono
anche il fatto di lasciare cani liberi e randagi. La nozione di
abbandono presuppone, così come formulata, che vi sia una necessità di
cura e custodia. Ad esempio il gatto è un animale che se può si
allontana dall’abitazione, fa le sue spedizioni di caccia ed amorose e
ritorna a casa più che altro perché gli fa comodo; ma può anche non
tornare e persino inselvatichirsi, come spesso avviene in campagna. Per
alcuni gatti vi sarà la necessità di provvedere ad essi, ma di certo
non è una regola generale. Del pari contraria ad ogni esperienza
etologica è la nozione che un animale selvatico tenuto in cattività non
sia più in grado di ritornare allo stato selvatico. Esperimenti
compiuti su maiali nati e cresciuti da sempre in cattività, hanno
mostrato che essi non hanno nessun problema a reinselvatichirsi. Anche
in questi casi non potrà mai prescindersi da un accertamento diretto
sull’animale per valutare quanto l’addomesticamento lo abbia privato
delle sue capacità naturali, ovviamente con riferimento all’ambiente in
cui si trova.
e) Detenere animali in condizioni incompatibili con la loro
natura, e produttive di gravi sofferenze (art. 727 C.P.).
Questo punto è troppo generico e già si è prestato ad abusi. Ad esempio
il Ministero della Sanità più volte ha cercato di utilizzare questa
norma per vietare i collari elettrici per l’addestramento dei cani,
ignorando completamente che un collare elettrico di per sé è un normale
strumento, di ineliminabile utilità e che, se usato correttamente, reca
al cane solo una lieve molestia e rende inutili e superati altri
sistemi di addestramento, ben più afflittivi. Anche un martello, se
usato sulle dita invece che sui chiodi, fa molto male e si può usare
per torturare, ma non è il caso di vietarli!
Ed infatti le ordinanze del Ministero sono sempre state prontamente
annullate dal TAR per manifesta illogicità.
La norma dell’art. 727 C.P. regola situazioni meno gravi delle precedenti e perciò si applica quando l’animale non abbia subito lesioni e il maltrattamenti non giungano al grado della sevizia oppure quando l’autore del fatto abbia agito non spinto da crudeltà (cosa che spesso accade quando questi viva egli stesso una vita degradata).
Le norme sopra esposte, salvo quelle di cui agli art. 638 e 727 C.P.
non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di
caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli
animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività
circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in
materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del
codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e
culturali autorizzate dalla regione competente.
Vale a dire che se vi è una legge che regola specificamente il
trattamento di animali in particolari settori, si applica quella in
quanto legge speciale e non le nuove norme di cui al titolo IX del
libro II del codice penale. Le manifestazioni storiche si riferiscono
in particolare ai vari palii con corse di cavalli o altri equini.
La norma si è dimenticata di un’altra situazione molto importante e
cioè la destinazione culinaria di un animale; vi sono animali (lumache,
crostacei, pesci, ecc.) che vengono raccolti e venduti vivi e che poi
vengono uccisi in casa o in ristorante con metodi tradizionali. Nulla
di più probabile che qualche giudice sostenga che siccome si può vivere
di insalata, non è necessario uccidere questi animali e quindi si deve
punire chi cuoce le cozze. Per fortuna sarà difficile dimostrare che
con ciò si lede il sentimento del popolo verso le cozze.
Obbligo di soccorso stradale
Oltre alle disposizioni appena viste è utile sapere che la legge
120/2010, (Modifiche al Codice della Strada) ha introdotto una sanzione
amministrativa fino a 1.560 euro per il conducente che non si ferma a
soccorrere animali feriti a causa del suo comportamento o che non
chiama i soccorsi necessari. Norma utopistica e non molto saggia perché
le Forze dell’Ordine di notte hanno senza dubbio problemi più gravi che
non soccorrere un rospo ferito e che indurrà molti automobilisti a dare
il colpo di grazia all’animale ferito per evitare di doverlo soccorrere!
Attenzione: comunque non toccare mai un mammifero ferito o morto senza
usare i guanti perché il pericolo di contagio da rabbia è elevato fino
ad alcune ore dopo la sua morte; attenzione ai morsi dell’animale
ferito perché la saliva è il miglior veicolo di contagio e attenzione
che un animale ferito può scalciare e dar cornate mortali. Perciò il
buon senso del cittadino, molto maggiore di quello di certi
legislatori, gli consiglia, in caso di investimento notturno di un
animale, di fermarsi in luogo sicuro fuori della sede stradale, di
indossare il giubbotto catarifrangente, di fare la massima attenzione a
non farsi travolgere, di controllare a distanza che l’animale non sia
già morto e solo in tal caso di telefonare a qualche forza di polizia
per “istruzioni”.
Se poi la legge preferisce che un animale ferito venga lasciato
agonizzare sulla strada fino a che arriva la polizia, se arriva,
piuttosto che essere finito immediatamente, è cosa che attiene al
“sentimento verso gli animali” del legislatore, che se ne è assunto la
responsabilità!
Vi è poi una ulteriore incongruenza che dimostra quale indegno
pateracchio si sia creato facendo le leggi senza sapere di che cosa si
parla.
La legge sulla caccia riguarda solo la fauna selvatica a sangue caldo,
con l’unica eccezione di talpe, ratti, topi, arvicole e per la fauna
selvatica si applica la normativa speciale venatoria; questa prevede
come sanzione una contravvenzione con la massima pena per
l’abbattimento di animali protetti, tipo l’orso marsicano, dell’arresto
da 3 a 12 mesi.
Se però il cittadino si arrischia ad uccidere senza necessità un
animale che non rientra fra la fauna selvatica in quanto ritenuto dal
legislatore degno di una minor tutela, rischia la sanzione ben più
grave per un delitto e la pena ben maggiore della reclusione da tre
mesi a diciotto mesi! Forse penserete di non aver capito bene, ma è
proprio così: chi uccide Bambi (massima lesione del sentimento
popolare, cosa da strappare le lacrime a tutte le maestre d’Italia) è
punito in modo molto meno severo di chi uccide senza necessità un topo
o una vipera.
Cose da Corte Costituzionale!
Alla fine di questa analisi delle norme sul rispetto dovuto agli
animali, appare evidente che ci si troverà ad affrontare una grande
disparità di opinioni nella applicazione pratica della legge a seconda
delle vedute personali degli interpreti, che troppo spesso crefdono cha
la Natura sia quella che hanon visto da piccoli nel film di Bambi.
Si spera che essi si ricordino che tutta la catena della vita è basata
sul fatto che ogni essere vivente vive mangiando altri esseri viventi e
che l’uccidere, lo sbranare, l’artigliare, l’addentare sono la regola
in natura. La caccia ha rappresentato nelle fasi dell’ evoluzione umana
una costante per alimentarsi e per difendere il territorio, l’uomo ha
dovuto difendersi da predatori e da concorrenti e fa parte delle nostre
radici quanto la religione o quanto la nostra struttura sociale di
branco.
L’atto di uccidere un selvatico, rispettando le regole poste dalla
legge non potrà mai essere qualificato come un atto di crudeltà perché
l’uccisione da parte dell’uomo non infligge certamente più sofferenze
di quella da parte di un rapace o di un predatore o di un parassita. Né
potrà mai essere qualificato come non necessario perché è la legge
stessa che ne riconosce la necessità.
Inoltre da nessuna norma venatoria nazionale o internazionale è dato
ricavare che le regole imposte all’esercizio della caccia siano
ispirate dalla esigenza di limitare le sofferenze del selvatico, come
invece talvolta si immagina la Cassazione; le norme intendono sempre e
solo vietare mezzi di caccia indiscriminati che non consentono il
controllo sulle specie e sul numero dei capi catturati (vedi →Mezzi di caccia).
Uccisione di animali altrui
L’art. 638 C.P. che regola l’uccisione di animali domestici altrui,
pone qualche problema di interpretazione e di coordinamento con le
nuove norme di legge.
Per quanto concerne i primi due commi è evidente che le norme della
nuova legge che tutelano un fatto collettivo come il sentimento verso
gli animali devono prevalere su figure di reato poste a tutela di
interessi privati. L’articolo potrò semmai applicarsi nei rari casi in
cui si sia commesso un danneggiamento che non ha provocato sofferenze
all’animale (ad es. colorazione a scacchi del manto di una pecora).
La norma si presta però a meglio precisare la nozione di necessità
poiché per legge stabilisce che si possono uccidere animali domestici
altrui che stanno danneggiando il nostro raccolto.
Giurisprudenza
(Massime successive alla legge 189/2004)
• In tema di reati contro il sentimento per gli animali, la
interpretazione dell'ambito applicativo dell'art. 727 cod. pen. nel
testo precedente le modifiche introdotte dalla L. 20 luglio 2004 n.
189, con particolare riferimento all'ipotesi della detenzione di
animali in condizioni incompatibili con la loro natura, corrisponde
alla nuova formulazione del citato articolo, con la conseguente
esistenza di una continuità normativa fra la fattispecie
contravvenzionale già prevista e quella introdotta dalla citata L. 189
del 2004. *Cass., 21 dicembre 2005, n. 2774.
• Il reato di cui all'art. 727 cod. pen. detenzione di
animali in condizioni incompatibili con la loro natura, può essere
commesso non soltanto dal proprietario degli animali, ma da chiunque li
detenga anche occasionalmente. (In applicazione di tale principio la
Corte ha affermato la responsabilità del soggetto che al momento
dell'accertamento si occupava dell'azienda nella quale gli animali
erano stati rinvenuti). *Cass., 18 gennaio 2006, n. 6415.
• L'abuso nell'uso del collare coercitivo di tipo elettrico
"antiabbaio" integra il reato di maltrattamento di animali, di cui
all'art. 544 ter cod. pen. atteso che ogni comportamento produttivo
nell'animale di sofferenze che non trovino adeguata giustificazione
costituisce incrudelimento rilevante ai fini della configurabilità del
citato delitto contro il sentimento per gli animali. *Cass., 24 gennaio
2007, n. 15061.
Massima aberrante; per la Cassazione è più importante che il cane
sia libero di abbaiare che il sonno del padrone o dei suoi vicini. E
poi chi ha detto che il collare sia un tale strumento di tortura? Viene
il dubbio che molti giudici conoscano solo l’etologia del proprio gatto
castrato!
• In tema di delitti contro il sentimento per gli animali,
nella nozione di "necessità" che esclude la configurabilità dei delitti
di uc-cisione (art. 544 bis cod. pen.) e maltrattamento di animali
(art. 544 ter cod. pen.) vi rientra lo stato di necessità previsto
dall'art. 54 cod. pen. nonché ogni altra situazione che induca
all'uccisione o al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo
imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai
beni ritenuto altrimenti inevitabile. *Cass., 24 ottobre 2007, n. 44822.
• In materia di delitti contro il sentimento per gli animali,
la fattispecie di maltrattamento di animali (art. 544 ter cod. pen.)
configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva
dell'integrità e della vita dell'animale è tenuta "per crudeltà",
mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta
"senza necessità"... In tema di delitti contro il sentimento per gli
animali, le nuove fattispecie previste dal Titolo IX bis del Libro II
del cod. pen. inserito dalla L. 20 luglio 2004, n. 189, si
differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di
animali altrui (art. 638 cod. pen.) non solo per la diversità del bene
oggetto di tutela penale (bene protetto per l'art. 638 cod. pen. è la
proprietà privata dell'animale, mentre per le nuove fattispecie è il
sentimento per gli animali), ma anche per la diversità dell'elemento
soggettivo, in quanto nelle nuove fattispecie la consapevolezza
dell'appartenenza dell'animale ad un terzo - persona offesa è elemento
costitutivo del reato. *Cass., 24 ottobre 2007, n. 44822.
• Configurano il reato di maltrattamenti di animali, anche
nella formulazione novellata di cui all'art. 727 cod. pen. non soltanto
quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e
mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta
crudeltà ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità
dell'animale, produ-cendo un dolore. (Nella specie il maltrattamento
era consistito nella detenzione, all'interno di un canile, di animali
obbligati in recinti e gabbie carenti dei requisiti previsti dalla
legge ed in condizioni igieniche disastrose). *Cass., 07 novembre 2007,
n. 44287.
• Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 727
cod. pen. non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire
sull'animale né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità
fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti.
(Fattispecie nella quale il reato è stato ravvisato nel fatto di avere
tenuto per circa un'ora un cane all'interno di un'autovettura
parcheggiata in pieno sole e con una temperatura esterna di circa
trenta gradi). *Cass., 13 novembre 2007, n. 175.
• È manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 727 cod. pen. per contrasto con l'art. 25
della Costituzione, sollevata sotto il profilo della violazione del
principio di determinatezza della norma incriminatrice, in quanto la
norma incriminatrice fa riferimento a concetti ormai di percezione
comune giacché entrati a far parte della sensibilità della comunità.
*Cass., 13 novembre 2007, n. 175.
Sentenza doppiamente sbagliata: la Cassazione non può dare giudizi
di merito, sul fatto, ma solo su questioni giuridiche; perciò doveva
dire “se il giudice di merito ha stabilito che quel collare faceva
male, noi non possiamo interferire”. Inoltre vi è collare e collare, vi
sono varie possibilità di uso e quindi non può esistere una sua
condanna generica, per principio.
(Massime anteriori alla legge 189/2004)
• Non rientra nella previsione dell'art 727 cod. pen.
(incrudelimento e tortura non necessitata di animali)la applicazione ad
alcuni fagiani di allevamento di appositi paraocchi, istallati su di
una asticciola che perfora una membrana del setto nasale dei pennuti,
perche tale applicazione costituisce una pratica profilattica
indispensabile diretta ad impedire il cosiddetto fenomeno della
pterofagia cioè l'aggressione dei volatili più deboli da parte dei più
forti con continue beccate che provocano dapprima il deplumaggio e
successivamente ferite mortali con manifestazioni di cannibalismo.
*Cass., del 28 ottobre 1967, n. 1614.
• La ragione della incriminazione, di cui all'art. 727 cod.
pen. va ricercata nella ripugnanza che gli atti di crudeltà verso gli
animali destano nella comunità dei consociati. Tali atti contrastano
con la gentilezza dei costumi e, se tollerati, costituirebbero una
scuola di morale insensibilità alle altrui sofferenze. (nella specie
trattavasi di uccisione di un cane randagio in luogo pubblico a mezzo
di colpi di fucile). *Cass., 24 settembre 1982, n. 11301.
Pura filosofia che non ha nulla a che vedere con il diritti; anche
prendere a calci un barbone contrasta con la “gentilezza dei costumi”,
ma per i giudici sono solo percosse, perseguibili a querela!
• L'esposizione in pubblico (nella specie in una teca
all'interno di una vetrina di un esercizio commerciale) di lucertole
che vengono mangiate vive da vipere integra gli estremi della
contravvenzione di maltrattamenti di animali, di cui all'art. 727 cod.
pen.. invero, tale fatto non può non destare ribrezzo ed è inquadrabile
nella ratio dell'incriminazione, costituita dalla duplice esigenza di
tutelare il sentimento comune di pietà verso gli animali e di
promuovere l'educazione civile, evitando ciò che abitua l'uomo alla
durezza ed all'insensibilità per il dolore altrui. *Cass., 22 aprile
1985, n. 8699.
Che la legge abbia anche compiti di educazione morale e civile e
che si proponga di creare generazioni dall’animo tenero è proprio una
bella novità. Non mi risulta che negli ultimi 20 anni qualcuno sia
stato condannato per aver pubblicato immagini o particolari
impressionanti o raccapriccianti “in modo da poter turbare il comune
sentimento della morale” (art. 15 legge 47/1984) e
quindi vuol dire che i magistrati non hanno mai ravvisato nulla di
impressionante in tutte le torture e sgozzamenti che si vendono nei
film, così come non vedono nulla di osceno nel fatti che due si
cavalchino nudi a letto nel televisore. Ma per la Cassazione è
raccapricciante che un animale si mangi un altro animale vivo, come
avviene ogni secondo in natura da qualche milione di anni. Del tutto
accettabile invece che un giudice consideri conforme alla etologia del
suo gatto di farlo castrare!
• L'art. 727 cod. pen. tutela l'animale, come essere vivente,
da tutte quelle attività dell'uomo, che possano comportare l'inflizione
di un dolore, che superi la normale soglia di tollerabilità. Rientrano
nella fattispecie tutte quelle condotte, che siano manifestazione di
tortura o di sottoposizione a fatica - qualora le sofferenze inflitte
siano non indispensabili ovvero superiori a quelle ordinariamente
praticabili - o che comunque si rivelino espressione di crudeltà,
intesa nel senso di particolare compiacimento o di insensibilità. Ne
deriva che, se per necessità debba essere data la morte ad un animale,
il mezzo da usare deve essere scelto tra quelli più idonei ad evitare
inutili patimenti e a non ingenerare ripugnanza. Non presenta tale
carattere l'uccisione, realizzata con uno o più colpi di badile, sia
perché siffatto metodo rivela totale carenza di comprensione verso le
bestie, sia perché determina ripulsa nell'uomo, che vi assiste. *Cass.,
del 05 novembre 1993, n. 1208.
L’unica cosa che andava accertata era se il colpo di badile aveva o
meno ucciso sul colpo l’animale; se così fosse, esso era di certo più
adeguato di un colpo di fucile; la ripulsa di chi vede non c’entra
nulla; molti non amano vedere cacciare, il che non significa che si
debba cacciare di nascosto. Molti non amano uccidere un coniglio a poi
lo mangiano!
• I limiti posti alla causa di giustificazione dell'esercizio
di un diritto, ed in particolare di quello di proprietà, ed
all'utilizzazione degli "offendicula" concernono anche gli animali.
L'esigenza di un bilanciamento di interessi che deriva dall'esercizio
di un diritto, essendo lo stesso limitato dalla compresenza di altri,
aventi eguale o differente forza, comporta di ritenere lecito l'uso
degli "offendicula" nei limiti in cui i medesimi appaiano necessari per
la difesa di quel diritto e solo qualora non vi sia la possibilità di
utilizzare altri mezzi meno o per nulla dannosi, intendendo la
pericolosità di questi strumenti nel senso di essere capaci di
attentare gli interessi protetti dalla norma incriminatrice con un
differente grado, onde occorre scegliere sempre quello che è capace di
produrre un danno minore. (Nella specie, relativa ad annullamento con
rinvio di che aveva dichiarato l'imputata non punibile ex art. 51 cod.
pen. dal reato di maltrattamento di animali, la S.C. ha osservato che
vi erano altre azioni (uso di cordicelle idonee al soffocamento di
gatti) alternative, non crudeli ed, addirittura, più adatte allo scopo
(rete metallica, uso di sostanze, come la candeggina, atte ad
allontanare i gatti) e che la proporzione tra bene difeso e quello
aggredito deve essere valutata anche con riferimento agli strumenti
utilizzabili ed alla loro pericolosità nonché agli interessi protetti,
sicché anche sotto questo profilo sussisteva la violazione dell'art. 51
cod. pen. tanto più che la stessa predisposizione delle cordicelle, con
le quali era stato soffocato il gatto della parte offesa, poteva
essere, in astratto, pericolosa per i bambini e, quindi, per gli essere
umani). *Cass., 1° dicembre 1994, n. 12576.
Meno male che la Cassazione è riuscita finalmente a trovare un
sistema per tener lontani i gatti!
• In tema di reato di maltrattamento di animali (art. 727
cod. pen.), il cosiddetto "dovere di informazione" cui il comune
cittadino è tenuto, è esigibile anche dal cacciatore, che esercita
un'attività normativamente disciplinata e condizionata dal rilascio di
un'autorizzazione e non può, pertanto, invocare l'ignoranza scusabile
della norma penale. (Fattispecie relativa alla detenzione di volatili,
fungenti da richiamo, in minuscole gabbie, ossia in una condizione
incompatibile con la loro natura). *Cass., 24 aprile 1995, n. 6897.
• In tema di maltrattamento di animali (art. 727 cod.
pen.), l'art. 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (norme per la
protezione della fauna selvatica omeotermica e per il prelievo
venatorio) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di
richiami vivi, sempre che questo non costituisca ipotesi di crudeltà,
eccessiva fatica o ingiustificata tortura. Dopo l'entrata in vigore
della legge 22 novembre 1993, n. 473, che ha modificato l'art. 727 cod.
pen. l'uso di richiami vivi è vietato anche quando è incompatibile con
la natura dell'animale, a prescindere dalla specifica sofferenza
causata. Pertanto, l'uso di gabbie per i richiami, ampiamente permesso
nel vigore della pregressa disciplina, è ora consentito solo nelle
ipotesi residuali, da valutare in concreto, di compatibilità con la
natura dell'animale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto
integrata la contravvenzione ex art. 727 cod. pen. poiché dieci
volatili, quali richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole
gabbie, incompatibili con la loro natura). *Cass., 27 aprile 1995, n.
6903.
• Una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11
febbraio 1992, n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod.
pen. (maltrattamento di animali), poiché il fatto è scriminato a norma
dell'art. 51 cod. pen. in quanto costituisce l'esercizio di un diritto.
Non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur
essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per le
sue concrete modalità di attua-zione sottopone l'animale ad un
aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della
caccia. (Nella specie la S.C. considerato che la legge n. 157 del 1992
all'art. 21 vieta l'uso di uccelli come richiamo nel caso in cui
l'animale è legato per le ali, mentre nella specie l'allodola venne
legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che gli
imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla predetta
legge, sia perché non espressamente vietata e sia perché certamente
meno dolorosa per l'animale rispetto a quella per la quale è stato
fissato il divieto). *Cass., 7 novembre 1995, n. 11962.
• Non diversamente da quanto accadeva alla stregua del
precedente testo dell'art. 727 cod. pen. anche secondo la nuova
formulazione dell'articolo, ai fini della sussistenza dell'elemento
materiale dell'ipotesi di incrudelimento verso animali, sono necessari
atti concreti di crudeltà, ossia l'inflizione di gravi sofferenze
fisiche ad essi senza giustificato motivo. Infatti, è appunto la
mancanza di motivi che distingue l'incrudelimento dalla sottoposizione
a strazio o sevizie; le crudeltà, inoltre, non possono essere che
fisiche. Del resto, proprio per questa ragione, il precedente testo
dell'art. 727 cod. pen. nell'ipotesi di crudeltà verso gli animali, a
differenza della loro sottoposizione ad eccessive fatiche o torture,
non poneva la riserva della necessità, perché l'incrudelimento
presuppone concettualmente l'assenza di qualsiasi giustificabile motivo
da parte dell'agente: la crudeltà è di per sé caratterizzata
dall'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di un motivo abietto
o futile; inoltre, è pacifico che nell'ipotesi dell'incrudelimento
l'elemento soggettivo consiste nel dolo, cioè nella libera e cosciente
volontarietà del fatto di incrudelire verso animali. *Cass., 1° ottobre
1996, n. 601.
• Allorquando il reato di maltrattamento di animali viene in
evidenza con riferimento a comportamenti che costituiscono l'esercizio
di pratiche venatorie, occorre tener conto, oltre che della norma di
cui all'art. 727 cod. pen. come modificato dalla legge 22 novembre
1993, n.473, anche delle disposizioni che regolano l'esercizio della
caccia, di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157. E ciò non perché le
norme della predetta legge si pongano in rapporto di specialità con le
norme del codice penale, dato che è diversa la loro oggettività
giuridica, ma perché un comportamento venatorio che è consentito dalla
predetta legge n.157 del 1992, ed è quindi considerato lecito, non può
integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali, anche se
idoneo a cagionare sofferenze agli animali stessi. Infatti, per la
scelta non manifestamente irragionevole operata dal legislatore, è
stato ritenuto prevalente l'interesse a garantire l'esercizio della
caccia, per cui una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11
febbraio 1992 n.157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod.
pen. perché il fatto è scriminato dall'art. 51 cod. pen. costituendo
l'esercizio di un diritto. Ovviamente non ricorre una tale esimente nel
caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della
citata legge n.157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione
sottoponga l'animale ad un aggravamento di sofferenze che non trovi
giustificazione nelle esigenze della caccia. *Cass., 1° ottobre 1996,
n. 601.
• Anche l'ipotesi della detenzione di animali in
condizioni incompatibili con la loro natura non può prescindere, al
pari delle altre, per la sua configurabilità, dalla presenza
dell'elemento della sofferenza, intesa come lesione dell'integrità
fisica dell'animale. E tale sofferenza, che deve caratterizzare la
condotta, deve risultare da una prova adeguata, non superabile sulla
base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul
benessere fisico degli animali. Invero, sotto il profilo
dell'interpretazione letterale, non può trascurarsi che la rubrica
dell'art. 727 cod. pen. è, pur nel nuovo testo, intitolata
"maltrattamento di animali", il che se non altro dimostra la "ratio"
della disposizione di perseguire condotte caratterizzate da una
componente di lesività dell'integrità fisica; inoltre, una
interpretazione che prescindesse dal collegamento con il concetto di
sofferenza, condurrebbe a conseguenze palesemente irrazionali, e quindi
contrastanti con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.: se fosse sanzionabile la semplice detenzione degli animali in
condizioni incompatibili con la loro natura, di per sé sola e dunque in
assenza di sofferenza fisica degli animali stessi, qualsivoglia
detenzione, a prescindere dal luogo, dalle modalità, dalla durata e
dagli scopi della stessa, si porrebbe, per ciò stesso, in contrasto col
precetto penale, dal momento che si tradurrebbe, inevitabilmente, in
una privazione della libertà dell'animale, e quindi contrasterebbe
inevitabilmente con la natura dell'animale stesso, istintivamente
propenso a vivere in libertà. Oltre che con l'art. 3 Cost. una
interpretazione della disposizione in questione svincolata dalla
sussistenza della sofferenza potrebbe porsi, per la latitudine
indefinita della condotta contemplata, anche in contrasto con il
principio di tassatività delle fattispecie penali, di cui all'art. 25,
secondo comma, Cost.. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
• In tema di maltrattamento di animali, nel caso in cui la
detenzione degli uccelli in gabbia, a fini di richiamo per uso
dell'esercizio della caccia, sia lecita e le gabbie, quanto alla loro
misura, siano regolari, occorre dimostrare, per affermare la penale
responsabilità, che la consumazione delle penne e della coda e lo
"stress" psichico che gli uccelli abbiano subito siano derivati da
altri e diversi fattori che non fossero la sola detenzione in gabbie di
quella misura. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
• Nel caso di detenzione in gabbie di uccelli catturati e
destinati alla cessione a fini di richiamo, la misura delle gabbie non
può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea di per sé a causare
inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il
reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi
alle misure stabilite dall'Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale (ISPRA) (I.N.F.S.). In ogni caso, nel comportamento
di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie conformi alle dette
misure, deve escludersi l'elemento psicologico del reato, essendo
ravvisabile un evidente caso di errore scusabile. *Cass., 1° ottobre
1996, n. 601.
• La cattura di uccelli appena nati e la loro
detenzione in regime di cattività integrano gli estremi del reato di
maltrattamenti di animali, poiché ex art. 727, comma primo, cod. pen.,
come modificato dalla legge 22 novembre 1993, n. 473, risponde di tale
reato anche chi detiene animali in condizioni non compatibili con la
loro natura. *Cass., 8 ottobre 1996, n. 9574.
• La condotta venatoria, anche quando sia consentita, non può
comportare sofferenze per gli animali, ove si esplichi con modalità non
compatibili con la loro natura e con le loro caratteristiche
etologiche. Pertanto, l'uso di uccelli vivi privati delle penne
timoniere costituisce pratica assolutamente illegittima, sia per
violazione dell'art. 21 lett. r) legge 11 febbraio 1992, n. 157 (che
espressamente esclude l'uso a fini di richiamo di uccelli "mutilati"),
sia rispetto all'art. 727 cod. pen. perché priva l'animale di una
condizione naturale di vita e di una caratteristica etologica
costituita dalla possibilità reale del volo e perciò stesso comporta
una grave forma di maltrattamento. Egualmente illegittimo, e anche in
questo caso concorrono le due indicate ipotesi di reato, è l'uso di
uccelli vivi di richiamo non "legati per le ali", ma con le zampe in
modo da bloccare non solo il volo, ma addirittura tutto il corpo, con
un legame rigido ad un filo di ferro e conseguente caduta a testa in
giù per ogni tentativo, pur impossibile, di volo. *Cass., 11 novembre
1996, n. 10674.
• Nei confronti degli animali è consentita ogni attività che
non rientri in uno dei divieti specificamente dettati dalla legge 11
febbraio 1992, n.157 per la "Protezione della fauna selvatica omeoterma
e per il prelievo venatorio"; quest'ultima, però, da sola non esaurisce
la tutela della fauna stessa, poiché, a seguito della successiva
entrata in vigore della legge 22 novembre 1993, n.473, di modifica
dell'art.727 cod. pen. la sfera di garanzia si è notevolmente ampliata
attraverso l'introduzione dell'ulteriore divieto di tenere condotte che
comunque possano determinare il maltrattamento dell'animale utilizzato
come richiamo o della stessa preda catturata. Pertanto è configurabile
il reato di cui all'art.727 citato quando nell'esercizio della caccia
siano utilizzate allodole imbracate e legate con una cordicella, alla
quale venga impresso uno strattone, che le faccia sollevare in volo e,
poi, ricadere bruscamente perché trattenute dal legaccio: tale
comportamento integra una sevizia, poiché la sua ripetitività ossessiva
viene ad incidere sull'istinto naturale dell'animale stesso, dapprima
dandogli la sensazione di poter assolvere alla primaria funzione del
volo ed immediatamente dopo costringendolo a ricadere dolorosamente.
*Cass., del 19 novembre 1996, n. 4703.
Tipica valutazione di merito si circostanze di fatto alquanto
complesse e non di competenza della Cassazione.
• Le diverse ipotesi previste dal primo comma del nuovo testo
dell'art. 727 cod.pen.(maltrattamento di animali) sono fattispecie
ontologicamente distinte ed autonome. La conseguenza è che gli elementi
materiali essenziali ad una fattispecie non possono assumersi come
necessari anche per le altre ipotesi. In particolare l'elemento della
sofferenza fisica, connaturato all'ipotesi di incrudelimento e sevizie,
non è necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare
quella di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli
animali. Peraltro l'elemento della incompatibilità naturalistica della
detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, così
ottemperando al principio di legalità di cui all'art. 25, comma 2,
Cost. *Cass., 19 novembre 1997, n. 1353.
• Lo stato di cattività nel quale vengano tenuti i volatili
per l'utilizzazione venatoria non costituisce, per se solo, un'ipotesi
di maltrattamento degli stessi, a norma dell'art. 727 c.p. Tale reato è
ravvisabile soltanto se la detenzione dei volatili sia connotata da
modalità tali da comportare crudeltà, fatica eccessiva, o condizioni
che danneggino lo stato di salute dell'animale, compromettendone la
possibilità di espletare le funzioni fisiologiche essenziali, con
l'eccezione del volo. (Nella specie la Corte ha ritenuto che il solo
fatto che nelle gabbie si potesse determinare un'abrasione accidentale
delle penne non integrasse il reato "de quo").*Cass., 6 febbraio 1998,
n. 3283.
• La norma di cui al nuovo testo dell'art. 727 cod. pen. e
relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la
loro natura, non ha abrogato la disciplina sui richiami vivi della
legge 11 febbraio 1992 n. 157, pertanto di tali due discipline occorre
rinvenire l'armonico coordinamento. *Cass., 17 marzo 1998, n. 5868.
• La legge 11 febbraio 1992 n. 157 consente l'uso di richiami
vivi, ma vieta che ad esseri viventi, dotati di sensibilità
psico-fisica, siano arrecate ingiustificate sofferenze con offesa al
comune sentimento di pietà verso gli animali, indicando dei
comportamenti vietati con carattere meramente esemplificativo perché
rispondenti a pratiche diffuse, ma non escludendo altri usi dei
richiami vivi con modalità parimenti offensive. *Cass., 17 marzo 1998,
n. 5868.
• In tema di maltrattamento di animali, la sola detenzione di
un uccello in gabbia, ai fini di utilizzarlo come richiamo vivo per
l'esercizio della caccia, correttamente modalizzata, non costituisce di
per sé solo maltrattamento, in quanto non incompatibile con la sua
natura. Ciò per la naturale assuefazione allo stato di cattività di
tutti gli animali, selvatici e non, sia per il fatto che tale modo di
detenzione è comune a svariati tipi di animali. (Fattispecie nella
quale la Corte ha ritenuto non integrare il reato la detenzione di
uccelli in gabbie regolari quanto alla loro misura). *Cass., 17 marzo
1998, n. 5868.
• Lo stato di cattività nel quale vengono tenuti i volatili
usati quali richiami vivi per la caccia non costituisce, per se solo,
una ipotesi di maltrattamento degli stessi, a norma dell'art. 727 cod.
pen. essendo tale reato ravvisabile soltanto se la detenzione dei
volatili sia connotata da modalità tali da comportare crudeltà, fatica
eccessiva, non giustificata tortura o condizioni che danneggino lo
stato di salute degli animali, compromettendone la possibilità di
esplicare le funzioni biologiche essenziali, con l'eccezione del volo.
(Nella specie la Corte ha escluso il reato in caso di lecita detenzione
di uccelli in gabbie di misura rispondente alle regole della
letteratura tecnica in materia). *Cass., 7 maggio 1998, n. 7150.
• Nell'ipotesi di uccelli che siano utilizzati come richiami
nell'esercizio della caccia, ed a tal fine siano imbracati e legati con
una cordicella alla quale venga impresso uno strattone, che li faccia
sollevare in volo e poi ricadere, deve ritenersi che tale comportamento
venatorio, consentito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157, non può
integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali. (Nella
specie la Corte ha precisato che l'utilizzo dell'uccello è lecito
quando questo sia regolarmente imbracato e non si sottoponga la fune a
violenti strattonamenti, ma ci si limiti a tirarla quel tanto che basti
a fare alzare in volo l'animale). *Cass., 2 ottobre 1998, n. 2543.
• Integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen. nella nuova
formulazione introdotta con la legge 22 novembre 1993 n. 473, che
tutela l'animale inteso come esser vivente, la uccisione degli animali
con le tagliole ed i lacci; infatti i lacci uccidono l'animale per
soffocamento e rendono estremamente difficile la liberazione, mentre le
tagliole portano ad una morte per dissanguamento, sicché vengono
inflitte ingiustificate sofferenze che integrano il reato in questione.
*Cass., 13 ottobre 1998, n. 12910.
• In materia di maltrattamento di animali, la condotta di
incrudelimento va intesa nel senso della volontaria inflizione di
sofferenze, anche per insensibilità dell'agente. Comportamento questo
che non necessariamente richiede un preciso scopo di infierire
sull'animale. Peraltro determinare sofferenza non comporta
necessariamente che si cagioni una lesione all'integrità fisica,
potendo la sofferenza consistere in soli patimenti. (Nella specie la
Corte ha ritenuto integrato il reato nell'aver tenuto legato un cane ad
una catena corta e senza alcun riparo). *Cass., 21 dicembre 1998, n.
1215.
Massima che pecca per genericità: certi lacci possono strangolare
rapidamente e senza sofferenze (vengono usati persino su essi umani!),
certe tagliole uccidono sul colpo e così molte trappole; è un
accertamento di merito da farsi volta per volta e che non riguarda la
Cassazione.
• La legge 11 febbraio 1992, n.157 (Protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) non esaurisce la
tutela della fauna in quanto i limiti alle pratiche venatorie sono
posti anche dall'art.727 cod. pen. che modificato dalla legge 22
novembre 1993, n.473, ha ampliato notevolmente la sfera di tutela degli
animali attraverso il divieto di condotte atte a procurare a questi
ultimi strazio, sevizie o comunque detenzioni incompatibili con la loro
natura. Ne consegue che le pratiche venatorie consentite sulla base
della legge n. 157 del 1992 devono essere verificate, nella loro
legittimità, anche alla luce dell'art. 727, come modificato dalla legge
n. 473 del 1993.(Fattispecie in cui la S.C. - in applicazione del
principio di cui in massima - ha ritenuto sussistente il reato di cui
all'art. 727 cod. pen. nel caso in cui un uccello sia imbracato e
trattenuto con un filo che gli consenta di levarsi in volo e di
ricadere in quanto strattonato dalla fune cui è legato, pratica
consentita dalla legge n. 157 del 1992). *Cass., 24 maggio 1999, n.
8890.
È la stessa legge del 1992 a dire che essa non interferisce con le
norme venatorie; quindi la massima è contraria alle legge! Vedi massima
2543/98.
• In tema di maltrattamento di animali, l'incrudelimento
presuppone concettualmente l'assenza di giustificato motivo da parte
dell'agente: la crudeltà è di per sé caratterizzata dall'assenza di un
motivo adeguato e dalla spinta di un motivo abietto o futile.
Rientrano, quindi, nella fattispecie le condotte che si rivelino
espressione di crudeltà intesa come espressione di particolare
compiacimento o di insensibilità. *Cass., 10 giugno 1999, n. 9668.
• Costituisce forma di maltrattamento idoneo a configurare
l'ipotesi di reato di cui all'art. 727 c.p. l'abbandono durante il
periodo estivo di un animale, atteso che la norma tutela gli animali in
quanto autonomi esseri viventi, dotati di propria sensibilità
psico-fisica, e come tali capaci di avvertire il dolore causato dalla
mancanza di attenzione ed amore legato all'abbandono. (Nella specie la
Corte ha ravvisato il reato "de quo" nell'abbandono nel giardinetto di
proprietà degli imputati, di due gattini in tenera età, deceduti per
inedia). *Cass., 10 luglio 2000, n. 11056.
Un altro giudice che parla di gatti senza conoscerli; un gatto non
sa che farsene delle attenzioni e dell’amore del proprietario; il
maltrattamento c’era, ma perché mancava il cibo o un ricovero, non le
carezze!
• Non integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen
(maltrattamento di animali), neppure sotto la forma dell'abbandono, la
consegna di un cane presso le strutture comunali di ricovero per cani
sul falso presupposto che l'animale non sia il proprio, ma abbia
origine randagia, atteso che gli animali ricoverati presso le strutture
comunali non possono essere soppressi né destinati alla
sperimentazione, e che agli stessi nell'attesa della cessione a privati
vengono assicurate le necessarie prestazioni di cura e custodia.
*Cass., 5 luglio 2001, n. 34396.
Vien da chiedersi chi abbia fatto perdere tempo alla giustizia con
un problema così inesistente! Forse qualche giudice aveva scambiati un
cane per figlio.
• Costituisce incrudelimento senza necessità nei confronti di
animali, suscettibile di dare luogo al reato di cui all'art. 727 cod.
pen. ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non
trovino giustificazione nell'insuperabile esigenza di tutela, non
altrimenti realizzabile, di valori giuridicamente apprezzabili,
ancorché non limitati a quelli primari cui si riferisce l'art. 54 c.p.
rimanendo quindi esclusa detta giustificazione quando si tratti
soltanto della convenienza ed opportunità di reprimere comportamenti
eventualmente molesti dell'animale che possano trovare adeguata
correzione in trattamenti educativi etologicamente informati e quindi
privi di ogni forma di violenza o accanimento. *Cass., 12 novembre
2002, n. 43230.
Con idee così nebulose e velleitarie è davvero difficile fa
giustizia!
• Integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen. il
comportamento di chi, vantando la proprietà di un cane, lo prelevi dal
luogo ove esso si trova e, dopo averlo rinchiuso nel bagagliaio della
propria auto di piccole dimensioni, lo trasporti per un apprezzabile
lasso di tempo, da un luogo ad un altro, ciò in quanto la restrizione
del cane in un ambiente inidoneo, benché non accompagnata dalla volontà
di infierire su esso, incide sulla sen-sibilità dell'animale
provocandogli un'inutile sofferenza. *Cass., 4 maggio 2004. n. 24330
Decisione che dimostra scarsa conoscenza della psicologia del cane;
il cane soffre forse le prime volte (ma dipende dalla sua indole), ma
quando ha capito che il fatto di stare nel bagagliaio prelude ad una
spedizione di caccia è il primo a corrervi dentro. Guai a quando i
giudici pretendo di sapere tutto e che il loro pensiero debba essere di
modello per giudicare gli altri. Essi non sono dei filosofi, non sono
esperti sociologhi, ma solo degli esperti nello interpretare le leggi.
• L'utilizzo di buoi per una gara di velocità di carri
trainati dagli animali stessi, che vengono lanciati in una corsa
sfrenata attraverso la stimolazione con pungoli e bastoni acuminati,
costituisce una condotta di incrudelimento che integra gli estremi del
reato di maltrattamento di animali, né è configurabile - neppure a
livello putativo - l'esimente di cui all'art. 51 cod. pen. in
considerazione del fatto che tale corsa è una manifestazione
folcloristica collettiva di carattere religioso, risalente a tempo
immemorabile. (Nel caso di specie, la cosiddetta Carrese, che si tiene
annualmente in Ururi). *Cass., 22 giugno 2004, n. 37878
• La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la
loro natura e produttiva di gravi sofferenze, prevista come reato dal
nuovo testo dell'art. 727 cod. pen. diversamente dall'ipotesi di
incrudelimento, può essere integrata anche con una condotta colposa del
soggetto agente (Fattispecie nella quale la Corte ha ravvisato il reato
de quo nell'ipotesi di trasporto di tre cani nel bagagliaio non
comunicante con l'abitacolo di un'autovettura). *Cass., 26 aprile 2005,
n. 21744.
• La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la
loro natura, prevista come reato dall'art. 727 cod. pen. è
configurabile anche in ipotesi di semplice negligenza, atteso che
trattasi di contravvenzione non necessariamente dolosa. *Cass., 16
giugno 2005, n. 32837
• Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamento
di animali, di cui all'art. 544 ter cod. pen. non assumono effetto
esimente le disposizioni di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157 di
disciplina della caccia, atteso che tale legge non esaurisce la tutela
della fauna nell'espletamento delle pratiche venatorie. (In
applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto integrato il reato
de quo in caso di uso di richiami vivi detenuti con modalità
incompatibili con la loro natura). *Cass., 5 dicembre 2005, n. 46784.
(Massime relative all’art. 638 C.P.)
• In tema di uccisione, danneggiamento o maltrattamenti di
animali, la 'necessita' di cui gli artt. 638 e 727 cod. pen. fanno
specifica menzione, non corrisponde allo stato di necessita previsto
dall'art 54 del citato codice, dovendo invece, nel particolare richiamo
che il legislatore formula a proposito tanto del delitto che della
contravvenzione identificarsi un concetto di necessita più ampio e
diverso, inerente alla speciale natura di questi reati e al loro
specifico oggetto materiale. *Cass., 5 maggio 1971, n. 1124.
• Per l'applicazione della esimente dello stato di
necessita di cui all'art 638 cod pen, occorre che il danno in atto o il
pericolo di esso sia imminente e non possa essere evitato con forme
meno drastiche della uccisione o del danneggiamento dello animale
altrui. *Cass., 26 gennaio 1977, n. 7412
Massima errata perché la necessità prevista dall’art. 638 CP è cosa
diversa dalla “stato di necessita” e non si configura come esimente
(vedi 2372/84).
• Il delitto di uccisione di animali altrui presuppone che il
colpevole abbia ucciso animali di cui non si sia impossessato. Se vi è
stato impossessamento è ravvisabile solo il reato di furto ed è
irrilevante la successiva uccisione degli animali. *Cass., 26 aprile
1983, n. 9983.
• Ai fini della configurabilità del reato previsto
dall'art. 638 cod. pen. è necessario e sufficiente, quanto all'elemento
materiale, che vi sia stata, senza necessità, l'uccisione, il
deterioramento o il danneggiamento di un animale altrui e, con riguardo
al dolo, che l'azione sia stata commessa con la coscienza e volontà di
produrre uno degli aventi innanzi indicati. Per quanto attiene alle
ipotesi del danneggiamento, è idonea a configurare tale elemento la
sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile. *Cass., 12 luglio
1984, n. 2372.
• Nel concetto di "necessità" che, ai sensi dell'art. 638
cod. pen. esclude la con-figurabilità del delitto di danneggiamento o
uccisione di animali altrui, è compreso non solo lo stato di necessità
quale assunto dall'art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che
induca all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un
pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno
giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni,
quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile. (In
applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la
decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza del
reato nell'ipotesi di uccisione di un cane, pastore tedesco, che
introdottosi in un pollaio aveva mangiato gli animali ivi rinchiusi e
quindi aggredito il loro proprietario accorso per allontanarlo).
*Cass., 28 ottobre 1997, n. 1963
• Nel concetto di "necessità" che, ai sensi dell'art. 638
cod. pen. esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o
uccisione di animali altrui, è compreso non solo lo stato di necessità
quale assunto dall'art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che
induca all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un
pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno
giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni,
quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile. (Nella
specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la di
merito che aveva escluso il requisito della necessità in un caso in cui
l'agente era stato chiamato a rispondere del reato per aver ucciso due
cani di grossa taglia i quali avevano ripetutamente aggredito un gregge
di proprietà dello stesso agente ed erano riusciti a fuggire dopo che
quest'ultimo, per evitare ulteriori aggressioni, li aveva catturati).
*Cass., del 15 febbraio 2006, n. 8820.
• In tema di maltrattamento di animali il reato di cui
all'art. 727 cod. pen. è integrato da tutte quelle condotte atte a
procurare agli animali strazio, sevizie o comunque detenzioni
incompatibili con la loro natura, anche se esse non siano incluse tra
le pratiche venatorie vietate dalla legge n. 157 del 1992, alla cui
elencazione deve riconoscersi carattere meramente esemplificativo.
(Fattispecie, nella quale la Corte ha ritenuto configurabile il reato
di maltrattamento di animali, escludendo efficacia scriminante
all'utilizzo, consentito dalla legge n. 157 del 1992, nell'esercizio
della caccia di allodola imbracata e legata con una cordicella che le
consenta di levarsi in volo per poi ricadere bruscamente perché
trattenuta dal legaccio). Cass. n. 950 del 07/10/2014.
• Il delitto di uccisione di animali delineato dall’art. 544 bis
(che si pone in continuità normativa rispetto al reato di cui all’art.
727 cod. pen. prima della riforma attuata dall’art. 1 comma 1 della L.
20 luglio 2004, n. 189) si configura come reato a dolo specifico, nel
caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale
che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo,
sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come
nel caso in esame, senza necessità.
Ritiene in proposito il Collegio che nel concetto di necessità che
esclude la punibilità del delitto in parola sia compreso lo stato di
necessità di cui all’art. 54 c.p., e ogni altra situazione che induca
all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo
imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai
beni ritenuto altrimenti inevitabile (Sez. 3, 24.10.2007 n. 44822,
Borgia, Rv. 238456).
In ripetute occasioni questa Corte ha affermato il principio secondo il
quale "la situazione di necessità che
esclude la configurabilità del
delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui ex art. 638
cod. pen. comprende non soltanto la necessità di cui all’art. 54 cod.
pen. ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al
danneggiamento dell’animale per prevenire o evitare un pericolo
imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente
apprezzabile alla persona propria o altrui o ai propri beni quando tale
danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile" (Sez. 2,
11.11.2010 n.
47322, Calzoni, Rv. 248999, secondo cui è stata ritenuta integrante lo
stato di necessità l’uccisione di un cane pastore tedesco a fronte
della situazione di pericolo per altro cane di proprietà dell’imputato
già aggredito poco prima e per la moglie dell’imputato; conforme Sez.
2, 15.2.2006, n. 8820 Saddi, Rv. 234743; idem 28.10.1997 n.1963, P.M.
in proc. Ziccardi, Rv. 209928).
Va quindi ribadita la regola della configurabilità dello stato di
necessità in riferimento al delitto di uccisione di animali, ipotesi
che la Corte territoriale ha decisamente scartato sul presupposto che
nemmeno l’imputato avrebbe sostenuto la tesi della necessità di
difendere il proprio cane dall’aggressione del cane del M. (profilo del
tutto errato in quanto nell’atto di appello - come emerge pacificamente
dalla pag. 5 - era stato prospettato dal V. il fatto che egli aveva
agito per difendere se stesso ed il proprio cagnolino dall’aggressione
del cane del M. ). Cass. sez. III , 29 ottobre – 28
novembre 2016, n. 50329
La sentenza ha riformato una assurda
decisione del Tribunale di Portoferraio che aveva condannato un tizio
per l'uccisione di un grosso alano slegato che stava mordendo il suo
cagnolino al guinzaglio.
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