Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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ANGELO VICARI: RINNOVO DELLA LICENZA DI PORTO DI PISTOLA.
 QUALCHE VOLTA ANCHE IL SUDDITO PUO’ AVERE  RAGIONE !.. (Consiglio di Stato 8220/2010)

Riteniamo opportuno richiamare l’attenzione degli appassionati del settore, ancor meglio di coloro che necessitano della licenza di porto d’armi per difesa, in merito alla recente sentenza del Consiglio di Stato sul rinnovo di tale autorizzazione (Sez. Sesta, 12 ottobre 2010, n. 8220).
Infatti, una volta tanto, quanto basta, però, al cittadino per fargli ancora credere nella possibile difesa contro le vessazioni della pubblica Amministrazione, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno, confermando la sentenza del TAR Abruzzo, sezione staccata di Pescara (Sez.  Prima, 3 dicembre 2009, n. 1230), con la quale è stato accolto il ricorso di un cittadino contro il provvedimento di rifiuto del Prefetto per il rinnovo della licenza di porto di pistola.
L’interessato, proprietario di due esercizi di ristorazione, soggetto incensurato e senza carichi pendenti, titolare di licenza di porto di pistola “da numerosi anni”, si è visto respingere il rinnovo a seguito della valutazione dell’unico dato, fornito dalla Questura, relativo alla generica considerazione della “complessiva situazione dell’ordine pubblico nell’area interessata”, per cui l’interessato “non necessitava del porto d’arma”.
A fronte di tale provvedimento, ritenuto, tra l’altro, viziato per difetto di motivazione, l’interessato ha presentato ricorso al TAR.
Non ci possiamo esimere dal citare alcuni passi di questa sentenza, con la quale, una volta tanto, con una motivazione breve, ma completa e chiara, anche per i non addetti ai lavori, il Giudice amministrativo  riesce ad individuare i limiti tra interesse pubblico e privato, contemperandone le esigenze.
Il TAR ha considerato che “il rilascio e il rinnovo del porto d’armi non costituiscono un diritto del cittadino, ma un suo interesse che cede a fronte del superiore interesse pubblico alla sicurezza”, rispecchiando la interpretazione costante del Consiglio di Stato (Sez. Sesta, 2 marzo 2010, n. 3558)
Peraltro, lo stesso Giudice evidenzia che l’art. 42 del T.U.L.P.S. consente “all’autorità di effettuare un giudizio prognostico e altamente discrezionale, ovviamente in via preventiva, sull’opportunità di rilasciare o rinnovare il porto d’armi”. “L’amministrazione può ben decidere di adottare una politica più restrittiva”, perché, tra “l’indubbio interesse del cittadino a portare un’arma e il superiore interesse alla tranquillità pubblica, il primo deve cedere il passo al secondo”, sempreché “ne sussistano le ragioni”.
Ma “l’ampia discrezionalità”, riconosciuta all’Amministrazione, comporta, anche, in base ai principi della legge sulla trasparenza dei procedimenti amministrativi 241/90, “un onere motivazionale rinforzato, soprattutto quando l’interessato abbia goduto per anni del porto d’armi, senza abusarne e senza che sussistano indizi che la sua condotta sia mutata in peggio”.
Dunque, “sulla base dei principi di trasparenza, sia l’aspetto soggettivo (precedenti, pendenze) che quello oggettivo (condizioni dell’ordine pubblico) devono trovare un puntuale riscontro nella motivazione del provvedimento”.
Il TAR ha, quindi, annullato il provvedimento del Prefetto, siccome “si limita ad affermare che dagli accertamenti svolti non si ravvisa la necessità del ricorrente di girare armato”, ritenendo che tale motivazione “non appare esaustiva, sia per l’apoditticità delle affermazioni, sia perché non si esternano le ragioni del mutamento di situazione soggettiva ed oggettiva”.
Il Tribunale amministrativo termina la sentenza con una frase, che dovrebbe essere “scolpita” in tutti gli uffici della pubblica Amministrazione, con la quale evidenzia che “pur essendo consentito all’Amministrazione di mutare opinamento, tuttavia le ragioni vanno spiegate al cittadino”!!...
Nonostante una così esaustiva motivazione per chiarezza e completezza, sia in punto di fatto che di diritto, il Ministero dell’Interno ha ritenuto necessario, come al solito, presentare ricorso al Consiglio di Stato, basandosi sul principio della impossibilità che il “suddito” possa avere ragione!...
Lo stesso ha fonato il suo ricorso sul presupposto che la decisione “prefettizia doveva reputarsi legittima e che apodittico appariva l’iter motivazionale della sentenza”. La richiesta di annullamento di quest’ultima si è basata sul fatto che “l’amministrazione aveva adottato la determinazione sulla base di un dato secondo il quale, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’ordine pubblico nell’area interessata, l’appellato, pur titolare di due esercizi di ristorazione, non necessitava del porto d’arma”.
Però, con grande stupore per tutti, soprattutto per il Ministero, questa volta il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato e “confermando nei termini di cui alla motivazione la sentenza” del TAR.
Infatti, pur riconoscendo che l’Amministrazione, in considerazione del carattere preventivo delle licenze di polizia, può disporre di una valutazione di ampia discrezionalità, tuttavia le motivazioni che conducono ad una determinata decisione devono essere chiaramente rappresentate all’interessato.
Nel caso di specie il Consiglio di Stato rileva la illegittimità dell’atto del Prefetto per “carenza di motivazione”; infatti, l’Amministrazione “avrebbe dovuto esternare adeguatamente le ragioni per cui l’interessato, già da essa ritenuto abile alla detenzione, non era più da considerare tale”, pur non avendo lo stesso “mai abusato del titolo” ed essendo la sua attività professionale la stessa sulla quale si basava il dimostrato bisogno per il rilascio della licenza.
L’illegittimità dell’atto prefettizio discende dal fatto che quest’ultimo “non spiega le cause di questa discontinuità nella valutazione amministrativa, che si risolve in una restrizione di facoltà prima riconosciuta all’interessato”. Sebbene il Prefetto abbia fatto riferimento a “generiche considerazioni in materia di ordine pubblico, non è stata invero prospettata ragione alcuna del perché l’interessato, che del titolo abilitativo non ha mai abusato, fosse divenuto non meritevole del rinnovo”.
Inoltre, il Consiglio di Stato evidenzia che “neppure è dato conoscere quale rilevante mutamento complessivo della situazione dell’ordine pubblico legittimasse uno specifico giudizio di insussistenza del pericolo”.
Lo stesso Giudice conclude la propria sentenza evidenziando che “esattamente il Tribunale Amministrativo Regionale ha colto tale carenza e ha ritenuto illegittimo il provvedimento reiettivo”.
Unico neo delle due sentenze il ritenere che, nonostante le riconosciute ragioni del ricorrente, “sussistono le condizioni di legge per compensare le spese processuali”.
Forse, ogni tanto, una condanna dell’Amministrazione pubblica a pagare le spese processuali, potrebbe farla riflettere e ricordare che anche il “suddito”, qualche volta, può avere ragione !!........

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Ringrazio l'amico Vicari per aver inziato la sua collaborazione al mio sito; egli si è sempre distinto per la precisa conoscenza del diritto amministrativo e per l'illuminato approccio alle armi!

Vedi qui il seguito della vicenda.

 


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