Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Armi liberalizzate - Strane idee della Cassazione

Ecco il testo della sentenza Cass, I, 11 maggio 2006 n. 27783

1. Con sentenza 9 novembre 2005 il Tribunale di Palmi - sezione staccata di Cinquefrondi ha, per quanto qui interessa, dichiarato Martino Giuseppe colpevole del reato di cui all'art. 4, commi 1 e 3, legge n. 110/1975 (per avere portato fuori della propria abitazione, senza licenza dell'autorità di pubblica sicurezza, una carabina ad aria compressa cal. 4,5, da qualificarsi come arma impropria; accertato l’11 settembre 2004) e lo ha condannato alla pena di cento euro di ammenda. Ha osservato il tribunale che: a1) il porto della carabina da parte dell'imputato è incontestato; a2) è altresì pacifico in atti che la carabina in questione è in grado di sviluppare una energia cinetica inferiore a 7,5 joule; a3) a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 11, comma 2, legge n. 526/1999 (che ha modificato l'art. 2, comma 3, della legge n. 110/1975) le armi ad aria compressa i cui proiettili erogano una energia cinetica inferiore a 7,5 joule non rientrano nella categoria delle armi comuni da sparo, ma il loro porto in luogo pubblico, senza giustificato motivo, integra la contravvenzione di cui all'art. 4 della citata legge n. 110/1975; a4) nella specie nessun giustificato motivo del porto è stato dedotto dall'imputato (né risulta aliunde agli atti) con conseguente sussistenza del reato contestato.
Ha proposto ricorso il Martino deducendo erronea applicazione della legge penale posto che, a seguito dell'entrata in vigore della citata legge n. 526/1999 e del successivo decreto ministeriale n. 362/2001, il porto fuori della propria abitazione, senza giustificato motivo, di una carabina avente le caratteristiche di quella in esame è depenalizzato e soggetto solo alla sanzione amministrativa del pagamento della somma da 516 a 3.098 euro prevista dall'art. 16 del decreto citato per le violazioni delle disposizioni del regolamento.
Il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento della sentenza in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato.
2. Il ricorso è infondato.
È pacifico in giurisprudenza che «le armi cosiddette "da bersaglio da sala"  ad emissione di gas o ad aria compressa o a gas compressi, non rientrano nella categoria delle armi comuni da sparo se i proiettili erogano una energia cinetica non superiore a 7,5 joule, con la conseguenza che la detenzione non comporta obbligo di denuncia e il porto non è soggetto ad autorizzazione, anche se il catalogo delle armi comuni da sparo non è stato an­cora aggiornato in conformità, in quanto, a seguito dell'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999 n. 526 e del rispettivo rego­lamento contenuto nel decreto ministeriale 9 agosto 2001 n. 362, la disciplina vigente in materia di armi é stata armonizzata con quella di altri paesi comunitari» (Cass., sez. 1 17 giugno - 14 settembre 2005, Cioni, riv. n. 232278) (1).
Ciò posto, resta da chiarire se dette armi "da bersaglio da sala" (2), escluse dalla categoria di quelle "comuni da sparo", rientrino o meno in quella di "armi" tout court prevista nell'art. 4, comma 1, legge n. 110/1975 (3). La risposta non può che essere positiva sia per ragioni letterali (il decreto ministeriale continua a definire «armi» le apparecchiature in questione) (4)  sia per ragioni sistematiche (che la pericolosità di dette armi è simile a quella degli altri oggetti parallelamente indicati nel citato primo comma dell'art. 4 della legge n. 110/1975) (5). Né soccorre il principio di specialità, che la generica disposizione dell'art. 16, comma 1, decreto ministeriale n. 362/2001 ha l'evidente finalità di sanzionare le condotte difformi da quelle richieste (per finalità amministrative) nel regolamento ma non anche quella di depenalizzare comportamenti autonomamente previsti come reato. (6)
Alla stregua di quanto precede il ricorso deve essere rigettato con seguito di spese.

NOTA
La sentenza sopra riportata è del tutto sorprendente, non tanto per la soluzione data al caso (il porto fuori dei luoghi consentiti è punibile a norma art. 4 L. 110/1975 come se si portasse un coltello o una balestra oppure è soggetto solo alla sanzione amministrativa prevista dal Regolamento sulle armi depotenziate?) che è complesso e implica la soluzione di problemi di fondo, come quello della validità di un regolamento emanato ampiamente fuori della delega di legge. È sorprendente invece per la totale approssimazione con cui è stato trattato il caso, con errori in fatto ed in diritto.
Ecco le chiose che si possono fare alla sentenza:
(1) L’estensore ha letto sommariamente la sentenza della Cassazione del 2005 e cita il catalogo e la norme europee che nulla hanno a che vedere con il problema.
(2) Che cosa c’entrano le “armi da bersaglio da sala” solo Dio lo sa. È nozione elementare, che si ricava da ogni dizionario, che le ami da bersaglio da sala sono quelle da fuoco, di piccolo calibro o con carica ridotta, da usare per il tiro al bersaglio in saloni di tiro. In Italia nessuna è stata riconosciuta ancora come di libera vendita, anche se in altri paesi Europei ne esistono in cal. 4 mm.
(3) Il citato articolo 4 comma 1 della legge 110 non c’entra nulla perché riguarda le armi proprie (pugnali, baionette, mazze ferrate) ed è sicuro, perché lo dice la stessa legge, che le armi depotenziate sono strumenti e non armi.
(4) Sbagliato! Ma quando mai una legge viene interpretata in base ai decreti amministrativi e alle sciocchezze che può aver scritto un funzionario ministeriale? La legge ovviamente parla di “armi con modesta capacità offensiva” perché si  riferisce agli strumenti  che hanno forma di arma; ma non vuole affatto dire che siano armi, tanto che poi allo specifico comma 11 che li regola, li definisce espressamente strumenti. Il legislatore chiama armi anche le armi giocattolo ed a salve, ma non vuol certo farle diventare armi in senso giuridico! Ogni cosa a forma di pistola o di carabina si chiama arma, anche l’arma finta fatta dagli evasi con la mollica di pane, ma non diventa per ciò “destinata all’offesa delle persone”!
(5) Tutto da rifare! come diceva Bartali! Il primo comma  dell’art. 4 non c’entra nulla e la sentenza spara un’affermazione contraria alla legge; se questa dichiara che le armi liberalizzate sono di “modesta capacità offensiva” vuol dire che esclude che siano assimilabili alle armi proprie e quindi, al massimo, potranno essere equiparate a strumenti sportivi come l’arco e la balestra. Ma in Cassazione, è noto, hanno la fisima della potenzialità delle armi e per  quasi un secolo hanno continuato, imperterriti e contro ogni evidenza, a sostenere  che un revolver mod. 1889 e la Beretta 34 erano macchine belliche di inaudita potenza; ed ora si immaginano che le armi proprie siano tali perché sono più offensive degli strumenti atti  ad offendere. In altre parole i giudici continuano ad essere convinti che fa molto più male un colpo di pugnale che un colpo di coltello, la lama di un coltello a scatto che non quella di un coltello da macellaio, un pugno con una noccoliera che una freccia di arco nel cuore, ecc. ecc.. Le armi sono “proprie” solo perché non hanno altra destinazione che l’offesa alla persona; se hanno anche una diversa destinazione sono strumenti e non armi, indipendentemente dalla potenzialità offensiva!
(6) Quindi secondo la Cassazione per portare in luogo pubblico o aperto al pubblico un’arma liberalizzata ci vuole un giustificato motivo. Omette però sempre di chiedersi quale può essere il giustificato motivo per portare un’arma da tiro al bersaglio. Ovviamente il motivo non può che essere quello di andare a tirare da qualche parte e quindi il giustificato motivo vi è sempre, salvo che lo strumento venga usato per una destinazione impropria (cacciare, rompere le lampadine, molestare i passanti, ecc.). Quando mai vedendo una persona con un arco che si dirige verso un prato, ci si chiede quale è il suo motivo per portare l’arco? È chiaro che egli o va a lanciare frecce su un bersaglio inerte o va a caccia. Ma la prova che il cittadino vuole commettere qualche cosa di illecito la deve fornire l’accusa e non è il cittadino a dover provare che con un attrezzo sportivo non vuol fare nulla di diverso dallo sport; altrimenti gli si può anche chiedere di provare che non voleva compiere un omicidio.
Quindi al massimo all' imputato si poteva contestare di aver usato l'arma non in luogo privato, ma in un luogo aperto al pubblico, fattispecie ben diversa da quella di porto senza giustificato motivo, e quindi non sanzionabile penalmente.

Ma si può campare così?

(12 giugno 2007)


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