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Nr. 4631/02 R.G.
Il Tribunale di Firenze in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Maria Pia Savino, ha pronunciato la seguente
nei confronti di
***** libero presente
imputato
del reato di cui all'art. 695 c.p. perché, quale titolare dell'esercizio di rivendita di articoli militari "****", poneva in vendita senza la licenza del Questore le armi (sciabole, spade, pugnali), descritte nel verbale di sequestro e di convalida in data 10 e 11 agosto 2000, notificati all'indagato e allegati in copia.
Accertato in Firenze il 10 agosto 2000
(Si omette lo svolgimento del processo)
Dalla deposizione del teste assistente ***, in servizio presso la Questura di Firenze, risulta che, a seguito di segnalazione circa la vendita non autorizzata di armi presso un esercizio di rivendita di articoli militari "****" posto in via *** a Firenze, di **** *** , fu effettuato un controllo nel corso del quale fu constatata la presenza, per la vendita, di spade, sciabole e pugnali, alcuni esposti in vetrina, altri riposti all'interno del negozio. Come ha precisato l'agente operante, si trattava di riproduzioni di armi di fantasia o di armi storiche, voluminose, pesanti, con impugnature disagevoli. Erano appuntite ma non avevano il filo lungo la lama.
Il titolare dell'esercizio commerciale non aveva una licenza di armeria bensì una licenza per la vendita di oggettistica varia e di abbigliamento militare. Sul presupposto che tali manufatti costituissero delle armi proprie, per la cui vendita è richiesta apposita licenza, si è proceduto al loro sequestro ed alla denuncia del *** per il reato contravvenzionale di cui all'art. 695 c.p.p..
Il teste ha riconosciuto che nella licenza in possesso del *** era ricompresa anche la vendita di sciabole. Ha tuttavia precisato che le sciabole cui faceva riferimento la licenza erano quelle usate dai militari o dai funzionari, di Polizia per manifestazioni particolari come celebrazioni di ricorrenze riguardanti 1'arma o il corpo di Polizia. Mentre per la detenzione e la vendita delle spade presenti nel negozio del *** occorreva proprio una licenza di armeria, trattandosi di vere e proprie armi, annoverabili fra le cd. "armi bianche proprie" cioè quelle destinate ad offendere, realizzate con lo specifico scopo di arrecare offesa alla persona.
Il consulente della difesa, Cesare Calamandrei , direttore della rivista "Diana Armi", e consulente del museo di Castel Sant'Angelo per il recupero dell'armeria, ha riferito che le anni sequestrate all'imputato, sono riproduzioni armi storiche e leggendarie e che vengono realizzate per uso scenico, cinematografico o per finalità di collezione e decorative. Esse si differenziano dai modelli originali di cui costituiscono l'imitazione in quanto sono realizzate in ferro e non in acciaio, di conseguenza sono molto più pesanti, hanno dimensioni superiori e grosse impugnature che rendono poco agevole l'uso, Sono dotate di punta, generalmente smussata, mentre il filo della lama è generalmente assente o anch'esso smussato.
Per le caratteristiche che presentano, a parere del consulente, tali manufatti non possono annoverarsi fra le armi proprie in quanto non sono realizzati per offendere. Tuttalpiù possono considerarsi armi improprie in ragione di una potenzialità offensiva assimilabile a quella di altri strumenti che, pur non essendo stati realizzati col fine di offendere, possono tuttavia essere potenzialmente lesivi.
Il consulente ha precisato di non aver esaminato personalmente le armi sequestrare al **** , ma di conoscerne le caratteristiche sia perché le ha viste diverse volte esposte nella vetrina del suo negozio, sia perché ha potuto, in quelle occasioni, constatare che appartengono alla stessa tipologia di armi da già lui conosciute e che sono state realizzate dalle stesse ditte produttrici delle armi esaminate in precedenti occasioni.
La definizione di armi si ricava dal combinato disposto degli art. 585 c.p., richiamato dall'art. 704 c.p., 30 T.U.L.P.S. e 45 del relativo regolamento, secondo cui per armi si intendono le armi proprie ovvero quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona.
L' art. 45 del regolamento del Testo Unico contiene poi la definizione specifica della armi proprie diverse da quelle da sparo, indicandole come gli strumenti da punta e da taglio la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili.
Quindi, all'interno della categoria delle armi va tenuta presente la distinzione fra le armi da sparo e armi che, pur non essendo da sparo, sono comunque realizzate appositamente per arrecare offesa alla persona e dunque hanno insita tale destinazione naturale.
Dalle anni proprie si differenziano poi le armi c.d. improprie, la cui elencazione, ancorché non tassativa; è contenuta nell'art. 4 comma 2 L. n.110/1975. Sono questi gli oggetti che, pur avendo una diversa, specifica destinazione (come strumenti da lavoro, o di uso domestico, agricolo, scientifico, industriale), possono tuttavia occasionalmente servire, per caratteristiche strutturali, o in riferimento a determinate circostanze di tempo e di luogo, all'offesa alla persona. Ne consegue che è vietato il porto di tali anni improprie fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, ovvero senza la sussistenza di valide ragioni inerenti alla diversa specifica destinazione.
Il comma 1 dello stesso art. 4 L. n. 110/1975 si riferisce invece con tutta evidenza alle
armi proprie, da sparo e non da sparo, quali le mazze ferrate, i bastoni ferrati, gli sfollagente e le noccoliere, secondo la nozione data dai richiamati art. 585 c.p., 30 T.UL.P.S., sancendo il divieto assoluto di porto fuori dall'abitazione o nelle appartenenze senza 1' autorizzazione prescritta dal terzo comma dell'art. 42 T.U. L.P.S.
Sulla scorta di tale distinzione normativa fra armi proprie ed improprie, al fine della configurabilità del reato contestato occorre stabilire se le armi sequestrate al *** presentino una intrinseca potenzialità offensiva, tali da ritenere che esse siano strutturalmente e funzionalmente destinate all'offesa, ovvero appositamente realizzate per tale finalità.
Alla stregua delle risultanze emerse dall'istruttoria dibattimentale, in particolare dall'esame diretto in udienza di tali manufatti e dalle considerazioni del consulente della difesa, del tutto condivisibili, si deve pervenire alla conclusione, pur in mancanza d accertamento tecnico ( non richiesto dalle parti e superato, peraltro, dalle evidenze emerse), che i prodotti posti in vendita dal ***, lungi dall'essere vere proprie armi, sono oggetti aventi finalità esclusivamente scenica, ornamentale e collezionistica.
Si tratta difatti di imitazioni di armi di fantasia impiegate nelle rappresentazioni sceniche e cinematografiche, quali la spada di Excalibur, spada Robin Hood, spada Ivanohe, a spada Cavalieri dell'Apocalisse, spada Vikinga barbarian , Katana Schirasaya etc. poi riprodotte per finalità decorative e di. collezionismo. Esse sono più voluminose e pesanti delle armi che intendono imitare in quanto realizzate in ferro e non in acciaio, hanno impugnature voluminose che ne rendono disagevole l'uso, per cui già le loro caratteristiche strutturali sono tali da renderle del tutto anacronistiche come strumenti di offesa. Inoltre hanno la punta smussata e sono pressoché prive di affilatura.
Quindi sia le metodiche di costruzione che le caratteristiche strutturali portano ad escludere che esse siano state realizzate per arrecare offesa alla persona. Manca, sia sotto l'aspetto strutturale che quello funzionale, un intrinseca destinazione a tale scopo, che caratterizza le armi proprie, distinguendole dalle ed. armi improprie.
Non sono al riguardo condivisibili le argomentazione espresse dall'agente che ha proceduto al sequestro e alla denuncia secondo cui, indipendentemente dall'impiego di esse in conformità all'uso che gli è proprio, tali armi devono considerarsi armi proprie cd. bianche, in quanto un malintenzionato potrebbe comunque usarle per fare del male.
Certo, non può escludersi che tali manufatti possano esplicare un'azione offensiva, ma si tratta di un effetto non connaturato alla loro struttura e destinazione, non tale quindi, anche per l'occasionalità di un uso in tal senso, da farli qualificare come vere e proprie armi.
Vero invece che essi possono assimilarsi agli oggetti atti ad offendere (cd. armi improprie), soggetti, quanto al porto, alla disciplina di cui all'art. 4 comma secondo L. 110/1975.
Si deve quindi concludere che le armi sequestrate al *** non possono annoverarsi fra le armi proprie, per la cui vendita è occorre la licenza prescritta dal TULPS. Ne discende 1' assoluzione dell'imputato dal reato ascrittogli.
P.Q.M.
Visto l'art. 530 c.p.p.,
assolve *** dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Firenze 4.11.04
Nota
La sentenza è del tutto corretta e risolve con chiarezza un problema che continua a persistere solo in qualche mente ottusa. Si veda la stramberia della vicenda in cui un commerciante ha la licenza per vendere sciabole e spade, accessori della divisa di corpi militari italiani, e viene imputato di vendere senza licenza riproduzioni di spade per uso scenico, per definizione non destinate ad offendere. Avrebbe poi dovuto essere ovvio per i verbalizzanti (e anche per il PM) che non esiste la licenza per la "vendita di sciabole da divisa", ma solo la licenza per vendita di armi bianche e che pertanto il commerciante aveva licenza per la vendita di qualsiasi arma bianca; eventualmente quindi il reato da contestare era la vendita di armi senza registrazione sul registro di PS.
A parte ciò, è ormai prassi assodata in ogni ufficio di PS intelligente che sciabole, spade, lance, pugnali tribali, katane e simili arnesi non hanno pià alcuna concreta destinazione ad offendere, ma sono divenuti degli strumenti da arredo, degli accessori della divisa, degli arnesi teatrali, degli arnesi sportivi con la stessa lesività di un ombrello appuntito e che solo un matto si sognerebbe di usare per ledere altri. Del resto le statistiche dimostrano che i matti, che sono matti, ma non stupidi, se devono commettere atti inconsulti, usano dei buoni coltelli da cucina, ma non certo un pezzo di ferro a forma di sciabola, che non taglia e non buca; e che se anche tagliasse e bucasse, sarebbe scomodissimo da portare e da usare. In altre parole ciò significa che a ritenere che una sciabola sia un'arma c'è rimasto solo qualche commissario di provincia!
A riprova di ciò si consideri che i negozi di coltelli e di articoli sportivi o di arredamento sono pieni di questi oggetti liberamente importati, liberamente esposti e venduti, liberamente detenuti, senza che l'Autorità abbia nulla da ridire ed eccepire.
Salvo poi partire a testa bassa contro il primo poveretto che viene controllato perché per le forze di polizia sembra valere questa regola sciagurata: se ti sei dovuto disturbare per controllare una persona, una denuzia la devi fare ad ogni costo, sia per le statistiche, sia per farle capire che dalla polizia bisogna star lontano ... anche se è lei che ti viene a cercare!
email - Edoardo Mori |
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