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Tempi duri per i possessori di armi. Saranno, ancora, più duri dopo il 1 luglio, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 26 ottobre 2010, n. 204.
Stendiamo un velo pietoso sulla tecnica legislativa adottata, che comporta una difficile lettura del testo, con buona pace per la legge n. 69/2009, che aveva previsto nuovi criteri per la “chiarezza” dei testi normativi e la “semplificazione” della legislazione.
Riteniamo opportuno, per il momento, soffermarci sulle disposizioni con le quali si pensa di prevenire gli atti violenti commessi con armi legittimamente detenute.
Le novità riguardano:
- l’obbligo di richiedere il certificato medico per il rilascio del nulla osta acquisto di armi. Il legislatore del 1931 non si era preoccupato troppo della dimostrazione della idoneità psicofisica dell’acquirente di armi, così da lasciare alla discrezionalità del Questore la possibilità di richiedere il certificato medico (art. 3, comma 1, lettera d);
- il certificato medico dovrà riportare, tra l’altro, che l’interessato “non risulti assumere, anche occasionalmente, sostanze stupefacenti o psicotrope ovvero abusare di alcool”;
-il Questore avrà, anche, la facoltà di richiedere “ogni altra certificazione sanitaria prevista dalle disposizioni vigenti”(art. 3, comma 1, lettera d);
- l’obbligo di comunicare l’ottenimento del nulla osta “a cura dell’interessato, ai conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio, individuati dal regolamento ed indicati dallo stesso interessato all’atto dell’istanza” (art. 3, comma 1, lettera d). Tale obbligo è previsto anche per il rilascio delle licenze di porto di armi (art. 3, comma 1, lettera f);
- la previsione che, “chiunque detiene armi, senza essere in possesso di alcuna licenza di porto d’armi, deve presentare ogni sei anni la certificazione medica” prevista per il nulla osta (art. 3, comma 1, lettera e);
- l’emanazione di un “decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’Interno, da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore” del decreto legislativo, con il quale dovranno essere “disciplinate le modalità di accertamento dei requisiti psico-fisici per l’idoneità all’acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi, nonché al rilascio del nulla osta” (art. 6, comma 2).
Dovrà essere prevista, anche, “ una specifica disciplina transitoria per coloro che alla data di entrata in vigore del decreto già detengono armi”(art.6, comma 2).
Con il medesimo decreto, infine, dovranno essere “definite le modalità dello scambio protetto dei dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell’ordine nei procedimenti finalizzati all’acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi”(art. 6, comma2).
Questi, dunque, sono gli strumenti con i quali si pensa di prevenire gli atti violenti commessi con armi da sparo, esorcizzandone, nel contempo, le paure dell’opinione pubblica.
Ci sia concesso, comunque, di esprimere delle riserve, in particolare per la previsione di comunicare ai familiari, da parte dell’interessato, che ha ottenuto la licenza di porto di armi o il nulla osta.
Purtroppo, tale disposizione e’ stata prevista dalla legge n.88 del 7 luglio 2009, in attuazione della direttiva comunitaria 2008/51/CE, del 21 maggio 2008; nell’art.36 è stato stabilito che il Governo avrebbe dovuto disporre per “una idonea informazione alle persone conviventi con il richiedente”.
E’ da evidenziare che tale disposizione è una “invenzione” del nostro legislatore, non prevedendo la direttiva europea una tale alzata d’ingegno. Infatti, l’art. 1, comma 4) di quest’ultima, ha solo stabilito che l’acquisizione e la detenzione delle armi da fuoco deve essere consentita a persone che “non possano, verosimilmente, costituire un pericolo per se stesse, per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza”. Quindi, con tale disposizione si è voluto solo richiamare l’attenzione degli Stati membri sulla necessità di stabilire delle modalità per impedire l’acquisto e detenzione di armi da parte di persone che non diano affidamento.
Non crediamo che tale finalità possa essere soddisfatta con la semplice previsione dell’avviso ai familiari conviventi; quando un soggetto abbia ottenuto una licenza in materia di polizia per le armi e, pertanto, abbia dimostrato che, a tutti gli effetti, è persona affidabile, non ha senso logico/giuridico l’obbligo di informare i conviventi.
Le conseguenze pratiche di tale obbligo saranno quelle di vedere aumentate le liti in famiglia e il riconoscimento implicito delle coppie di fatto.
Purtroppo, temiamo, con l’augurio di essere smentiti, che l’attuazione pratica del decreto legislativo, in particolare la facoltà riconosciuta al Questore di richiedere, anche, “ogni altra certificazione sanitaria”, nonché, l’emanazione del previsto decreto del Ministro della salute, comporteranno solo ed esclusivamente un effetto meramente burocratico, consistente nell’aumento del numero e della specie degli accertamenti sanitari, come se quelli già in vigore non fossero abbastanza complessi e costosi.
Quindi, ci permettiamo, molto umilmente, di formulare osservazioni e suggerimenti, con la speranza di poter fornire spunti per una riflessione più approfondita.
E’ necessario rilevare che gli attori più importanti di questa attività di prevenzione sono i medici “certificatori”, cioè il medico di famiglia, quelli dell’A.S.L., quelli militari, della Polizia di Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Prefetti e Questori, per la legittimità dei loro provvedimenti di rifiuto o revoca delle autorizzazioni in materia di armi, relativamente all’affidamento per i requisiti della idoneità psicofisica, non possono che dipendere dal parere obbligatorio e vincolante del medico certificatore.
Ma se i citati medici sono investiti di una responsabilità, anche morale, così delicata ed importante, è indispensabile che vengano forniti degli strumenti necessari per farvi fronte, esercitando con scienza e coscienza le attività di accertamento e certificazione.
I medici certificatori, per espletare al meglio il loro compito hanno due necessità, cioè quella della formazione e quella dell’informazione.
Relativamente alla prima, è opportuno che nella materia delle armi, i medici abbiano una adeguata formazione professionale sia dal punto di vista medico che legale, con la possibilità di poter disporre di un protocollo operativo di accertamento sanitario, clinico-diagnostico, così da rendere uniformi gli accertamenti su tutto il territorio nazionale.
Ma se la formazione ha un ruolo importante nella certificazione, ancor più importante è l’informazione, in particolare per i medici di famiglia che, meglio degli altri, “devono” conoscere i propri assistiti.
Si ritiene che una adeguata informazione sia lo strumento più efficace per una attività concreta di prevenzione degli atti violenti commessi con armi.
Infatti, il problema più delicato, da risolvere, è quello di individuare gli strumenti e le procedure che permettano di monitorare, dal punto di vista psico-fisico, il possessore di armi nel corso degli anni successivi all’acquisizione delle stesse.
In merito, non pensiamo possa venire in aiuto il previsto obbligo di presentare un certificato medico, ogni sei anni, per il detentore di armi che non sia in possesso di licenze di porto; la soluzione del problema non può trovarsi nella presentazione più o meno frequente di certificati.
Riteniamo, invece, che sia opportuno rivalutare la figura professionale del medico di famiglia, riconoscendogli la funzione di “coordinatore” di qualsiasi segnalazione relativa al proprio assistito.
E’ bene ricordare che il medico di base ha pur sempre una funzione pubblica che oscilla tra la qualifica di pubblico ufficiale e quella di incaricato di un servizio di pubblica necessità e che tale funzione gli è riconosciuta, non solo nell’attività di certificazione, ma anche in quella di accertamento.
E’ essenziale, quindi, che il medico di famiglia sia messo in grado di conoscere se un suo nuovo assistito sia affetto da particolari patologie e se faccia uso di determinati farmaci, nonché se sia in possesso di armi.
Tutte queste informazioni potrebbero essere acquisite attraverso la tessera sanitaria elettronica ( art. 50, legge n.326/2003), creata anche per svolgere funzione di carta per l’accesso in rete ai servizi erogati dalla P.A..
Un apporto significativo alla informazione potrebbe essere consacrato nell’obbligo , per le Forze di polizia, di segnalare ai medici di famiglia l’acquisto di armi da parte dei loro assistiti.
Se, dunque, il medico di famiglia fosse considerato il “coordinatore” di tutte le segnalazioni che possono interessare i suoi assistiti, a tutela della loro salute e incolumità personale e, indirettamente, della collettività, dovrebbe essere previsto l’obbligo per tutti i medici, anche degli ospedali e delle case di cura private, in particolare per gli psichiatri, di fargli pervenire tutte quelle segnalazioni ritenute opportune per una sua valutazione più approfondita.
Si pensi, per esempio, ai sempre più frequenti casi di ricovero in ospedale di persone colte da “ictus”, per le quali non è prevista nessuna segnalazione, nemmeno relativa alla patente di guida, sebbene sappiamo le stragi che possono essere fatte con una autovettura.
Tali segnalazioni metterebbero in grado il medico di famiglia di valutare la necessità di segnalare, o meno, il suo assistito alle autorità per l’adozione di provvedimenti di rispettiva competenza. La possibilità/potestà di segnalare gli assistiti “a rischio” dovrebbe essere prevista da una disposizione di legge che, a differenza dell’abrogato art. 153 del T.U.L.P.S., dovrebbe riconoscere al medico di base la facoltà, e non il dovere, di segnalare, secondo la propria scienza e coscienza.
Una tale previsione normativa permetterebbe di superare gli attuali divieti imposti dalla legge n. 196/2003 sulla tutela della privacy e dall’art. 622 del c.p. relativo al divieto di “rivelazione del segreto professionale”.
Per coloro che sostengono la impossibilità di travalicare i limiti imposti da queste ultime disposizioni, è opportuno evidenziare che un riconoscimento implicito dell’obbligo di segnalazione previsto dall’art. 153 del T.U.L.P.S. lo troviamo nella legge 29 luglio 2010, n. 120 (“Disposizioni in materia di sicurezza stradale”), nella quale, all’art. 23, comma 6, lettera b), è stato previsto che “i responsabili delle unità di terapia intensiva o di neurochirurgia sono obbligati a dare comunicazione dei casi di coma di durata superiore a 48 ore agli uffici provinciali del Dipartimento dei trasporti” per l’obbligo di revisione della patente.
In questa ipotizzabile attività di valutazione discrezionale, il medico di famiglia dovrebbe potersi avvalere della consulenza del “Collegio medico”, previsto dal Decreto del Ministro della Sanità del 28 aprile 1998, relativo ai requisiti psicofisici per le licenze di porto d’armi, con possibilità di ricorrervi anche da parte del Prefetto e del Questore, per ottenere una qualificata consulenza in materia da parte di un organo tecnico qualificato.
Si ritiene che questi modesti suggerimenti possano dare spunto per una maggiore, approfondita riflessione sulla problematica sulla prevenzione degli atti violenti commessi con armi legittimamente detenute.
Tale rischio non potrà mai essere del tutto annullato, ma sensibilmente ridimensionato, preso atto che, secondo gli esperti del settore, è molto difficile stabilire il confine preciso tra normalità e follia.
Una cosa è certa: le previsioni del Decreto Legislativo 288/2010, in materia di prevenzione ci sembrano “false idee di utilità”.
Si spera che, con il previsto Decreto del Ministro della salute, non vengano “inventate” ulteriori “false idee di utilità”, perché, come osservava Cesare Beccaria, queste ultime sono “una sorgente di errori e di ingiustizie”.
- Per approfondimenti sul tema:
A. Vicari, “La prevenzione nell’abuso delle armi”, in Rivista italiana di medicina legale, fascicolo 1, 2010, pg. 105.
(Firenze 6 aprile 2011)
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