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Dobbiamo riconoscere che, in questi ultimi anni, i
Giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato) sono riusciti ad
interrompere il circuito perverso per il quale il cittadino/ricorrente
contro gli atti illegittimi della P.A. ne usciva, quasi sempre,
soccombente.
Tale inversione di tendenza, probabilmente sviluppatasi dalla
riflessione che non è matematicamente possibile che la P.A. abbia
sempre ragione, è stata riscontrata anche nei contenziosi relativi alle
autorizzazioni sulle armi, materia nella quale è particolarmente facile
dare ragione a Prefetti e Questori, appellandosi ai principi
dell’ordine e della sicurezza pubblica, ritenuti giustamente sempre
prevalenti sugli interessi del privato cittadino.
Riprova di tale tendenza evolutiva si riscontra nella preoccupazione
dello stesso Ministero dell’Interno che, di fronte alla giurisprudenza
che ha accolto diversi ricorsi dei privati, in particolare sulla
problematica dei precedenti di cui all’art. 43 del T.U.L.P.S., si è
sentito in dovere di avere un conforto del Consiglio di Stato,
formulando quesiti, riscontrati con i “pareri” del 2014 e 2016, con i
quali è stata pienamente accolta e consacrata l’interpretazione
restrittiva già adottata dal Ministero. In merito, comunque,
auspichiamo che, in futuro, i Giudici non tengano conto di tali pareri,
ma, invece, della giurisprudenza evolutiva che si è andata formando in
questi ultimi anni, con annullamento di atti illegittimi di Prefetti e
Questori.
Ma, nonostante tale tendenza, purtroppo, ancor oggi, anche nelle
sentenze favorevoli al cittadino troviamo la solita formula delle
“spese compensate”!....Praticamente la giustizia amministrativa dei TAR
e dello stesso Consiglio di Stato formalizza e rende esecutivo il detto
popolare “becco e bastonato”. Infatti, in pratica ed in parole semplici
il giudice riconosce al cittadino che le sue rimostranze nei confronti
del provvedimento della P.A. sono giuste , in fatto e diritto, ma che,
nonostante abbia ragione deve ugualmente provvedere a pagare parte
delle spese di giudizio e l’avvocato (e non si tratta di pochi
spiccioli!...).
Peraltro ciò che più colpisce di questa disposizione, incomprensibile
per l’uomo della strada, è che la legge prevede che il giudice, a sua
discrezione, possa compensare le spese quando “concorrono gravi ed
eccezionali ragioni”, ma queste ultime devono essere “esplicitamente
indicate nella motivazione” della sentenza (art. 92 c.p.c.).
Purtroppo, quasi sempre, tale motivazione si riduce a formule di stile
quali ”tenuto conto della opinabilità (o complessità) della materia” o
“la particolarità della situazione giustifica la compensazione delle
spese”, formule più volte ritenute illegittime dalla stessa Corte di
Cassazione (Sent. n. 3000/2010).
Se, dunque, la giustizia amministrativa, ancor oggi, nonostante le
aperture nei confronti delle legittime aspettative del cittadino, fa
ancora fatica ad accettare anche il principio che “chi sbaglia paga”,
tuttavia è doveroso evidenziare l’eccezione a tale comportamento.
E’ il caso del TAR della Sardegna (Sent. n.548/2016) che ha condannato
il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese processuali, siccome
soccombente nel ricorso presentato da un cittadino che si è visto
rifiutare dal Questore il rinnovo della licenza di porto di fucile per
uso caccia.
Tale rifiuto si è basato esclusivamente su una condanna “per porto di
oggetto atto ad offendere, assai risalente nel tempo (2009)”, reato
dichiarato estinto per intervenuta oblazione, nonché per il
procedimento realitivo al reato di furto di un cesto di olive,
procedimento “archiviato” con decreto del G.I.P..
Molto probabilmente il rifiuto del Questore è stato
influenzato/determinato dalla circolare del 28 novembre 2014, con la
quale il Ministero dell’Interno, a seguito del parere del Consiglio di
Stato del 16 luglio 2014, ha diramato disposizioni restrittiveAll. al D.to Lvo per il
rilascio/rinnovo delle licenze di porto d’armi a soggetti con
precedenti elencati nell’art. 43 del T.U.L.P.S., anche se riabilitati o
datati.
Comunque, il TAR non ha tenuto giustamente in nessun conto il parere
del Consiglio di Stato, ma ha seguito la giurisprudenza evolutiva dello
stesso sulla interpretazione della normativa in materia andatasi
formando in questi ultimi anni.
Senza ombra di dubbio il Ministero presenterà appello al Consiglio di
Stato.
Vogliamo sperare che non venga sconfessata la sentenza del TAR della
Sardegna, almeno “una tantum”!......
Firenze 19 settembre 2016
NOTA
Riporto per opportuna conoscenza il testo dell'art. 26 del Codice del
processo Amministrativo (All. al D.L.vo 104/2010) che regola la
compensazione delle spese nel processo amministrativo:
Art. 26 - Spese di giudizio
1. Quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese
del giudizio,secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di
procedura civile, tenendo anche conto del rispetto dei principi di
chiarezza e sinteticità di cui all'articolo 3, comma.
2. In ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la
parte soccombente alpagamento, in favore della controparte, di una
somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio
delle spese liquidate, in presenza di motivimanifestamente infondati.
(1)
2. Il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione
pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al
quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo
del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito
temerariamente in giudizio. Nelle controversie in materia di appalti di
cui agli articoli 119, lettera a), e 120 l'importo della sanzione
pecuniaria può essere elevato fino all'uno per cento del valore del
contratto, ove superiore al suddetto limite. Al gettito delle sanzioni
previste dal presente comma si applica l'articolo 15 delle norme di
attuazione. (2)
(1) Comma così modificato dall'art. 1, D.Lgs. 14 settembre 2012, n. 160
e, successivamente, dall'art. 41, comma 1, lett. a), D.L. 24 giugno
2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n.
114.
(2) Comma sostituito dal D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195 e,
successivamente, così modificato dall'art. 41, comma 1, lett. b), D.L.
24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11
agosto 2014, n.114.
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