Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Porto di armi degli appartenenti alla polizia municipale

   Considerato il sempre più frequente impiego dei Corpi di polizia municipale in attività sussidiarie e di collaborazione con le Forze di polizia, riesce difficile pensare ad una limitazione territoriale del porto di armi da parte dei loro appartenenti.
   Infatti, nonostante il legislatore si sia interessato per promuovere la sicurezza urbana integrata, attraverso la stretta collaborazione tra le Forze di polizia statali e quelle locali (D.L. 20 febbraio 2017, n. 14), stanziando, nel contempo, fondi per l’ampliamento degli organici e fornendo strumenti sempre più adeguati (D.L. 4 ottobre 2018, n. 113), purtroppo, ancora, si deve disquisire sulla possibilità del porto di armi da parte degli agenti della polizia municipale fuori dal territorio ove prestano servizio.
   La dimostrazione che, nonostante il tempo trascorso dalla oramai datata legge- quadro n.65, del 7 marzo 1986, sull’ordinamento della polizia municipale, vi sia ancora la necessità di un chiarimento sulla limitazione territoriale di tale porto, si riscontra nel recente decreto sicurezza Salvini ( D.L. 4 ottobre 2018, n. 113), con il quale il legislatore ha ritenuto necessario dare la interpretazione autentica dell’art. 5, c. 5, primo periodo, della suddetta Legge.
    Non mettiamo in dubbio la necessità di un intervento del legislatore per il definitivo chiarimento sulla limitazione territoriale, attesa la non particolarmente chiara formulazione della Legge-quadro n. 65/1986, nonché del collegato Regolamento sull’armamento n. 145, del 4 marzo 1987.
   Invece, mettiamo in dubbio la necessità di fornire una interpretazione autentica di quella parte della normativa sulla limitazione territoriale già comprensibile attraverso semplici argomentazioni logico/giuridiche.
   Infatti, tale interpretazione autentica, non presente originariamente nel D.L. n. 113/2018, ma inserita solo successivamente nella conversione in legge n. 132/2018, ha precisato che la disposizione di cui all’art. 5, c. 5, primo periodo, della legge-quadro n. 65/1986, si interpreta nel senso che gli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualifica di agente di pubblica sicurezza possono portare, senza licenza, le armi di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, nonché nei casi di operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, anche al di fuori del territorio dell’ente di appartenenza esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza.
   Esaminando nel particolare tale interpretazione, si evidenzia che:
- la possibilità di portare armi senza licenza da parte degli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agenti di pubblica sicurezza, nei termini e nelle modalità previsti dai relativi regolamenti, è già esplicitamente contemplata dall’art. 5, c. 5, prima parte, della Legge n. 65/1986;
- l’altra possibilità (nonché), esplicitata nella seconda parte, cioè quella di poter portare l’arma, nei casi di operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, anche al di fuori del territorio dell’ente di appartenenza, esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza, pur non essendo stata prevista espressamente nella Legge-quadro n.65/86, né tantomeno nel relativo Regolamento n.145/1987, tuttavia si può evincere da una non difficile interpretazione della stessa Legge.
   Infatti, nell’ art.5, c. 5, oltre a stabilire i termini e le modalità del porto (anche fuori dal servizio, purché nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza), al fine di ampliare quest’ultimo limite, vengono espressamente richiamati anche i casi di cui all’articolo 4, richiamo ripetuto anche nell’art. 6, c. 2, del Regolamento n. 145/1987. In questi casi particolari, elencati tassativamente dalla Legge per legittimare eccezionalmente l’esercizio delle specifiche funzioni anche fuori del territorio di competenza, troviamo la previsione che le operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, sono ammesse esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza (art. 4, c.1, n.4, lett.b), L. n.65/1986).
   Quindi, se da una parte la Legge-quadro (art. 5, c. 5) ha stabilito il principio che il porto dell’arma è legittimo solo nell’ambito territoriale, dall’altra ha anche previsto alcuni casi particolari, elencati dettagliatamente nell’art. 4, n. 4, nei quali l’operatore è legittimato a svolgere le proprie funzioni anche fuori del territorio di competenza (collegamento, rappresentanza, operazioni di polizia in caso di flagranza, soccorso per calamità e disastri, per rinforzare altri corpi), essendo conseguenzialmente legittimato anche al porto dell’arma, sia per il migliore espletamento delle suddette funzioni, sia per la sua incolumità personale.
   Quest’ultima interpretazione è stata avallata dalla prima circolare del Ministero dell’Interno del 14 maggio 1987 (pag. 3), relativa alle Indicazioni esplicative del decreto ministeriale n. 145 del 4 marzo 1987, con la quale sievidenziava che importante limite, al porto dell’arma senza licenza, è quello costituito dal territorio del comune di appartenenza, con le sole eccezioni consentite dall’art. 4, n. 4) della legge.
E’ pur vero che la stessa Legge n. 65, nell’art.5, demanda al Regolamento di stabilire i casi particolari nei quali l’esplicazione delle funzioni fuori del territorio sono ammesse anche con le armi, così limitando l’elenco di cui all’art. 4, ed è anche vero che l’ipotesi delle operazioni esterne, in caso di flagranza dell’illecito, non è ricompresa nel Regolamento (art.8), alla stregua dei servizi di rappresentanza; tuttavia, riteniamo che l’interpretazione autentica data dal legislatore corrisponda a quella seguita nella prassi da parte degli operatori delle Polizie municipali.
   Infatti, la previsione della Legge n. 65 non poteva essere interpretata diversamente. Basta pensare all’esempio di un agente della polizia municipale che cerchi di catturare un malvivente colto nella flagranza di una rapina; ove l’inseguimento sconfini oltre il limite territoriale di competenza, non avrebbe nessuna spiegazione logico/giuridica il fatto che lo stesso operatore di polizia, autorizzato dalla Legge ad arrestare il reo anche fuori comune, non sia legittimato a continuare tale inseguimento quando sia armato. A tal proposito è da ricordare che il personale che svolge servizio di polizia municipale esercita anche funzioni di polizia giudiziaria, pur nei limiti stabiliti dalla legge (art. 5, c. 1, lett. a) l. 65/86), come peraltro previsto dall’art. 57, c. 2, lett. b), c.p.p, e di conseguenza deve adempiere agli obblighi previsti dalla legge per tale funzione, come impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori (art. 55 c.p.p.).
   L’adempimento di tali obblighi, come quello di inseguire il reo oltre il territorio comunale, con arma di dotazione al seguito, per assicurarlo alla giustizia, fa venir meno eventuali responsabilità in base all’art. 51 del c. p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere).
   Dunque, sembra che l’interpretazione autentica sia del tutto superflua, essendo già il falso problema risolvibile attraverso l’interpretazione della Legge.
   Nonostante ciò, riteniamo che una interpretazione autentica sulla legittimità, o meno, del porto di armi, fuori dell’ambito territoriale di competenza, sia tuttora necessaria, ma relativa alla fattispecie del porto inerente le attività/funzioni burocratiche che debbano essere svolte in altri comuni, come per esempio la consegna di informative di reato e reperti alle Procure della Repubblica, di atti agli Uffici Territoriali del Governo, ecc..
   Quindi, necessità di una interpretazione autentica sulla legittimità del porto dell’arma, in dotazione permanente, oltre i limiti territoriali, per svolgere tutte quelle incombenze burocratiche, per le quali vi sarebbe tutto il tempo di depositare l’arma presso i Comandi, considerato anche che, trattandosi di attività meramente burocratiche, il porto non sembrerebbe avere nessuna utilità, come del resto stabilito dal Regolamento il quale prevede che i servizi di collegamento e rappresentanza fuori dal territorio del comune di appartenenza sono svolti di massima senza armi (art.8).
   La problematica non è di poco conto, ma, al contrario, particolarmente importante, siccome molte delle attività burocratiche svolte dagli addetti ai Corpi di polizia municipale devono obbligatoriamente concludersi presso uffici ubicati fuori dal territorio di competenza.
   Per cercare di dare una risposta a tale interrogativo è da evidenziare che la Legge
n. 65 ha stabilito il principio generale che l’operatore della polizia municipale è legittimato a svolgere le proprie funzioni solo nel territorio comunale di appartenenza (art. 4), cosicché la giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto che debbono essere annullate le contravvenzioni contestate fuori del territorio (Cass., civile, Sent. 5771/2008).
   La stessa Legge conferma tale principio relativamente al porto delle armi in dotazione, stabilendo che possono essere portate anche fuori dal servizio, purché nell’ambito territoriale (art. 5, c. 5), principio riportato dal Regolamento n. 145 (art. 6, c. 2).
    Tale limitazione territoriale è stata evidenziata dallo stesso Ministero dell’Interno, con circolare del 14 maggio 1987, esplicativa del Regolamento, stabilendo che nei casi in cui la necessità di difesa personale fossero tali da non poter soffrire le limitazioni territoriali di porto dell’arma in dotazione sarà necessario, esistendone i presupposti, ricorrere ad apposita licenza di porto d’armi per difesa secondo la disciplina ordinaria.
   La volontà del legislatore di stabilire il principio limitativo delle funzioni e del porto vincolandoli al territorio comunale di competenza, si deduce anche dalla previsione con la quale vengono espressamente e tassativamente stabilite le deroghe a tale limitazione (art. 4, L. n. 65; art. 6 Reg. n. 145).
   Infatti, come abbiamo evidenziato nella prima parte, la Legge n. 65 ha elencato espressamente nell’art. 4 una serie di casi particolari nei quali le funzioni dell’operatore della polizia municipale possono essere svolte al di fuori del proprio territorio e cioè per missioni esterne per soli fini di collegamento e rappresentanza; per operazioni di polizia in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di competenza; per missioni esterne per soccorso in caso di calamità e disastri o per rinforzare altri corpi.
   Sempre la stessa Legge, per legittimare anche il porto fuori del territorio comunale ha richiamato i casi di cui all’articolo 4, rinviando, nel contempo, ad una più particolareggiata individuazione di questi ultimi, da stabilirsi con apposito regolamento approvato con decreto del Ministro dell’interno (Art. 5, c. 5).
   Il Regolamento n. 145/1987, nel rispetto del principio della Legge che ha disposto la limitazione territoriale del porto, ha previsto che i servizi di collegamento e di rappresentanza esplicati fuori dal territorio del comune di appartenenza(art.8), nonché quelli in caso di calamità e disastri o per rinforzare altri corpi (art.9), sono svolti di massima senza armi (artt. 8 e 9).
   Tuttavia, lo stesso Regolamento ha ritenuto opportuno legittimare il porto fuori del territorio, per coloro che hanno assegnata l’arma in via continuativa, solo per recarsi nei comuni in cui svolgono compiti di collegamento o comunque per raggiungere dal proprio domicilio il luogo di servizio e viceversa (art. 8), nonché per calamità e disastri, o rinforzo, a richiesta del sindaco richiedente (art.9) (l’art. 19 del Reg., così come sostituito Decreto 18 agosto 1989, n.341, autorizza anche il porto per l’addestramento obbligatorio all’uso delle armi presso poligoni di tiro a segno ubicati in altri comuni.).
   Quindi, si è ritenuto non necessario autorizzare il porto fuori del territorio per i servizi di rappresentanza, in considerazione della mancanza di rischi nello svolgimento della stessa.
   Oltre a ciò, come abbiamo già osservato, il Regolamento non ha preso in considerazione nemmeno il fatto di perseguire un illecito, in caso di flagranza, oltre il proprio territorio, nonostante la necessità di avere un’arma per vincere resistenze e per la propria incolumità personale; ciò non per dimenticanza, ma perché si è ritenuto superfluo autorizzare un comportamento già legittimato, esplicitamente dalla Legge per quanto riguarda l’operazione esterna di polizia (art. 4, n. 4, lett. b) L.n. 65), ed implicitamente per quanto riguarda il porto dell’arma, come del resto confermato dalla interpretazione autentica.
   Dunque, riconosciuta dal Regolamento la legittimità del porto da parte degli operatori della polizia municipale nei comuni in cui svolgono compiti di collegamento (art.8), porto finalizzato al miglior espletamento delle proprie funzioni nelle missioni esterne al territorio ( art. 4, n4, L. n. 65), sarebbe stato maggiormente necessario che una interpretazione autentica avesse spiegato la locuzione compiti di collegamento. Quali attività rientrano nel concetto dei compiti di collegamento?
    Secondo i dizionari della lingua italiana per collegamento devono intendersi le fasi necessarie di una attività. Questa definizione ci permette di capire meglio quali attività/funzioni degli operatori di polizia municipale rientrano nel concetto di collegamento, legittimando, così, anche il porto fuori dal territorio comunale.
   In base a tale definizione, si ritiene che il porto sia legittimo per tutte quelle attività di servizio che hanno inizio nel territorio comunale di competenza, ma che, essendo composte da più fasi, per la loro conclusione debbano obbligatoriamente ed esclusivamente essere svolte nel territorio di altro comune. Si prenda ad esempio la contestazione di un illecito, con relativo sequestro: detta attività è composta da più fasi, suddivise tra quelle che si svolgono all’interno del territorio di competenza (accertamento illecito, verbale di sequestro) e quelle che debbono obbligatoriamente svolgersi in altro territorio ( consegna informativa di reato e reperti presso la Procura della Repubblica); sia le une che le altre sono fasi necessarie per il completamento dell’attività di polizia giudiziaria dell’operatore di polizia municipale (art. 5, c1, lett. a), L. n.65) che rientrano nel concetto di collegamento e che quindi legittimano anche il porto fuori del territorio comunale di competenza.
   Il Ministero dell’Interno, in merito alla legittimità del porto fuori del territorio per attività di servizio, con circolare del 23 settembre 1992 ebbe a ribadire la regola del limite territoriale, ma anche a precisare che gli operatori della polizia municipale possono portare senz’altro l’arma anche nei comuni diversi da quello di appartenenza, quando vi si rechino per ragioni di servizio.
   Dunque, riteniamo che, quando si tratti di ragioni di servizio e di adempimento di un dovere d’ufficio, il porto è legittimo anche fuori dal territorio di competenza per motivi di collegamento, sempreché:
- l’attività per ragioni di servizio abbia inizio nel territorio di competenza;
- che le fasi necessarie per la conclusione di tale attività debbano concludersi necessariamente ed obbligatoriamente solo in un comune diverso da quello dove vengono svolte le proprie funzioni.
Comunque, più che una interpretazione autentica sulle attività di collegamento, c’è bisogno di una nuova legge-quadro che tenga conto dei sempre crescenti impegni dei Corpi di polizia municipale anche nella tutela della sicurezza pubblica.
   Non si riesce a comprendere l’aumento di competenze voluto dai vari Governi che si sono succeduti nel corso di tutti questi anni, senza preoccuparsi di una adeguata revisione della Legge-quadro.
   Non si riesce a comprendere tale colpevole inerzia, tenuto conto che si disquisisce ancora sulla possibilità del porto fuori comune della polizia municipale, mentre le Guardie giurate, già da diversi anni, non hanno limiti temporali , né territoriali, in base al principio del favor laboratoris, riconosciuto dal Consiglio di Stato (Parere n.543, 5 maggio 1979, circolare Min. dell’Interno 23 novembre 1979).
   Ma gli operatori delle Polizie municipali non sono lavoratori anche loro?.......

Firenze 27 gennaio 2019                        ANGELO VICARI

 


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