A leggere i giornali viene da chiedersi se i pubblici
ministeri italiani abbiano mai studiato la lingua italiana e abbiano
mai letto un codice.
Ogni tanto qualcuno si suicida, quasi sempre per motivi chiarissimi
visto che il suicidio è il prodotto della depressione, e i pubblici
ministeri indagano subito qualcuno che era in contrasto col suicida,
per il reato di istigazione al suicidio.
La norma del codice penale è fra le più chiare:
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di
suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione , è punito,
se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se
il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque
anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale
grave o gravissima.
Quindi chiunque sappia leggere capisce che ci vuole una condotta
volontaria e consapevole, diretta ad indurre una persona a
suicidarsi oppure diretta a dare la spinta finale a chi già si propone
di suicidarsi; il reato può anche essere commesso aiutando chi vuol
suicidarsi. Quindi si possono fare i seguenti casi:
- una persona fa opera di convincimento sulla vittima dicendo,
veramente o falsamente, che non ha altra alternativa ai suoi problemi
che il suicidio;
- una persona fa credere falsamente alla vittima che si trova in una
situazione tale da doversi suicidare (ad esempio gli fa credere di
essere ammalato di un male incurabile);
- una persona fornisce al suicida il veleno per suicidarsi.
È perciò di tutta evidenza che non è sufficiente ad integrare il reato
l'avere posto in essere la situazione che ha turbato la mente del
suicida; non basta essere l'usuraio che ha richiesto in modo pressante
restituzione dei soldi, non basta aver maltrattato la persona che si
suicida, non basta il fatto di non essersi opposti; occorre una
condotta diretta a convincere con argomenti favorevoli al suicidio o il
concreto aiuto una persona a suicidarsi. In ogni altro caso si
potranno configurare altri reati eventualmente commessi (estorsione,
maltrattamenti, violenza privata), ma non l'istigazione al suicidio.
È cosa del tutto pacifica in giurisprudenza fin da quando è stato
pubblicato il codice Rocco e, ad esempio, nel 1964 la cassazione scrive
Il reato di istigazione al suicidio previsto dall'art 580 cod. pen. si
concretizza, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, quando
l'attivita dell'agente sia rivolta ad istigare od a rafforzare l'altrui
proposito suicida. Quando, invece, l'attività sia stata semplicemente
rivolta a maltrattare e quindi a provocare sofferenze materiali e
morali e la morte siasi realizzata come ulteriore conseguenza non
voluta, la suddetta figura di reato non ricorre, dovendo invece trovare
applicazione il capoverso dell'art 572 cod. pen.( Sez. 1, Sentenza n.
1560 del 28/10/1964)
Le poche sentenze successive sono assolutamente costanti e non lasciano
alcun margine per diverse interpretazioni.
Ma allora, per quale motivo i pubblici ministeri corrono ad aprire
inchieste fantomatiche o sono i giornalisti che vengono tratti in
errore?
Perché non conoscono la legge? Ma è così difficile aprire un codice
oppure dobbiamo credere a molti già sospettano, e cioè che essi vanno
ad orecchio?
Perché voglio andare sui giornali e farsi belli? Ma sarebbe una cosa
squallida.
Perché voglio costringere qualcuno a pagarsi l'avvocato? Ma i pubblici
ministeri applicano la legge o fanno giustizieri? Tra l'altro condotte
così sconsiderate possono creare vacue aspettative dei parenti della
vittima, indotti a correre da un avvocato per farsi assistere a suon di
danaro in una causa persa.
Come avrete capito lo spunto per questo scritto mi è venuto dalla
vicenda della giovane che si è fatta filmare in pose erotiche e poi non
ha retto alla vergogna di vedere i filmato girare per Internet, ma
negli ultimi anni ho visto almeno una decina di casi in cui i pm sono
partiti a ravvisare istigazioni al suicidio totalmente sballate. E non
mi ricordo di aver mai visto nessuno condannato per questo reato. Si è
trattato di pure sceneggiate a vuoto che però hanno distolto polizia e
giudici dal fare ciò per cui sono pagati e in cui non rientrano certo
gli spettacolini! Unici a goderne, a quanto pare gli avvocati; vien
proprio da chiedersi chi abbia trascinato la giovane a proporre alla
giustizia domande prive di ogni speranza: ormai anche i bambini sanno
che ciò che finisce in Internet non sparisce certo per ordine di un
giudice italiano.
L'episodio della giovane è senz'altro drammatico, ma forse più che
sulle responsabilità dei singoli si dovrebbe riflettere sulle
responsabilità di una società che ha rinnegato i valori che l'hanno
sostenuta finora, senza riuscire ad offrire nulla di valido,
oltre l'infinito gracidare delle rane che si muovono nella palude di
Internet e che ci si trovano bene finché non incappano nel coccodrillo.
Tutti sono convinti di agire in un mondo virtuale di favola, in un
grande gioco, dove tutto è permesso, dove tutto è finzione, dove si può
fare ciò che nella vita reale è vietato e punito, dove ci si può
vantare di essere bulli o puttane o di violare la legge. Ma ciò che di
reale si racconta o si mostra rimane la dura realtà da affrontare con
nervi saldi o con psicologi; non certo con giudici e avvocati!
16-9-2016