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Nr. 1608/1999 Reg. Gen
Sent. nr. 437/02
TRIBUNALE DI CATANIA
Il dr. Santino Mirabella ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale
CONTRO
**** ****
Imputato: a) di disastro colposo, b) omicidio colposo, c) lesioni colpose
(omissis)
Assume un aspetto fondamentale (di per sé addirittura autonomo ripetto
al decesso di Vaccalluzzo Gianliuca e del ferimento di Leotta Nicola, alla luce
della ipotesi di reato ex capo di imputazione a), verificare se il tipo di distruzione
del materiale pirico effettuato presso la Pirotecnica rispondesse ai requisiti
della sicurezza e della correttezza formale e sostanziale.
I consulenti del P.M., ing. Manlio Averna e dott. Giovanni Brandimarte, ritengono
che le modalità del brillamento non siano state eseguite a regola d'arte.
Infatti non si porrebbe come regola di prudenza il brillamento incontrollato
di grossi quantitativi di fuochi artificiali soprattutto in presenza di materiale
artigianale di natura sconosciuta; pertanto sarebbe stata preferibile la scelta
della immersione in acqua o, almeno, il brillamento 'a rate, cioè con
piccole quantità di materiale per volta con il controllo a campione degli
effetti provocati dalle varie tipologie di fuochi. Inidonea appare, per il consulenti,
anche la stessa scelta della fossa di combustione in quanto non garantiva sicurezza
nei confronti della stessa Pirotecnica per la probabilità di proiezioni
di materiale incandescente nella zona confezionamento fuochi, nonché
per il rischio di incendio dei luoghi immediatamente circostanti.
I periti del G.I.P., dott. ing. Michele Brescia e per. min. Carmelo Ferraro,
non lesinano critiche alle modalità della distruzione. Secondo loro la
distruzione per via pirica sarebbe sempre da sconsigliarsi se non (eventualmente)
per piccole dosi, evitando sempre la distruzione di massa. Il ragionamento è
che non si possono prevedere tutti i possibili fenomeni di sovraproiezione di
materiale incandescente verso l’esterno (onde per cui il tipo di fossa
di combustione utilizzata per la suddetta distruzione non poteva essere idonea
non garantendo nel senso indicato; conseguenzialmente i periti ritengono non
correttala modalità prescelta; specie alla luce del fatto di essere all'interno
dì una fabbrica di fuochi di artificio ed in prossimità di un’altra
fabbrica dì polvere nera. Le modalità alternative sarebbero dovute
più correttamente essere o l'annegamento in acqua, o la distruzione per
piccole dosi, previa apertura dei fuochi e realizzazione di sottili strisce
di materiale al fine di contenere la distruzione entro i limiti normali della
combustione, senza farla degenerare in esplosione.
Come si vede, i consulenti del P.M. e del G.I.P. pervengono a conclusioni analoghe.
In dibattimento la loro posizione, che dalle consulenze e perizie risulta invero
leggermente apodittica nelle conclusioni, viene opportunamente approfondita
dalle parti. Nelle relazioni scritte, infatti, sembra che le modalità
di brillamento, del resto abitualmente utilizzate, così come ammesso
dai vari testi, non siano state eseguite a regola d'arte in quanto sarebbe stato
preferibile intraprendere una strada diversa. Quello che lascia incerti è
che, comunque, tutto sembra essere stato argomentato ex poste non ex ante. Cioè
sembra che la valutazione di pericolosità in sé derivi dal fatto
che, partendo dall’assunto che la esplosione avvenuta alla VIP derivi
causalmente dalla esplosione avvenuta presso la Pirotecnica, ciò dimostrerebbe
che il brillamento era quindi pericoloso e sarebbe stato preferibile adottare
una diversa soluzione.
Infatti, ricapitolando, la pericolosità delle modalità di distruzione
attengono ai seguenti elementi:
a) pericolosità "soggettiva", in quanto derivante da mere valutazioni
peritali;
b) il fatto di essere in una fabbrica di fuochi di artificio;
c) il fatto di essere vicino ad una fabbrica in cui veniva lavorata la polvere
pirica.
Analizziamo punto per punto:
a) La pericolosità definita soggettiva non comporta una certezza giuridicamente
valida. Non vi sono norme di legge anche solo regolamentari, che indichino in
maniera inequivoca la strada che occorreva intraprendere. La valutazione. finale
è, pertanto, proprio una mera valutazione, per ciò , stesso suscettibile
di censure e perplessità, così come meglio evidenziato in seguito.
Il fatto di essere all’ interno di una fabbrica di fuochi di artificio
non può rendere per ciò stesso pericolosa una operazione di brillamento.
Il problema e quello di predisporre gli accorgimenti necessari, ed in tal senso
occorre rilevare come:
1) gli operai erano stati opportunamente allontanati. Come si e visto, ciò
si è senz'altro verificato, anche se vi è chi sostiene che tale
allontanamento si era verificato per espresso direttiva data dall'ispettore
Schifano e chi sostiene che invece si erano allontanati tutti di fatto in quanto
resi comunque edotti della imminente esplosione;
2) un casotto interno alla fabbrica venne chiuso e le persone all'interno allontanate;
3) la fossa di combustione preesisteva ed in essa si erano effettuate sempre
le distruzioni consimili. Se la valutazione di inidoneità si pone su
un preteso ragionamento ex post, allora per coerenza dovrebbe rilevarsi, proprio
ex post, che la fossa è rimasta pressoché integra e ciò
cozza con la valutazione di inidoneità della stessa;
4) sempre utilizzando il ragionamento ex post, parimenti non può trascurarsi
come all'interno della fabbrica, cioè proprio dove si sarebbe sviluppato,
in seguito all'esplosione, un fungo tipo 'Hiroshima', non si sono verificati
danni, neppure lievi. Né vi sono stati incendi nella vegetazione confinante
con la Pirotecnica e, soprattutto, nella fascia tra le due fabbriche. Qualunque
valutazione ex post non può sostituirsi ad una valutazione ex ante; con
il senno del poi, cioè, è facile dire cosa si doveva fare prima
(non dimenticando che, nel caso in specie, la valutazione col senno del poi
si basa per giunta su di un assunto indimostrato, e cioè che una esplosione
ha causato l'altra); ma, parimenti, a questo punto, una valutazione ex ante
non può prescindere, in termini di certezza, dalla valutazione ex post.
Troppo semplice dire che se alla pirotecnica non è assolutamente successo
niente, tutto è dipeso dal mero caso fortuito Tale considerazione dei
periti del G.I.P. fa emergere la latitanza di considerazioni scientificamente
apprezzabili ed utilizzabili nel processo de quo.
Forse la presenza della fabbrica VIP nelle vicinanze avrebbe potuto. comportare
una modalità diversa, quanto meno per un eccesso di prudenza sempre valido,
alla luce del "non si sa mai". Forse. Ma Schifano non sapeva della
VIP. I Vaccalluzzo sì. Qualunque modifica alle modalità di brillamento
sarebbe dovuta nascere da loro, anche solamente prospettando agli artificieri
questa situazione. Nulla in tal senso può muoversi contro lo Schifano.
Ma in ogni caso non si è saputo indicare in maniera incontrovertibile
(questa è una sentenza e necessita di certezze; non è un trattato)
se e quali modalità avrebbero dovuto certamente essere applicate per
escludere ogni rischio. Tutte le modalità potevano riservare rischi;
ma ragionare coi senno del poi è facile ma fuorviante. Lo stesso gen.
Schiavi, consulente della Difesa, davanti ad una precisa domanda circa la correttezza
delle modalità esecutive della distruzione presso la Pirotecnica, riconosce
che, sapendo ora quello che è successo e ciò che si è ritenuto
in ordine al nesso causale per estrema prudenza avrebbe anche operato diversamente.
Ma il discorso è ovviamente drogato da quanto successo (morti, feriti,
processi, udienze) e, col senno del poi, ogni eccesso di prudenza non è
sconsigliabile. Ma il discorso dei consulente, in senso assoluto, non smentisce
quanto ritenuto circa l'impossibilità di raggiungere la certezza che
quel tipo di distruzione sia stata organizzata male, anche a prescindere dal
nesso causale con le ulteriori e disastrose esplosioni presso la fabbrica VIP.
Dalle relazioni dei consulenti e dei periti, pertanto, si traggono conclusioni
che non convincono il Tribunale, non perché campate in aria, ma perché
per condannare una persona occorre che dal processo emerga una prova della commissione
del reato e non il mero, anche se pregnante, sospetto.
Possiamo allora verificare se dalle deposizioni dibattimentali la posizione
degli esperti sia stata esplicitata in maniera più convincente.
A seguito alle domande dibattimentali, sia i consulenti che i periti persistono
nella loro posizione; ma non aggiungono niente rispetto ai dubbi ora sollevati.
I consulenti insistono nelle foro posizioni senza aggiungere nulla di nuovo.
Il brillamento per piccole dosi, o l'immersione in acqua, vengono ritenute le
modalità che dovevano essere attuate per effettuare la struzione di materiale
in parte artigianale e sconosciuto.
Gli ing. Brescia e Ferraro, anzi, proprio davanti ad una esplicita domanda circa
l'esistenza di regole precise da applicare nel caso in specie, parlano espressamente
di mere regole di buon senso (Brescia: c’è una regola che va al
di là delle regole scritte o imposte dalla legge che è quella
della sopravvivenza e quindi il buon senso). E' chiaro quindi, come detto, che
non vi è una vera e propria disposizione di legge su come effettuare
i brillamenti, trattandosi appunto, più che altro, di norme di media
diligenza, frutto di valutazioni ed interpretazioni valide caso per caso e che
possono essere opinabili ed opinate, ma non per questo si può parlare
con certezza assoluta di una strada preferenziale all'altra; specie in casi
borderline come questo, dove la valutazione di una scelta è stata effettuata
in un determinato momento e giudicata in un secondo momento alla luce, però,
di fatti, circostanze e soprattutto esiti non sufficientemente suffragati.
Del resto l'annegamento in sé (sempre ammesso che fosse possibile nel
caso in specie, dato che sembra che presso la Pirotecnica non vi erano mezzi
adeguati per questo anche se ciò poteva comunque, al limite, suggerire
di fare la distruzione altrove, non obbligando comunque la distruzione per esplosione
qualora fosse ritenuta pericolosa) non e una modalità priva di ogni pericolo:
come evidenziato in dibattimento, esistono artifizi impermeabili, le cui miscele
sono agglutinate con collanti, resine e gomme che li rendono del tutto insolubili
in acqua; inoltre gli artifizi dotati di involucri in plastica, una volta estratti
dall'acqua tornerebbero ad essere pericolosi come prima. Nel materiale distrutto
presso la, Pirotecnica non vi è prova che non vi fossero anche artifizi
del tipo indicato e pertanto non è sicuro nemmeno che l’annegamento
al posto del brillamento avrebbe per ciò stesso ridotto o aumentato un
eventuale rischio.
Né altro tipo di interventi poteva essere sicuramente indicato in maniera
migliore, alla luce dell'ovvia pericolosità di intervenire manualmente
su un artificio sconosciuto smontandolo o peggio tagliandolo con una lama.
Nesso di causalità tra le esplosioni?
Il problema si pone a prescindere dalle altre valutazioni. Infatti la distruzione
del materiale pirico pressò la Pirotecnica può, essere stata effettuata
correttamente, sulla base della conoscenza dei luoghi avuta dallo Schifano,
ma comunque aver creato lo stesso un effetto estensivo causando le esplosioni
presso la VIP; oppure la distruzione riferita potrebbe anche essere stata effettuata
senza i requisiti di sicurezza, violando i principi di perizia, diligenza e
prudenza, ma non aver comunque causato la fetale esplosione. Pertanto occorre
valutare autonomamente e particolarmente il possibile collegamento causate tra
le varie deflagrazioni della Pirotecnica e della VIP.
I consulenti. del P.M. ed i periti del G.I.P. concordano, nelle loro relazioni
scritte, nel ritenere che il nesso causale vi sia.
Per i consulenti del P.M. sarebbe avvenuto quanto segue:
a) partendo dalla idea che si alzò un fumo di 60 mt. è ragionevole
pensare che l'esplosione pilotata presso la Pirotecnica abbia determinato la
proiezione/ricaduta di corpi incandescenti (primari sotto forma di razzi o secondari
sotto forma di materiale cartaceo in combustione) nella zona di pertinenza della
VIP
b) tali corpi incandescenti avrebbero determinato (presumibilmente in modo indiretto,
considerato il lungo intervallo di tempo tra i due fatti) l'attivazione della
polvere nera che si trovava nella zona adibita all'essiccamento di tale prodotto.
c) dopo si verificava l'esplosione alla VIP. Le cause, per i consulenti; possono
essere ben tre:
1) la proiezione dei materiali incandescenti o comunque in combustione provenienti
dalla esplosione presso la Pirotecnica
2) la proiezione di materiali incandescenti o comunque in combustione provenienti
dall’esplosione della polvere nera nella zona essiccatoi;
3) l'attivazione "per simpatia" dovuta all'onda d'urto generata dalle
esplosione della polvere nera nella zona degli essiccatoi (questi ipotesi è
però ritenuta la meno probabile).
d) comunque i consulenti concludono ritenendo che “la mancanza di riscontri
obiettivi non permette di formulare giudizi di maggiore o minore probabilità
tra la prima e la seconda ipotesi, fermo restando il concetto che anche la seconda
esplosione verificatasi presso la ditta LA VIP è ragionevolmente attribuibile
ad una sollecitazione termica.
Per i periti del G.I.P. sarebbe avvenuto quanto segue:
a) un artifizio inesploso ma parzialmente ignito (definito vettore di innescamento),
consistente con ogni probabilità in carta piegata ed incollata impregnata
di polvere nera con funzione di ritardo o di accensione, può essere stato
scagliato direttamente in direzione della VIP,
b) oppure è altrettanto probabile una seconda ipotesi: il vettore di
innescamento sarebbe arrivato alla VIP non direttamente me per effetto di ricaduta:
infatti, partendo dall'assunto della sussistenza di un fungo di fumo alto 60
metri e pieno di detriti ( ma vedi i capitoli relativi alla verifica di tali
ipotesi), i consulenti continuano ritenendo quindi possibile che il vettore
sia arrivato anche grazie al vento;
c) eppure ancora è abbastanza probabile e, comunque, sicuramente più
probabile che il vettore di innescamento abbia colpito direttamente la polvere
stesa e non il fusto contenente la polvere già essiccata, di dimensioni
più ridotte e probabilmente riparato dalla tettoia e quindi con una superficie
più difficile da raggiungere. Non é da escludere che a causa di
una modesta depressione, il pezzo ignito abbia raggiunto la strada di penetrazione
all'interno della fabbrica rotolando lentemente (45 minuti) verso la polvere
nera stesa: la carta incollata parzialmente ignita. avrebbe pertanto covato
sulla polvere nero raggiungendo: la temperatura di infiammazione dopo tutto
tempo indicato. La successiva accensione della polvere nera, presumibilmente
all'interno della carta, avrebbe così comportato la deflagrazione del
vettore di innescamento e la conseguenziale infiammazione della polvere nera
stesa ad essiccare e che immediatamente, prese fuoco.
Concludendo, i periti, nella loro relazione scritta, ritengono
che è estremamente probabile che l'infiammazione della polvere nera sia
stata cagionata dal fatto che su di essa sia arrivato, in un modo o nell'altro,
un artificio o frammento di esso, ignito ed in grado di conservare la sua capacità
di propagare incendi ed infiammazioni anche per un tempo di 45 minuti.
Anche questa parte della consulenza scritta non convince: o meglio, non fornisce
elementi sicuri per arrivare a conclusioni certe e non a meri sospetti: Tutto
questo non per una mancanza dei periti ma per l'effettiva e dichiarata, impossibilità
di acquisire elementi che consentano senz’ombra di dubbio di ricostruire
un legame tra le esplosioni. Le ipotesi dei periti sono e restano ipotesi; gli
stessi infarciscono le loro ricostruzioni con una sequela di probabilmente,
presumibilmente, con ogni probabilità, abbastanza probabile, non è
da escludere etc. che la dicono lunga intorno alla oggettiva difficoltà
di superare il campo della mera ipotesi.
Quando tante ricostruzioni sono probabili, conseguenzialmente ognuna può
essere sposata senza che vi sia un elemento che la faccia prevalere sulle altre;
non solo, ma addirittura non vi sono elementi per dire che visto che le soluzioni
probabili sono più di una, non si sia invece verificata un’ altra
ipotesi diversa da quelle.
Per esempio:
- Innesco attraverso l'attrito provocato dal passaggio di persone prive delle
specifiche scarpe necessarie?
- Scintilla proveniente dallo scappamento (privo di spegnifiamma) della vettura
servita a Vaccaluzzo Gianluca e Leotta Nicola per recarsi alla Pirotecnica e
poi risalire?
- Addirittura il mozzicone di una sigaretta, fumata da qualcuno con pazzesca
incoscienza nelle vicinanze?
Chi può dire sì?
Chi può dire no?
Davanti ad una simile anomala situazione, risulta evidente, insomma, che non
si sa perché si verificarono le esplosioni presso la ditta VIP, né
vi è modo di saperlo.
L'intera istruttoria è proseguita per ipotesi più o meno verosimili,
ma in ogni caso semplici ricostruzioni con le quali possono riempirsi tomi di
discussione ma che non riescono ad approdare nei lidi della certezza, unico
punto di riferimento per consentire di condannare una persona.
Le ricostruzioni sono tutte meramente teoriche e possibiliste; la perizia è
stata addirittura fatta dopo un anno dai fatti, quando i luoghi ere completamente
mutati.
In dibattimento, così come per l'ipotesi di reato di cui al capo a) già
trattata in precedenza, non si sono acquisiti elementi maggiormente convincenti.
I consulenti ing. Averna e Brandimararte affermano di avere ritrovato, a differenza
differenzi dei Carabinieri, residui di artifizi che proverebbero inequivocabilmente
(?) che dall'esplosione presso la Pirotecnica sarebbero arrivati senz'altro
frammenti presso la VIP creando il disastro. Tali residui, già comunque
indicati in consulenza, sono un bicchierino di plastica, un frammento di cartone
avvolto a spirale con dentro colla sulla quale vi era anche polvere nera ed
un pezzetto di miccia. Il ritrovamento avvenuto più di una settimana
dopo i fatti) di tale materiale, incompatibile con la produzione che si effettuava
presso la VIP, fa concludere l'ing. Averna che “il problema dal punto
di vista del nesso era tecnicamente risolto”; il consulente aggiunge:
“non sono un opinionista („) è chiaro che si è
creata una colonna d’aria ascendente; questa colonna è salita a
una certa altezza e poi l'aria, come è logico, raffreddandosi, ha creato
il moto convettivo e questo ha veicolato molto in alto e quindi poi avvenuto
il trascinamento (...) quello che conta, è che è inoppugnabile
il risultato”. Poiché si trattava di ,materiale non prodotto dalla
VIP, questo ha dato certezza. Acquisita questa certezza si sono fatte delle
ipotesi”
In pratica, avendo rilevato materiale non lavorato presso la VIP, con
una sequenza logica che lascia interdetti, il consulente desume che:
a) quel materiale non era lavorato alla VIP; b) quel materiale proviene dalla
Pirotecnica; c) quel materiale (v. il 'biccherino') contiene clorati, nonché
presenta tracce di bruciature, quindi sicuramente proviene da una esplosione;
d) quel materiale quindi non solo proviene dalla Pirotecnica ma addirittura,
specificamente benché senza nessuna prova, deriva dall'esplosione del
18 gennaio 1997; e) correlativamente questo dimostra che, in un modo o nell'altro,
le esplosioni sono collegate.
L'ing. Manlio Averna si esprime con una tale certezza e con una tale assoluta
mancanza di dubbi da lasciare perplessi. Egli stesso non sa
fornire una ipotesi più plausibile delle altre ma non lascia margini
di dubbio circa il legame causale, acquisito quasi come una scelta di pensiero
più che come il risultato di una verifica concreta. Il consulente deve
fornire la sua scienza e non le sue opinioni personali. Non c'è alcun
elemento che ci possa dire che i frammenti ritrovati presso la VIP oltre una
settimana dopo i fatti possano risalire senz'altro alla Pirotecnica e senz'altro
a quella esplosione. Meno che mai che da quella esplosione sia derivata la esplosione
alla VIP. Eppure il consulente, a differenza dei periti che nelle relazioni
scritte (v. supra) eccedono in onesti “probabilmente, probabilmente, plausibilmente,
estremamente probabile” etc: , parla in termini fideistici
di certezza assoluta: abbiamo certezza … non è assolutamente
discutibile, non ci sono dubbi di sorta, non c'è spazio per dialogo,
per me il discorso è chiuso. Ebbene, il Tribunale non riesce e scorgere
gli elementi che consentano di far proprie tali certezze assolute (del resto
smussate dallo stesso ing. Manlio Averna laddove, nel corso della sua deposizione,
scivola linguisticamente verso più prudenti
“ a me è sembrato estremamente ragionevole che questo costituisse
un nesso.. “
Del resto tale nesso viene considerato come provato apoditticamente: è
infatti lo stesso ing. Averna, cioè l'esperto più sicuro delle
proprie conclusioni che dichiara a verbale che non ha studiato il moto
e le eventuali modalità con cui i frammenti dell'esplosione alla Pirotecnica
sarebbero giunti presso la VIP provocando il disastro, ritenendo di aver superato
qualsiasi dubbio con le analisi chimiche dei reperti; conferma ulteriore che
il criterio seguito è quello della sequenza logica or ora richiamata
e criticata; a) quel materiale non era certamente lavorato presso la VIP; b)
quel materiale proviene quindi dalla Pirotecnica; c) quel materiale (v. il 'bicchierino')
contiene clorati, nonché presenta tracce di bruciature, quindi sicuramente
proviene da una esplosione; d) quel materiale quindi non solo proviene dalla
Pirotecnica ma addirittura, specificamente, deriva dall'esplosione del 18 gennaio
1997; e) correlativamente questo dimostra che, in un modo o nell’altro
le esplosioni sono causalmente collegate.
Il dottor Giovanni Brandimarte insiste nei suoi più morigerati “è
abbastanza plausibile... è ragionevolmente ipotizzabile ... etc. Egli
afferma che “aver trovato lì questo pezzetto di carta e questo
bicchierino porta a pensare, ad ipotizzare in maniera abbastanza plausibile
che questi facessero parte degli artifizi pirotecnici. Il discorso si dilunga,
ma in nessun punto della deposizione del dott. Brandimarte, così come
degli altri consulenti e periti, si possono trarre elementi per ritenere non
diciamo provato ma nemmeno ragionevolmente probabile l'esistenza del nesso causale
tra le esplosioni.
Le ipotesi di lancio diretto o di ricaduta vengono
sempre riproposte, ma nessun elemento viene aggiunto all'aspetto meramente ipotetico
e insistendo essenzialmente sulla possibile azione di trascinamento di qualche
frammento.
Si ritiene addirittura superfluo addentrarsi più di tanto in ambiti di
stretta tecnicità: il problema è proprio l’assoluta assenza
di una possibile dimostrazione del nesso causale tra le esplosioni.
Le stesse argomentazioni non solo poggiano su mere valutazioni probabilistiche,
ma anche su premesse di fatto che però non trovano parimenti conforto
oggettivo. I già riferiti frammenti trovati sul luogo dai periti non
trovano alcuna possibilità di essere abbinati con certezza all’esplosione
di quel giorno presso la Pirotecnica.
Non solo: anche gli stessi periti sostengono di aver rinvenuto, anche se presso
la Pirotecnica, frammenti (che potrebbero risalire anche e tre quattro anni
prima), non rinvenuti dai Carabinieri.
Cosa dimostrerebbe questo? Che i Carabinieri, che non trovarono frammenti oltre
i 50 60 metri dalla fossa di combustione, cercarono male o che comunque era
in ogni caso difficile trovare proprio tutto?
Tutto può essere, niente è provato o provabile.
Inoltre, a parte le perplessità che una persona priva di cognizioni adeguate
può avere a pensare che quei frammenti possano avere fatto un volo di
quasi 400 mt (bypassando la zona tra le fabbriche, ove non è stato, trovato
alcun frammento), appare convincente la spiegazione del gen. Romano Schiavi
che rileva come la polvere nera faccia parte della prima categoria di esplosivi
per la sua capacità di esplodere particolarmente blanda, tale da rendere
impossibile il superamento di determinati limiti di velocità, alla luce
di una serie di parametri quali la resistenza dell'aria nonché il peso
dei frammenti ritrovati, in principal luogo il famoso bicchierino.
Non si riesce quindi a ricostruire perché si siano verificate le esplosioni
presso la VIP. Ma non può non sottolinearsi una lacuna nelle indagini:
non è stato sufficientemente indagato ciò che veramente stava
succedendo alla VIP al momento della esplosione presso la Pirotecnica e quindi,
conseguenzialmente, cosa si è verificato veramente presso la suddetta
VIP, in generale ed in particolare quel giorno.
Le indagini hanno avuto un itinerario unilaterale. Basandosi sulla aprioristica
certezza che le due esplosioni fossero collegate, le indagini hanno
avuto l'unico obiettivo di sceverare tutto ciò che avvenne presso la''
Pirotecnica (chi c'era, cosa si faceva, che attività si svolgevano etc.),
mentre non ci si addentrò adeguatamente circa le attività che
si svolgevano presso la VIP, in generale ed in particolare quel giorno.
Che attività si svolgevano veramente presso la VIP, solo quella ufficiale
o anche altra?
Non ci sono elementi per gettare sospetti addosso a persone che sono le vittime
principali di questo processo; il problema a monte .è un altro, cioè,
appunto, che proprio nessun accertamento serio venne fatto in tal senso.
Per esempio: chi era quella persona che vagava e piangeva subito dopo l'esplosione,
vista dagli artificieri giunti sul luogo? E soprattutto: che ruolo svolgeva?
In che modo l'essiccazione della polvere nera era effettuata? In maniera corretta
o (come sembra) senza le necessarie ed obbligatorie garanzie di sicurezza? Infatti
emerge dalle dichiarazioni di tutti, soprattutto del Leotta, che almeno quel
giorno non erano rispettate le precauzioni obbligatorie da tenersi in una fabbrica
ove si lavora la polvere pirica.
Quali accorgimenti erano pertanto adottati per evitare rischi?
In tal senso la perizia dell'ing. Michele Brescia e del per. min. Carmine Ferraro
solleva molti e pregnanti dubbi. I periti mettono in luce che all'interno della
fabbrica LA VIP (...) l’uso dei caselli era in parte difforme da quello
previsto e consentito. In particolare, si rileva come lo scambio di ufficio
fra i caselli fosse quasi una regola. Tutto ciò denoterebbe un atteggiamento
semplicistico e superficiale improntato a disattendere regole elementari, nell’
ambito del quale atteggiamento potrebbe inquadrarsi l'aver lasciato uno o più
fusti contenenti polvere essiccata, nelle vicinanze dell’essiccatoio nell’ambito
del quale si operano lavorazioni a rischio (...) .
Quindi la VIP (che era ad una distanza, aggiungiamo ora, addirittura inferiore
a quanto previsto in casi del genere dal cap. I dell'allegato B al regolamento
di esecuzione del TULPS) non operava nel pieno del rispetto di tutte le regole
(anche omettendo la surriferita perplessità, non risolta in udienza,
circa la legittimità ai sensi della licenza prefettizia dell’operazione
svolta).
(omissis)
PQM
Assolve l’imputati dal reato di cui al capo a) perché il fatto
non sussiste e dai reati di cui ai capi b) e c) per non aver commesso il fatto.
Catania, 22 febbraio 2002
Nota: L’interesse di questa sentenza,
egregiamente motivata dal giudice il quale ha dovuto sopperire con le proprie
capacità alle deficienze investigative e peritali, sta nell’essere
un modello esemplare per far capire come vengono condotte le indagini e a quali
periti ignoranti ed incapaci si affidino i giudici, senza affatto curarsi di
sapere se essi sono idonei, esperti, qualificati, equilibrati, esenti da patologie
mentali, ecc. ecc.
Il caso era molto semplice e avrebbe potuto tranquillamente essere archiviato
dal PM dopo una settimana, se solo avesse avuto la doverosa accortezza di chiamare
un esperto qualificato (cioè uno di quelli che in una fabbrica di esplosivi
ci hanno lavorato, o un militare che ha maneggiato esplosivi per tutta la vita;
magari anche un vecchio fochino che gli avrebbe senz’altro detto delle
cose più sensate di quelle che vengono riferite nella sentenza.
Non ho riportato la parte espositiva della sentenza, molto ampia nell’esaminare
le varie testimonianze, perché bastano gli elementi essenziali. Dovendosi
distruggere un certo quantitativo di artifici pirotecnici sequestrato a Catania
(ma nessuno dice quanti fossero e di che tipo fossero!), l’artificiere
della questura si recava presso una fabbrica di fuochi d’artificio in
cui vi era una fossa di combustione per effettuare la distruzione con la collaborazione
del titolare della ditta. Il materiale veniva versato sfuso nella fossa e poi
l’artificiere procedeva al brillamento. Non si capisce dagli atti, e pare
che nessuno lo abbia accertato (!) che cosa abbia fatto, perché i fuochi
d’artificio non vanno fatti brillare (ciò non vanno fatti esplodere
mediante una carica di esplosivo iniziale) ma vanno semplicemente fatti bruciare,
per il semplice motivo che l’esplosivo avrebbe il solo effetto di proiettarli
tutt’attorno. Sta di fatto che si verificava uno scoppio con proiezione
di frammenti nel raggio di circa 50 metri e con una colonna di fumo.
A circa 400 metri di distanza e a livello superiore di una ventina di metri
si trovava una seconda fabbrica di fuochi d’artificio in cui si stava
essiccando polvere nera all’aperto. Due lavoratori correvano con l’auto
a vedere che cosa fosse successo. Dopo oltre 40 minuti dalla prima esplosione,
esplodeva anche la polvere nera della seconda fabbrica, uccidendo un operaio
e ferendone un’altro.
Qualunque persona esperta di fuochi artificiali (e che magari si fosse letta
un po’ di letteratura straniera, cosa che molti periti italiani non fanno
mai perché non conoscono le lingue straniere e ignorano cosa sia una
indagine scientifica) avrebbe subito spiegato al PM:
1) che è praticamente impossibile far esplodere in massa fuochi d’artificio
confezionati; una carica di esplosivo posta sotto di essi non li fa esplodere
per simpatia stante la protezione robusta degli involucri e definitivi esperimenti
hanno dimostrato che se si incendia un ammasso di artifici, ciascuno brucia
o scoppia singolarmente (esperimenti del BAM, Bundesamt für Materialforschung
di Berlino del 19.5.1972); razzi possono arrivare fino a 60 metri dal luogo
dell’incendio.
2) che anche in caso di esplosione di un potente artificio, l’esplosione
non è certo in grado di proiettare oggetti di notevole superficie e scarso
peso a mezzo chilometro di distanza;
3) che tanto meno il vento naturale o il soffio d’aria dell’esplosione
può trasportare a mezzo chilometro un pezzo di cartone o di plastica.
Perciò avrebbero dovuto concludere che le ipotesi su cui investigare
erano
1) che nei fuochi da distruggere vi fossero prodotti esplosivi potenti, non
certo tipici dei fuochi d’artificio.
2) che l’artificiere avesse usato lui un chilo di esplosivo per fare brillare
il materiale
3) che l’esplosione nella seconda fabbrica fosse indipendente dalla prima
(cosa più probabile).
Invece i periti del PM, i quali hanno operato come se i loro compito non fosse
quello di aiutare la giustizia a trovar la verità, ma quello di far condannare
ad ogni costo l’artificiere, si sono arrampicati sugli specchi per dimostrare
che il secondo scoppio era certamente ricollegabile al primo e che egli aveva
sbagliato a cercare di distruggere i fuochi entro la fossa. Il tutto affastellando
una serie di ipotesi imverosimili che poteva faresolo chi di esplosivi non se
ne intende.
Ora è invece indubbio che il sistema dalla distruzione in fossa è
del tutto adeguato e sicuro perché ogni eventuale rischio si esaurisce
a pochi metri di distanza per quanto riguarda l’effetto di una esplosione
e a non oltre 60 metri per quanto concerne il pericolo di incendio. Il sostenere
che l’artificiere avrebbe dovuto affogare gli artifici nell’acqua
(per poi che cosa farne, visto che molti non sarebbero più bruciati e
molti, essendo impermeabili sarebbero rimasti pericolosi?) oppure tagliarli
uno per uno (operazione questa sì considerata pericolosissima) dimostra
solo l’incompetenza di certi esperti.
A ciò si è aggiunto poi l’errore del PM il quale non si
è minimamente posto il problema di come l’artificiere poteva sapere
che a mezzo chilometro vi era della polvere nera al sole e che si sarebbe verificato
un fenomeno così anomalo come quello di un oggetto che riesce a farla
esplodere ben 40 - 50 minuti dopo essere volato in aria!
Rispetto agli altri periti, i quali, anche se non hanno colto
gli aspetti tecnici del problema, hanno perlomeno esposto le loro convinzioni
in termini dubitativi, è rimarchevole il comportamento del perito Averna
che ha lasciato interdetto e perplesso il nostro bravo giudice: questo perito,
per il quale forse il far condannare una persona in base alle sue dichiarazioni
non è un peso come per tanti altri, ha esposto ogni sua conclusione in
termini di assoluta certezza, indiscutibile ed inoppugnabile: egli è
certo che un frammento di cartone ha voltato per mezzo chilometro (e, come per
la casa della Madonna di Loreto, non era necessario il vento perché l’esplosione,
che non aveva provato alcun danno nella fossa, nell’aria aveva provocato
risucchi tali da far impallidire una bomba atomica); egli è certo che
questo frammento si è andato a nascondere da qualche parte e poi è
rotolato per quaranta minuti, sempre ben accesso, per andare ad accendere la
polvere nera, risalendo sui contenitori ove questa si trovava, come neppure
un robot telecomandato riuscirebbe fare: egli è certo che un pezzo di
cartone che egli stesso ha trovato sul posto una settimana dopo il fatto è
un frammento dei fuochi d’artifici originari!. Solo un sensitivo paranormale
sarebbe riuscito ad avere intuizioni altrettanto sicure con così pochi
fatti.
Viene da chiedersi se non sia molto saggio il sistema inglese in cui, quando
si scopre che un perito non è adeguato al suo compito, si procede d’ufficio
al riesame delle perizie eseguite in precedenti processi e spesso si liberano
un buon numero di innocenti.
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