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Questa relazione è stata tenuta da me il 10 settembre 1979 al primo Convegno della Esposizione Armi Bresciane, quando ancora non si chiamava EXA. Personalmente sono lieto di aver scritto con tanta lucidità e preveggenza da non dover cambiare ora nulla. Ma sono anche triste perché l'attualità dello scritto dimostra che per 26 anni abbiamo pestato l'acqua nel mortaio, che fino al 2005 l'ottusa burocrazia ministeriale ha fatto più passi indietro che in avanti, che rimane ancorata a norme medievali, che abusa del proprio potere.
LE ARMI NEL DIRITTO
Considerazioni generali
Argomento di questa relazione sono le armi nel diritto. Il diritto è espressione e realizzazione di una società in un dato momento storico, e presupposto di una legislazione consapevole è l'accertamento del significato delle armi nella società e l'accertamento dello spazio che ad esse si può e si vuole dare.
Ricerche etnologiche e psicologiche abbastanza recenti hanno indotto a ritenere, con argomenti convincenti, che l'aggressività è per l'uomo un istinto; l'uomo, privo di protezioni naturali e senza organi specializzati, doveva sopperire con la intelligenza per sopravvivere; attraverso lo sviluppo del cervello l'uomo ha potuto bilanciare la sua naturale inferiorità offensiva e difensiva con l'invenzione di armi artificiali. Verosimilmente fu proprio questa invenzione a dare il via all'evoluzione dell'uomo sapiens. L'artificiosità dello strumento è stata però pagata dall'uomo sul piano emozionale: mentre tutti gli animali che noi chiamiamo feroci, hanno delle barriere istintive che li trattengono dall'uccidere l'avversario vinto, l'uomo ne è privo quasi totalmente, salvo quei sentimenti di pietà e di compassione inculcati con l'educazione, ma che poco servono quando l'arma uccide da lontano e manca l'oggetto immediato della nostra pietà.
Il carattere istintivo dell'aggressività umana porta a concludere che sono illusorie tutte quelle teorie che sognano società ideali in cui l'uomo, affrancato da ogni bisogno, sarà liberato anche dal male: l'istinto della lotta e della sopraffazione è purtroppo radicato nella debolezza biologica e nella fragilità umana e deve accettarsi come un dato di fatto ineluttabile che vi saranno sempre aggressori ed aggrediti, uomini che sentiranno il bisogno di avere armi per offendere e uomini che vorranno averne per difendersi. E nel sopperire all'inefficienza del proprio corpo si può essere certi che l'uomo darà sempre prova della sua infinita inventiva.
Il fatto si è che il concetto di arma è estremamente relativo: per gli antichi erano armi pericolose e micidiali le spade e le balestre, per noi lo sono le pistole ed i mitra, ma non è affatto cambiato né il numero delle aggressioni, pubbliche o private, né quello delle vittime.
Se per forza di utopia si riuscisse a far sparire tutte le armi da fuoco, si pensa forse che con ciò diminuirebbero i delitti e le rapine? Tutt'altro: vedremmo semplicemente rapine commesse con armi da taglio o con bottiglie di vetriolo o con mezzi incendiari. Se la polizia possiede armi di un determinato tipo, si può essere certi che prima o poi le avrà anche la delinquenza (e l'esperienza insegna purtroppo che i delinquenti sono più pronti della polizia a comprendere l'efficacia di nuovi tipi di arma).
Le anni quindi vi sono sempre state e sempre vi saranno e devono essere considerate come una delle tante componenti del nostro sistema di vita. Del resto, per la sua natura di strumento che ha accompagnato l'uomo nella sua evoluzione, l'arma non è solo strumento del male, ma strumento dell'ordine. Come incisivamente dice Machiavelli nelle Istorie Fiorentine, non è fomentatore di male chi alle armi si appiglia, ma chi a ciò lo costringe. L'arma è cultura, è storia, è sport, è caccia, è arte, è raffinata tecnologia e tutto ciò non può essere liquidato con discorsi semplicistici o manicheisti.
In Italia vi sono circa tre milioni di armi regolarmente denunziate (almeno secondo una stima attendibile) e ve ne sono probabilmente almeno altrettante non denunziate; vi è una notevole tradizione venatoria, vi è una tradizione industriale e artigianale tra le prime nel mondo, abbiamo nei musei e nelle collezioni private un invidiato patrimonio artistico, così che il problema delle armi è di quelli che, direttamente o indirettamente, tocca milioni di persone e non, come talvolta si vuol far credere, pochi fanatici da guardare con sospetto.
Da un diverso punto di vista si deve ricordare che se le armi nelle mani di pochi possono diventare strumento di oppressione nelle mani di molti sono sempre state strumento di libertà, come ci può essere di esempio la stessa Resistenza italiana: non per nulla le dittature sono sempre state le peggiori nemiche delle armi in mano al popolo, nel mentre che paesi di alta tradizione democratica hanno costantemente dimostrato di non temerle.
Poste queste necessarie premesse generali, passiamo ad esaminare quali dovrebbero essere i criteri fondamentali orientativi che dovrebbero guidare il legislatore, i principi cioè che potremmo chiamare di diritto naturale.
Le leggi sono strumenti per il raggiungimento degli scopi voluti dai politici. In un regime democratico i politici non possono e non devono perseguire scopi diversi da quelli dichiarati: un politico cioè agisce disonestamente se invoca restrizioni in materia di armi per combattere la delinquenza, mentre invece il suo vero scopo è di disarmare i cittadini al fine di poter attuare un colpo di stato.
Nel nostro stato di diritto l'unico scopo lecito che i politici, allo stato attuale delle cose, possono proporsi è solo quello di garantire la sicurezza pubblica e privata facendo sì che le armi non vengano in possesso di persone capaci di abusarne (delinquenti) o di male usarne (giovani, matti, persone inesperte).
Questo scopo deve essere prospettato al tecnico legislativo, che deve cercare di fare della legge uno strumento quanto più preciso possibile; solo così si raggiungono gli scopi prefissiti con il minor sacrificio per il cittadino.
Ora ad un tecnico legislativo che conosca il suo mestiere e che abbia meditata a sufficienza la materia ed i problemi connessi (ci vogliono alcuni anni di studio), dovrebbero essere chiari i seguenti principi.
A) Non vi è alcun collegamento tra armi e criminalità. Per la criminalità è indifferente il numero e la specie di armi in circolazione perché vi saranno sempre sufficienti ed idonei strumenti di offesa e perché la diminuzione di strumenti di autodifesa nelle mani dei cittadini può solo dare più tranquillità al criminale che sa di aver minori probabilità di trovare una agguerrita resistenza. Illuminanti sono al riguardo le statistiche degli Stati Uniti.
Negli anni tra il 1970 ed il 1976 la percentuale delle uccisioni cagionate con armi da fuoco, rispetto al totale delle uccisioni, è stata pressoché costante, attorno al 64% e con una lieve diminuzione nel 1976. Ebbene, nello stesso periodo vi è stato un imponente aumento delle armi acquistate da cittadini americani.
All'inizio del 1973 si stimava che gli americani detenessero privatamente circa 210.000.000 di armi. Tra il 1973 ed il 1976 essi hanno acquistato altri 25.000.000 di pezzi con un aumento del quantitativo, in soli quattro anni, del 12%. Nello stesso periodo,. come già detto, le uccisioni per armi da fuoco sono diminuite.
Negli Stati Uniti il porto delle armi è regolato a livello locale. Ancora più sorprendenti sono le statistiche se si paragonano città con legislazione restrittiva e città con legislazione permissiva.
In una città come Detroit, molto restrittiva, si calcola che le armi sono portate quasi esclusivamente da delinquenti: cioè su 100 persone che circolano con un'arma corta da fuoco, 95 sono delinquenti che la portano illegalmente e solo 5 sono onesti cittadini con regolare porto d'armi. A Detroit si ha una percentuale di omicidi di 50 ogni 100.000 abitanti; a Cleveland, egualmente restrittiva, di 36 ogni 100.000 abitanti. In due città con legislazioni permissive e di analoghe dimensioni, quali Milwaukee e San Diego, la percentuale scende al di sotto dei 10 omicidi ogni 100.000 abitanti.
Approfondendo l'analisi si scopre che a Detroit, in un anno, su 690 uccisioni ben 575 sono avvenute in quartieri negri ad opera di possessori illegali di armi. Ciò significa che i delitti commessi da detentori legali di armi si contano veramente sulla punta delle dita. Per contro a San Diego, con 1,6 milioni di abitanti, con gravi problemi di emigrazione dal Messico e relativo contrabbando di droga, ma dove una legislazione molto liberale consente di girare armata al 17,5 per cento della popolazione (280.000 persone) nel 1976 gli omicidi sono stati
solo 121.
Altrettanto significativo è il raffronto tra Stati che nello stesso periodo (1974) hanno liberalizzato le armi ed altri che invece hanno inasprito le norme.
Stati che hanno liberalizzato | Stati che hanno inasprito |
Uccisioni nel 1975-1976 | Uccisioni nel 1975-1976 |
Virgina - 17,4% | Lousiana + 4,8% |
Maryland - 20,6% | New Hampshire + 13,8% |
Oklahoma - 31,9% | Nord Dakota + 75% |
Wyoming - 32,4% | Vermount +161% |
Sud Dakota - 54% |
B) Le norme, per quanto severe e restrittive non serviranno mai a porre in difficoltà la grossa delinquenza ed il terrorismo che hanno mezzi di approvvigionamento che non sono certamente il negozio sotto casa. Si pensi a tutti i canali internazionali che legano fra di loro i trafficanti di droga o i terroristi e, per questi ultimi, in forza della estesa rete di connivenze, alla facilità di accedere anche ad armi dello Stato.
La norma non deve quindi proporsi mete irrealizzabili ed utopistiche che richiedano drastici sacrifici ai cittadini, con la certezza di non ottenere alcun concreto risultato.
Consideriamo ad esempio il caso degli esplosivi: non vi è dubbio che sarebbe bello ed auspicabile che nessuno giungesse mai a possedere esplosivi da utilizzare per attentati. Ciò è però del tutto irraggiungibile. Un certo controllo è utile e necessario affinché cose pericolose non vengano in mano a sprovveduti o squilibrati, esattamente come per i veleni. Però si deve ben tener presente che chi seriamente vuol procurarsi sostanze esplosive incontra ben poche difficoltà; sui cantieri, nelle miniere, nelle cave vengono impiegate giornalmente tonnellate di esplosivo e non vi è alcuna possibilità di controllare se tutto viene consumato nel modo prescritto: è sufficiente il caricare qualche fornello in meno di una volata di una cava per disporre di tutto l'esplosivo occorrente per tutti gli attentati che in Italia si commettono in un anno. Ordigni esplosivi come i razzi antigrandine sono, in pratica, di libera vendita e quanto serva una legislazione pur severa come la nostra lo dimostra il grande quantitativo di artifizi pirotecnici fabbricati clandestinamente a Napoli ogni anno.
Si aggiunga che se proprio si vogliono compiere attentati, vi sono numerose sostanze industriali in grado di esplodere distruttivamente e che gli esplosivi non sono gli unici mezzi per fare danni e vittime.
C) La norma non deve travalicare gli scopi per cui è posta.
Come esempio di disposizione sproporzionata ricorderò quella in materia di armi ad aria compressa. Gli unici incidenti che avevano creato un certo allarme giornalistico pare fossero stati quelli dei ragazzi che in Sicilia ricevevano questi arnesi in regalo e poi si ferivano agli occhi giocando. Ebbene, logica avrebbe voluto che per evitare questi incidenti si vietasse l'affidamento di queste armi ai minori di 14 o di 16 anni. Invece no; il legislatore che quando si tratta di certi diritti od interessi è cautissimo e prudentissimo, non ha guardato tanto per il sottile ed ha «precettato» le armi ad aria compressa facendole diventare armi ad ogni effetto: si è salvato qualche occhio, si sono fatte diventare brillanti le statistiche dei sequestri di armi, ma i Tribunali hanno un gran da fare per condannare schiere di sprovveduti detentori, tutti in perfetta buona fede.
D) La norma deve essere adeguata, deve avere cioè una sua precisa logica interna, funzionalmente collegata allo scopo perseguito.
Quando il legislatore vieta o consente il porto o la detenzione di un coltello piuttosto che di un altro, non deve farlo in base alle fantasie isteriche di un proprio funzionario che trae le sue informazioni dai film gialli, ma a ragion veduta: e sarebbe opportuno che questa ragione fosse chiara anche al cittadino che in genere si adegua alla legge seguendo il suo buon senso piuttosto che dei precetti che non conosce o non comprende.
E non è certo una ragione sufficiente quella di ripetere pedissequamente una disposizione solo perché essa era contenuta in una legge di 50 anni fa.
Quando al legislatore viene in mente di porre limiti alla detenzione ed al porto degli archi, ha il dovere di giustificarsi dicendo in base a quali statistiche ed a quali episodi concreti egli ritiene che gli archi siano strumenti che pongono in pericolo la sicurezza pubblica più, mettiamo, di un ciclomotore in mano ad un minorenne, e quanti di questi archi sono stati usati per commettere rapine o sono stati trovati nei covi rosso-neri.
In caso contrario si ha solo una manifestazione di prevaricazione della burocrazia che cerca di estendere il suo potere, già esagerato, regolando anche cose che non vi è alcun motivo di regolare.
Ancora in forza del principio di adeguatezza, il legislatore deve convincersi che non può risolvere i suoi problemi solo buttando la croce sulle armi: il pensare di ridurre o sconfiggere la criminalità con le norme sulle armi è all'incirca come il pensare di eliminare le rapine alle banche ponendo il divieto di parcheggio davanti ad esse, così che i rapinatori, non potendo arrivarvi con l'auto, si rivolgano ad altre imprese più encomiabili.
Oppure se il legislatore proprio entra in quest'ordine di idee, perché limitare i provvedimenti alle armi? Tutte le rapine vengono commesse usando auto, eppure nessuno si sogna di porre dei limiti all'acquisto delle automobili o di imporre l'uso di speciali dispositivi atti ad impedire che le auto vengano rubate. Si
impone agli armieri di tenere le armi smontate in modo da renderne più difficile il furto; ma allora perché non imporre anche ai cassieri di banca di tenere tutti i biglietti di banca tagliati in due pezzi ed in casseforti diverse?
Ed incidentalmente mi chiedo: perché mai il legislatore non fa una piega di fronte ad una domenica di ferragosto con quaranta morti in incidenti stradali, con padri che distruggono l'intera famiglia magari perché hanno bevuto un po' più del solito, e si agita tanto se lo stesso padre distrugge la sua famiglia con la pistola?
Un ultimo esempio in materia di adeguatezza. Ci si preoccupa tanto perché accade che delinquenti riescano ad acquistare armi con documenti rubati e falsificati e si ventilano le idee più strane, come quella che le armi possano essere consegnate solo dopo che l'armiere ha acquisito la assoluta certezza dell'identità dell'acquirente e della sua legittimazione a possedere armi. Anche in questo caso mi pare che il problema sia visto in un'ottica distorta e unilaterale: il problema non è quello delle anni, ma quello dei documenti falsi, che servono per circolare, per espatriare, per commettere truffe, per affittare covi, ecc. Non sarebbe quindi ora che si cercasse di risolvere il problema a monte istituendo dei documenti di identità meno facili da falsificare e che non si possono rubare a pacchi in ogni ufficio comunale?
Esemplare è anche il caso delle armi da guerra.
Sembra che l'ansia maggiore del legislatore sia di proibire, di eliminare dalla circolazione determinate armi, siano esse chiamate da guerra o proibite. La questione merita quindi una certa analisi, non per la sua particolare importanza, ma proprio per la sua idoneità ad illustrare un determinato modo di pensare isterico ed incompetente: si attribuisce una qualifica evocatrice a degli oggetti, senza neppure ben sapere di che cosa si parli, e poi ci si lascia impressionare dal suono stesso della parola evocata. E' appena il caso che vi ricordi la immeritata fama della P 38, grossa pistola poco adatta ad usi criminali perché difficilmente occultabile sulla persona, ma che per il suo passato nazista è diventata per ogni giornalista simbolo di micidialità, coinvolgente nei suoi fasti e nefasti gli innocenti revolver cal. 38.
Il nostro legislatore nel porre la distinzione tra armi da guerra ed armi comuni, è evidentemente partito dal concetto che tra le pistole ed i fucili ve ne erano dei tipi muniti di caratteristiche misteriose ed ineffabili (tanto misteriose da richiedere l'istituzione di un'apposita commissione per studiarle e valutarle) tali da renderle intollerabilmente più pericolose di altre armi analoghe e da renderle idonee ad usi bellici. Orbene questo concetto, come avrebbe potuto chiarire ogni buon ufficiale dell'esercito, era superato da almeno vent'anni. Vi invito a pensare alle foto di guerriglieri e combattenti degli ultimi anni, vietnamiti, vietcong, cubani, curdi, iraniani, sandinisti, ecc. ed a dire quante volte avete visto in mano a costoro armi che non fossero a raffica: anch'essi hanno già capito che con moschetti e pistole si fa ben poca strada. E lo aveva capito chiaramente il legislatore tedesco che già una diecina di anni orsono aveva posto tra le armi da guerra leggere solo quélle a raffica; e viene da chiedersi quale ragionevolezza vi sia in una Europa unita ad avere uno stato in cui sono consentite determinate armi che nel paese vicino sono vietate.
La irragionevolezza della distinzione è provata del resto dai primi rifiuti di catalogazione del Ministero, che ha creduto di poter distinguere tra il moschetto '91, dichiarato per virtù di legge terribile e micidiale, ed il Rubin-Schmidt od il Mannlicher dichiarati buoni per i camosci! Ma credono proprio tutti costoro che cambierebbe qualche cosa in peggio stabilendo, come i tedeschi, che tutti i fucili, tutti i moschetti semiautomatici, tutte le pistole semiautomatiche sono armi comuni?
Pare che una delle maggiori preoccupazioni dei responsabili del settore sia quello del calibro e cioè, a ben vedere, del calibro 9 mm. parabellum, che è l'unico tipico delle armi da guerra leggere; però non si è mai potuto capire bene quali siano i concreti motivi alla base della preoccupazione.
Si possono però fare delle ipotesi:
1. Le munizioni sono usate dalla polizia e si deve poter sapere in ogni circostanza se ha sparato un privato o un poliziotto. Visto però che anche i delinquenti usano abitualmente armi da guerra cal. 9 para. mi sembra che la soluzione più logica per risolvere questo aspetto del problema sarebbe di dotare le forze di polizia di bossoli e di proietitli facilmente identificabili.
2. Le armi cal. 9 para. sarebbero eccessivamente potenti. Il motivo è da escludere perché nessuno si è mai preoccupato delle munizioni per revolver, certamente non da meno; mi pare appena il caso di ricordare che mentre un proiettile cal. 9 para. possiede al momento dello sparo una forza viva di circa 70 kgm., vi sono dei revolver cal. 357 o 44 magnum che superano agevolmente i 100 kgm. Inoltre siccome la criminalità moderna si serve quasi sempre di auto, non si comprende perché chi ad esempio teme di essere sequestrato, non deve essere in grado di difendersi anche contro aggressori in auto ed i calibri sopra ricordati sono proprio quelli che occorrono.
3. Se fossero in vendita le cartucce cal. 9 para. per i detentori delle pistole consentite, i detentori di mitra potrebbero più agevolmente fornirsi di munizioni; questo è l'unico argomento di una certa consistenza, ma sarebbe però pur sempre una soluzione migliore e più adeguata quella di vietare la vendita delle sole munizioni, consentendo la detenzione delle sole pistole. Posso assicurarvi che uscirebbero dalla clandestinità migliaia di pistole cal. 9 che ora i possessori tengono sotterrate in giardino.
E) Le norme di legge devono essere tanto più chiare e semplici quanto più sono rivolte ad un grande numero di cittadini non culturalmente preparati. Come diceva Giordano Bruno «chi volesse dare all'universo volgo la legge e la forma di vivere, se usasse termini che le capisse lui solo ed altri pochissimi, e venisse a far considerazione e caso di materie indifferenti dal fine a cui sono ordinate le leggi, certo parrebbe che lui non drizza la sua dottrina al generale ed alla moltitudine».
Le disposizioni che concernono gli armieri potranno essere un po' più complicate e tecniche: essi sono dei tecnici, il trattare armi è il loro mestiere e ben possono dedicare qualche giorno ad apprendere le uniche disposizioni di legge che li concernono. Ma non si deve pretendere che per tenere in casa un fucile da caccia si debbano conoscere 50 articoli di legge e che il cittadino debba vivere nell'ansia di infrangere la legge ogni volta che lo prende in mano, ogni volta che lo presta ad un amico, ogni volta che va ad acquistare le cartucce.
Ancor più le norme dovranno essere chiare e precise per coloro che devono applicarle di modo che all'oscurità della norma non si aggiunga l'oscurità delle menti; potrei fare infiniti esempi, ma mi limiterò a ricordare il caso di quella Corte che ha ritenuto arma da guerra un'arma antica quale il Vetterli e di quel funzionario, credo di Firenze, che dopo aver ricevuto la disposizione ministeriale secondo cui gli armieri dovrebbero conservare le armi smontate, è corso dagli antiquari per far smontare loro le pistole a ruota.
Chiarezza e precisione non si può avere se gli estensori stessi della legge non hanno le idee estremamente chiare non solo sui singoli problemi, ma sulle varie connessioni ed interazioni fra i problemi stessi; la legge 110, che a leggerla sembra formalmente chiara, ha creato centinaia di problemi interpretativi e delle situazioni che sono dei veri vicoli ciechi, risolvibili solo con delle modifiche legislative; e sarebbe estremamente auspicabile che questa volta il progetto di legge non venisse tenuto nascosto fino all'ultimo come i decreti che modificano il tasso di sconto, ma venisse proposto all'esame critico degli interessati.
F) Le norme debbono avere una reale e generale efficacia e non devono essere fatte in modo da incastrare gli sprovveduti e lasciar sfuggire dalle loro maglie i furbi: è assurdo ad esempio stabilire che chi trova un'arma deve denunziarla in giornata perché intanto non sarà mai possibile accertare il momento del rinvenimento; si finirà quindi per punire chi è tanto ingenuo da andare a dire di averla trovata due giorni prima e si manderà assolto chi la detiene da anni illegalmente, ma giungerà in Tribunale con due testimoni pronti a giurare di essere stati presenti al rinvenimento dell'arma poche ore prima della sua scoperta.
Ed anche a questo proposito potrei fare infiniti esempi.
Certi strumenti atti ad offendere possono essere portati solo per giustificato
motivo, ma si finisce solo per punire chi non si è precostituito furbescamente una scusa (ad esempio è vietato portare un cubetto di porfido dentro un sacchetto di plastica, ma se nel sacchetto ci metto una scatola di pomodori, posso anche portarla in una pubblica manifestazione e picchiarla in testa al poliziotto, sicuro che nessuno potrà trovare ingiustificato il fatto che io poco prima abbia fatto la spesa; ed ancora: è vietato portare nel vano dell'auto un martello, ma vi unisco un bel pacco di chiodi nessuno potrà mai contestare la mia affermazione che vado a casa ad appendere dei quadri).
G) Le pene devono essere adeguate.
Sembrerebbe logico pensare che massimo intendimento del legislatore fosse quello di graduare le pene a seconda dello scopo più o meno criminoso manifestato dal delinquente, evidente essendo che ci si deve proporre di reprimere l'uso criminoso delle armi e non le armi in sè. Ebbene, nulla di tutto ciò avviene in materia di armi ed anzi il sistema è così congegnato che si ottiene sovente l'effetto contrario: il delinquente non rischia molto di più a commettere un reato portando con sè un'arma, piuttosto che lasciandola a casa.
Mi riferisco al fatto che con l'istituto della continuazione del reato, chi nell'esecuzione di un disegno criminoso commette più reati (es. furto e porto illegale di pistola) è punito solo per il reato più grave, con un modesto aumento della pena per gli altri reati meno gravi. Se a ciò si aggiunge che con la concessione di attenuanti può cancellarsi la aggravante di aver commesso il reato con uso di armi, si comprenderà perché in concreto finisca per essere punito con la stessa pena chi va a sparare in un prato con una carabina ad aria compressa ed il delinquente che circola armato e perché vi siano tanti rapinatori che dopo poco sono di nuovo in giro a studiare nuove imprese.
L'art. 5 della legge del 1967 riduce di 2/3 le pene per il porto e la detenzione illegale di armi, qualora il fatto sia di lieve entità; ebbene, del tutto assurdamente, l'attenuante non è soggettiva, non tiene cioè conto della situazione personale, dei motivi del reo, ma è puramente oggettiva con riferimento al tipo di arma; perciò l'attenuante spetta tanto al cittadino onesto che si è dimenticato di denunziare una piccola 6,35 ereditata dal padre, quanto al rapinatore che con quella pistola ha ucciso un orefice.
Devono quindi distinguersi nettamente i comportamenti meramente contravvenzionali, in cui può incappare anche il cittadino onesto, per solo difetto di diligenza, dai comportamenti chiaramente criminali, come il furto di armi, la detenzione di armi rubate, il porto di armi durante la commissione di reati, il porto o la detenzione di armi da parte di persone dedite a traffici criminosi o le quali, per i precedenti o la condotta di vita, non potrebbero ottenere autorizzazioni in materia di armi, e così via: si deve giungere al punto, se proprio si vuole contenere la ferocia della criminalità, che il porto di un'arma per un delinquente sia già di per sè il più grave reato che egli possa commettere, perché il delinquente che porta un'arma ha già deciso dentro di sè di uccidere la vittima o il poliziotto che gli si opporrà.
H) La norma deve avere una funzione di guida degli interessi.
Ricordando che quella delle armi è una passione come tante altre, il legislatore saggio dovrebbe cercare non di reprimerla, ma di incanalarla verso le direzioni meno pericolose, il che non si ottiene certamente criminalizzando ogni condotta. Se la legge è troppo restrittiva e troppo difficile da seguire, il cittadino è portato fatalmente a violarla e chi commette una piccola violazione è già disponibile per commetterne una più grave: quando ad esempio scopro di avere in casa una arma non denunziata (ad esempio una lanciarazzi), la legge mi distoglie dal denunziarla perché corro il rischio di essere incriminato da uno zelante funzionario! e se incomincio a detenerla illegalmente od a nasconderla, non rischierò molto di più tenendo anche una pistola vera e propria.
Se la legge vuol distogliere il pubblico dall'acquistare armi di grosso calibro, deve facilitare l'acquisto delle armi di piccolo calibro o ad aria compressa; se si vuole evitare che troppa gente chieda il porto d'anni per pistola, si consenta di portare liberamente armi scacciacani.
Perché ad esempio, con tanta gente che sente l'esigenza di difendersi, ed a pieno diritto perché in troppe città è pericoloso girare di notte, non si deve consentire la detenzione ed il porto di pistole o bombolette a gas lacrimogeno, abbastanza efficaci contro un aggressore? Da un punto di vista della libertà del singolo e dell'uguaglianza, che senso ha il richiedere che si possa portare un'arma corta solo per provate esigenze difensive? Forse che chi deve uscire alla sera per lavorare, ha meno diritto alla sua incolumità, ha minor diritto di difendersi da un drogato che gli taglierebbe la gola per una dose di eroina, di un commerciante che gira con il borsello pieno di soldi?
Si dice da parte dei responsabili che vi è il pericolo che gli arnesi lacrimogeni vengano usati dagli aggressori per meglio derubare la vittima. L'argomento è però alquanto inconsistente. Chi commette reati gravi come una rapina o una violenza carnale, non si lascia certo intimorire dalle pene ricollegate al porto di un'arma e avrà sempre modo di commettere il reato. O crede proprio il legislatore che vi sia un delinquentuccio il quale ignori che una pistola ad acqua caricata con ammoniaca è ben più pericolosa di qualunque lacrimogeno?
Chi invece viene posto nell'impossibilità di difendersi è proprio l'onesto cittadino per il quale anche una contravvenzione è deterrente sufficiente.
Ed ancora, quale è la ragionevolezza di vietare di portare un'arma a gas a chi ha regolare porto d'armi per pistola? Perché si vuole togliere al cittadino la possibilità di difendersi con un mezzo non letale? Per me è sinceramente un mistero, e sta alla pari con l'obbligo, che con diverse proposte di legge si vorrebbe imporre al poliziotto od al carabiniere in servizio in borghese, di portare solo l'arma datagli ufficialmente in dotazione, il che, data la scarsa occultabilità di queste armi è come dirgli che unico suo dovere è quello di rischiare la pelle.
Riassumendo quanto detto in questa prima parte, ritengo che concreti dati d'esperienza e logiche argomentazioni dimostrino:
l. esigenze di libertà ed eguaglianza richiedono (come del resto in ogni materia) leggi chiare e precise che non consentano troppe interpretazioni ai giudici e sviamenti da parte della burocrazia; si diceva in America «Dio ha creato gli uomini e li Colt li ha resi uguali »; il legislatore con una penna male usata può ottenere di colpo l'effetto contrario.
2. Il controllo sulle armi legali, legalmente detenute e commerciate, non limita le possibilità della delinquenza di commettere rapine od atti di terrorismo.
3. Una legislazione restrittiva ottiene l'effetto contrario di far mantenere imboscate molte armi, e della produzione di armi clandestine.
I PROBLEMI ATTUALI
Dopo lo sguardo sui principi generali, esaminiamo in concreto quali siano i principali nodi attuali della legislazione in materia di armi, con particolare riferimento alla legge 18 aprile 1975 nr. 110. Siccome a molti argomenti ho già accennato, cercherò di essere alquanto sintetico.
Armi da guerra - La definizione data è altamente generica ed inutilmente complicata, senza indicazioni concrete utili. Essa ha preteso di sussumere sotto di un unico concetto il missile e la pistola, quando invece l'unica cosa che interessava era di sapere quando una pistola era comune e quando era da guerra. Essa ha preteso di definire un concetto tecnico con belle parole e sarebbe come se il legislatore, dovendo definire le auto da corsa, invece di parlare di Ferrari, Lotus, alettoni, gomme, telai, cilindrate, le indicasse come quelle auto strane con dei numeri sopra, che fanno molto rumore.
Le conseguenze le abbiamo viste: né la Commissione (che però, bisogna riconoscere, ha operato con notevole apertura mentale) né i giudici sono riusciti a distinguere coerentemente le categorie di armi. La Commissione, pur bene orientata, se ne è uscita con pareri che non posso che chiamare politici, perché non può essere stato certo un motivo tecnico o giuridico quello che ha fatto dichiarare da guerra (ma, se mai, si sarebbe dovuto dire tipo guerra) la Beretta 34 ed il '91/38. Mi è stato detto che la decisione sarebbe stata motivata con il fatto che le due armi sarebbero ancora in dotazione alle nostre Forze Armate, dimenticando però che il criterio dell'attuale destinazione è stato decisamente superato e abbandonato dall'art. 1 della L. 110, che parla solo di idoneità al moderno armamento militare. I giudici, da parte loro, sono incerti, si affidano al parere dei marescialli dei Carabinieri, se ne escono con sentenze in cui sono dichiarate da guerra le baionette, il Vetterli, o il revolver mod. 89. Tutto questo perché non si è voluto comprendere che se un'arma ha una certa efficacia, non vi è una graduazione di robustezza e potenza che consenta di distinguere quelle adatte alla guerra fra soldati da quelle per la guerra con i delinquenti: una carabina per camosci serve quanto un moschetto per uccidere un uomo e non è sempre vero il contrario; una pistola od un revolver sono sempre ed egualmente micidiali fino alla distanza utile massima di 150 metri ed è assolutamente indifferente il millimetro in più o in meno nel calibro; non per nulla proprio nell'ambito delle pistole militari si spazia dal cal. 7,65 al calibro 45. Unica distinzione possibile è invece quella tattico-fuzionale che porta a concludere che le armi cominciano ad essere da guerra solo dal mitra in avanti.
La questione è comunque ancora del tutto aperta perché gli effetti della catalogazione sono definitivi e vincolanti solo per le armi dichiarate comuni, nel mentre che il rifiuto di catalogazione può essere riesaminato in qualunque momento e che i giudici non sono affatto tenuti ad applicare l'atto amministrativo del rifiuto di catalogazione.
Mi viene segnalata anche qualche incertezza di interpretazione in materia di munizioni da guerra e loro parti. Ricorderò che munizioni per armi tipo guerra (ad es. la Beretta 34 ed il '91) sono da considerarsi comuni anche se di tipo militare e che i bossoli sparati non sono parti di munizioni da guerra perché la legge richiede che si tratti di munizioni o di parti destinate al caricamento di armi da guerra ed un bossolo vecchio non è più destinato al caricamento di un'arma; si consideri che interpretando diversamente la norma si dovrebbe ritenere che la polizia, ogni qual volta spara una raffica di mitra, dovrebbe raccogliere tutti i bossoli a pena di denunzia per abbandono di munizioni da guerra!
Armi ad aria compressa - Né il legislatore né la Commissione hanno saputo precisare il limite a partire dal quale esse divengono idonee a recare offesa alla persona, limite che pure in Germania ed Inghilterra era stato identificato: forse in Italia abbiamo la pelle più delicata! La conseguenza è che tutte le armi ad aria compressa, compresi i giocattoli che sparano tappetti di plastica, sono diventate armi comuni con obbligo di denunzia, obbligo di immatricolazione, divieto di porto ecc. che su migliaia di ignari cittadini pende il pericolo di una severa condanna (per altri il pericolo è cessato l'hanno già presa), senza che sussista un minimo di necessità. Grave è anche la situazione dei gestori di stand di tiro a segno nei luna park che non sono in regola con il numero delle armi detenibili e che potrebbero essere accusati di affidamento di armi a minori.
Strumenti lanciarazzi - La norma parla genericamente di lanciarazzi e non è mai stato ben chiaro di che cosa abbia inteso parlare (e questo avviene quando la legge viene fatta da giuristi senza la collaborazione di tecnici). Oltre tutto la norma, alquanto più chiara nel testo ministeriale, è stata modificata in sede di approvazione ed i giudici non hanno più compreso se il limite dell'attitudine a recare offesa, posto per le armi ad aria compressa, valesse anche per questa categoria di arnesi: la questione è approdata persino davanti alla Corte Costituzionale. Il Ministero dal 1975 ad oggi non si è espresso sulla questione ed i Tribunali hanno assolto o condannato con le più contrastanti interpretazioni. Solo recentemente la Commissione è stata investita della questione ed ho avuto il piacere di leggere la lucida relazione dei relatori gen. Petrignani ed ing. Mininni, in cui si chiarisce che di lanciarazzi in senso proprio può parlarsi solo con riferimento ai bazooka ed ai tubi di lancio per mezzi antigrandine o lancia sagole e che tra gli arnesi impropriamente detti « lanciarazzi », ma che in effetti lanciano artifici pirotecnici o cariche traccianti, devono considerarsi pericolose per la persona solo le c. d. pistole tipo Very. Per tutti gli altri arnesi (pistole a salve con tromboncino, Minolux ecc.) si dovrà solo accertare che essi non siano trasformabili in armi da sparo e non siano altrimenti usabili per proiettare lesivamente proiettili. In materia sarebbe però altamente auspicabile un regolamento o, almeno, una circolare chiarificatrice.
Armi a salve e ad emissione di gas - L'incertezza non è minore che per le lanciarazzi; il fatto si è che le armi a salve sono consentite, nel mentre che quelle ad emissione di gas sono vietate, ma molte armi a salve possono sparare anche munizioni a gas. La mia personale opinione è che il legislatore abbia inteso vietare ogni strumento da fuoco idoneo a lanciare un proiettile od un gas e quindi ogni arma, anche a salve, ma avente la canna perforata, e che abbia inteso vietare ogni arnese o giocattolo costruito in modo da poter essere trasformato in arma. Sarebbe però stato estremamente auspicabile che gli organi competenti avessero immediatamente chiarito le idee ai produttori, ai rivenditori ed ai cittadini. Tra l'altro quello delle armi a salve potrebbe essere un mercato non trascurabile, come prova l'attenzione che vi hanno dedicato alcune ditte tedesche.
Armi giocattolo - Si deve solo osservare che la norma non ha portato alcuna variazione nella produzione dei giocattoli che già in precedenza non erano certo così robusti da poter essere trasformati in armi. Dobbiamo essere grati ai legislatori per la trovata del tappo rosso sulla canna che, a differenza delle altre era quasi innocua e ci ha rallegrato lo spirito: e ci vorrebbero tante altre trovate del genere, come ad esempio il cartello con il divieto di rapina davanti alle banche, l'assicurazione R.C. per chiunque detiene un'arma, la denunzia dei coltelli da cucina e l'obbligo di fabbricarli in modo che essi non siano trasformabili in pugnali, il numero di matricola sugli archi, ecc.
Però anche con una norma all'apparenza così semplice, si è trovato il modi di vedervi non indifferenti difficoltà interpretative. In primo luogo non è stato spiegato che cosa si dovesse intendere per armi giocattolo; se giocattoli sono quelle cose che servono per il divertimento dei bambini, non deve avere il tappo rosso una pistola a salve, una pistola demilitarizzata o disattivata, un arma modello. Resterebbero quindi al di fuori della previsione normativa proprio quegli oggetti che il legislatore voleva contrassegnare affinchè non fossero usati per simulare armi vere. Dovrebbero invece averlo tutte quelle pistole per bambini che sparano ventose o tappi od acqua, che non possono essere scambiate per armi vere, e che non si capisce come possano sparare qualche cosa se hanno il tappo sulla canna.
In secondo luogo la norma non dice chiaramente a chi è rivolto l'obbligo dell'apposizione del tappo rosso: indubbiamente al fabbricante; forse anche al detentore? Io, come privato e come giudice mi sono rifiutato di credere che se mio figlio raschia via la vernice rossa del tappo rosso posso prendermi da uno a tre anni di reclusione. Altri giudici sono però andati di diverso avviso anche se non hanno spiegato come da un punto di vista costituzionale e logico, si possa punire più severamente chi detiene un'arnia giocattolo, sia pure senza tappo, rispetto a chi detiene un'arma vera.
Armi improprie - Il fragile castello di assurde distinzioni, ereditato dal 1800, è crollato miseramente, tanto che l'intera questione è ora davanti alla Corte Costituzionale. E' assurdo voler distinguere tra un coltello da macellaio ed un pugnale, tra un manganello ed un bastone, tra un cubetto di porfido ed una scatola di pomodori, e nessuno è ancora riuscito a chiarire la differenza tra armi improprie da punta e da taglio, strumenti non considerati espressamente come da punta e da taglio, oggetti atti ad offendere. E' assurdo imporre l'obbligo di denunzia di un pugnale che chiunque sappia usare un trapano Black & Decke: può costruirsi in un quarto d'ora.
Il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo - Nel progetto ministeriale il catalogo aveva la funzione di esercitare un controllo preventivo sulle armi di nuova produzione( italiane od estere al fine di accertare fin dall'inizio se esse erano comuni o da guerra: come ho già detto vi è della gente la quale ritiene che la distinzione sia estremamente delicata, tale da richiedere un fiuto maggiore che per assaggiare i vini. Sarebbe stato più semplice istituire un apposito marchio da stampigliare sulle armi e non vi sarebbe stato alcun bisogno di sottoporre a controllo armi a canna liscia o armi ad aria compressa, ma in complesso l'idea poteva avere una certa validità. Nell'iter parlamentare la legge ha subito alcune modifiche, del resto necessarie, in forza delle quali è risultato inequivocabilmente che andavano catalogate tutte le armi da sparo, di qualunque tipo, prodotte od importate dal 1890 in poi e che bisognava attribuire un distinto numero di catalogo ad ogni variante di arma, cioè ad ogni modello. A tal punto, di fronte alla prospettiva di catalogare parecchie migliaia di armi, tutte sicuramente e indubitabilmente comuni, per trovarsi alla fine ad aver scartato qualche decina di armi di dubbia qualificazione, la cosa più sensata sarebbe stato di rinunziare al catalogo. Il Ministero invece è andato avanti stabilendo con norma indubbiamente illegittima, che le operazioni avrebbero riguardato, a domanda, solo armi di nuova produzione od importazione (art. 2 D.M. 16 settembre 1977 e circolare esplicativa del 21 ottobre 1977), prevedendo poi solo una catalogazione di ufficio delle armi di cui alle famose circolari della fine del 1974 (vale a dire di quelle armi da guerra o tipo guerra impropriamente acquisite da privati come armi comuni prima dell'entrata in vigore della legge nr. 110). Perciò quando il catalogo uscirà verso la fine di settembre (se tutto andrà bene) conterrà la valutazione di circa duemila armi a canna rigata, lunghe o corte (cioè tante quante sono le domande di catalogazione presentate in termine, a meno che, con palese ingiustizia, il catalogo non venisse limitato alle sole domande già evase) ed una appendice in cui saranno elencate, con relativa classificazione le armi di cui alle suddette circolari e poche altre.
Per le armi a canna liscia e per le repliche ad avancarica la catalogazione è stata rinviata a tempi migliori e forse si può ancora sperare in qualche ripensamento. Una presa di posizione estremamente pregiudizievole per l'intero settore delle armi a canna liscia è però già stata assunta dal Ministero che nella circolare 21 ottobre 1977 ha affermato che la catalogazione dei fucili a canna liscia e delle repliche avverrà in armonia con il parere dettato in proposito dal Consiglio di Stato.
Orbene, per chi non lo sapesse ancora, chiarirò che secondo questo organo, queste armi possono essere catalogate senza tener conto alcuno del marchio e di quelle caratteristiche che proprio servono a distinguere un'arma da un'altra, ma bensì raggruppandole in vaste categorie: monocanna a cani interni, monocanna a cani esterni, giustapposti a cani esterni e a cani interni, automatici ecc. Non c'è chi non veda come la disposizione sarebbe tale da pregiudicare ogni concreta possibilità di collezionare armi a canna liscia in quanto il collezionista di armi moderne non può detenere più di un esemplare di ogni prototipo; vale a dire che se ho in collezione una doppietta a cani interni non posso averne una seconda, sia pure gemella, sia pure di altro fabbricante, sia pure con altre batterie, sia pure con diverse strozzature; e così via.
Io ho letto il parere del Consiglio di Stato e vi posso assicurare che esso è del tutto erroneo, basato solo su di una lettura superficiale e frettolosa della legge nr. 110: basti dire che in esso si afferma che il catalogo serve per porre rimedio al pullulare delle armi clandestine e che la principale argomentazione adottata è quella secondo cui l'art. 7 comma 3.o della legge 110 prevede la catalogazione di queste armi sulla base delle caratteristiche comuni, senza che sia necessario presentare il prototipo: la norma invece si limita a far intendere che la Commissione è in grado di capire che una doppietta è comune anche senza prenderla in mano materialmente ed è assurdo, sia per la logica giuridica che per il comune buon senso, farne derivare altre conclusioni.
Così come è congegnato il catalogo sarà solo fonte di incertezze e difficoltà. I principali prevedibili inconvenienti saranno:
- assoluta inutilità per il cittadino e per gli uffici pubblici; o il catalogo è completo, con descrizione tecnica di tutti i modelli di arma detenuti in Italia e tale da farne un'opera monumentale, invidiataci dalla pubblicistica internazionale, oppure nessuno saprà mai se un'arma non figura nel catalogo perché omessa o per altri. motivi. Ogni arma, anche di vecchia produzione, potrà essere importata solo previa catalogazione e apposizione del numero di catalogo ed anni già in produzione da lungo tempo cominceranno a portare impresso il numero solo da quest'anno in poi; accadrà così che vi saranno contemporaneamente in circolazione armi dello stesso modello di cui alcune, del tutto casualmente ma legittimamente, prive di numero ed altre invece numerate; da ciò infinite contestazioni per il cittadino che si troverà costretto, anche a distanza di anni, a provare la data esatta di acquisto dell'arma ed a provare attività compiute da altri soggetti, come ad esempio nel caso che l'arma non sia numerata perché già in giacenza presso un'armeria.
- gravi difficoltà, già descritte, nel catalogare i fucili a canna liscia e le repliche.
- altrettante difficoltà nel catalogare le armi con canne intercambiabili e cioè sostanzialmente quelle armi che su di una stessa bascula possono montare una o più canne di calibro e tipo variamente combinabili. In Commissione è stata proposta una valida definizione di canna intercambiabile ed un accettabile sistema di catalogazione mediante attribuzione ad ogni bascula di serie aperte di numeri di catalogo. Mi si dice però che si vorrebbe già limitare in anticipo il numero di canne intercambiabili catalogabili con una bascula affermando semplicisticamente che « intanto una persona più di tante non ne detiene ». Invece la questione deve essere vista a monte, alla produzione: se un'arma è in produzione con il sistema dell'intercambiabilità delle canne, montabili con un modestissimo o con nessun aggiustaggio deve essere catalogata fin dall'inizio l'intera serie di combinazioni perché altrimenti qualunque cittadino che ha acquistato anche l'arnia con una sola canna, si trova a possedere un'arma clandestina se compera un secondo paio di canne o se le scambia con un altro detentore.
- assurdità di catalogare armi artigianali prodotte su ordinazione è destinate a restare esemplari unici.
- con la pubblicazione del catalogo tutti i modelli di arma non presi in considerazione e detenuti come armi comuni, con regolare denunzia, dovranno essere considerati comuni ad ogni effetto (es.: se io a suo tempo denunziai una P. 38 cal. 9 come arma comune e la denunzia venne accettata ed ora l'arma non è indicata come tipo guerra nel catalogo, posso continuare a detenerla come arma comune a tutti gli effetti).
- la mancanza di ogni determinazione in ordine al requisito delle lesività delle armi ad aria compressa e delle lanciarazzi, ha portato ad inserire tra le armi comuni persino dei giocattoli come la pistola Oklahoma o la pistola a salve Galan. Gioverà qui precisare che come il Ministero non ha facoltà di trasformare un arma oggettivamente comune in un'arma da guerra, così non ha la facoltà di far diventare arma un oggetto che arma non è.
Armi antiche - Di esse vi parlerà più ampiamente e con maggior competenza un altro relatore. Da un punto di vista strettamente giuridico si può osservare che il legislatore ha inteso chiaramente farne una categoria distinta dalle armi comuni da sparo ed è ormai interpretazione corrente che i delitti previsti in relazione alle armi comuni non concernono le armi antiche, per cui continuano a valere le norme del C.P.
Collezionismo di armi moderne - La norma che impone al collezionista di detenere solo un esemplare di arma per ogni modello di arma catalogato è assurdamente vessatoria e viene a favorire proprio quel tipo di collezionismo che dovrebbe essere scoraggiato e cioè la raccolta indiscriminata di armi, più in ragione del numero dei pezzi che di altro, come se una collezione dovesse essere un campionario di armi. Invece la vera collezione dovrebbe sempre essere ispirata da un filo logico (come ad esempio richiede il legislatore tedesco) e solo in tal caso essa acquista un valore storico-culturale maggiore del valore risultante dalla somma dei valori dei singoli pezzi raccolti: il raccogliere dodici diversi catenacci a canna liscia, secondo la classificazione del catalogo, può servire a riempire una panoplia, ma una vera collezione si avrebbe raccogliendo tutte le varianti nella linea del cane, elaborate da un valente artigiano per armi magari identiche nel resto, oppure raccogliendo doppiette di uno stesso fabbricante per studiarne l'evoluzione della linea e della meccanica. Forse che è più pericoloso chi colleziona dieci doppiette in funzione dell'eccellenza delle incisioni che chi raccoglie dieci pistole tutte diverse? E che differenza fa che siano 10 pistole cal. 7,65 di marca diversa o della stessa marca?
Troppo limitativo è anche il divieto di detenere munizioni per le armi collezionate. Collezionare, lo ripeto, non vuol dire fare una panoplia di armi, ché in tal caso meglio sarebbe il disattivarle, ma studiare con amore le armi possedute e studiare significa necessariamente sperimentare.
Non parlo delle gravissime difficoltà incontrate dagli sportivi perché di ciò si occuperà un altro relatore.
A proposito dei collezionisti deve sollevarsi il problema della distinzione tra armi da caccia ed armi di diverso genere perché già da molte persone (troppe), anche qualificate, mi sono sentito dire che non possono essere considerate da caccia quelle armi che la nostra legge quadro sulla caccia vieta: ciò è chiaramente assurdo perché la distinzione è oggettiva, collegata alla struttura ed alla destinazione tradizionale dell'arma e non alla sua destinazione contingente Come un fucile da bench rest non diventa da caccia anche se lo porto in montagna per spararvi ai camosci, così un express non diventa un fucile da tiro solo perché in Italia non si può cacciare l'elefante. Una carabina cal. 22 sarà quindi da tiro se munita di diottra, di grilletti speciali, di calciature anatomiche ecc. e sarà da caccia se normalmente costruita, perché da sempre ed in tutte le nazioni tali armi sono state costruite e concepite per la caccia.
PROPOSTE
Ho sempre pensato che la critica deve essere sempre costruttiva e che il critico non può esimersi dal proporre concrete soluzioni alternative. Esporrò quindi in modo estremamente sintetico, ché le motivazioni le ho già date, quelle che potrebbero essere le linee direttrici di una razionale legislazione in materia di armi.
Presupposto fondamentale è l'abbandono di ogni farragginosità burocratica che ha portato, nonostante il dispendio di uomini e di lavoro, alla situazione attuale in cui non si sa neppure quante armi vi sono in Italia e chi le detiene. Occorre quindi procedere al censimento di tutte le armi da fuoco moderne vere e proprie (escluse quindi le pseudo armi come quelle ad aria compressa o lanciarazzi) ed all'inserimento dei dati relativi ad essi ed ai legittimi detentori in un sistema computerizzato. Mediante una larghissima sanatoria, il riconoscimento della possibilità di detenere anche armi da guerra, pur con le dovute cautele, l'abbandono di inutili fiscalismi come quello della carta bollata, si dovrebbero poter raccogliere i dati necessari in tempi non troppi lunghi.
Armi da guerra: unica linea di demarcazione per pistole e fucili quella dell'automaticità; possibilità di detenzione con le debite cautele (armadi metallici, armi smontate, allarmi, ecc.) a collezionisti qualificati, a periti, a studiosi. Favorire la possibilità di liberarsi delle armi da guerra detenute vendendole ai predetti o a collezionisti stranieri.
Armi proibite: nessuna, salvo quelle che possono esplodere; ogni arma non da guerra, previa regolare denunzia, può essere detenuta. Non si salva l'Italia vietando di detenere le noccoliere o una lupara con tanto di matricola e di denunzia.
Armi ad aria compressa di piccolo calibro: liberamente detenibili così come le innocue lanciarazzi e le pistole a gas.
Armi proprie e improprie da punta e da taglio, oggetti e strumenti contundenti: liberamente detenibili.
Armi antiche da fuoco: liberamente detenibili fino ad un certo numero di pezzi.
Porto di armi: divieto assoluto per le armi da guerra, salvo licenze temporanee per sperimentazione a studiosi, collezionisti e periti. Licenza di porto per difesa personale di armi corte; licenza di porto per difesa di armi lunghe; licenza di porto per caccia di armi lunghe; licenza per porto di armi scariche lunghe e corte per tiratori sportivi; la licenza maggiore assorbe la minore, salvi gli adempimenti venatori; nulla osta per le persone che hanno i requisiti per ottenere autorizzazioni in materia di armi a portare pistole a gas ed a portare ed usare in luoghi privati o fuori dell'abitato carabine ad aria compressa. Libertà di porto di archi e balestre e libertà di uso ove non vi sia pericolo per le persone. Completa libertà, naturalmente, per carabine, archi e balestre giocattolo.
Divieto di porto di pugnali, baionette, spade, coltelli a scatto; facoltà di porto per giustificato motivo di ogni arma impropria, ma con equiparazione ad arma vera e propria di ogni oggetto nel caso che esso sia usato per offendere la persona o nel caso che le circostanze oggettive e soggettive indichino che esso sarebbe stato usato per offendere la persona.
Collezionismo: eliminazione della limitazione di un esemplare per ogni modello; facoltà di uso delle armi e di detenere relative munizioni con un limite globale massimo; possibilità di detenere fuori collezione almeno sei armi sportive, oltre quelle 6 da caccia. Istituzione di documenti di identità con foto non alterabile e di nulla osta all'acquisto con foto del richiedente e sua doppia firma, tipo travellers' cheques.
Per ciò che concerne le pene, netta distinzione tra reati commessi da persone che avrebbero potuto avere le relative autorizzazioni e persone che non avrebbero potuto averle; se necessario ampliamento delle situazioni che sono di ostacolo al conseguimento di dette autorizzazioni; pene irriducibili per ogni reato commesso con armi e per ogni reato in materia di armi connesso con altri reati.
Ed a questo punto concludo con due notizie: una buona ed una cattiva.
La notizia cattiva (non voglio concludere con note tristi) è che a Roma circola per i ministeri la copia di un progetto di testo unico per le armi e gli esplosivi: esso è tenuto accuratamente nascosto, non si sa bene se perché obrobrioso o perché si vuol colpire di sorpresa il nemico e cioè gli armieri e gli appassionati di armi. Su di esso circolano solo voci abbastanza preoccupanti: si dice che il principale ispiratore ed estensore sia stato un perito balistico romano, noto nell'ambiente giudiziario come l'imperitus imperitorum e si dice che tutto il personale delle questure non basterà per tener dietro a tutte le denunzie e tutti gli incombenti che graveranno sui cittadini che avranno la sciagura di possedere o di voler possedere una arma, anche tra le più innocue.
La notizia buona è una vera primizia: venerdì la Commissione Consultiva, a cui devono andare tutti i nostri elogi incondizionati per la chiarezza di vedute e la competenza espresse nelle decisioni e nelle relazioni di quest'anno, ha espresso il parere che le armi in calibro 9 x 18 Ultra per pistola siano comuni; come già saprete la relativa cartuccia è già di libera vendita in Germania e sviluppando una energia di 35 kgm si pone di poco al di sopra del cal. 7,65 para. Finalmente una decisione che tiene conto della realtà e della precisa volontà del legislatore, che apre la strada ad una revisione di molte idee sbagliate che ci trascinavamo dietro da almeno cinquanta anni e che, togliendo l'impedimento di un assurdo limite di calibro, consentirà all'industria di produrre armi da difesa alla pari con quelle in vendita sui mercati stranieri, a parità di condizioni.
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