Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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La scoperta dei moderni esplosivi

Nelle enciclopedie è facile rinvenire affermazioni categoriche su chi ha fatto delle scoperte scientifiche: Howard ha scoperto il fulminato di mercurio, Brugnatelli il fulminato d'argento, Sobrero la nitroglicerina, Schönbein il cotone fulminante, ecc. ecc.
In realtà sono affermazioni riduttive le quali non tengono conto del fatto che nella storia della scienza di rado ha senso parlare di chi ha fatto una determinata scoperta perché, quasi sempre, non si ha una scoperta del tipo "colpo di fulmine", ma solo l'ultimo passo di una infinità di passi precedenti compiuti da altri; sovente il presunto scopritore non è altri che colui il quale ha trovato il modo di rendere praticamente realizzabile o utilizzabile ciò che era già ben noto agli scienziati o colui che ne ha intuito un nuovo uso. Ciò è accaduto proprio per la polvere da sparo per la quale è passato molto tempo prima che dagli incidenti di laboratorio e dagli incidenti nel suo uso in pirotecnia si capisse che poteva essere utilizzata per uccidere o distruggere.
La storia delle sostanze esplodenti è istruttiva al riguardo.

I fulminati
L'invenzione del fulminato di mercurio viene attribuita ad Howard nel 1800, ma anche in questo caso egli è solo l'ultimo di una serie di chimici che già lo avevano individuato.
Gli alchimisti, da secoli, sperimentavano con prodotti a base di oro, sia alla ricerca della pietra filosofale, e cioè del modo di trasformare metalli poco nobili in oro, sia dell'oro liquido da utilizzare come medicina; si credeva infatti che questo aurum potabile potesse trasferire al corpo umano le doti di incorruttibilità dell'oro.
L'alchimista Basilius Valentinus riporta i suoi esperimenti della fine del 1400 con soluzione di tartaro e acidi e una soluzione ammoniacale di oro (l'anidride carbonica si libera dal tartaro mentre che la sostanza basica si combina con l'acido della soluzione di oro e l'ossido aureo si combina con l'ammoniaca del sale ammoniacale) e di come il cloruro aureo veniva sciolto in alcool; qualche decennio dopo l'alchimista, che esperimenta con acqua regia e sale ammoniacale, riferisce che si ottiene una polvere da non mettere mai al sole o vicino al fuoco in quanto “si accende e crea rilevanti danni perché si dissolve con grande forza e potenza che nessun uomo può controllare”; scopre anche che può renderlo innocuo mescolandolo con aceto che si combina con l'ammoniaca. È evidente che gli alchimisti non amavano affatto questo risultato che faceva sparire il loro prezioso oro; e certamente non erano inclini a suggerirne l'uso militare.
Un chimico moderno si limiterebbe ad aggiungere ammoniaca ad una soluzione di cloruro d'oro, ma è evidente che i nostri alchimisti era giunti in modo più complicato a produrre l'oro fulminante.
Gli esperimenti su di esso però continuarono e si notò come i suoi effetti esplosivi fossero così diversi da quelli della polvere da sparo, tanto che si sviluppò la strana teoria che l'esplosione della polvere da sparo agiva in direzione del punto più debole e quella dell'oro fulminante in direzione della maggior resistenza (in realtà l'effetto brisante è così rapido che viene danneggiata anche la base su cui poggia l'esplosivo). Solo nel 1659 il professore di Oxford Thomas Willis dimostrò che l'esplosione agisce egualmente in tutte le direzioni.
L'oro fulminante si trova citato del 1608 nel libro Basilica chimica di Oswald Croll e nel 1609 negli scritti di alchimia di Johann Thölde.
Anche la scoperta del fulminato di mercurio (ted: Knallquecksilber, Quecksilberfulminat, ing.: mercury fulminate; fr. fulminate de mercure) va nella stessa direzione e deriva dagli esperimenti degli alchimisti per trovare un rimedio contro la sifilide usando il mercurio che aveva dimostrato una certa efficacia. Esso non si scioglieva nell'aceto, ma si scoprì che poteva essere sciolto con acido nitrico; se si aggiungeva alcool si otteneva il fulminato di mercurio. Questo procedimento è già attribuito all'olandese Cornelius van Drebbel che all'assedio de La Rochelle avrebbe costruito delle torpedini con una spoletta a percussione (riferito nel 1621 dall'inglese Joachim Morsius nel suo Tractatus de quinta Essentia). La sua composizione chimica viene individuata da Kunckel nel 1690 e poi confermata da Bergmann (1769) und Scheele (1777).
Nel 1799 l'inglese Horward lo ottiene con un procedimento più semplice e ne descrive per primo le precise proprietà esplosive. Nel 1800, in Francia, Lulien Leroi crea la prima officina per la produzione di fulminato di mercurio; sia lui che il cognato saltano in aria.
Nel 1815 l'armiere londinese Josef Egg sperimenta una capsula con polvere da sparo e clorato di potassio; altre fonti attribuiscono l'idea allo scozzese Alexander Forsyth (1807). Nel 1821 l'inglese Wright produce le prime capsule con fulminato di mercurio e già nel 1836 in Francia verranno prodotti in un anno 800 milioni di capsule, utilizzando oltre 15 tonnellate di mercurio!
Nel 1858 si ha il primo impiego criminale del fulminato ad opera di Felici Orsini, l'attentatore di Napoleone III. Nel novembre del 1857 egli si era recato in Inghilterra e si era fatto preparare dall'armiere Joseph Taylor sei bombe progettate da lui stesso (non ci voleva molto, erano delle semplici sfere di ferro con una vite per chiuderle!) e destinate ad essere caricate con fulminato di mercurio in modo da esplodere all'impatto. Il fulminato di mercurio venne comperato senza problemi in una farmacia del centro di Londra “per fare dagerrotipi”. Due delle bombe vennero anche provate nella campagna inglese.
La sera del 14 gennaio 1858, mentre Napoleone III si recava in carrozza a teatro per vedere il Guglielmo Tell di Rossini, Orsini e altri due attentatori lanciarono tre bombe contro la carrozza; la prima cadde fra gli uomini a cavallo davanti alla carrozza, la seconda ferì i cavalli da tiro e ruppe i vetri della carrozza, la terza finì sotto la carrozza e ferì un poliziotto gettatosi a proteggerne gli occupanti; 157 persone rimasero ferite, Orsini compreso, e otto morirono per le ferite. Napoleone ed Eugenia proseguirono incolumi fino al teatro.
L'errore di Orsini fu di non rendersi conto che una bomba con un esplosivo detonante ha scarsa efficacia se non esplode a contatto del bersaglio. Mentre una bomba a polvere nera avrebbe prodotto grosse schegge metalliche, lanciate a distanza con energia sufficiente a ledere gravemente, una bomba al fulminato si sbriciola letteralmente in minuti frammenti, molto veloci, ma che perdono rapidamente di velocità.
All'epoca non era certamente difficile procurarsi il fulminato: venivano vendute infatti, come piacevole scherzo, le “caramelle cinesi” la cui carta era impregnata di fulminato; tirando la carta per svolgere la caramella, si aveva una bella esplosione che faceva ridere gli spettatori e molto meno la vittima.

Il clorato di potassio
La scoperta del clorato di potassio (ingl: potassium chlorate; fr: chlorate de potassium; ted: Kaliumchlorat ) viene attribuita all'inglese Higgins (1777), ma è il francese Berthollet (1787 o 1788) che ne studia il suo impiego come sostituto del salnitro (per cui vi erano difficoltà di approvvigionamento all'inizio della Rivoluzione Francese) nella polvere da sparo. Berthollet fa gorgogliare del cloro gassoso in una soluzione calda e concentrata di potassa e ottiene il cloruro di potassio secondo la formula
3Cl2   +  6KOH  =>  ClO3 K  +  5KCl  +  3H2 O
Studiatene le proprietà, pensa di mescolarlo con zolfo e carbone per ottenere una polvere da sparo, ma ottiene solo un prodotto a forte brisanza; viene anche creata una apposita officina per la sua produzione, ma essa salta in aria e vi muoiono sei persone; Berthollet si salva per miracolo. Quattro anni dopo ci riprova e muoiono altre quattro persone.
Negli anni successivi il clorato di potassio verrà usato solo per i fiammiferi Lafumade; essi erano formati da un bastoncino con sulla cima una capocchia di clorato e zolfo che, bagnata in una bottiglietta di acido solforico, si accendeva. Vennero usati fino al 1830 quando i tedeschi inventarono i fiammiferi al fosforo, infiammabili per attrito.
Nello stesso anno 1788 veniva sintetizzato anche l'acido picrico (trinitrofenolo) facendo agire l'acido nitrico sul fenolo. All'inizio non si rilevarono le sue proprietà esplosive e venne usato come colorante giallo. Solo all'inizio dell'ottocento ci si accorse che scoppiava riscaldandolo in presenza di clorato di potassio e si dette il via ad una serie di polveri (Fontaine, Abel, Dessignole, Brugère, ecc.) l'una più detonante dell'altra. Un terribile incidente a piazza della Sorbona nel 1809, pose termine a ulteriori esperimenti.

La nitrocellulosa
SchönbeinSchönbein viene indicato come lo scopritore della nitrocellulosa e quindi del primo nuovo esplosivo dopo la polvere da sparo. In effetti egli compì solo l'ultimo passo su di una strada iniziata almeno un secolo prima.
Gli alchimisti si erano ampiamente occupati delle proprietà del salnitro come componente della polvere da sparo e di vari artifici incendiari; cercando di creare una miscela che si accendesse spontaneamente, avevano scoperto che una miscela di acido nitrico e olio di trementina o guaicolo o di altri oli empireumatici vegetali, dopo un po' si infiammava spontaneamente (Borrichius, 1671). Nel 1747 Rouelle, riferiva di studi compiuti dall'Accademia Francese con cui si era scoperto che se all'acido nitrico si aggiungeva dell'acido solforico, il quale ha la nota proprietà di assorbire acqua, l'accensione si verificava quasi sempre. Il fatto è però che egli attendeva che la miscela si infiammasse; se egli avesse versato la miscela in acqua fredda si sarebbe trovato per le mani un prodotto esplosivo simile all'acido picrico! Ed anche questa non era una novità perché già in precedenza si sperimentava su di una "polvere da sparo liquida" (Schiesswasser) che altro non era che un prodotto ottenuto dalla nitratazione di "oleum benedictum" e cioè degli oli sopra indicati.
Quasi contemporaneamente (1741) il chimico tedesco Glauber aveva individuato l'acido picrico facendo agire l'acido nitrico su sostanze organiche come corno, seta, resine vegetali (solo nel 1841, ottenenutolo per reazione sul fenolo, si identificò la sua formula chimica).
Nel 1832 il francese Henri Braconnot scopriva che l'acido nitrico, combinato con amido o fibre di legno, produceva un materiale leggero, combustibile ed esplosivo a cui dava il nome di Xiloidina. J. Verne (1865) nel suo romanzo "Dalla terra alla luna", cap. IX , ne propone l'uso per sparare la sua capsula verso la luna e ne indica le modalità di preparazione: "essa viene preparata mettendo il cotone per 15 minuti in acido nitrico, lavandolo poi bene in acqua e facendolo asciugare". Altri esperimenti portarono a scoprire il nitrobenzolo (1834) e la nitronaftalina (1835).
Pochi anni dopo, nel 1838, un altro chimico francese, Theophile Jule Pelouze, tratta carta e cartone con acido nitrico e ottiene la Nitramidina, simile alla Xiloidina e altrettanto inutilizzabile, essendo prodotti altamente instabili.
Il passo decisivo venne fatto da Christian Friedrich Schönbein, nato in Germania nel 1799 e divenuto professore di chimica a Basilea nel 1828. Divenne famoso nel 1840 per la scoperta dell'ozono ed era in corrispondenza con i maggiori chimici suoi contemporanei (Berzelius, Faraday, Liebig, Wöhler). In quel periodo i chimici stavano esplorando il nuovo campo della chimica organica e proprio nel 1828 Friedriech Wöhler riusciva nella prima sintesi organica, quella dell'urea.
Non meraviglia quindi che anche Schönbein sperimentasse alacremente con l'acido nitrico e l'acido solforico su ogni sorta di prodotti organici. Facendo reagire la miscela di acidi sulla carta vide che essa diveniva impermeabile e traslucida: aveva scoperto la pergamena artificiale, anch'essa esplosiva. Poiché la carta all'epoca veniva fatta con gli stracci, pensò bene di partire dalle fibre originarie e iniziò a far reagire nella sua miscela di acidi il lino, la canapa, il cotone. All'apparenza sembrava che i materiali restassero inalterati ma poi Schönbein si accorse che il cotone era divenuto più ruvido e con consistenza setosa; colpendolo con un martello su di una incudine esplodeva senza infiammarsi e un filo rovente lo infiammava. Era il 1845 ed aveva scoperto il cotone fulminante (ing: Guncotton, ted: Schiessbaumwolle ), il primo prodotto che poteva essere idoneo a sostituire la polvere nera (che allora si chiamava polvere da sparo, visto che di altro colore non ve ne erano!). Il suo nome moderno è nitrocellulosa.
In molti siti internet si trova lo stupido ed infantile aneddoto per cui Schönbein avrebbe fatto la scoperta casualmente, rovesciando sbadatamente la miscela di acidi sul vestito della moglie nella cucina di casa sua, ma è sciocca invenzione di chi non ha mai letto gli scritti del chimico e la serie di esperimenti che lo hanno portato al risultato finale.
Presto ci si accorse che la speranza di utilizzarla direttamente come surrogato della polvere nera era vana in quanto il suo rendimento era troppo incostante. Il procedimento usato da Schönbein consisteva, come detto, nella nitratazione del cotone in nitrato di cellulosa; il quantitativo di circa il 25% di acido solforico aggiunto all'acido nitrico aveva solo la funzione di assorbire l'acqua che si creava durante la reazione e di impedire quindi che l'acido nitrico si diluisse. La reazione durava circa due minuti e poi il cotone veniva lavato in acqua e asciugato lentamente a 100°. La sua forza esplosiva (cioè volume di gas prodotto), a parità di peso, era sei volte quella della polvere nera.
Schönbein cercò di correggere il difetto della incostanza di rendimento sciogliendo il cotone fulminante in modo da renderlo omogeneo e vi riuscì immergendolo in una miscela di alcool ed etere; ottenne però solo il collodio che non era più esplosivo, ma che aperse la strada alla seta artificiale (bellissima a vedersi, ma che aveva il piccolo difetto di trasformare chi la indossava in una torcia umana alla minima scintilla o fiamma) e alla invenzione della Polvere B (B sta per "bianca") ad opera del chimico francese Paul Vieille nel 1886. Egli infatti prese il cotone fulminante, lo mescolò con il collodio sciolto in etere ed alcool e ridusse il tutto ad una pasta che poi veniva laminata e tagliata oppure trafilata. Era tre volte più potente della polvere nera e venne subito adottata dall'esercito francese per il fucile Lebel 1886.
La Polvere B aveva il difetto di divenire instabile per l'evaporazione dei solventi e si ebbero due esplosioni su navi da guerra nel 1907 e 1911.
Nel frattempo però Nobel, James Dewar e Frederick Augustus Abel avevano prodotto la balistite e la cordite.
Nel 1887 Nobel brevettò la balistite (ing: Ballistite) composta dal 10% di canfora e da nitroglicerina e collodio in parti eguali. Anch'essa presentava il problema della facile evaporabilità della canfora e della conseguente instabilità del prodotto. La Francia rifiutò il prodotto perché aveva scelto la Polvere B e Nobel si rivolse quindi all'Italia; questa ne inizio la produzione ad Avigliana nel 1889 e la usò nel suo moschetto 91; dal 1896 si passò però alla Solenite in cui si usava il 3% di olio minerale e il 36% di nitroglicerina. La balistite è ancora usata come propellente solido per missili, ma con la difenilamina al posto della canfora.
Gli inglesi decisero anch'essi di produrre qualche cosa di analogo e incaricarono James Dewar e Frederick Augustus Abel di studiare il problema. Essi modificarono la balistite sostituendo alla canfora la vaselina nella misura del 5% e per il resto prendendo il 58% di nitroglicerina e il 37 % di cotone fulminante sciolto in acetone. Il prodotto veniva trafilato come degli spaghetti ruvidi e venne chiamato cord-powder e poi cordite, visto che era una imitazione della balistite! Nobel intentò causa per violazione del suo brevetto, ma gli inglesi gli dettero torto con la scusa che egli non aveva brevettato l'uso dell'acetone!
Successivamente alle seconda guerra boera (1902) gli inglesi si accorsero che la loro cordite era troppo corrosiva e diminuirono la percentuale di nitroglicerina al 30% ; il nuovo prodotto venne chiamato con il nome di Cordite MD (modificata).
È opportuno fare qui alcune precisazioni sulle nitrocellulose che è termine generico per indicare la mononitrocellulosa (6% di azoto), priva di pratiche utilizzazioni, la binitrocellulosa o cotone collodio (11,2 - 12,3% di azoto), la trinitrocellulosa o cotone fulminante (13,80% di azoto).
Il cotone collodio è completamente solubile nella miscela alcool-etere (una parte di alcool e due di etere) e viene gelatinizzato dalla nitroglicerina; quello a più alto contenuto di azoto, usato per le polveri da sparo, viene detto pirocollodio. Il fulmicotone invece non è solubile nella miscela suddetta e non gelatinizza la nitroglicerina.
Le caratteristiche fisico-chimiche sono le seguenti:

Cotone collodio

Fulmicotone

Densità

1,6

1,66

Temp. esplosione

186°

180°

Temp. fiamma di espl.

2100

3100

Calore di esplosione in cal

700

1020

Volume gas in litri

940

Trauzl, cc

250

400

Berta da 2 kg , cm

35

30

Velocità di detonazione, ms

5400

6.200

Pressione specifica atm/kg

800

Forza in kg per mq

9700

Peso molecolare

1053,23

1143,3


Le polveri costituite dalla sola nitrocellulosa si chiamano monobase, quelle tipo cordite bibase mentre si dicono tribase quelle che contengono anche guanidina.

La nitroglicerina Ascanio Sobrero
Gli studi di Schönbein sono collegati con la scoperta della nitroglicerina ad opera dell'italiano Ascanio Sombrero.
Egli nacque nel 1812 a Casale Monferrato, si laureò in medicina (e non in chimica come generalmente si crede) a Torino. Frequentando lo zio, il barone Carlo Raffaello Sobrero, direttore del Laboratorio chimico dell'Arsenale di Torino e allievo di Berzelius, si appassionò di questa materia, ma capì subito che operare in Italia non lo avrebbe aiutato nelle ricerche. Così, nel 1840, si recò a Parigi per lavorare presso il laboratorio di Pelouze, dove già si sperimentava sull'acido nitrico, sulle sostanze organiche e sugli effetti esplosivi che ne derivavano. Lavorò poi con Liebig a Giessen (1843) e isolò il guaiacolo in forma pura. Al rientro a Torino, su suggerimento di Schönbein, da lui conosciuto a Parigi, riprese le ricerche con un nuovo approccio sull'azione dell'acido nitrico.
Nel 1846 trattando la mannite (che si estrae dalla manna fornita dal "fraxinus", dallo zucchero fermentato e dai tuberi della dalia) scoprì la nitromannite, un nuovo esplosivo detonante, ancor più sensibile agli urti della nitroglicerina, di costosa produzione e quindi non praticamente utilizzabile. In quell'anno scoprì analoghe proprietà nello zucchero di canna nitrico o saccarosio fulminante (sostanza che nel 1874 Nobel chiamò anche "Vixorite"). Nel 1847 scoprì il più potente di tutti gli esplosivi, la piroglicerina detta poi nitroglicerina: per reazione del glicerolo con una miscela concentrata di acido nitrico e acido solforico, ottenne la nitroglicerina, scoprendone, oltre al potere esplosivo, la funzione vasodilatatrice. Il medico russo Zinin ne indicò poi l'applicazione nella cura dell'angina pectoris in uso ancora oggi. La descrizione del suo esperimento comparve sui «Comptes Rendus de l'Academie de France» nel 1847 e costituisce l'atto di nascita di questo composto destinato appunto a rivoluzionare la preparazione degli esplosivi.

Perossido di acetone e joduri
Nella stessa epoca in cui si scoprivano questi esplosivi meno famosi, altri se ne scoprivano che non passeranno alla storia perché praticamente “intoccabili”. Nel campo degli esplosivi l'uomo è stato alquanto fortunato perché quelli più facili da produrre, come la nitroglicerina, i fulminati, il perossido di tricoloroacetone, sono talmente instabili e pericolosi che solo un chimico espertissimo può affrontarli; ed anch'egli non è immune da incidenti. Ne è quindi escluso l'impiego criminale da parte di persone men che espertissime.
Una di queste famiglie di esplosivi del tutto inavvicinabile è quella dei composti alogenati dell'azoto tra cui il più noto è lo joduro di azoto, (NI 3 , nitrogen iodide, nitrogen triiodide). Esso venne scoperto da Courtois nel 1812. È solido, di colore scuro e quando esplode fa una nuvoletta rossiccia di vapori di iodio. Gli incidenti con esso divennero frequenti con l'invenzione della fotografia perché i fotografi usavano nitrato d'argento che macchia la pelle e l'unico smacchiatore utile era una poltiglia di iodio e ammoniaca diluita che faceva sparire le macchie come per incanto; peccato però che dalla reazione tra iodio e ammoniaca si formi ioduro di azoto che, appena secco, esplode solo a guardarlo. Eppure un tempo esso veniva talvolta usato in minima quantità in esperimenti degli studenti di chimica. Poche gocce della miscela ottenuta venivano fatte asciugare su carta da filtro, senza riscaldarla e senza più toccarla; quando era secca si dimostrava agli studenti come fosse sufficiente passare una piuma sulla polvere scura rimasta sulla carta per ottenere un potente botto.
Quasi contemporaneamente, nel 1811, Pierre Dulong (1785-1838) che stava sperimentando con cloro e una soluzione di cloruro d'ammonio, produsse accidentalmente una sostanza oleosa, il cloruro d'azoto ( NCl 3 , nitrogen trichloride ) che esplose mutilandolo di un occhio e di tre dita. Ampère scrisse a Humphrei Davy e gli riferì dell'infortuno occorso a Dulong. Davy ripeté l'esperimento creando un quantitativo di olio grosso “come un seme di senape” e si ritrovò all'ospedale a farsi togliere frammenti di vetro da un occhio. Faraday che all'epoca era assistente di Davy volle continuare negli esperimenti con il suo capo e si munirono di robuste maschere di cuoio; ma entrambi rimasero feriti al volto, anche se non in modo grave.
È un liquido oleoso con forte odore di cloro, colore giallo scuro, che esplode anche per contatto con grassi, resine e sostanze varie e spontaneamente alla sola esposizione alla luce viva. Del tutto inutile non è perché trova ancora impiego industriale, in forma molto diluita, come sbiancante, sterilizzante di pavimenti e come fungicida su limoni e meloni.


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