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Nota a margine della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, depositata il 14 giugno 2012, n. 3527, relativa a ricorso per diniego della licenza di porto d’armi per difesa personale.
Ci risiamo; il cittadino ha, ancora una volta, ragione, ma la ragione è dei ….
Ed ha ragione, addirittura, in una materia come quella dell’autorizzazione al porto di pistola per difesa personale, ove, oramai, per giurisprudenza costante, è riconosciuta alla P.A. la più “ampia discrezionalità” ( sentenze del Cons. St., Sez.VI, 12 ottobre 2010, n. 8220 e 3 dicembre 2010, n.901, già commentate dallo scrivente in questo stesso sito).
Come in tutte le favole, si inizia con “c’era una volta…” il solito Sig. Rossi che ebbe l’ardire di richiedere il “rinnovo” della licenza di porto di pistola al Prefetto di Poggibomboli.
Il Sig. Rossi non era un “suddito” qualunque; infatti, era una persona facoltosa che viveva in una villa isolata, amministratore unico di una importante azienda, ubicata in zona isolata, con rilevante numero di dipendenti, già oggetto di due rapine.
Per la sua attività il Sig. Rossi era costretto a maneggiare spesso rilevanti somme di denaro, con viaggi anche in altre regioni, per versamenti e prelievi, “risultando, quindi, esposto al rischio di subire atti intimidatori e rapine”(Cons. St. 3527/2012)”.
Il Sig. Rossi aveva presentato istanza di rinnovo della licenza ed era tranquillo di ottenerla, sia perché rinnovata per ben” 30 anni”, sia perché non erano mutati i requisiti soggettivi, né tantomeno le situazioni di fatto che avevano dato luogo ai precedenti rinnovi.
In considerazione di tali circostanze, si potrebbe pensare che la favola non potesse che avere il solito lieto fine con la chiusura “e vissero tutti felici e contenti”, siccome il Sig. Rossi era stato in grado di “dimostrare il bisogno” di andare armato ed il Prefetto si sentiva sollevato da ogni responsabilità, potendo rinnovare l’autorizzazione in questione a termini dell’art. 42 del T.U.L.P.S..
E, invece, no !...La favola, almeno fino a questo punto della narrazione, non ha un lieto fine.
Infatti, il Prefetto, basandosi anche sul parere negativo del Questore, motivato da una pendenza penale per la quale era stato dichiarato il non luogo a procedere, respingeva l’istanza di rinnovo, ritenendo non sussistente “un diritto al rinnovo del porto d’arma e che la P.A. ha in ogni tempo il potere/dovere di verificare la sussistenza dei presupposti di legge, anche alla luce di una diversa valutazione dell’interesse generale indotta dal mutare dei tempi”.
A questo punto della storia, il “suddito” Rossi, sebbene sconsolato, decideva di far ricorso giurisdizionale al T.A.R., ritenendo di essere dalla parte della ragione e che , come in tutte le favole che si rispettino, primo o poi sarebbe arrivato il “Cavaliere buono” per far trionfare la verità.
Ma, anche questa volta, il T.A.R., più che “Cavaliere liberatore”, si dimostrava dalla parte della P.A., sentenziando che “il ricorso non è fondato”! (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, sent. del 25 febbraio 2008, n.144). Infatti, pur riconoscendo che il Sig. Rossi era titolare della licenza “da 30 anni” e che “è immutata la situazione di fatto”, tuttavia riteneva che il Prefetto “ha valutato in modo adeguato l’istanza, ritenendo, alla stregua dell’attuale situazione generale e della mutata sensibilità in tema di possesso di armi, non sussistente il bisogno”.
Quindi, le motivazioni sulle quali il Prefetto aveva basato il suo diniego erano apparse al T.A.R “logiche, puntuali e approfondite”, tanto da giustificare il respingimento del ricorso.
Il Sig. Rossi, sebbene doppiamente sconsolato, non si dava per vinto, confidando, sempre e nonostante tutto, almeno in quel “minimo” di giustizia alla quale aveva diritto anche il “suddito”. Infatti, ricorreva al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza del T.A.R..
Quest’ultimo (Cons. St., Sez. III, sent. del 14 giugno 2012, n.3527), pur richiamando il “consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa” (Cons. St., Sez.VI, 13 settembre 2010, n.6568), relativo alla “elevata discrezionalità” della P.A. nel valutare, in concreto, gli elementi di fatto e i requisiti personali dell’istante, del dimostrato bisogno e dell’affidabilità, , evidenziava che tale elevata discrezionalità “deve essere esercitata secondo i principi di trasparenza dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento del privato nei confronti di essa, senza che ciò possa trasmodare in irrazionalità manifesta” (Cons. St., Sez.VI, 7 giugno 2006, n. 3427).
Lo stesso Consiglio rilevava che, comunque, la valutazione ampiamente discrezionale, riconosciuta alla P.A. “non potrà esimersi dall’indicare, nella motivazione dell’eventuale atto di diniego,il mutamento delle circostanze di fatto e soggettive che l’avevano già indotta a rilasciare negli anni precedenti” la licenza in questione (Cons. St., Sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2450).
Pertanto, il Prefetto, date le circostanze, “avrebbe dovuto motivare in modo più esauriente il diniego del rinnovo di porto di arma”. Se era vero che il Prefetto nella materia “ha un potere ampiamente discrezionale”, era altrettanto vero che avrebbe dovuto fare “una istruttoria esaustiva” e adottare “una motivazione congrua e coerente che tenga conto dei presupposti che avevano dato luogo al precedente rilascio, evidenziando quale sia il cambiamento intervenuto rispetto alle circostanze di fatto che l’avevano già indotto a rilasciare” la licenza di porto di pistola, “soprattutto” quando “il rinnovo era stato accordato per molti anni”(Cons. St. n. 3527/2012)
Il bene, finalmente, trionfava. Era arrivato il Cavaliere “buono”!.... Il Consiglio di Stato, infatti, accoglieva il ricorso del “suddito” Rossi, annullando l’atto impugnato, siccome il Prefetto aveva l’obbligo di “esternare le ragioni per le quali al 31° anno l’interessato non era più idoneo” ad ottenere il rinnovo del titolo di polizia.
Dunque, anche questa favola, cari lettori, come tutte le favole che si rispettino, ha un lieto fine e, quindi, non ci possiamo esimere dal concludere con la famosa frase “e vissero felici e contenti”.
Purtroppo, per il “suddito” Rossi, la felicità e la contentezza durarono poco, fino a quando, cioè, non gli venne recapitata la notula dell’avvocato, siccome il Consiglio di Stato gli aveva sì dato ragione, ma, nel contempo, sempre come in tutte le favole dove un protagonista è la P.A., aveva sentenziato che “la complessità e la peculiarità delle questioni costituiscono giuste ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio”.
Morale della favola: la ragione è dei ………….!
E i soliti ………. sono sempre i “sudditi”, anche quando vengono salvati dal “Cavaliere buono”.
Le sentenze citate sono consultabili nel sito ufficiale della Giustizia amministrativa
www.giustizia-amministrativa.it
Firenze 6 novembre 2012
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