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Una volta avrei scritto "il Consiglio di Stato non finisce mai di stupirmi". Ora devo scrivere che esso ha finito di stupirmi! Dopo aver visto il parere cui si sosteneva che l'UITS era competente a rilasciare il certificato maneggio armi, dopo aver visto il parere cui si diceva che chi ha commesso un reato non può essere riabilitato in eterno ai fini del porto d'armi, dopo aver visto condannare lo Stato italiano a pagare dei soldi nostri a chi sosteneva che un vaccino aveva provocato autismo a suo figlio (i giudici italiani si ritengono molto più competenti in materia alla organizzazione mondiale della sanità!), dopo aver visto che i giudici amministrativi italiani ordinano agli asili di fornire cibo vegano ai bambini, non ci si può più meravigliare di nulla.
Ormai pare che vi sia una lotta a coltello con la cassazione per dimostrare chi riesce a sparare fesserie più grosse.
Il caso esaminato dalla sentenza che riporto qui sotto è esemplare.
Un tizio è possessore di porto d'armi e di armi, è incensurato, vive in un condominio e da degli attriti con un vicino. Non si sa che abbia torto o ragione, non si sa chi sia rompiballe, per quanto risulta dagli atti potrebbe benissimo essere il vicino che tormenta tizio con la musica alta, o sporcandogli l'ingresso, od occupato gli il parcheggio. È pacifico comunque che fra i due non vi è mai stato più di qualche diverbio. Cosa del tutto normale perché chi subisce un torto a tutto il diritto di protestare, di sgridare chi lo torteggia, di mandare a quel paese chi gli fa perdere tempo.
Avviene che un giorno il figlio di tizio, che abita altrove, si reca a trovare il padre. Nel cortile a un incontro con tutta la famiglia del vicino, si prendono a male parole e il figlio va persino a fare un esposto alla polizia. Non si sa che avesse torto o ragione, ma quando uno viene preso a male parole da più persone assieme, indubbiamente c'è da ritenere che vi sia una implicita minaccia di aggressione.
Dopo qualche giorno tizio si vede ritirare le armi e licenze. Fa ricorso al Tar che gli dà ampiamente ragione, tanto, cosa alquanto rara, che condanna il questore a pagargli le spese. Il ministero fa ricorso al Consiglio di Stato e questi capovolge il risultato assolver questore e, cosa rarissima, condanna tizio a pagare le spese.
Ciò significa che per il Consiglio di Stato un cittadino se non vuol essere sospettato di essere un pericoloso psicopatico pronto a esplodere, deve:
- mai protestare con un vicino anche se questo si comporta male;
- mai rispondere ad un vicino se questo insulta;
- sempre porgere l'altra guancia chiedendo scusa in anticipo;
- mai difendersi né con la voce, né con le mani, né con le armi, neppure in caso di necessità.
Ma che minchia di giudici abbiamo?
Consiglio di Stato, sez. IlI, sentenza n. 2996 depositata il 5 luglio 2016
Fatto e diritto
Col provvedimento di data 27 settembre 2012, la Prefettura di Genova - in applicazione dell'art. 39 del testo unico n. 773 del 1931 - ha confermato nei confronti dell'appellante un divieto di detenere armi e munizioni, emesso in data 2 dicembre 2008.
Col ricorso di primo grado n. 1204 del 2012 (proposto al TAR per la Liguria), l'interessato ha impugnato il provvedimento emesso il 27 settembre 2012, lamentandone l'illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
Il TAR, con la sentenza n. 159 del 2013, ha accolto il ricorso, condannando l'Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio.
Con l'appello in esame, il Ministero dell'Interno ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto, deducendo che la Prefettura ha adeguatamente valutato i fatti emersi nel corso del procedimento.
L'appellato si è costituito in giudizio ed ha articolato le proprie difese, chiedendo la reiezione del gravame.
Ritiene la Sezione che l'appello sia fondato e vada accolto.
Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931.
L'art. 11 dispone che «Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
- a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
- a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».
L'art. 39 dispone che «Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne».
L'art. 43 dispone che «oltre a quanto è stabilito dall'alt. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina,
estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi».
Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l'Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell'art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell'art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell'art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell'art. 39 e 43, secondo comma).
In relazione all'esercizio dei relativi poteri discrezionali, l'art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità «di abusarne», mentre l'art. 43 consente alla competente autorità - in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche - in alternativa - l'assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell'interessato: Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922; Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121; Sez. IlI, 12 giugno 2014, n. 2987).
5.2. Nella specie, nel corso del procedimento che ha condotto all'impugnato atto che ha respinto l'istanza di revoca dell'atto del 2 dicembre 2008, la Prefettura ha rilevato che:
- avverso l'atto del 2 dicembre 2008, l'interessato ha proposto un ricorso respinto dal TAR per la Liguria con sentenza n. 2919 del 2009 (la quale ha rilevato che «l'esistenza di un aspro dissidio con il signor ***, sfociato in reciproche denunce, è sufficiente a suscitare ragionevoli dubbi circa l'assenza di serene relazioni civili con gli altri consociati», «non essendo necessaria l'esistenza di una sentenza penale di condanna»;
- con la sentenza n. 3293 del 2010, la Sez. VI del Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR n. 2919, rilevando una «conflittualità ancora presente»;
- sono emersi «ulteriori elementi sfavorevoli», poiché in data 2 dicembre 2011 una pattuglia della Stazione Carabinieri di Cornigliano ha «sopito un acceso diverbio» tra la famiglia del sig. ***. e il figlio dell'appellato, «a seguito del quale questi ha presentato un esposto alla locale Procura della Repubblica».
Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata in questa sede n. 159 del 2013, il provvedimento del 27 settembre 2012 non risulta affetto dai profili di eccesso di potere dedotti dall'interessato.
La Prefettura ha rilevato che - anche a distanza di tempo dalla verificazione dei fatti che erano stati posti a base dell'atto del 2 dicembre 2008 - sono risultati perduranti i contrasti tra la famiglia dell'appellato e la famiglia del signor ***.
Come è stato dedotto nell'atto d'appello, la valutazione della Prefettura - basata su tale accertamento - risulta del tutto ragionevole e comunque è insindacabile nella sede della giurisdizione di legittimità, poiché ha inteso evitare che la situazione possa degenerare, vietando la detenzione di armi e munizioni nei confronti di chi sia comunque coinvolto in contrasti con vicini.
Non rilevano in contrario le deduzioni dell'appellato riguardanti la dedotta esclusiva riferibilità dei contrasti a condotte riprovevoli del vicino, né il fatto che il figlio dell'appellato, coinvolto nella lite «sopita» dai Carabinieri, non sia con lui convivente, trattandosi di circostanze di per sé irrilevanti, in ordine alla ragionevolezza della valutazione della Prefettura, secondo cui lo stesso appellato è direttamente coinvolto, anche per legami familiari, alle vicende accadute.
Per le ragioni che precedono, l'appello va accolto, sicché - in riforma della sentenza impugnata - il ricorso di primo grado va respinto.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l'appello n. 4039 del 2013e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 1204 del 2012.
Condanna l'appellato al pagamento di euro 2.000 in favore del Ministero dell'Interno, per spese ed onorari dei due gradi del giudizio, di cui euro mille per il primo grado ed euro mille per il secondo grado.
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