Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
   

Divieto di detenzione  - Stranezze della Cassazione  (Angelo Vicari)

CASSAZIONE 29537/24. DIVIETO DI DETENZIONE AI SENSI DELL’ART. 40 TULPS.

Il ricorso in Cassazione dovrebbe essere finalizzato al controllo di legittimità dell’attività dei giudici di merito, cioè se siano state applicate correttamente le leggi.
Abbiamo usato volutamente il condizionale dopo aver letto e riletto la sentenza della Cassazione n. 29537/24, relativa al ricorso per il reato della mancata osservanza del decreto prefettizio di divieto di detenzione armi.
Cerchiamo di riassumere sinteticamente la vicenda, nonché le relative perplessità che ne scaturiscono.
Al sig. X  fu fatto divieto di detenere armi, ai sensi dell’art. 39 del TULPS, con provvedimento prefettizio, atto notificato ed eseguito dai Carabinieri, con ritiro cautelare delle armi, anzi di un solo fucile, consegnato spontaneamente dal sig. X.
Qualche anno dopo, durante una perquisizione presso l’abitazione dello stesso, fu rinvenuta una carabina, la cui detenzione risultava regolarmente denunciata prima dell’emanazione del divieto di detenzione.
Per l’omessa consegna di quest’ultima arma, al momento della notifica del decreto prefettizio, il sig. X è stato condannato dal Tribunale, con sentenza confermata in appello, per il reato previsto dall’art 3 della L. n. 895/67, che punisce chi trasgredisce all’ordine di consegnare le armi detenute legittimamente.
Il sig. X è ricorso in Cassazione, contestando la condanna per il suddetto articolo, perché il decreto del Prefetto non conteneva alcuna prescrizione che obbligasse a consegnare le armi possedute, obbligo che il Prefetto avrebbe dovuto legittimamente imporre ai sensi dell’art. 40 TULPS.
Premesso che il decreto prefettizio, imponendo il divieto i detenere armi, contestualmente concedeva  la facoltà di cedere le armi  entro 150 giorni a terzi non conviventi, ovvero alla loro disattivazione o rottamazione, come previsto dall’art. 39, così come modificato dal D.L.vo n. 121/2013 (art. 1), riesce difficile comprendere come si sia potuto sostenere che il decreto non conteneva alcuna prescrizione che obbligasse a consegnare le armi possedute, né i termini.
Di ulteriore difficile comprensione, in punto di diritto, è l’affermazione che il Prefetto avrebbe potuto legittimamente imporre prescrizioni ai sensi dell’art. 40 del TULPS.
Ma ciò che ancor di più stupisce è che anche la stessa Cassazione, accogliendo il ricorso, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il fatto non punibile per la particolare tenuità, ha affermato che il provvedimento in questione non contiene un ordine di consegnare nei termini prescritti le armi legittimamente detenute, emesso ai sensi dell’art. 40 TULPS: non sono indicati i termini entro i quali avrebbe dovuto consegnare le armi, né tantomeno è indicato in quale luogo e in quale modo avrebbe dovuto consegnarle.
Pertanto, il rinvenimento della carabina da parte dei carabinieri, durante la perquisizione, anche se denunciata e quindi già detenuta al momento dell’esecuzione del provvedimento prefettizio, sempre secondo la Cassazione, configura il reato di detenzione illegale ai sensi dell’art. 2 della L. 895/67. Diversamente commette il delitto di cui all’art. 3 della stessa legge il soggetto che non ottemperi al decreto con il quale il Prefetto gli abbia imposto, ai sensi dell’art. 40 di consegnare all’autorità di P.S. le armi da lui detenute, indicando nel dettaglio termini, luogo e modalità della consegna.
Quindi, al sig. X deve contestarsi di aver illegittimamente detenuto la carabina , nonostante il divieto impostogli dal Prefetto, condotta incriminata ai sensi  artt. 2 e 7 legge 895/67.
Non si comprende l’affermazione che il decreto prefettizio non prevedesse un ordine di consegnare, né i termini ed il luogo di consegna. Stupisce perché il Prefetto ha rispettato alla lettera il dettato normativo dell’art. 39, con corretta applicazione della circolare del 28 luglio 2014, prevedendo , oltre la cessione a terzi, anche la disattivazione o rottamazione. La stessa autorità non ha mancato, nemmeno, di osservare la circolare del 25 novembre 2020, relativa agli orientamenti della giurisprudenza amministrativa in materia di applicazione dell’art. 39 TULPS.
Ma il massimo stupore è suscitato dal richiamo alla mancata applicazione dell’art. 40 TULPS.
Non si può certo ipotizzare una svista o errore di trascrizione, siccome la Cassazione richiama detto articolo per due volte, affermando che il provvedimento non contiene un ordine di consegnare nei termini prescritti le armi emesso ai sensi dell’art. 40 TULPS e stabilendo che commette il delitto di cui all’art. 3 della legge 895/67 il soggetto che non ottemperi al decreto con il quale il Prefetto gli abbia imposto, ai sensi dell’art. 40, di consegnare le armi, indicando in dettaglio termini, luogo e modalità della consegna.
Nonostante la copiosa produzione di sentenze in materia, sia del giudice amministrativo che penale, in considerazione della frequente applicazione dell’art. 39, è la prima volta che troviamo un richiamo all’applicazione dell’art. 40.
Infatti gli articoli 39 e 40, pur regolamentando ambedue la potestà del Prefetto di vietare la detenzione di armi, sono due fattispecie con finalità completamente diverse. L’art. 39 riguarda l’adozione del provvedimento in questione nei confronti della persona che non dia più affidamento di abusare delle armi, diversamente dall’art. 40 che, invece, è finalizzato all’emanazione, per motivi di ordine pubblico, di un ordine di consegna diretto alla generalità della popolazione, come, per esempio, nel caso di sommosse popolari. Che si tratti di un provvedimento diretto, non al singolo, ma alla generalità della popolazione di un determinato territorio, alla stregua dell’art. 45 del TULPS, che prevede la revoca generalizzata delle licenze di porto d’armi, o dell’art. 14 D.L.vo 81/2016 relativo alla sospensione dei trasferimenti di esplosivi, lo si evince chiaramente dall’art. 60 del regolamento del TULPS che stabilisce che l’ordine del Prefetto per la consegna di cui all’art. 40 può essere dato con pubblico manifesto.
Peraltro non si possono utilizzare per l’art. 39 le disposizioni di attuazione inserite nell’art. 40, avendo il legislatore stabilito in dettaglio le procedure applicative per ciascun articolo.
Pertanto, affermare che nel decreto prefettizio in questione non erano contenuti i termini di cui all’art. 40, è di non facile comprensione.
Inoltre, è di difficile comprensione che possa commettere il reato di detenzione illegale (art 2 L. 895/67) il soggetto che detenga un’arma dopo che il Prefetto gli abbia fatto divieto di possederne. Giustamente tale ipotesi di reato si configura nei confronti di chi acquista un’arma nonostante sia ancora vigente il divieto di detenzione, ma non è il caso di specie. Infatti la carabina in questione non era stata acquistata dopo l’emanazione dell’art. 39, ma diversi anni prima e regolarmente detenuta. Quindi, trattandosi di arma denunciata, doveva essere consegnata ai carabinieri all’atto della notifica ed esecuzione dell’art. 39, come venne fatto per il fucile.
Dunque, bene ha fatto il giudice di merito a ritenere il sig. X responsabile dell’art. 3 della L. 895/67, che punisce chiunque trasgredisce all’ordine, legalmente dato dall'autorità, di consegnare nei termini prescritti le armi, come peraltro in precedenza stabilito anche dalla stessa Cassazione con sentenza n. 25803 del 2020.

Firenze 6 settembre 2024                                       ANGELO VICARI

Noticina di  Edoardo Mori
Personalmente, per ottuagenaria esperienza, ho il sospetto che i giudici della Cassazione (una volta si diceva Suprema Corte, ma ormai non è più il caso) si sono trovati davanti ad un processo in cui se si riteneva, come legge, giustizia e logica richiedevano, il reato di omessa consegna di armi, questo, commesso nel settembre 2014, era già prescritto o si sarebbe prescritto entro il 2024. Quindi, se avessero accolto il ricorso, il processo doveva tornare in appello e mai si sarebbe potuto concludere entro il 2024 e qualcuno avrebbe potuto chiedersi "ma come minchia hanno fatto i giudici a mettersi dieci anni a decidere un processo in cui i fatti erano documentali, non vi erano prove da assumere e c'era solo da capire quale norma applicare, cioè il tempo che occorre per prendere un libro e leggere tre righe". In effetti era un processo che una volta si faceva per direttissima in una settimana.
Per evitare una simile indiscreta domanda, hanno fatto il gioco delle tre carte e  si sono arrampicati sugli specchi per sostenere ciò che nella legge proprio non c'è e che nessuno in cinquant'anni vi aveva mai  trovato! La detenzione illegale è reato permanente e quindi la prescrizione decorre non da quando si è iniziato a detenere, ma solo da quando si è finito di detenere.
Meno male (si fa per dire), che per evitare le ricadute negative sull'imputato, si sono inventati che il fatto era lieve ed hanno chiuso il caso senza una condanna.
Edoardo Mori



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