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Mi sorprende sempre l’importanza data a Beccaria che era
un modesto letterato del 700, famoso solo per il suo libretto; non era
né un politico, né un criminologo, né un sociologo, ma solo un
letterato salottiero dalla penna facile che poi non ha più scritto
nulla di valido. Un po’ come Robespierre il quale fece un bellissimo discorso contro la
pena di morte!
Di Cesare Beccaria, fiero avversario della pena di morte e
della tortura, si racconta che, essendo stato da un domestico derubato
di un orologio, proprio mentre stava correggendo le bozze di una nuova
edizione del suo celebre opuscolo, si adoperò quanto potè perché fosse
impiccato, o almeno sottoposto a tortura
Questo aneddoto è raccontato dal Byron (Opere tradotte,
edizione Utet, vol. V, pag. 710); e, con parole diverse, anche dal
Foscolo (Lettera in data 7 maggio 1887 alla Albrizzi, nella Eloquenza,
vol. VIII, pag. 719).
Al Foscolo un servo infedele aveva rubato, forzando un cassetto, 1404
lire milanesi e un orologio: coi denari (che erano l'importo di assegni
militari arretrati) il Foscolo intendeva di fare una gita a Venezia. Il
Foscolo fa seguire alla narrazione del fatto le seguenti osservazioni:
“Io non l'ho accusato per non rinnovare l'esempio del Beccaria, il
quale dopo aver pubblicato il libro dei delitti e delle pene, fece
imprigionare per furto domestico un suo palafreniere: il reo era
negativo e il declamatore contro la tortura gridò al tribunale:
a che non gli date la corda? Aneddoto raccontatomi dalla
sorella, dal fratello e dalla figlia del Beccaria” .
Riporto un articolo, molto utile per comprendere il rapporto di
Beccaria con i suoi tempi, Bodin,
Beccaria & Bastiat di David B. Kopel
(David Kopel è Direttore delle Ricerche presso l’Independence Institute
di Golden, Colorado) ed ha ampiamente tratto il problema del
diritto dei cittadini alle armi. Molti suoi scritti sono tradotti in
italiano Si veda la sua pagina
http://www.davekopel.com/Kopel-in-Italiano.htm
;
Il diritto a detenere e portare
armi è un diritto di tutti gli uomini, che trascende le culture e la
nazionalità. In questo articolo, esamineremo tre fondamentali filosofi
politici francesi e italiani, per rintracciare i nessi che hanno
trovato tra la libertà e il possesso di armi.
Durante il Medio Evo e il
Rinascimento, la Gran Bretagna si è evoluta nella direzione del governo
limitato, con una monarchia sottoposta al dominio della legge. La
Francia, invece, si è mossa in un’altra direzione, verso una monarchia
assoluta col controllo totale sull’intera società. Forse nessun
filosofo politico francese è stato tanto importante per la nascita
dell’assolutismo quando Jean Bodin.
La principale opera di Bodin sono i
“Six Livres de la Républicque”, pubblicati nel 1576. La Francia nel
sedicesimo secolo aveva subito terribili guerre di religione tra
Cattolici e Protestanti (gli Ugonotti). La soluzione al conflitto
proposta da Bodin era di rendere l’obbedienza del suddito al re un
punto centrale della sua vita. I doveri verso Dio venivano subordinati
ai doveri verso il re.
Al tempo stesso, il re non aveva
alcun dovere di obbedire alle leggi che lui stesso faceva (o, per dirla
col latino di Bodin, “majestas est summa in cives ac subditos
legibusque soluta potestas”).
La teoria di Bodin che i regnanti
non devono obbedire alle leggi è abbastanza coerente con
l’atteggiamento di molti politici contrari alle armi. Come il deputato
della Louisiana che ha votato il “Brady Bill” e poi si è infuriato
quando il commesso di un negozio di armi gli ha detto che avrebbe
dovuto aspettare una settimana prima di comprare una pistola. O il
membro dell’Assemblea della California che vota contro i possessori di
armi il 100% delle volte, ma che ha il suo permesso per il porto
occultato. O come Bill Clinton, le cui guardie del corpo dei Servizi
Segreti portano le stesse identiche armi che Clinton afferma essere
possedute solo da psicopatici che vogliono uccidere un mucchio di
persone innocenti.
Anzi, il Presidente Bill Clinton,
come il Presidente Richard Nixon, ha utilizzato il Dipartimento di
Giustizia per convincere le corti federali che il Presidente è al di
sopra delle legge, e quindi immune dagli ordini di una corte.
Sottolineando che la Costituzione “non crea una monarchia”, l’Ottavo
Distretto della Corte d’Appello ha rigettato l’affermazione di Clinton
sulla falsa riga di Bodin in relazione al caso di Paula Jones, e la
Corte Suprema ha confermato.
Bodin detestava l’idea che le
persone normali avessero armi. In primo luogo, come Sarah Brady,
pensava che le armi fossero causa del crimine: “la causa di un infinito
numero di omicidi, colui che detiene una spada, un pugnale o una
pistola”.
Ma il problema più pressante era che
un popolo libero non poteva essere soggiogato se era armato: “non
potremo mai pensare di mantenere in sudditanza un popolo che è sempre
vissuto libero, se non è disarmato”.
Privare il popolo del diritto di
essere armato, quindi, era la strada per privarlo della libertà di
parola: il “più semplice modo di prevenire le rivolte è sequestrare le
armi dei sudditi” per impedire ai “sudditi” di esercitare “la smodata
libertà di parola concessa agli oratori”.
Al contrario, se il popolo vedesse
riconosciuto il diritto di essere armato e il diritto alla libertà di
parola, esso toglierebbe il potere politico dalle mani piccola elite
che domina la nazione. Storicamente, una popolazione armata con la
libertà di parola “trasferisce la sovranità dai nobili al popolo, e
trasforma l’aristocrazia in un regime democratico o popolare”. (Tutte
le citazioni sono dai “Six Livres de la Républicque” di Jean Bodin).
C’era un’altra caratteristica di
Bodin nella quale possiamo rintracciare le linee guida del moderno
movimento per la proibizione delle armi. Nel 1563, un dottore tedesco
chiamato Johan Weyer scrisse un libro dal titolo “De Praestigiis
Daemonum”. Attaccando l’ondata di isteria da streghe che si era diffusa
in molte parti d’Europa, il dott. Weyer suggerì che la maggior parte
delle “streghe” fossero soltanto anziane donne mentalmente instabili;
queste donne non dovevano essere bruciate al palo o torturate in altro
modo, poiché non erano in grado nuocere a nessuno. Bodin denunciò il
libro di Weyer.
Beh, chiunque pensi che gli incubi
della caccia alle streghe e della ricerca di nemici immaginari siano
scomparsi, dovrebbe dare un’occhiata agli Stati Uniti dopo gli omicidi
alla Columbine High School, per i quali i possessori di armi in
generale e i membri della “National Rifle Association” in particolare
sono stati denunciati in termini che Cotton Mather (e Joseph Goebbels)
avrebbe senz’altro condiviso.
L’Italia, paese d’origine del
Rinascimento, ha continuato per secoli a guidare l’Europa
nell’evoluzione del pensiero umano. Uno dei grandi pensatori italiani
nel periodo post-rinascimentale è il milanese Cesare Beccaria.
All’età di 26 anni, Beccaria si
trovò a essere una celebrità internazionale con la pubblicazione del
suo capolavoro “Dei delitti e delle pene”. Pubblicato per la prima
volta nel 1764, “Dei delitti e delle pene” venne presto tradotto in
francese, tedesco, polacco, spagnolo, olandese e inglese. La prima
delle tre edizioni americane risale al 1777. Alla fine, il libro
apparve in ventidue lingue.
I Padri Fondatori Americani avevano
familiarità coi lavori di Beccaria (che ammiravano) e di Bodin (col
quale non concordavano sul fatto che il popolo poteva essere sottomesso
solo se era disarmato).
A quanto pare John Adams venne in
possesso di una edizione europea di “Dei delitti e delle pene” prima
che il libro fosse pubblicato negli Stati Uniti. Adams citava Beccaria
nella sua dichiarazione di apertura al processo per il Massacro di
Boston nel 1770, durante il quale Adams era difensore dei soldati
britannici. “Io sono dalla parte degli imputati alla sbarra – affermò
Adams spiegando perché avrebbe difeso clienti così impopolari – e
chiederò scusa di questo solo con le parole di Marquis Beccaria: ‘se
posso essere lo strumento per salvare una vita, le sue benedizioni e le
sue lacrime di trasporto, questa sarà per me una consolazione
sufficiente di fronte al disprezzo dell’intero genere umano’”.
Col libro di Beccaria nacque la
moderna scienza criminologica. Beccaria elaborò la prima teoria
sistematica sul comportamento criminale e sulla politica pubblica
contro il crimine. Denunciò la tortura, i processi segreti, i giudici
corrotti e le pene degradanti.
Ribattezzato “Newtoncino” dai suoi
ammiratori, Beccaria disse di voler applicare principi geometrici alle
leggi penali. Argomentava che un sistema penale dovrebbe comminare
condanne severe solo quanto basta a conservare la sicurezza; ogni pena
oltre questo livello era una forma di tirannia. Come affermò Beccaria,
la legge penale dovrebbe fornire “quei vincoli che sono necessari a
tenere uniti gli interessi degli individui, senza i quali gli uomini
tornerebbero al loro originale stato di barbarie”. E quindi, “le pene
che eccedono la necessità di preservare questo vincolo sono per loro
natura ingiuste”.
All’opposto della visione di
Beccaria, si è espresso il Senatore Orrin Hatch nella sua proposta sul
crimine minorile, attualmente al vaglio del Congresso. Tale proposta
prevede l’obbligo di sentenze di cinque, dieci e venti anni di prigione
per violazioni delle leggi sul possesso di armi e altri crimini non
aggressivi.
La lista delle persone influenzate
da Beccaria include il filosofo inglese Jeremy Bentham, il giurista
inglese William Blackstone e molti filosofi francesi, tra cui Voltaire,
Diderot e Buffon. Gustavo III di Svezia, l’illuminata Imperatrice Maria
Teresa dell’Impero Austro-ungarico, e l’Imperatrice Caterina la Grande
di Russia riformarono i propri sistemi di giustizia criminale seguendo
i suggerimenti di Beccaria.
L’influenza di Beccaria può essere
scorta nell’Ottavo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, che
vieta le pene “crudeli e inusuali”.
Le idee di Beccaria sono visibili
ancora oggi nel movimento per l’abolizione della pena di morte, una
punizione a cui Beccaria fu il primo importante pensatore a opporsi.
Negli Stati Uniti, il più importante
movimento a mettere in pratica le idee di Beccaria è il movimento per
il libero porto d’armi a scopo difensivo.
Thomas Jefferson ammirò “Dei delitti
e delle pene” a tal punto da copiare con attenzione molti lunghi
passaggi nel suo “Commonplace Book”, che conteneva i suoi detti
favoriti. Jefferson utilizzò Beccaria “come il suo principale modello
di riferimento moderno nella revisione delle leggi della Virginia”. Di
seguito si riporta ciò che Jefferson copiò da Beccaria sulle armi da
fuoco, una breve ed efficace spiegazione di come le leggi per il
controllo delle armi danneggino gli innocenti e aiutino i criminali:
“falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per
un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe
agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega, che non
ripara ai mali che col distruggere. Le leggi che proibiscono di portare
armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati
né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter
violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del
codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle
quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e
l’esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima
all’uomo, carissima all’illuminato legislatore, e sottopone
gl’innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la
condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non
iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la
confidenza nell’assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiamano
leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla
tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata
meditazione degl’inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale”.
In altre parole, le leggi contro il
porto d’armi rendono le cose facili per i criminali (che non le
osservano comunque) e ardue per le vittime.
Il terzo filosofo con la “B” che
oggi esamineremo è un altro francese, Frédéric Bastiat. Mentre i libri
di Bodin e Beccaria sono oggi letti solo dagli storici del pensiero, i
libri di Bastiat hanno un’ampia circolazione. Il suo grande classico è
“La legge”, che può essere trovato nei cataloghi di libri libertari o
su internet.
Bastiat aveva senso dell’umorismo.
Una volta fece circolare una petizione dei costruttori di candele che
chiedeva al governo di abolire il sole, poiché il corpo celeste faceva
concorrenza sleale ai produttori di candele.
Ma “La legge” è un libro serio e
profondo. Sebbene le argomentazioni procedano spedite – il libro è di
sole 120 pagine – la passione di Bastiat non concede molto svago lungo
la strada. “La legge” non parla direttamente della politica sulle armi,
ma il diritto all’autodifesa è il principio centrale del libro, e
quindi della teoria politica di Bastiat.
“Cos’è, dunque, la legge? – chiede
Bastiat – E’ l’organizzazione collettiva del diritto individuale alla
legittima difesa”.
Facendo eco a John Locke e Thomas
Jefferson, Bastiat prosegue: “ognuno di noi ha il diritto naturale –
che gli arriva da Dio – di difendere la sua persona, la sua libertà e
la sua proprietà. Queste sono tre condizioni basilari per la vita, e la
conservazione di una di esse è interamente dipendente dalla
conservazione delle altre due”.
Come John Locke e Thomas Hobbes,
Bastiat fonda l’organizzazione della società sul diritto
all’autodifesa: “Se ogni persona ha il diritto di difendere – anche con
la forza – se stessa, la sua libertà e la sua proprietà, segue che un
gruppo di persone ha diritto di organizzare e mantenere una forza
comune per proteggere costantemente questi diritti. Quindi il principio
del diritto collettivo – la sua ragione di essere, la sua legittimità –
è basato su un diritto individuale. E la forza comune che protegge
questo diritto collettivo non può chiaramente avere altro proposito o
altra missione se non quello per cui agisce come sostituto”.
Per Bastiat, l’autodifesa collettiva
è l’unico proposito legittimo dello stato. Proprio come gli individui
non hanno il diritto di farsi del male l’un l’altro, lo stato non ha
diritto di far del male al popolo, tranne che per ragioni difensive:
“quindi, poiché un individuo non può legittimamente utilizzare la forza
contro la persona, la libertà o la proprietà di un altro individuo,
allora la forza comune – per la stessa ragione – non può legittimamente
essere impiegata per distruggere la persona, la libertà o la proprietà
di individui o gruppi”.
“Una tale perversione della forza
sarebbe, in entrambi i casi, contraria alla nostra premessa. La forza
ci è stata data per difendere i nostri diritti individuali. Chi si
azzarderà a dire che la forza ci è stata data per distruggere gli
uguali diritti dei nostri fratelli? Poiché nessun individuo, agendo
separatamente, può legittimamente impiegare la forza per distruggere i
diritti degli altri, non segue logicamente che lo stesso principio si
applica anche alla forza comune, che non è nulla di diverso da una
combinazione organizzata delle forze individuali?”.
Sfortunatamente, piuttosto che
essere impiegata per la difesa, la legge è spesso utilizzata per
prendere la proprietà di una persona e consegnarla a un’altra, in ciò
che Bastiat chiama “la totale perversione della legge”.
Quando è impiegata per negare la
proprietà e la libertà piuttosto che per difenderle, “la legge viene
usata per distruggere il suo stesso scopo: viene applicata per
annullare la giustizia che si supponeva dovesse mantenere; per limitare
e distruggere quei diritti che il suo vero proposito era far
rispettare. La legge ha messo la forza collettiva a disposizione di
persone prive di scrupoli che vorrebbero, senza correre alcun rischio,
sfruttare la persona, la libertà e la proprietà degli altri. Ha
trasformato il saccheggio in un diritto e la difesa in un crimine, allo
scopo di punire la legittima difesa”.
Naturalmente, la legge moderna
spesso “punisce la legittima difesa”: è il caso di giurisdizioni come
New York City, il Canada, l’Australia e l’Inghilterra, dove le persone
che usano le pistole per colpire aggressori violenti sono perseguite
con forza.
Una delle ragioni per cui Bastiat
resta popolare tra i lettori politici moderni è che le sue parole hanno
tale diretta rilevanza nella vita contemporanea. Quando a Waco i
Davidiani vennero illegalmente e senza alcuna giustificazione aggrediti
da un gruppo di violenti aggressori del Bureau of Alcohol, Tobacco and
Firearms, essi vennero processati e giudicati colpevoli di essersi
difesi. Come notava Bastiat: “talvolta la legge mette l’intero apparato
di giudici, polizia, prigioni e gendarmi al servizio dei
saccheggiatori, e tratta la vittima – quando si difende – come un
criminale. In breve, c’è un saccheggio legale”.
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Questo ciò che ha scritto Beccaria sulle armi:
Cap.40
FALSE IDEE DI UTILITÀ
Una sorgente di errori e d'ingiustizie sono le false idee d'utilità che
si formano i legislatori. Falsa idea d'utilità è quella che antepone
gl'inconvenienti particolari all'inconveniente generale, quella che
comanda ai sentimenti in vece di eccitargli, che dice alla logica:
servi. Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi
reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che
toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l'acqua perché
annega, che non ripara ai mali che col distruggere. Le leggi che
proibiscono di portar le armi sono leggi di tal natura; esse non
disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro
che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità
e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le
puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon
essere le contravenzioni, e l'esecuzione esatta delle quali toglie la
libertà personale, carissima all'uomo, carissima all'illuminato
legislatore, e sottopone gl'innocenti a tutte le vessazioni dovute ai
rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella
degli assalitori, non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché
è maggiore la confidenza nell'assalire i disarmati che gli armati.
Queste si chiaman leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che
nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non
dalla ragionata meditazione degl'inconvenienti ed avantaggi di un
decreto universale. Falsa idea d'utilità è quella che vorrebbe dare a
una moltitudine di esseri sensibili la simmetria e l'ordine che soffre
la materia bruta e inanimata, che trascura i motivi presenti, che soli
con costanza e con forza agiscono sulla moltitudine, per dar forza ai
lontani, de' quali brevissima e debole è l'impressione, se una forza
d'immaginazione, non ordinaria nella umanità, non supplisce
coll'ingrandimento alla lontananza dell'oggetto. Finalmente è falsa
idea d'utilità quella che, sacrificando la cosa al nome, divide il ben
pubblico dal bene di tutt'i particolari. Vi è una differenza dallo
stato di società allo stato di natura, che l'uomo selvaggio non fa
danno altrui che quanto basta per far bene a sé stesso, ma l'uomo
sociabile è qualche volta mosso dalle male leggi a offender altri senza
far bene a sé. Il dispotico getta il timore e l'abbattimento nell'animo
de' suoi schiavi, ma ripercosso ritorna con maggior forza a tormentare
il di lui animo. Quanto il timore è più solitario e domestico tanto è
meno pericoloso a chi ne fa lo stromento della sua felicità; ma quanto
è più pubblico ed agita una moltitudine più grande di uomini tanto è
più facile che vi sia o l'imprudente, o il disperato, o l'audace
accorto che faccia servire gli uomini al suo fine, destando in essi
sentimenti più grati e tanto più seducenti quanto il rischio
dell'intrapresa cade sopra un maggior numero, ed il valore che
gl'infelici danno alla propria esistenza si sminuisce a proporzione
della miseria che soffrono. Questa è la cagione per cui le offese ne
fanno nascere delle nuove, che l'odio è un sentimento tanto più
durevole dell'amore, quanto il primo prende la sua forza dalla
continuazione degli atti, che indebolisce il secondo.
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