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RIPORTO IL TESTO DELLA SENTENZA
Cass. pen., sez. I, ud. 9 febbraio 2024 , n. 25524
Con sentenza n. 25524, depositata il 28 giugno 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato una controversia inerente il ritrovamento di armi illegalmente detenute (in particolare un fucile semiautomatico cal. 12) da parte degli eredi di una persona deceduta.
di La Redazione
CASS. PEN., SEZ. I. UD. 9 FEBBRAIO 2024 (DEP. 28 GIUGNO 2024), N. 25524
Secondo la Suprema Corte, l'erede (che diventa, per successione, proprietario di alcune armi) ha l'obbligo di fare denuncia e il non essere a conoscenza di tale onere non giustifica l'omissione.
Infatti, ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo del reato è sufficiente «il dolo generico senza che sia richiesta la consapevolezza dell'antigiuridicità della condotta o di violare una determinata norma di legge. L'obbligo di denuncia delle armi trova la propria ratio nella finalità di mettere l'autorità di polizia in condizioni di conoscere il luogo dove le armi si trovano e le persone che ne hanno la disponibilità».
Ne consegue che, secondo giurisprudenza consolidata, il soggetto che eredita armi e munizioni e omette di denunciarne il possesso alle autorità competenti è responsabile del reato di detenzione abusiva, anche se non sapeva di questo obbligo.
Ritenuto in fatto
1. C. e A. E., nonché T.M.C., impugnano, a mezzo del difensore, la sentenza della Corte di appello di Palermo con la quale è stata confermata la condanna, resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, in data 19 maggio 2021, alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione ciascuno, in relazione ai reati di cui agli artt. 2 e 7legge n. 895 del 1967 - capo A (con assoluzione da quello di cui all'art. 20-bis, comma 2, legge n. 110 del 1975, di cui al capo B) in relazione a un fucile semiautomatico cal. 12 marca Franchi e cartucce a pallini, di proprietà di E.E. deceduto, risultati illegalmente detenuti.
2. Avverso il descritto provvedimento propongono tempestivi distinti ricorsi per cassazione i tre imputati.
2.1. C.E. denuncia violazione degli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967 e vizio di motivazione.
I giudici di appello hanno ritenuto la fattispecie di reato a carico del ricorrente pur risultando per tabulas che nel corso di una perquisizione presso l'abitazione della famiglia E., per l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di C.E., erano state rinvenute l'arma e le munizioni di cui all'imputazione, appartenenti al defunto E.E., padre del ricorrente, arma regolarmente denunciata dal defunto e detenuta in costanza di porto d'armi.
L'arma della quale era stata la stessa T.M.C., madre del ricorrente, a informare la polizia giudiziaria veniva rinvenuta nella camera da letto matrimoniale che la stessa aveva condiviso col marito, senza munizioni e all'interno di un fodero.
Il fucile era risultato detenuto dal deceduto per uso sportivo (caccia) e alla morte del coniuge, secondo quanto ricostruito dal ricorrente, i figli avevano sollecitato la madre affinché si recasse alla locale Stazione di polizia per disfarsi dell'arma, non essendo nessuno di loro amante della disciplina venatoria.
Il ricorrente assume che la T.M.C. aveva dichiarato, all'udienza del 19 maggio 2021, che i suoi figli non sapevano della conservazione dell'arma da parte sua.
La Corte di appello invece ha ritenuto che gli E. in (quanto eredi del deceduto erano diventati, dal momento del decesso, proprietari del fucile e quindi investiti dell'obbligo giuridico di denunciarne il possesso.
Non rileva quanto riferito dalla T.M.C., secondo la Corte di appello, circa la volontà di conservare l'arma per ricordo affettivo, in quanto tutti gli imputati, nella qualità di eredi, dal momento del decesso del genitore, erano diventati responsabili della conservazione della stessa.
Si tratta di un obbligo, quello di ripetere la denuncia da parte dell'erede, la cui mancanza di conoscenza non integra l'ipotesi di cui all'art 5 cod. pen.
Ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo del reato è sufficiente, infatti, il dolo generico senza che sia richiesta la consapevolezza dell'antigiurididtà della condotta o di violare una determinata norma di legge. L'obbligo di denuncia delle armi trova la propria ratio nella finalità di mettere l'autorità di polizia in condizioni di conoscere il luogo dove le armi si trovano e le persone che ne hanno la disponibilità.
Secondo il ricorrente le circostanze emerse rendono palese che, nel caso di specie, le finalità della norma sono state rispettate, trovandosi l'arma nello stesso luogo dove era stata dichiarata, in assenza dell'elemento soggettivo in quanto il ricorrente e suo fratello non sapevano che l'arma fosse rimasta nella disponibilità della madre.
La donna, infatti, è stata l'unica ad informare le forze di polizia della presenza dell'arma della sua camera da letto e ha confermato quanto affermato dallo stesso ricorrente cioè che i suoi figli l'avevano sollecitata a disfarsi del fucile, alla morte del coniuge.
Nel caso di specie nessun dolo generico e nessuna consapevolezza dell'antigiuridicità della condotta può essere, quindi, addebitata ai fratelli E. a parere del ricorrente.
2.2. A.E. per il tramite del difensore, avv. G. Bonanno, denuncia i medesimi vizi e con gli stessi argomenti del ricorso del fratello C. riportati al § 2.1.
2.3. T.M.C. denuncia erronea applicazione degli artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967.
L'obbligo di denuncia delle armi di cui all'ait. 2 legge n. 895 del 1967 trova ratio nell'esigenza di rendere l'autorità di pubblica sicurezza edotta del luogo in cui si trovano le armi e delle persone che ne hanno la disponibilità onde agevolare i controlli.
Nella specie, la finalità della norma non è stata elusa perché l'arma e le munizioni erano conservate nello stesso luogo denunciato dal titolare, prima del decesso.
Il fucile è stato rinvenuto in un fodero, nella camera da letto che la ricorrente divideva con il coniuge, in assenza di conoscenza delle prescrizioni imposte, in caso di decesso del detentore legittimo di armi.
Si conclude nel senso che la T.M.C. non era a conoscenza dell'obbligo di rendere l'arma al decesso di colui che, fino a quel momento, l'aveva legittimamente detenuta.
3. Il Sostituto procuratore generale di questa Corte, Valentina Manuali, ha chiesto con requisitoria scritta, la toria di inammissibilità dei ricorsi.
Considerato in diritto
1.1 ricorsi di C. e A. E. sono inammissibili perché manifestamente infondati.
1.1. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere (cfr. Sez. 1, n. 7906 del 12/06/2012, dep. 2013, Omacini, Rv. 255193 - 01) che chiunque pervenga in possesso di un'arma a titolo di eredità è obbligato a farne denuncia, a nulla rilevando che la disponibilità dell'arma stessa fosse già stata denunciata dal precedente possessore.
Si ritiene, infatti, che in caso di morte del soggetto che ha denunciato il possesso di un'arma alla competente autorità, grava sull'erede l'obbligo di ripetere tale denuncia, anche quando l'accettazione dell'eredità sia avvenuta con beneficio di inventario, procedura che ha il solo effetto di tenere separati, ai fini civilistici, il patrimonio del de cuius e quello dell'erede (Sez. 1, n. 15199 del 21/02/2020, Buggiani, Rv. 278899 - 01).
La motivazione offerta dalla Corte territoriale si pone in linea con tale indirizzo di legittimità rimarcando che tutti gli appellanti, alla morte di E. E., erano divenuti tutti comproprietari, qualità che non è contestata da nessun ricorrente.
La sentenza impugnata, peraltro, con motivazione immune da illogicità^ manifesta, ha, in ogni caso, rimarcato che il fucile e le munizioni erano stati reperiti nell'abitazione familiare. È vero che, secondo i giudici di merito, risulta il rinvenimento del materiale nella camera da letto dell'appartamento, ma la sentenza di appello, su tale punto, specifica (cfr. p. 2) che la stanza non era ad uso esclusivo di padre e madre, tenuto conto che i militari intervenuti sul posto, avevano trovato la porta della camera aperta e di facile accesso a tutti.
In ogni caso, osserva il Collegio che era noto a tutti gli eredi, secondo la ricostruzione recepita nei convergenti provvedimenti (Ji merito, per ammissione della stessa madre e dei figli, che il fucile, al momento del decesso del de cuius. era conservato nell'abitazione familiare e che in tale luogo l'arma era stata lasciata anche dopo la morte del precedente titolare.
Dunque, rispetto a tali beni pervenuti agli E., odierni ricorrenti, a titolo ereditario, dal decesso del de cuius, è sorto con l'acquisto della loro titolarità formale, l'obbligo di denunciarne l'acquisto del possesso, a prescindere dal luogo ove questi erano conservati.
Del resto, dal punto dì vista soggettivo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità cui il Collegio aderisce (Sez. 1, n. 15880 del 16/01/2007, Rizzino, Rv. 236207 - 01), risponde del reato di detenzione abusiva di armi e munizioni il soletto che, venuto in possesso di armi o munizioni per successione ereditaria, abbia omesso di denunciarne il possesso alla competente autorità di Pubblica sicurezza, a nulla rilevando la sua ignoranza in merito a tale obbligo.
1.2. Anche il ricorso di T.M.C. è manifestamente infondato. Si richiamano, in relazione alle censure svolte dalla T.M.C., le medesime argomentazioni di cui al §1.1.
Inoltre, si rileva che la ricorrente, in sostanza, ha immediatamente appreso, perché notiziata sul punto dai figli, dell'obbligo sorto a suo carico, con il decesso del precedente titolare, tanto che risulta informata direttamente dai figli della necessità di disfarsene. Sicché appare manifestamente infondata l'osservazione difensiva diretta a valorizzare l'ignoranza dell'obbligo da parte della titolare subentrata.
Invero, che la ricorrente dovesse o rendere l'arma o ripetere la denuncia, è circostanza che risulta nota all'imputata, dal momento immediatamente successivo al decesso del coniuge, intervenuto nel 2015, mentre il sequestro dei beni interviene in data 23 giugno 2020, quindi dopo un ampio lasso temporale in cui tutte le necessarie iniziative da parte della proprietà subentrata nella titolarità avrebbero potuto essere senz'altro espletate.
2. Segue la declaratoria di inammissibilità e la condanna di ciascun ricorrente, al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost., n. 186 del 13/06/2000), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.
NOTA DI Edoardo Mori
La Cassazione è sempre capace di procurare un senso di smarrimento in chi la legge, come quando uno ci racconta che le vacche volano ed è bene girare con l'ombrello per evitare ciò che cade dall'alto quando liberano il ventre! Ovvio che le vacche non volano e dall'alto cadono solo le sentenze.
Il caso è semplice: Tizio, che detiene un fucile da caccia regolarmente denunziato, muore e i due figli, non conviventi dicono alla madre convivente del defunto che non sono interessati all'arma e che avvisi i Carabinieri di venirsela a prendere. In tempo successivo agenti di PG intervengono presso l'abitazione della vedova ed è essa stessa che li avvisa che l'arma è ancora in suo possesso.
L'accusa non ha fatto alcun accertamento presso i CC per sapere se essi erano stati informati del decesso del detentore dell'arma.
Il caso è semplicissimo ed è stato chiaramente risolto il passato. Ad es. con la sentenzaCass. Sez. 1 n. 11595 del 30/05/1986, più volte confermata da sentenze successive, in cui si scrive: Anche l'erede o chiunque, a qualsiasi titolo, venga in possesso di un'arma per un tempo giuridicamente apprezzabile, ha l'obbligo di denuncia imposto dall'art. 38 T.U.L.P.S., a nulla rilevando che - eventualmente - non ne sia il proprietario, poiché l'obbligo suddetto non è correlato alla titolarità del diritto reale, bensì al rapporto di disponibilità dell'arma.
Nel caso in esame i giudici, digiuni di diritto civile, hanno letto, senza capirle, le massime, ed hanno capito che ogni erede è tenuto alla denunzia delle armi del defunto poiché se è erede la possiede automaticamente. Invece le sentenze del passato sono ben chiare nel limitare l'obbligo all'erede in possesso dell'arma.
E non si può restare se non esterrefatti nel constatare che dei giudici non sono in grado di applicare una norma semplicissima la quale stabilisce che chi detiene, a qualsiasi titolo un'arma la deve denunziare: è una situazione di fatto, non di diritto. E in penale non si viene puniti in base a regole civilistiche, ma solo quando si è responsabili di un fatto commesso con dolo o colpa.
Quindi il ragionamento che dovevano fare TUTTI i giudici che si sono occupati del caso e che hanno sbagliato TUTTI era il seguente:
- la vedova aveva la disponibilità e custodia dell'arma? SÌ
- la vedova si è preoccupata di comunicare che deteneva l'arma? NO
- la vedova ha agito con dolo detenendo illegalmente l'arma? SÌ perché se non si ammette che vi è stata ignoranza della legge, si ricade nel dolo.
Quindi è colpevole.
- Il figlio deteneva l'arma alla morte del padre o l'ha detenuta successivamente? NO
- Il figlio aveva l'obbligo giuridico di denunziare un'arma che non voleva. NO
Il figlio aveva l'obbligo di denunziare che nell'abitazione del defunto vi era un'arma? NO, l'obbligo vi è solo per il rinvenimento di armi che non sa si sia di chi siano, mentre nel caso di specie l'arma era già denunziata e i Carabinieri sapevano dove si trovava. Inoltre la morte del denunziante risultava da registri pubblici e non vi era l'obbligo di comunicarla (principio generale del diritto amministrativo).
Quindi il figlio è innocente.
Risultato a cui si arriva con il solo buon senso senza ricorrere a vecchie sentenze che non si è in grado di valutare.
L'errore nasce da questa idea affermata in sentenza: dal decesso del de cuius, è sorto con l'acquisto della loro titolarità formale, l'obbligo di denunzia.
Peccato per la Cassazione, ma anche in quel libretto intitolato Capire il Diritto for dummies, ci deve essere scritto che quando una persona muore, i suoi eredi legittimi o testamentari non entrano in possesso dei suoi beni (se già non li possiedono ad altro titolo, ma devono compiere atti formali (accettazione dell'eredità) o concreti (occupazione, prelievo) dei beni. L'erede infatti non è obbligato ad accettare l'eredità, che può essere passiva e, in tal caso, deve astenersi dal prelevare qualsiasi cosa, perché l'atto viene considerato come una accettazione implicita. E il possesso dei beni non deriva mai da una "titolarità formale", ma da una situazione di fatto. Ci vuol tanto a capire che l'erede può essere da decenni in Australia, e che non ha alcun obbligo o dovere di preoccuparsi dei fucili del defunto fino a che non entra in loro possesso?
L'art. 38 non si è mai preoccupato di regolare la denunzia di armi ereditate perché la PS non deve occuparsi di questione ereditarie, ma vuole solo che chi si ritrova a detenere armi altrui, lo comunichi ufficialmente in modo che l'autorità accerti che vi sia una persona ideona alla loro custodia, o provveda al loro ritiro se questa persona manca.
Rilevo infine come la pena inflitta sia del tutto spropositata: in un caso in cui manca un dolo, in cui vi può essere stato errore di fatto o di diritto, in cui l'arma è sempre stata sotto il controllo dei Carabinieri, in cui vi erano l'attenuante del fatto lieve, le attenuanti generiche. La diminuzione della pena per il rito, io (ma era la regola) non avrei mai inflitto più di due mesi di reclusione; e forse ora si poteva tranquillamente affermare la non punibilità per la particolare tenuità del fatto. Infliggere 10 mesi e 20 giorni significa che la giustizia ha perso il contatto con la realtà.
24 luglio 2024
email - Edoardo Mori |
http://www.earmi.it - Enciclopedia
delle armi © 1997 |