Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
     
 

Edoardo Mori - Gastronomia, bufale e sciocche invenzioni

 

     È ormai una sofferenza leggere le ricette di cucina su Internet, per la continua falsificazione delle ricette originali (se si cambiano gli ingredienti o le procedure occorre cambiargli anche il nome!): dalla carbonara spariscono gli albumi e si aggiunge la panna solo perché chi cucina non è in grado di cogliere il momento giusto di cottura dell'uovo e la giusta cremosità che dà proprio il bianco; e così si arriva persino a "risottare" la pasta in padella, sciogliendo il formaggio con un po' di acqua di cottura ed ovviamente buttando gli albumi! Neppure i tedeschi arrivano tanto, che pure riescono a fare la pasta al forno quasi senza pasta! Cose da chi è abituato ad infilare la panna dappertutto, a ricoprire i cibi di salse, ottime per nascondere i difetti di ogni piatto. Tipico il caso delle tagliatelle al salmone che cuochi sciagurati preparano in pochi secondi con una bicchierata di panna, invece che preparare una buona besciamella (quella fatta partendo da un soffritto e un po' di carne, cotta per almeno un quarto d'ora, buona da mangiare da sola, e non quella in scatola che si confonde con la panna!). Un tempo i cuochi saltavano la pasta in una padella, sulla fiamma, proprio per "tirare il sugo" e per togliere cremosità, ed ora la ricercano! Un tempo avrebbero definito il piatto un "inquacchero". A me è capitato, horresco referens, in un hotel tedesco a quattro stelle, di vedere una carbonara che si poteva succhiare con la cannuccia e fatta con prosciutto cotto! Come diceva un mio antenato: non lo vomitare, altrimenti te lo rivedi davanti.

     Tutti però imperiosi ad ordinare di usare in cucina solo olio EVO. Non hanno ancora capito che l'olio EVO che comperano a 3 euro al litro (paghi due e prendi tre) è olio algerino, naturalizzato spagnolo e venduto in Italia con noti marchi italiani, comperati dagli spagnoli con i soldi che guadagnano vendendo olio algerino, e con la benedizione dell'Europa che vieta di fare le analisi che consentono di individuare dove le olive sono cresciute! Ammesso che le olive c'entrino.
     La regola ormai è la scopiazzatura totale perché chi scrive è in genere un giornalista o un dilettante che va per sentito dire; se si cerca la ricetta di una zuppa d'orzo, per alcuni è una minestra, per altri diventa "un orzetto", quasi nessuno sa che è una zuppa alquanto densa (quando è fredda il cucchiaio ci sta dentro in piedi, come nella pasta e fagioli!) e che l'orzo deve bollire almeno due ore; nell'ottocento la facevano bollire per cinque ore, Apicio moderno per tre ore, correttamente! In una delle primissime edizioni de Il cucchiaio d'argento (1950-1956) sono incappato in questa luminosa definizione: "la pasta alla carbonara è detta così perché viene fatta con il nero di seppia."
     Non parliamo poi della supina accettazione di ogni favola e fanfaluca del passato, di affermazioni "scientifiche" fatte quando la scienza era ai sui albori, di aneddoti bambineschi inventati di sana pianta, di etimologie ricavate con metodi che già erano indicati come ridicoli dagli antichi romani! I vincisgrassi prenderebbero il nome dal gen. Alfred von Windisch-Grätz, lo zabaglione da un frate De Baylon o da un militare Baglione, o da uno "zio Buglione", il marzapane da un certo Marco. E invece normalmente è provato che i cibi esistevano già secoli prima del personaggio che avrebbe dato loro il nome; Windisch-Grätz, as es., che non poteva essere all'assedio di Ancona nel 1799 in quanto era nato nel 1787; semmai vi arrivò con l'assedio del 1849. La ricetta, un po' più semplice, era però già nel libro Il cuoco maceratese del 1776 con nome di Salsa per il princisgras, e ricompare nel libro Apicio moderno, seconda. edizione, nel 1807, con il nome di Gattò di lasagne alla Misgrasse.
     Un caso emblematico della dappochezza di chi scrive ricette è quella del nocino. In migliaia di pagine internet si trova che le noci per prepararlo vanno raccolte il giorno (o la notte) di San Giovanni, come la leggenda e la superstizione tramandano fin dal medioevo. È una bestialità, e chi segue questo insegnamento non farà mai un buon nocino; come non ci riuscirà mai chi insegna a fare un liquore con le noci secche, messe in infusione con il guscio spezzettato! Dovrebbe essere chiaro anche alle menti più ottenebrate che le noci per il nocino devono essere al giusto punto di maturazione: noce giunta al massino dello sviluppo, ma col il guscio ancora tanto tenero da poterlo infilzare con un ago; quando si taglia in due la noce con un coltello, non si deve sentire una particolare resistenza del guscio ed escono gocce d'acqua. Questo punto ideale dipende dal parallelo, dal clima, dall'altitudine, dalla stagione primaverile, dal momento della fioritura, dal tipo di noce, dal tipo di terreno, ecc.; di sicuro non da San Giovanni!
     Ma ci vuol tanto ad ammettere (visto che poi è una informazione totalmente priva di importanza pratica) che molte etimologie non si conoscono? Zabaione forse vuol dire mescolanza, forse era una parola araba che in Sicilia indicava una crema con uova, ma è pura stupidità linguistica quella di chi guarda nel vocabolario del latino medievale di Du Cange e vi trova che Ammiano ha scritto che in Illiria si faceva una specie di birra detta sabaja e che nel 1570 il re di Polonia Enrico Valesio ha scritto che in Dalmazia e Pannonia vi era una bevanda chiamata sabajum (chiaro che dopo mille anni, la notizia di Ammiano si è alterata!). Ciò basta per gridare di aver trovato l'origine dello zabaglione. Ma siccome è cosa ben dura da spiegare come una birra posso aver dato il nome ad una crema di uova, ecco che dei "letterati" si inventano di sana pianta che nelle osterie di Venezia veniva servita una bibita dolciastra che veniva dalla Dalmazia. Peccato che non esista la minima prova di ciò. Con questi metodi si può arrivare a scrivere, come è accaduto, che il sapone è stato inventato a Savona e che la pistola è stata inventata a Pistoia!
     Questi letterati fanno il paio con quelli che vogliono spiegare la parola finocchio (sodomita, come dicevano i colti medievali) con favolette immonde: che siccome venivano bruciati sul rogo, per nascondere l'odore si gettavano nel fuoco rami di finocchio (gli altri bruciati non puzzano?); e la parola infinocchiare perché gli osti per fregare i clienti con vino cattivo, gli toglievano il gusto dando loro da mangiare semi e frutti di finocchio! Tutto per negare l'ipotesi alquanto verosimile che nel medioevo si facessero battute su coloro a cui piaceva il foeni-culum e che il termine infinocchiare corrispondesse perfettamente all'omonimo buggerare che significa metterlo di dietro. Ovvio che chi pensava che il popolo romano parlasse come Cicerone, non poteva capire che il popolo ama un linguaggio immaginifico e sconcio, e crea le parole in modo estemporaneo, senza seguire le regole della linguistica! Solo l'arguzia popolare romana poteva chiamare con lo stesso nome  testes i testimoni e i testicoli, perché entrambi stanno solo a guardare! Chi vuol comprendere il tipo di arguzia medievale, si legga Il dialogo di Salomone e Marcolfo che ho tradotto dal latino
(http://www.mori.bz.it/humorpage/salomone.htm).
     Bell'empio di ciò è la parola toscana bischero che, come quasi ogni parola indicante in italiano una persona sciocca, contiene un riferimento sessuale (mona, coglione, baccellone, belinon, grullo, minchione, fesso ecc.) ed infatti indica un piolo, un perno, qui preso come simbolo fallico; egualmente cazzo è collegato a cazzeruola, ciò la pentola con il manico bello dritto! Eppure quei bigotti che castravano i libri per renderli ad usum delphini, si sono inventati storielle secondo cui al tempo de' Medici, in Firenze (con tanto di indirizzo) vi era una famiglia di cognome Bischeri che aveva fatto una grossa stupidaggine ed era così passata alla storia per indicare gli stupidi! È proprio il caso di dire: che bischerata!

      Spesso si va proprio nella fantastoria, ad es. inventandosi la "vera" ricetta della matriciana, per la quale non vi è alcuna documentazione che provi che sia nata ad Amatrice (è solo una variante con pomodoro della romana pasta alla griscia) e ci si inventa che l'informazione è già nell'Apicio moderno di Leonardi del 1807 (vedi nel sito La Cucina Italiana), quando a Roma, come il Belli avrebbe scritto qualche decennio dopo, con la parola matriciana si intendeva solo una donna di Amatrice. Leonardi non ha mai parlato di matriciana, ma solo del sugo di pomodori alla napoletana. Ma la citata Rivista non è nuova a svarioni del genere: ha scritto perentoriamente che le castagne si distinguono o in selvatiche o in marroni; tertium non datur! Eppure in Italia abbiamo un bel po' di castagne domestiche tutte a livello dei marroni.
          Circa l'origine di queste ricette riferite a professioni (carrettiera, carbonara, boscaiola, cacciatora, finanziera, puttanesca) si cade sempre nell'errore di ricercare un collegamento effettivo, una prova, che un certo gruppo usasse davvero quella ricetta. Può accadere, ma normalmente il collegamento è di fantasia; è possibile che la pasta alla carbonara la usassero i carbonai nei boschi, ma è molto più probabile che un oste intelligente, che serviva una pasta con l'uovo, già in uso senza alcuna fama, l'abbia battezzata come pasta alla carbonara, tanto per far credere di servire una specialità; ma è anche possibile che la servisse un'osteria ove si recavano i venditori di carbone dopo il mercato! La stessa cosa si può dire circa la matriciana che, in ipotesi, può anche aver preso il nome dalla moglie abruzzese di un oste romano, famosa per le curve palpabili. Nulla vieta di servire una pasta e fagioli come pasta alla carabiniera, ma ognuno dovrebbe capire che i carabinieri non c'entrano nulla.
     Per la carbonara, il nome non è affatto moderno,come tutti affermano, perché in due libri del 1910 e del 1921, emiliani e trentini, si riporta la ricetta della "polenta alla carbonara", condita con dadini di prosciutto e con fagioli. Ciò significa che all'inizio del secolo i carbonai effettivamente si preparavano un piatto molto rustico con polenta e un po' di grasso rosolato dentro; quando poi dalla polenta sono passati alla pasta secca, il nome di carbonara è rimasto per indire il rustico piatto dei carbonai. È del tutto inutile correre dietro alle fanfalucche dei soldati americani che fanno scoprire le uova ai romani quando liberano la città dai tedeschi. I dubbi se i carbonai avevano l'acqua per far bollire la pasta (.. se ce l'avevano per la polenta.. !) e i legumi, se la pasta non ammuffiva (ma è sempre stata portata sulle navi già prima di Cristoforo Colombo!), se avevano il parmigiano (quello no, ma di pecorino a iosa!) sono di inesperti di vita nei boschi; se si toglie la polenta, i legumi e la pasta, con un po ' di grasso per le calorie (tante per chi lavora sodo!), che cosa mai potevano mangiare i boscaioli, soli per un mese sulle montagne?

     Proprio ora trovo una chicca riferita da una Rivista di cucina, senza crederci, ma comunque trasferita a tutti i creduloni, sulle origini delle patatine fritte: in Belgio si sostiene che la popolazione dei Valloni, vivendo lungo le rive della Mosa era abituata a nutrirsi da sempre con il pesce che vive il grande fiume. Se non che d'inverno le acque della Mosa gelano e non si può pescare. Pertanto nel 1781 le mogli dei pescatori hanno iniziato a friggere le patate tagliandole a forma di piccoli pesci. Le favole dei fratelli Grimm sono senz'altro più credibili!
     Leggo sulla stessa Rivista di Cucina, adusa a questi errori, questa affermazione categorica:
A questo punto va precisata la differenza tra lesso e bollito. Il lesso si ottiene mettendo la carne in acqua fredda con Io scopo di ottenere un buon brodo; nel bollito la carne è immersa nell’acqua già bollente per chiuderne i pori e preservare meglio aromi e sapori.
     Affermazione che si ritrova in decine di siti internet e c'è persino chi crede di scoprire (AIFB, Associazione italiana food blogger) che la distinzione fra lesso e bollito risale all'Artusi il quale scrisse: Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai. Se poi, invece di un buon brodo preferiste un buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi. È noto pur anche che le ossa spugnose danno sapore e fragranza al brodo; ma il brodo di ossa non è nutriente.
     Prova documentata di un falso culturale perché l'Artusi in tutto il suo libro parla sempre e solo di lesso e non usa mai il sostantivo bollito. Come diavolo poteva fare a confrontare il lesso con il bollito?! Egli si è limitato a dire che per fare il brodo è meglio mettere la carne in acqua fredda mentre per fare il lesso, è bene metterla in acqua bollente. Si è dimenticato di dire che per fare un buon brodo la carne va stracotta, il che rende molto irrilevante in quale acqua si è iniziata la cottura.
Ed era la nozione corrente; nel 1865 la Guida della Famiglie, di Milano, scriveva: nella bollitura delle carni si ottengono due prodotti: il lesso e il brodo.
La distinzione fra bollito e lesso è puramente linguistica e regionale. Il Nebbia, ne Il Cuoco maceratese del 1820, parla solo di allessi, che egli cuoce in acqua fredda. Nel 1832 il Cuoco Piemontese neppure si preoccupava se usare acqua fredda o calda.
Nel 1859 il Cuoco milanese e la cuciniera piemontese parla solo di manzo da far lesso e non si preoccupa se mettere la carne in acqua fredda o calda; anche parlando del brodo non si pone il problema. Il termine bollito nell'Ottocento si trova solo in documenti ufficiali per il vitto dei carcerati o dei soldati! La Marina preferiva il termine lesso. Nel 1823 lo Stabilimento di Aversa (manicomio) regolava il bollito di manzo.
     Quindi: nessuna differenza fra lesso e bollito e il fatto di raccomandare la cottura in acqua calda per il lesso è posteriore al 1860. Recita un testo del 1885: Bollito: vivanda di carne lessa; in fr. bouilli. In molte province d'Italia, di rado in Toscana, i1 lesso, si chiama bollito. Si può suppore agevolmente che il termine bollito fosse più usato in Piemonte e dalla burocrazia piemontese, mentre il termine lesso era più diffuso dalla Toscana in giù; in effetti in casa mia, sulla linea gotica, mia madre, lombarda, parlava di bollito e mio padre, toscano, di lesso!
     La questione dell'acqua calda e fredda si spiega per l'influenza di Liebig, il noto chimico inventore dell'estratto di carne e dei dadi da brodo. Egli era un buon chimico nel settore dei concimi chimici per l'agricoltura, ma non era proprio un genio; si fece criticare perché aveva lanciato una campagna contro l'introduzione del water closet, iniziata in Inghilterra. Egli sosteneva che le feci andavano conservate e recuperate per spargerle nei campi e utilizzarne il fosforo in esse contenuto e prevede la rapida scomparsa dell'agricoltur inglese sei si fossero gettate nei fiumi a mezzo del water! Se lo avessero seguito, probabilmente si sarebbe estinto per primo il popolo inglese a causa di infezioni di colibacilli! Ma egli sosteneva anche che l'estrazione dello zucchero dalla barbabietola non aveva futuro (Lettera 1/10, circa 1850)! Egli ottenne una certa fama con l'invenzione dei dadi per brodo, pochi anni prima dello svizzero Maggi, che li milgliorò notevolmente usando come aroma il levistico.
     Poi, disgraziatamente, si diede ad esperimenti di cucina e credette di scoprire che era essenziale rosolare a forte calore la carne per creare una crosticina e bloccare l'uscita del siero e che, se si voleva fare un buon bollito, la carne doveva essere messa a cuocere in acqua bollente (si vedano Lettere di Chimica, tradotte in italiano nel 1853).
     Sul primo punto era incorso in un errore: la crosticina, come ben già sapevano i cuochi, e come spiegò il Maillard nel 1913, serve per dare un buon sapore alla carne, ma non ad evitare la perdita di succhi; questa viene impedita già nel momento in cui gli strati esterni di carne superano la temperatura di 65-70 gradi e non cambia molto se si inizia o meno mettendo la carne nel grasso bollente, in quanto il calore penetra molto lentamente.
Sul secondo punto, relativo alla carne da lesso o da brodo, il problema è mal posto perché per fare il brodo si usano parti di carne più scadenti e una bollitura più prolungata.
     Se un bel pezzo di carne viene fatto bollire per mangiarlo lesso, poco importa se viene messo nell'acqua calda o fredda, perché non appena l'acqua si scalda oltre i 65 gradi (una decina di minuti), le proteine degli strati superficiali si coagulano e la carne conserva le sue qualità. È invece essenziale non far cuocere la carne oltre il punto di ottimale tenerezza. Se Liebig si fosse comportato da scienziato anche in cucina, avrebbe dovuto prendere un "cappello del prete", tagliarlo in due parti eguali e metterle in due pentole diverse, una con acqua fredda e l'altra con acqua bollente, e farle bollire fino a cottura del pezzo messo in acqua bollente. A quel punto faceva una prova con un gruppo di amici per stabilire se trovavano qualche differenza. Né lui né altri lo hanno mai fatto e perciò siamo rimasti al livello delle leggende metropolitane, tanto amate in gastronomia!
     In Italia l'informazione del Liebig è stata diffusa da Paolo Mantegazza con il suo libro Elementi di Igiene del 1864, con numerose riedizioni successive fino al 1874,
 Mantegazza è stato senz'altro un validissimo scienziato e scrittore, ottimo divulgatore, ma è stato tradito dall'entusiasmo ottocentesco per le scienze nascenti, come la chimica organica e la biologia; era sufficiente trovare qualche piccolo spunto per proclamare certezze che erano solo nella mente di chi le diffondeva. Purtroppo se erano inserite in libri o riviste popolari influenzavano i creduloni per generazioni. Il Mantegazza non era neppure un buongustaio; stravedeva per la cucina francese e scriveva La cucina milanese è degna rivale della francese; ma ha il grave torto di ungere con troppo adipe i suoi cibi, di dar troppo riso e di servire le carni troppo frolle. La cucina tedesca coi suoi farinacei e dolciumi è flatulenta e stupefacente! Aggiunge poi: Le due operazioni fondamentali della cucina sono il bollire e l'arrostire. Per un italiano non è il massimo ignorare stufati e brasati.

     Un bell'esempio di come nascano e si perpetuino infinite bufale, basate su aneddoti inventati a tavolino, da chi non ha la minima idea di come nascano le parole in una lingua, è quello del buffet, quale credenza su cui esporre i patti. Vi sono migliaia di siti in cui si legge, come dato storico certo, che Pierre Buffet era il cuoco di Francesco I, Re di Francia, che aveva creato, attorno al 1520 una specie di carro su cui trasportava i cibi pronti da servire al suo Re, anche dopo una battaglia. In effetti Pierre Buffet è esistito, è stato al servizio di Francesco I e poi è passato al servizio del datario apostolico Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona. Sul famoso carretto non vi è nessuna documentazione storica, ma è evidente che Buffet non ha mai inventato nessun carretto e che il fatto che in Francia la credenza venisse indicata con il nome di buffet è una pura coincidenza fonica, così come sapone assomiglia a Savona! Eppure la storiella, di recente, è finita come vera nel libro La storia di ciò che mangiamo di Renzo Pellati, specialista in Scienza dell’Alimentazione; qualifica che lo giustifica perché non è specialista in linguistica!
     Nel Dizionario etimologico della metà del 1700 di Gilles Menage si legge che la parola buffet deriva da un antico bufetagium e cioè credenza in cui nelle osterie si esponevano vini e boccali; termine poi divenuto bufet o buffet . Del resto in italiano è ancora viva la parola buffetteria.
     Se si consulta il Glossarium totius latinitatis del Du Cange si legge che bufetarius (in spagnolo bufiador) era il buffettier (oste) che vendeva il vino dal buffet; termine documentato in molti documenti medievali (1364, 1411, ecc.). In Italia la parola usata per indicare il mobile da esposizione, prima di stoviglie, coppe ed argenti, e poi anche di vivande apparecchiate su di esse, era credenza, che spesso era mobile per poter presentare i cibi nei locali degli ospiti o nei giardini (Si veda in Bartolomeo Scappi, 1570).
     Quindi: un antenato di Pierre Buffet era un oste che aveva preso il cognome di Buffet, (ancora molto diffuso in Francia) ed è stato il carretto a date il nome al cuoco e non viceversa!

Bolzano, 1 febbraio 2021

 

 

 

 

 


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