Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Le frattaglie nella cucina dell'Alto Adige

Non è facile parlare di frattaglie in un’epoca in cui la nostra civiltà si considera ricca e i giovani sono diventati schizzinosi. Ormai nessuno è capace di macellarsi un pollo o un coniglio, e tantomeno di pulirselo, e i più rifiutano ogni carne che ricordi troppo un essere animale; meglio le carni lavorate industrialmente e trasformate in amorfe fette o poltiglie, insaccate o inscatolate, rispetto alle quali si può far finta di ignorare che esse provengono da un essere zampettante; il maiale o il pollo si possono mangiare perché allevati per morire ben nascosti alla nostra vista, un cinghiale no, perché è libero e viene ucciso con un'arma.
È ovvio che con questa mentalità si è portati a rifiutare per principio quelle parti che più ricordano come l’uomo abbia le stessi identiche frattaglie e lo stesso sangue, di ogni altro animale.
La scarsezza della domanda ha comportato la sparizione dal mercato di questi prodotti: le macellerie delle città ricevono mezzene perfettamente separate da frattaglie, teste e zampe già avviate ad usi industriali, e chi volesse usarle deve ordinarle o deve cercare di trovarle presso qualche macelleria di campagna.
Anche in Alto Adige, fino agli anni sessanta, nelle famiglia si mangiava tutto e non si buttava via nulla di nessun animale, dalla orecchie ai piedini dei quadrupedi, dalle creste alle zampe dei volatili, alle interiora di animali da cortile. Quando si macellava un maiale si utilizzava veramente tutto: il fiele veniva conservato per utilizzarlo nel sapone o come rinforzante nel risciacquo di tessuti. La vescica, se non usata per insaccare lo strutto, serviva per fare una borsa per il tabacco o per foderare l'interno delle scarpe! Si usava ancora trattare le orecchie di maiale come lo speck ed anche la mammella di mucca veniva tenuta in acqua corrente e battuta per eliminare il latte, messa in salamoia, affumicata e stagionata; trattamento analogo si ritrova nel Teteun della Val d'Aosta e, senza affumicatura, in Val Camonica. Per gli apprendisti macellai un piatto frequente era una fetta di mammella (o di polmone) di vacca bollita, affettata e trasformata in bistecca alla milanese! Ed invero non sono passati molti decenni da quando in Germania si mangiava ancora l'analogo falsches Kotelett (falsa cotoletta) o Berliner Schnitzel.
Era la cucina povera (ma saporita), abbandonata con l’arrivo del benessere e che ha lasciato poche tracce nel libri di cucina, non certo destinati ai poveretti. Solo pochi prodotti sono rimasti nei menù dei ristoranti, come il fegato, le animelle, la trippa.
La cucina dell’Alto Adige non si è sottratta a questa involuzione e le pubblicazioni dell’Accademia hanno già riportato gli impieghi ancora diffusi nei ristoranti: il fegato nei canederli, la milza nei crostini di milza, la trippa nella minestra acida (Sauresuppe). Queste ricette sono note e non è il caso di riproporle. Per trovare altre ricette bisogna scoprire ciò che è ancora in uso nei masi dei contadini aprentisi all'agroturismo; ma non ha molto senso ricercare quanto esse differissero da luogo a luogo e quanto si differenziassero, ad esempio, da omonime ricette del Nordtirolo, perché manca una sufficiente letteratura sull'argomento ed è difficile capire quanto le poche ricette che si trovano siano rappresentative di usi generalizzati e quanto siano state influenzate da analoghe ricette contenute in libri austriaci. Le ricette tipiche locali sono, e non poteva essere altrimenti, ricette del modo austriaco e le varianti sono ricollegabili ad una diversa evoluzione nel tempo o nell'ambiente sociale: nelle città e nei ristoranti è normale che le ricette vengano raffinate ed adeguate ai cambiamenti del gusto. I pochi testi disponibili consentono di stabilire che le variazioni sono comunque modeste.
Nel 1949 venne pubblicato a Salisburgo il libro di Elisabeth Heinrich, Das Kochbuch der Bäuerin (Il libro di cucina della contadina), sponsorizzato ufficialmente, che ottenne un successo straordinario tanto che nel 1956, aveva già venduto 20.000 copie e nel 1990 era giunto alla nona ed ultima edizione. Questo libro, un manuale completo che partiva dalla macellazione degli animali, trattando poi ogni tipo di ricette, fino alla preparazione del sapone, divenne un po' il testo di riferimento per le cuoche e fece dimenticare la versione primitiva di certe ricette (l'ho trovato anche in due masi dell'Alto Adige). Nel 1974 Maria Drewes pubblicò il suo libro Tiroler Küche e anch'esso divenne un punto di riferimento.
Cercheremo quindi di individuare, con l'aiuto di questi testi, le ricette storicamente più importanti, ancora presenti nella cultura gastronomica locale, con maggior attenzione al gusto del nostro tempo che a quello del passato. Si tenga presente che le ricette di un tempo erano basate più su frattaglie suine che bovine poiché i vitelli non venivano di certo macellati per uso del maso e che molte ricette erano stagionali perché strettamente legate alla macellazione del maiale di casa. Piatti nati nella casa del contadino per utilizzare le frattaglie, di limitata conservabilità, sono poi divenuti piatti da osteria, per rifocillare i viandanti e i contadini che si recavano in città nei giorni di mercato.

Il Beuschl
Una ricetta ampiamente diffusa, buona per utilizzare le frattaglie di bovino, di maiale, di agnello, era il Beuschel, ampiamente diffuso in tutta l'Austria con molte varianti. Il vocabolo deriva da Bausch (rigonfiamento) che indicava, nella forma diminutiva Beuschel (o Beuschl) il polmone, e poi, nel linguaggio comune è passato ad indicare il piatto contenente anche altre frattaglie. Fondamentalmente è nato come uno stufato di polmone a cui ben presto si aggiunse anche il cuore; era un piatto che compariva nel menù delle famiglie se erano disponibili frattaglie; del tutto moderna è l'aggiunta della lingua e, modernissimo, l'uso della sola lingua.
È una preparazione nota fin dal 1400. Tutti i libri del 700 ed 800 contengono la ricetta; però fino al 900 era considerato un piatto di troppo scarso valore per servirlo ai ricchi borghesi o ai nobili; ma poi, a Vienna, raffinato con panna e Gulaschsaft diventò un piatto nobile, o Salonfähig (adatto ai saloni). Il Gulaschsaft non è il sugo del Gulasch, ma una salsa cremosa che contiene più o meno gli ingredienti del Gulasch, salvo la carne: cipolla abbondante, aglio, concentrato di pomodoro, paprica, cumino, brodo; è comune in tutto il mondo germanico, tanto che ditte note vendono i dadi per prepararlo.
Ancora oggi in Austria la preparazione di questo piatto serve talvolta da banco di prova per valutare le capacità di un cuoco di trattoria perché un buongustaio diventa uno Stammgast (habitué con il proprio tavolo) solo se trova un buon Beuschl. Si ritiene che il miglior risultato si ottenga con frattaglie di vitello. La sua particolarità è di essere preparato con frattaglie preventivamente bollite, il che ne attenua il sapore. Esse sono poi affettate sottilmente, a fettuccina, il che ne migliora la consistenza. È apparentato con lo sguazet trentino, che è un semplice stufato di frattaglie miste di vitello, non preventivamente bollite, addensato alla fine con farina e vino bianco, e con il tedesco Gschling (ufficialmente riconosciuto come specialità della Franconia) che è preparato più o meno come il Beuschl, ma con frattaglie miste di maiale (oltre a polmone e cuore, anche milza, rognoni, ecc). In molti testi i termini Beuschl e Gschling sono considerati equivalenti ed è logico immaginare che il piatto sia nato solo come un semplice ragù di polmone e che poi si sia diversificato e perfezionato nei secoli.
Per la preparazione del Beuschl occorre una buona qualità di polmone e cuore di maiale o vitello, freschi, ben coloriti e non flaccidi; ottime le frattaglie di agnello o capretto. Essi vengono bolliti con mazzetto di erbe odorose, lasciati raffreddare, tagliati a striscioline e poi ulteriormente cotti in una salsa cremosa con cetriolini, capperi, aglio, cipolla, acciughe, farina, aceto, panna acida. Talvolta si univa anche della trippa di vitello. Si serve con canederli o con polenta.

Riportiamo qui la ricetta più raffinata all'uso di Vienna, codificata dal Ministero per agricoltura e foreste austriaco:
Per la carne: 900 g polmone di vitello. Mezzo cuore di vitello. 60 g di cipolla. 150 g di sedano, carote e prezzemolo. 1 foglia di alloro. 5 grani di pepe nero. Rametti di timo. 2 litri di acqua salata.
Per la salsa:. 4 cucchiai di olio. 30 g farina. 40 g cipolla. 60 g di cetrioli sottaceto. 10 g di capperi. 1 cucchiaio di aceto e uno di sugo di limone. 4 filetti di acciuga. 1 cucchiaino di senape. timo e prezzemolo. 3 cucchiai di vino rosso. 3 cucchiai di panna acida.
Cuocere le frattaglie per circa un'ora, come per fare un bollito e far raffreddare nel suo brodo.
Togliere dalla carne vene e cartilagini e affettarla a striscioline. Rosolare l'olio con la farina e un pizzico di zucchero per far prendere colore e mettere a rosolare la cipolla; aggiungere un po' del brodo filtrato, sciogliere i grumi e cuocere lentamente per circa mezz'ora in modo da avere una salsa cremosa.
Aggiungere la carne e i sapori e cucinare per una decina di minuti. Da ultimo aggiungere il vino e la panna acida. Controllare sale e pepe. È facoltativa (e moderna) una grattatina di buccia di limone.
NOTA: La panna acida o crème fraiche, se non la si trova al supermercato può essere prepara in casa mescolando 100 gr, di panna fresca con altrettanto yogurt e un cucchiaio di sugo di limone; coprire e lasciar riposare a temperatura ambiente per almeno due ore oppure per mezza giornata in frigo.

La testa di vitello
Altra ricetta ancora usuale in buoni ristoranti è la testina di vitello. Non è un piatto tipicamente tirolese, ma qui è particolarmente amato e diffuso e consumato in più varianti. I componenti non sono vincolanti; nel meranese si serviva un saures Vormas (antipasto agro) composto da piedini, orecchie e musetto di maiale bolliti. Un Accademico ha potuto ancora gustare, come nell'ottocento, una testa di maiale bollita e servita intera, con il trinciante che distribuiva ad ogni commensale una giusta selezione di parti.
Una testa di vitello pesa circa cinque chili e il prepararla in casa non è proprio una cosa da piccola cucina moderna. In genere la testina viene preparata dalla macelleria, nella forma pressata da consumare a fette, oppure il macellaio vende la parte frontale della testa già disossata ed arrotolata (la cosiddetta maschera del vitello), oppure si cerca di acquistare una mezza testa, più facile da lavorare. In realtà si mangia solo la parte esterna anteriore, meno grassa, e dipende dai gusti e dalla pentola se far bollire o meno anche la parte ossea. In certe preparazioni della testina si fa uso anche della parte magra della lingua.
Chi volesse partire dalla testa dovrebbe fiammeggiarla, lavarla, tenerla a bagno in acqua fredda per alcune ore e, poi, sbollentarla in moda da poterla disossare.

Metodi di preparazione
La testina (si calcolano circa 150 grammi per ogni persona) deve essere lessata da sola; richiede una cottura di quasi due ore se lasciata intera e di un’ora e mezzo se tagliata a pezzetti; l’acqua deve essere moderatamente salata e aromatizzata con cipolla, sedano e carota, foglia d'alloro, chiodi di garofano, pepe in grani e altre erbe odorose, secondo i gusti (ad esempio, grani di senape).
Per mantenere inalterato il colore bianco della carne, si consiglia di aggiungere all’acqua di cottura un po’ di succo di limone o due cucchiai di aceto e un cucchiaio o due di farina mescolando velocemente per evitare che si formino grumi (attenzione perché si forma schiuma e l'acqua tracima facilmente).
Il grado di cottura si controlla pungendo la testina con una forchetta: è pronta quando risulta tenera e non più gelatinosa.
Toglierla dal brodo, farla raffreddare ed eliminare grasso, tendini pellicine e tagliarla a piccoli pezzi della larghezza di un dito.
Può essere consumata calda, come un bollito, con le salse usuali, o fredda condita "in agro", oppure fritta.
Se si vuole pressare, prendere la carne bollita con la sua cotenna, tagliarla a dadi di circa 3 cm e metterla una forma rettangolare; filtrare il brodo, farlo ridurre a circa un terzo e versarlo sulla carne; pressare bene con un peso e mettere al fresco per un giorno. Si versa infine ancora un po' del brodo gelatinoso sopra la carne, cosa che aiuta a conservarla meglio. Si possono inserire anche pezzi di lingua bollita assieme alla testa o a parte. Corrisponde un po' alla Sulze (testa in casetta) che in realtà, oltre alla testa di maiale, contiene piedino, cotenne ed altro.
Le successive preparazioni più usate sono:
Testina in agro
I pezzi di carne freddi oppure le fette della carne pressata vengono serviti con olio, aceto, anelli di cipolla, sale e pepe; qualcuno vi accompagna del rafano (Kren) grattugiato. La preparazione migliore si ottiene però cosi: si arrotola una lingua entro la "maschera", si avvolge in un telo, si lega ben stretta e si tiene in frigo per alcune ore; poi il rotolo si taglia a fette alte un dito e si condisce come appena detto.
Si accompagna bene con pane di segale e insalate.
Testina impanata
Tagliare la testina fette di circa un centimetro, impanarli con uovo e pan grattato e friggerli.

Il cervello
Il cervello di molti animali, così come le animelle, è considerato da sempre una specialità sopraffina e molteplici sono le ricette che lo utilizzano nei più svariati modi.
Sono ricette diffuse con modeste varianti regionali e non vi è ragione di ripeterle qui. Di un certo interesse la Hirnsuppe (crema di cervello saltato con cipolla, passato e diluito con brodo, addensato con panna e rossi d'uovo) e gli Hirnschöberl (biscottini di pan di Spagna salato in cui viene incorporato il cervello rosolato; è una specialità austriaca, ormai inserita anche in ricettari italiani).

Una ricetta austriaca che in tempo di crisi merita di essere ricordata perché utilizza panini raffermi ed è tipicamente casalinga è quella degli Hirnpofésen.
La loro origine si rinviene in quella preparazione che nel modo germanico chiamano Arme Ritter (cavalieri poveri) o Bavesen o Bofesen, ma già anticipata da Apicio che friggeva pezzi di pane secco e poi li serviva con il miele, e che si ritrova, con il suo nome di cavaliere povero nel Buoch von guoter spîse, (Libro del buon mangiare) circa del 1350. Pare che il nome Bavesen, poi diventato Pofesen e, localmente, Profesen, derivi da "pavese"; siccome il temine indicava un tipo di scudo molto diffuso nel medioevo, il collegamento con il termine cavaliere potrebbe far supporre un uso della specialità in ambiente militare. In sostanza si tratta di fette di pane fritte e, se disponibili, insaporite con prodotti dolci o salati. Lo Hirnpofesen utilizza a tal fine del cervello e la ricetta potrebbe essere tradotta come "cervello in carrozza".

Ricetta degli Hirnpofesen
Un cervello di vitello (ma anche di maiale) viene scottato in acqua bollente, si toglie la pellicina, si trita e s soffrigge leggermente nel burro con un po' di cipolla; si lega poi con un roso d'uovo e si insaporisce con sale, pepe, noce moscata, prezzemolo. Si spalma su una fetta di pane bianco, si copre con una seconda fetta, si impana con uovo e pangrattato e si frigge non troppo rapidamente, affinché anche il ripieno si rassodi bene. Il pane troppo secco viene inumidito con latte. La ricetta originale non prevede l'uso di due fette di pane, ma di un mezzo panino che viene spalmato con il composto di cervello e fritto in grasso abbondante con la parte spalmata rivolta verso il basso (è la stesa procedura usata per i crostini di milza). Oppure da un panino si ricavavano delle fette aperte in due "a libro" e nell'apertura si mette un po' di farcia di carne.
Modernamente la ricetta viene fatta anche con fette di pane da toast. Si mangiano con secondo piatto o come antipasto e si accompagnato a verdure cotte.
In Trentino hanno assunto il nome di profézeni, con la differenza che le due fette di pane soprapposte non vengono impanate, ma immerse in una pastella di latte e farina (metodo non sconosciuto neppure in Austria).

 

Sangue
Cibi a base di sangue sono ormai improponibili, e si usa solo nel sanguinaccio e nei sughi di selvaggina (ma è meglio che il commensale lo ignori!)
Un tempo invece il sangue era apprezzato e venduto dalle macellerie. Da un maiale si ricavano almeno cinque litri di sangue e quindi ve ne era in abbondanza per tutti e quando si macellava non veniva di certo buttato. Più raro l'uso del sangue di bue che doveva essere acquistato in macelleria in quanto i contadini macellavano bovini ben di rado.
Fra gli usi di un tempo dell'Alto Adige si ricordano il Blutmus (sangue e latte in parti eguali, salati e pepati e arrostiti in padella) e il Blutofenmus, o Blutkuchen. cotto al forno a mo' di torta; in pratica veniva fatto un impasto di 500 grammi farina, lievito, 150 gr. di grasso di maiale, latte, zucchero, che veniva fatto lievitare; poi si aggiungevano uvetta e 200 grammi di sangue; l'impasto abbastanza morbido venia messo in una teglia avvolto in rete di maiale e cotto al forno. Veniva mangiato molto caldo bevendoci sopra del latte.
Fra i vari Gröstl (carni unite a patate arrostite) si può citare il Blutgröstl, ottenuto soffriggendo 700 gr, di sangue con cipolle e unendo poi un kg di patate arrostite.
Ancora molto usato è il Blutwurst (sanguinaccio) la cui ricetta di base è semplice e le possibili varianti infinite. In Germania ve ne sono almeno cinquanta tipi diversi, ufficialmente riconosciuti, e l'Austria li aveva ufficialmente regolamentati nel Codex Alimentarius Austriacus del 1881. Vediamo come in Sudtirolo viene preparato quello destinato ad essere conservato anche per una settimana o due (ricetta di Mali Höller). Il nome sudtirolese è Blunzen, che richiama, come Bueschl, l'immagine di una cosa rigonfia.

Blutwurst
Si prendono 4 litri di sangue, 3 cucchiaia di sale, un cucchiaio di pepe, mezzo cucchiaino di pimento, sedano e prezzemolo, un quarto di latte, mezza cipolla e tre spicchi d'aglio tritati, mezzo chilo di ciccioli (Grammeln).
Si mescola il tutto bene e si insacca in budelli di circa 3 cm di diametro; si fanno poi sobbollire per una ventina di minuti in acqua abbondante. Si appendono in cantina ad asciugare. Per servirli con crauti si mettono in acqua fredda e si fanno sobbollire nuovamente per un quarto d'ora.

Un ottimo impiego del Blutwurst si ha arrostendolo (Geröstete Blutwurst o Tscheagl). Si prende il salsicciotto senza riscaldarlo, si toglie il budello e si taglia a pezzetti; poi si passa in padella con burro, aglio e cipolla, si aggiusta il sapore, si bagna con un po' di brodo e si finisce con prezzemolo tritato. Si serve poi con Sauerkraut o con patate arrostite in padella

Pasta con il sangue
Ancora fattibile ed attuale è infine la Pasta con il sangue (Blutnudel).
La ricetta tradizionale preparava la pasta con il sangue mescolando farina di grano e sangue allungato con acqua. Si usava preparane una certa quantità senza sale che veniva seccata nel forno e si conservava a lungo.
Riporto una ricetta più raffinata dell'Alta Val d'Isarco in cui si utilizzano la farina di segale e le uova.

Pasta col sangue
300 gr di farina di grano, 200 gr di farina di segale), 2 nova intere, un quarto di litro di sangue di bue, una presa di sale
Mettete la farina su una spianatoia, nel mezzo rompeteci due uova intere; aggiungere poi il sangue e il sale lavorando poi il tutto fino ad ottenere un impasto omogeneo. Se risulta un po' troppo duro aggiungete mezzo bicchiere d'acqua. Tirate la pasta a sfoglia e lasciatela asciugare circa 30 minuti. Quindi tagliarla a tagliatelle. Si servono condite con burro fuso e Graukäse (se non piace o manca va benissimo il parmigiano). Assieme alla pasta si può bollire una patata a fettine.

 


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