Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Circolare 30 ottobre 2019 su licenza di porto d'arma ad ufficiali dell'esercito

Ministero dell'Interno - Ufficio per gli Affari Polizia Amministrativa e Sociale Protocollo : 557/PAS/U/015017/10100.A(1)3 Data: 30/10/2019 Classifica: 10100.A(1)3

OGGETTO: Rilascio di licenza di porto d’arma per difesa personale agli Ufficiali delle Forze Armate ai sensi dell’art. 75, quarto comma, del Regolamento per l’esecuzione del T.U.L.P.S., di cui al Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635.
Direttive.
1. Premessa.
Come è noto, l’art. 75, quarto comma, del Regolamento per l’esecuzione del T.U.L.P.S., di cui al R.D. 6 maggio 1940, n. 635, riconosce una posizione differenziata, quanto alla possibilità di conseguire il porto d’armi, agli Ufficiali delle Forze Armate “in servizio attivo permanente”, posizione di stato giuridico che oggi corrisponde a quella di “servizio permanente effettivo” disciplinata dall’art. 882 del Codice dell’ordinamento militare, di cui al D. lgs. 15 marzo 2010, n. 66.
La disposizione prevede, infatti, che agli Ufficiali appartenenti a tale categoria, che ne facciano richiesta, possa essere concessa la licenza gratuita per portare l’arma corta quando vestono l’abito civile.
La norma precisa anche la documentazione che deve essere esibita dall’interessato all’atto della presentazione dell’istanza, prevedendo, tra l’altro, che essa deve essere corredata da un certificato rilasciato dal comandante del Corpo o dal capo dell'Ufficio da cui il richiedente dipende, attestante che l’interessato stesso è in servizio permanente effettivo.
La disciplina prevista dall’art. 75 del R.D. n. 635/1940 ha conosciuto un’ulteriore attualizzazione per effetto del D.M. 24 marzo 1994, n. 371.
Tale regolamento ha incluso il personale delle Forze Armate, compreso quello del Corpo delle Capitanerie di Porto, tra le categorie di persone che, a causa della esposizione a rischio dipendente dall’attività svolta nell’ambito delle Amministrazioni della giustizia o della difesa, o nell’esercizio di compiti di pubblica sicurezza, sono esonerate dall’obbligo del pagamento della tassa di concessione governativa prevista per il rilascio della licenza di porto d’anni (art. 1, comma
1,  lett. i)).
L’applicazione del cennato art. 75 ha formato oggetto in tempi recenti di incertezze interpretative, con esiti contenziosi che hanno visto i Giudici Amministrativi di prime cure e il Consiglio di Stato assumere orientamenti diversi.
Proprio in considerazione dell’esistenza adesso di un pronunciamento del Consiglio di Stato, appare utile sviluppare sulla questione un punto di situazione, onde rassegnare all’attenzione alcuni parametri che possano essere utili ad orientare al meglio i Sigg.ri Prefetti nelle competenti valutazioni delle istanze di rilascio della licenza di porto d’armi, prodotte dagli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente effettivo.
2.  La posizione “storica" assunta dall’Amministrazione.
Al fine di inquadrare al meglio la tematica, preme evidenziare che “la licenza di porto di rivoltella o pistola” cui fa riferimento l’ari. 75 del R.D. n. 635/1940 coincide con la “licenza di porto d’armi” disciplinata dall’art. 42 T.U.L.P.S. di competenza del Prefetto.
Tale titolo di polizia è rilasciato, giusta quanto disposto dal ripetuto art. 42 T.U.L.P.S., a coloro che siano in possesso del requisito del “dimostrato bisogno”, cioè della sussistenza “...di particolari esigenze che determinano la necessità di munirsi dell’arma, così costituendo motivata eccezione alla generale regola... " del divieto di andare armati statuito per la generalità dei cittadini dall’art. 699 c.p. e dall’art, 4, primo comma, della legge n. 110/1975 (TAR Calabria, Catanzaro, Sez, I, 29 giugno 2011, n. 939 e TAR Umbria, Sez. I, 29 gennaio 2013, n. 45; Cons. Stato, Sez. Ili, 21 luglio 2016, n. 3604).
In assenza di indicazioni normative di segno diverso, questa Amministrazione ha, nel tempo, interpretato la portata derogatoria introdotta dall’art. 75 del R.D. n. 635/1940 come riferita esclusivamente al regime tributario riguardante la licenza di porto d’armi rilasciata agli Ufficiali in servizio permanente effettivo.
In sostanza, quella regolata dal citato art. 75 veniva a costituire, insieme a quella contemplata per le guardie giurate dall’art. 256 del R.D. n. 635/1940, un’ipotesi speciale di licenza di porto d’arma caratterizzata dal regime fiscale di favore, suscettibile di essere concessa solo in presenza degli altri requisiti richiesti dalla legge e cioè: quelli soggettivi (morali, psico-fisici e di capacità del maneggio delle armi) e quelli oggettivi, riconducibili alla sussistenza, come detto, del “dimostrato bisogno”.
Tale posizione ha trovato conforto nelle previsioni del ricordato D.M. n. 371/1994, emanato in attuazione dell’art. 7, commi 2 e 3, della legge 21 febbraio 1990, n. 36.
Questo regolamento, come si è accennato in esordio, ha ricompreso il personale delle Forze Armate tra le categorie di persone che possono conseguire la licenza in argomento quando risultino esposte a grave rischio per l'incolumità personale a causa dell’attività di servizio prestata, in presenza degli altri requisiti e presupposti richiesti dalla legge.
Il provvedimento stabilisce che il predetto personale, con l’istanza volta ad ottenere il titolo di polizia, debba produrre un’attestazione - rilasciata dalle Autorità militari puntualmente individuate dall’art. 1, comma 1, lett. i) - che comprovi la circostanza di essere addetto a servizi che comportano esposizione a rischio.
Tale attestazione, tuttavia, non determina l’automatico rilascio della licenza.
L’art. 3, comma 1, del D.M. n. 371/1994 precisa, infatti, che spetta sempre all’Autorità competente al rilascio del titolo di polizia (cioè il Prefetto) accertare l’attualità e la gravità del rischio dipendente dall’attività svolta dal soggetto richiedente.
Il regolamento postula, quindi, che il requisito del “dimostrato bisogno” debba essere valutato discrezionalmente dal Prefetto anche nei confronti degli appartenenti alle Forze Armate, tenuto comunque conto delle cerniate attestazioni rilasciate dalla rispettiva linea gerarchica.
In sostanza, si viene così a delineare un sistema che, per quanto concerne questo profilo, può dirsi pienamente coincidente con quello previsto dall’art. 75 del R.D. n. 635/1940 nell’interpretazione data da questo Dipartimento.
Questa soluzione è del resto coerente con la generale impostazione seguita dall’ordinamento anche con riguardo agli agenti di pubblica sicurezza.
Come si ricava dal combinato disposto degli artt. 42 T.U.L.P.S. e 73 R.D. n. 635/1940, anche costoro, quando intendono conseguire la licenza per portare armi diverse da quella in dotazione, devono possedere il requisito del “dimostrato bisogno” che deve essere accertato dal Prefetto.
3.  Le posizioni del TAR e del Consiglio di Stato.
L’interpretazione dell’art. 75, quarto comma, del R.D. n. 635/1940 ha formato oggetto di esame da parte del Giudice Amministrativo in due importanti sentenze, consultabili sul sito www. giustizia-amministrativa, it.
La prima di queste è stata emessa dal TAR Liguria che, con la pronuncia della Sezione I, n. 187 del 14 febbraio 2018, ha accolto il ricorso presentato da un Ufficiale delle Forze Armate avverso il provvedimento di diniego della Prefettura al rilascio della licenza di porto d’armi per difesa personale.
Il Giudice adito ha, in sostanza, ritenuto che l’art. 75, comma quarto, del R.D. n. 635/1940, consente agli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente effettivo di conseguire il titolo di polizia ex art. 42 T.U.L.P.S., previa verifica da parte del Prefetto unicamente dell’insussistenza di situazioni personali ostative (requisiti morali e psico-fisici).
La lettera della norma, laddove prevede che l’autorizzazione è concessa previa domanda del personale interessato, dovrebbe intendersi nel senso che i predetti Ufficiali non dovrebbero comprovare la sussistenza del requisito della necessità di andare armati per esigenze di difesa personale.
In ciò consisterebbe la posizione differenziata che la predetta disposizione avrebbe introdotto in favore di questa categoria rispetto alla generalità dei cittadini.
Questa impostazione non è stata condivisa dal Consiglio di Stato che, con la sentenza della Sezione III, n. 2359 del 10 aprile 2019, ha annullato la pronuncia emessa dal Tribunale ligure.
La linea ragionativa seguita dal Consiglio di Stato muove dall’assunto secondo cui l’art. 75, quarto comma, del R.D. n. 635/1940 è una disposizione di natura regolamentare, di esecuzione del T.U. delle Leggi di P.S..
Esso, quindi, deve essere interpretato secondo i principi che governano le fonti del diritto, i quali non ammettono che una disposizione di natura regolamentare - quale quella qui in discussione - possa porsi in contrasto, o comunque in una situazione di non coerenza, con norme racchiuse in fonti di rango primario, come appunto è il T.U. delle Leggi di P.S..
Ne consegue che il ripetuto art. 75, quarto comma, non può essere letto come una previsione derogatrice rispetto all’art. 42 T.U.L.P.S., il quale subordina la concessione della licenza di porto d’armi al “dimostrato bisogno” di tale titolo di polizia per esigenze di difesa personale.
Il Consiglio di Stato - attingendo a precedenti sentenze concernenti il diniego della licenza in parola nei confronti di diverse categorie di soggetti, considerate anche dal D.M. n. 371/1994 - ha evidenziato che 1'esistenza del "dimostrato bisogno" dell'arma non può essere desunto dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente.
In realtà, il “dimostrato bisogno” deve essere evinto da specifiche ed attuali circostanze, non risalenti nel tempo, che il Prefetto ritenga integratrici della necessità in concreto del porto di pistola per esigenze di difesa personale.
Tale linea ragionativa, secondo il Consiglio di Stato, trova applicazione anche nei confronti degli Ufficiali delle Forze Armate, per i quali il Prefetto è, comunque, tenuto a verificare se sussista il “dimostrato bisogno” dell'arma per difesa personale.
4.  Indicazioni applicative.
Alla luce di questa presa di posizione del Consiglio di Stato, questo Dipartimento ritiene di dover confermare la linea interpretativa partecipata alla “rete” delle Prefetture e delle Questure in risposta a taluni quesiti sollevati.
Allo stesso tempo, la pronuncia del Supremo Organo di giustizia amministrativa fornisce anche alcune regulae iuris sulle quali si ritiene opportuno richiamare l’attenzione.
Ci si riferisce al “passaggio” della sentenza dove si afferma che la sussistenza del “dimostrato bisogno” di portare l’arma deve essere valutato in aderenza alla situazione dell’interessato, come risulta caratterizzata dalla valenza e delicatezza delle funzioni istituzionali da questi svolte.
Si è già detto che la sussistenza di questo presupposto forma oggetto di una valutazione discrezionale del Prefetto, come si evince chiaramente dall’art. 42 T.U.L.P.S. e come, del resto, viene ribadito anche dal sopra menzionato art. 3, comma 1, del D.M. n. 371/1994.
Ciò posto, l’attenzione va focalizzata sugli strumenti utilizzabili per acquisire elementi informativi utili ad esprimere il giudizio circa la ricorrenza di tale presupposto.
Un primo elemento è costituito dalle attestazioni, prodotte dall’Ufficiale interessato, volte a documentare la circostanza che lo stesso è addetto a servizi che comportano esposizione a rischio.
Si tratta di atti che - come anche evidenzia la richiamata sentenza del Consiglio di Stato - non vincolano il Prefetto, il quale è però tenuto a valutarli unitamente agli altri elementi che devono essere acquisiti nel corso dell’istruttoria.
In questo senso, si è dell’avviso che nel “compendio” degli elementi di giudizio debbano avere ingresso anche le notizie contenute nelle informative diramate da questo Dipartimento e quelle indirizzate ai Prefetti a norma dell’art. 13 della legge n. 121/1981, con le quali vengono segnalate le situazioni di pericolo, di livello nazionale o locale, cui il personale delle Forze Armate potrebbe essere esposto in ragione del proprio ruolo istituzionale.
Inoltre, potranno essere utilmente presi in considerazione gli eventuali apporti conoscitivi che dovessero essere offerti anche dai competenti Organi dell’Amministrazione della Difesa, che potranno indicare qualificati elementi al fine di delineare la sussistenza dello stato di bisogno.
Da questo punto di vista, si evidenzia che, per il migliore apprezzamento della valenza indicativa delle situazioni riscontrate o apprese, potrà essere valutata, innanzitutto, la possibilità di esaminare, in via generale, il gradiente dell’esposizione a rischio in cui versano gli Ufficiali e il restante personale delle Forze Armate, avuto riguardo anche allo specifico contesto della Provincia,
A tale scopo potranno essere raccolti spunti anche nel corso di sedute del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, secondo un modello di sviluppo dell’analisi che è stato considerato legittimo dal Consiglio di Stato nella ripetuta sentenza del 10 aprile di quest’anno.
A ciò, si andrà ad aggiungere la valutazione della specifica posizione dell’interessato, avuto riguardo anche ai suoi eventuali pregressi impieghi in teatri esteri, connotati da significativi livelli di esposizione a rischio, e alle evidenziazioni di livello personale che ne possono essere derivate.
La ponderazione degli elementi deve naturalmente culminare nella motivazione del provvedimento finale che, soprattutto quando di tenore negativo, deve essere supportata da una motivazione congrua e sufficiente.
A tal riguardo, nel ribadire le indicazioni formulate con la circolare n,557/PAS/U/007548/10100(l) del 29 maggio 2018, preme richiamare l’attenzione sui parametri indicati dal Consiglio di Stato - Sezione III, con la sentenza n. 4915 del 24 luglio 2018.
Ci si riferisce all’obiter dictum, con il quale il Supremo Organo di Giustizia Amministrativa, condividendo le valutazioni del Giudice di prime cure, precisa che, per considerarsi adeguata, la motivazione deve essere articolata ed esaustiva, in modo da dare conto dell’eventuale inesistenza di “comprovati fattori di rischio specifico” cui è esposto il richiedente la licenza di porto d’arma per difesa personale.

Nota:
Circolare che sarebbe corretta se il Ministero si fosse ricordato che egli deve interpretare le norme del 1940 in base alla volontà del legistatore dell'epoca, mai corretta da nessuna norna successiva, e non in base a quello che al Ministero o ai partiti di adesso fa loro comnodo affermare. E' pacifico che il Regolamente voleva favoriree gli ufficiali dell'esercito, molto più quotati dei prefetti del ministero, buoni per gestire l'OVRA, e non per equipararli ai normali cittadini! Se così fosse la norna sarebbe del tutto inutile; e né il Ministero né il Consiglio di Stato hanno il diriito di mettere nel nulla una norma dello Stato.

13 novembre 2019

 


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