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(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 15199/20; depositata il 15 maggio 2020)
Ritenuto in fatto
    1.    La Corte d'appello di Firenze, con la  sentenza in epigrafe, confermava la decisione emessa dal Tribunale di Siena, il  26/7/2016, nei confronti di B.L. che era stata condannata, alla pena di mesi  cinque giorni 15 di reclusione ed Euro 450 di multa, per la detenzione illegale  di due fucili e di 85 cartucce a pallini; unificati i fatti ex art. 81 cpv.  c.p. e, concesse le circostanze attenuanti generiche, era stata inflitta la  pena anzidetta con i doppi benefìci, assolvendo l'imputata dal reato relativo  alla detenzione di 6 cartucce a palla calibro 12.
    I giudici di merito ritenevano B.L.  colpevole dei reati anzidetti, poiché ella aveva la disponibilità della casa  all'interno della quale erano custodite le armi, luogo ove viveva con il  marito, T.A. , prima del suo decesso. La Corte d'appello osservava che B.L.  aveva omesso un atto doveroso per legge (la denuncia all'autorità di P.S. della  disponibilità delle armi), atto diverso dall'Inventario dei beni a fini  ereditari. La conseguenza era che non si sarebbe potuto recuperare il fatto  alla disciplina dell'errore. Se vi fosse stato errore questo sarebbe caduto  sulla norma di legge e, trattandosi di un errore di diritto, non avrebbe avuto  efficacia scusante.
    2.    Ricorre per cassazione B.L. e deduce, con il  ministero del suo difensore di fiducia, i seguenti motivi.
    2.1. Lamenta la violazione di legge e il vizio di  motivazione. Afferma di aver accettato l'eredità con beneficio d'inventario e  di aver appurato al momento della redazione dell'inventario anzidetto che vi  erano tra i beni anche due fucili. L'accettazione con il beneficio anzidetto  determinava che i due patrimoni - quello del de cuius e quello dell'erede -  restassero separati.
    2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione  degli artt. 5, 47 e 43 c.p.; si imponeva, dunque, assoluzione per mancanza di  dolo, indotta da errore di fatto che aveva determinato un errore sul fatto.
    2.3. Con il terzo motivo lamenta il mancato rilievo  della prescrizione in relazione al capo B) della rubrica. La contravvenzione  contestata in data (OMISSIS) si era prescritta il (OMISSIS), anteriormente  all'emissione della sentenza di merito che era del 27/9/2019.
    2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione del  divieto di refòrmatio in peius di cui all'alt. 597 c.p.; viola il divieto  anzidetto la decisione che pur dichiarando la prescrizione di un reato  unificato per continuazione non diminuisce corrispondentemente la pena.
    Considerato in diritto
    1. Il ricorso è fondato limitatamente al  terzo motivo sul mancato rilievo della prescrizione, oltre che alla quarta  ragione di censura, con cui si è dedotta la violazione del principio di cui  all'alt. 597 c.p.p., sul divieto di reformatio in peius.
    Infondati sono, viceversa, gli altri  motivi di doglianza.
    1.1. Tale è, innanzitutto, quello sviluppato  sull'Intervenuta accettazione dell'eredità con il beneficio di inventario, che  manterrebbe separati i patrimoni dell'erede e del de cuius.
    L'istituto, nel diritto civile, esclude la  cd. confusione dei patrimoni, tra i titolari in successione, in funzione dei  rispettivi assetti debitori.
    Esso mantiene, in ragione del principio di  separazione, una diversificazione persistente tra le due entità economiche. Si  mira, cioè, a garantire le rispettive categorie di creditori (dell'erede e del  soggetto nei cui confronti si apre la successione). La finalità è, infatti,  quella di assicurare che i due patrimoni assolvano la rispettiva funzione di  garanzia, ai sensi dell'art. 2740 c.c., in maniera separata. Essa accettazione,  tuttavia, è limitata, per quanto qui rileva, al solo ambito civilistico (art.  490 c.c.); non trova, cioè, applicazione in un campo diverso, come quello  penale e, soprattutto, nella materia della disciplina e della legislazione sul  controllo delle armi.
    Non si modificano, dunque, nè risultano  assorbiti gli obblighi che gravano sul soggetto-erede, che nel patrimonio del  suo dante causa rinvenga armi. Costui è egualmente tenuto alle relative denunce  e richieste di autorizzazione e comunicazione di detenzione da inoltrare alla  competente Autorità.
    Non basta, allora, la sola accettazione  con beneficio di inventario a sollevare l'erede dagli obblighi specifici e  ulteriori che gli derivano dalle caratteristiche di quei beni, compresi nella  successione, in ragione del rapporto materiale di disponibilità delle armi che,  comunque, si genera.
    In altri termini, l'accettazione  anzidetta, non assimila il patrimonio indicato ad una res nullitatis, ma lo  separa semplicemente ai fini della responsabilità debitoria di tipo  civilistico, evitando l'effetto della confusione che potrebbe danneggiare, per  effetto dell'unificazione, mortis causa, i creditori dell'erede 0 quelli del  soggetto in capo al quale si apre la successione. Da ciò discende che l'erede,  pur accettante con beneficio d'inventario, ai fini penali, avendone la  disponibilità materiale, non può esimersi dagli obblighi di denuncia e di  comunicazione verso le Autorità pubbliche, in relazione ad esse armi, comunque,  pervenutegli in successione, oggetti che egli detiene, presso il suo domicilio  o in altri luoghi nella disponibilità.
    Nè può ritenersi che, con l'accettazione  con beneficio d'inventario, il chiamato all'eredità non divenga erede.
    Al contrario diviene tale, ma i suoi  poteri sul patrimonio del defunto non sono quelli pieni che gli sarebbero  derivati dall'accettazione pura e semplice. Con l'accettazione beneficiata,  infatti, l'erede diviene l'amministratore del patrimonio del de cuius,  patrimonio che amministra nel suo interesse e in quello dei creditori e dei  legatari; proprio perché egli gestisce pur sempre cose proprie. L'art. 491 c.c.  ne prevede, infatti, la responsabilità per l'amministrazione per colpa grave.
    1.2. Quanto al tema dell'errore e dell'esclusione  dell'elemento psicologico del reato si sviluppano in ricorso argomenti che non  valgono a disarticolare il ragionamento posto a fondamento della decisione.
    In tema di errore di cui all'art. 47 c.p.,  il dubbio su una circostanza di fatto che costituisce elemento essenziale della  fattispecie criminosa non è di per sé sufficiente ad escludere il dolo in  quanto dubbio ed errore sono categorie diverse.
    Mentre l'errore determina il convincimento  circa l'esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, chi agisce  nel dubbio è, al contrario, consapevole di potersi esporre a violare la legge,  cosicché il compimento dell'azione comporta l'accettazione del rischio nella  causazione dell'evento, concretizzando così una forma di responsabilità a  titolo di dolo eventuale (Sez. 3, 37837 del 06/05/2014, M. e altri, Rv.  260257).
    Ebbene, per la specifica vicenda  processuale deve annotarsi che l'art. 47 c.p. dispone che l'errore su norma  extrapenale esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sul fatto che  costituisce reato (comma 3).
    Deve essere considerato errore sulla legge  penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato,  sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del  diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie  criminosa, dovendosi intendere per "legge diversa dalla legge penale",  ai sensi dell'art. 47 c.p., quella destinata in origine a regolare rapporti  giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma  penale o da questa non richiamata, neppure implicitamente.
    L'ignoranza dovuta a errore  nell'interpretazione della norma penale non può essere considerata inevitabile  quando tale interpretazione sia tutt'altro che confusa e caotica, non sia  oggetto di particolari difficoltà, e l'errore circa l'esistenza e la portata  della disposizione incriminatrice possa essere evitato con la normale  diligenza. (Applicazione in tema di inadempimento dell'obbligo di denuncia di  un'arma comune da sparo) (Sez. l,n. 3601 del 28/09/1992, rv. 192538).
    La reiterazione della denuncia della  disponibilità delle armi è sorretta da motivi di ordine pubblico che esigono  che sia garantita all'Autorità la chiara conoscenza, oltre che del luogo di  detenzione, della persona del detentore dell'alma. Costui, invero, deceduto il  primo e originario denunciante, ben potrebbe essere persona priva dei requisiti  psico-fìsici che consentono la disponibilità di armi e munizioni.
    Correttamente, pertanto, la Corte  distrettuale ha ritenuto che colui che viene in possesso di armi o munizioni,  pure per successione ereditaria, è tenuto agli obblighi della denuncia prevista  dalla legge (anche quando tale obbligo sia stato assolto dal suo dante causa).  Da ciò consegue la responsabilità dell'erede in caso di omessa denuncia della  disponibilità delle armi (cfr. in termini: Cass. Sez. I", sent. n. 11595  del 23.10.1986, Squillacioti; Sez. 1", sent. n. 1210 deN'11.2.1984,  Colocucci; Sez. 1", sent n. 11158 del 19.12.1981, Francesca).
    Nella vicenda oggetto d'esame non v'è un  errore su norma extrapenale che si riverbera sul fatto, provocando un errore  sul fatto-reato.
    La B. ha, infatti, agito accettando  l'eredità con benefìcio d'inventario e ha sostanzialmente apposto il beneficio  anzidetto all'accettazione, al fine di produrre gli effetti tipici di essa  accettazione e di tenere separati civilisticamente i due patrimoni. Ciò con lo  scopo di non rischiare di subire, all'evidenza, aggressioni patrimoniali, da  parte dei creditori del de cuius e così dimostrando di essere a conoscenza  piena della finalità dell'istituto e del perimetro della sua operatività.
    Lo scopo dell'accettazione non era,  pertanto, quello di legittimare la detenzione dell'alma, aspetto che connota la  struttura del fatto e rispetto al quale non si è prodotto alcun errore sul  fatto che costituisce reato ai sensi dell'alt. 47 c.p., comma 3. Nè risulta  che, nel caso di specie, possa parlarsi di un dubbio sulla applicabilità del  benefìcio di inventario.
    Ciò proprio per il tipo di accettazione  posta in essere che imponeva formalità costitutive (atto pubblico) e  adempimenti necessari, come l'inventario, aspetti che non avrebbero potuto  indurre equivoco sul contenuto dell'atto, sulla sua finalità e sui suoi  effetti.
    L'azione posta in essere era  caratterizzata, pertanto, da rappresentazione e volizione del fatto tipico e,  pertanto, da dolo, essendosi l'imputata rappresentata e avendo voluto, nella  sostanza, una condotta pienamente conforme alla detenzione dell'arma stessa  senza aver richiesto e ottenuto autorizzazione dalla pubblica Autorità. Nessun  dubbio sussiste, pertanto, sulla tipicità e sulla relativa volizione.
    Nè occorre per la sussistenza della  colpevolezza la coscienza anche del cd. profilo di antigiuridicità della  fattispecie o di antisocialità dell'azione.
    Là dove la ricorrente avesse ignorato  l'obbligo di denuncia o non avesse conosciuto i doveri che gravano sul soggetto  (anche iure ereditario) che entra nella disponibilità delle armi, si sarebbe  comunque generato un errore su norma penale o su disposizione  "strutturalmente" implicata da essa, che ne Connota la tipicità, e  che risulta ininfluente, ai sensi dell'alt. 5 c.p..
    Persiste, dunque, l'aspetto doloso e ogni  affermato errore o situazione di dubbio non risultano ricorrenti e, in diritto,  non generano esclusione della punibilità (ai sensi dell'alt. 47 c.p.) non  incidendo sul dolo nel senso anzidetto.
    Si tratta, del resto, di un dolo generico,  e cioè della coscienza e della volontà della condotta ovvero dell'avere l'arma  a disposizione per un tempo apprezzabile, mentre a nulla rilevano i motivi  dell'azione (v. Cass., Sez. 1, sent. n. 12911 del 19.12.2000, Bortoluzzi; Sez.  1, sent. n. 13662 del 28.10.1998, Borsellino).
    Da quanto premesso discende che l'erede  che entra nella disponibilità di armi (Sez. 1, Sentenza n. 15880 del 16/01/2007  Rv. 236207, Massime precedenti Conformi: N. 5292 del 1998 Rv. 210569 Massime  precedenti Vedi: N. 13062 del 1987 Rv. 177296, N. 13662 del 1998 Rv. 212354, N.  18013 del 2004 Rv. 227978) è tenuto a rinnovare la denuncia di esse e che  gravano su di lui gli stessi obblighi che gravavano sul suo dante causa. Ciò,  per quanto detto, vale anche nel caso di accettazione dell'eredità con  beneficio d'inventario.
    1.3. È fondata, viceversa, la questione relativa  alla mancata dichiarazione di prescrizione della contravvenzione ascritta.
    Nonostante se ne faccia cenno in  motivazione, infatti, non si è indicata la relativa statuizione di estinzione  in dispositivo. La Corte territoriale, in ogni caso, nell'esaminare la  questione e nel dichiarare la prescrizione ha, comunque, ritenuto di ridurre  l'entità della pena inflitta in primo grado (mesi cinque giorni 15 di  reclusione ed Euro 450 di multa), pena stimata adeguata e proporzionata ai  fatti.
  È pacifica l'estinzione della  contravvenzione per prescrizione, essendo decorso alla data di emissione della  decisione di secondo grado il termine massimo di anni cinque.
  È, poi, corretto il  rilievo in ricorso secondo cui, escluso un fatto-reato, che era stato  originariamente unificato per continuazione, va rideterminata la pena inflitta  poiché, in difetto, si realizza un indebito aumento della pena inizialmente  inflitta, ciò pur in difetto dell'impugnazione del Pubblico Ministero.
    Ritenuta, dunque, l'estinzione per  prescrizione della contravvenzione richiamata si sarebbe dovuta eliminare la  pena relativa pari a giorni 5 di reclusione ed Euro 50 di multa, inflitta in  aumento per il delitto in relazione al quale è stata fissata la pena base, con  conseguente rideterminazione di essa sanzione, pari a mesi cinque giorni dieci  di reclusione ed Euro 400 di multa.
    Alla luce di quanto premesso la sentenza  impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al  capo B), perché estinto per prescrizione e, per l'effetto, va ridetermina la  pena per il reato di cui al capo A, nella misura testé indicata di mesi cinque  giorni dieci di reclusione ed Euro quattrocento di multa. Nel resto il ricorso  va rigettato.
    P.Q.M.
    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata  limitatamente al reato di cui al capo B) perché estinto per prescrizione e, per  l'effetto, ridetermina la pena per il reato di cui al capo A, in mesi cinque  giorni dieci di reclusione ed Euro quattrocento di multa. Rigetta nel resto il  ricorso.
5 giugno 2020
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