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La Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 50137 del 7 novembre 2018, ha pronunziato la seguente sentenza.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 4 dicembre 2017 il Tribunale di *** ha assolto V.A. dal reato di cui all'alt. 6, comma 1, della legge 7 febbraio 1992, n. 150, perché il fatto non costituiva reato stante la mancata dimostrazione della pericolosità della renna, detenuta dall'imputato per un allestimento natalizio senza che l'animale, nato in cattività, avesse mai palesato alcuna problematica.
2. Avverso la predetta decisione il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale, ha proposto ricorso immediato per cassazione articolato su un motivo di impugnazione.
In particolare, è stato osservato che doveva considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia, trattandosi di reato di pericolo presunto.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato.
4.1. Non è in contestazione, stante l'espressa affermazione operata in sentenza, che la renna rientri nell'elenco degli animali potenzialmente pericolosi per la salute e per l'incolumità pubblica. In detta categoria sono invero compresi (art. 1 decreto del Ministro dell'Ambiente 19 aprile 1996) "tutti gli esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici ovvero provenienti da riproduzioni in cattività che in particolari condizioni
ambientali e/o comportamentali possono arrecare con la loro azione diretta effetti mortali o invalidanti per l'uomo o che non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione possono trasmettere malattie infettive all'uomo".
4.1.1. Ciò posto, e tenuto conto che, a norma dell'art. 6, comma 1, della legge 150 del 1992 cit., è in genere vietato a chiunque detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica, il ricorrente ha correttamente ricordato che deve considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia (in specie si trattava di canguri, appunto inclusi dal D.M. 19 aprile 1996 nell'elenco di
quelli da ritenere pericolosi) (Sez. 3, n. 26127 del 19/05/2005,). Tutto ciò a meno che non si sia in possesso di una autorizzazione all'allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale rilasciata dalla regione ai sensi dell'art. 17 legge 11 febbraio 1992 n. 157 (in specie cinghiali, Sez. 3, n. 16674 del 20/02/2003, D'Andrea,).
4.2. Al contrario, il provvedimento impugnato ha inteso valorizzare la sola circostanza, di per sé ininfluente, che l'animale, nato in cattività, non fosse concretamente pericoloso.
In definitiva, quindi, gli elementi evidenziati non sono tali da superare il divieto di legge, sanzionato in via contravvenzionale.
5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, quindi, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte di Appello di Torino a norma dell'art. 569, comma 4, cod. proc. pen.
NOTA
Questa sentenza potrebbe essere considerata il monumento alla ignoranza e stupidità della giustizia.
Il caso è semplice: una persona dell'Astigiano tiene nella sua stalla una renna da usare per le prossime festività natalizie. Qualunque persona normale pensa "meno male che qualcuno ci ha pensato e così anche in Piemontei, come in tutto il mondo, Italia compresa, i bambini potranno vedere la slitta di Babbo Natale".
Purtroppo giunge nella stalla una di quei guardiani volontari il quale crede che solo lui sa come si trattano gli animali (quindi è per definizione uno fuori di testa; sia chiaro che non dico che chi ama gli animali è fuori di testa, perché sono sempre stato circondato da cani; dico solo che chiunque crede di possedere verità assolute, chiunque crede di poter decidere ciò che è bene e male, chiunque crede di sapere quale è il destino dell'uomo e lo scopo della vita, soffre chiaramente di un disturbo psichico che lo rende socialmente pericoloso: è un soggetto nella cui testa i problemi escatologici diventano fatalmente scatologici).
Il fatto che uno di questi elementi possa avere il potere, cosa ben rara nel resto del modo, di poter accertare reati come un agente di polizia giudiziaria è cosa che grida vendetta di fronte al buon senso, ed il grido è ancor più alto quando si scopre che in Italia, cosa ancor più ben rara nel resto del mondo, se un infimo agente con la licenza di scuola media decide di accusare di reati un onesto cittadino in base a personali elucubrazioni su fatti e diritto, non vi è un superiore che può chiamarlo e dirgli "cambia subito mestiere perché sei un cretino e il tuo verbale è annullato". Anzi la Corte Costituzionale ha appena deciso che è del tutto giusto che i superiori neppure vengano a conoscenza del verbale: l'immunità del cretino è persino superiore all'immunità parlamentare!
Se per condannare una persona ci vogliono magistrati esperti di indagini e di diritto, è mai possibile che una persona si trovi ad essere trascinata davanti ad un giudice da un semianalfabeta? Ci sarà bene una differenza tra accertare un divieto di sosta ed accertare, ad esempio, un reato in materia di armi, su cui persino la Cassazione si perde?
Ma ritorniamo alla nostra stalla in cui il guardiano della legge trova una renna. Non si sa quale sia stato il cortocircuito nella sua mente, ma il padrone della renna si ritrova denunziato al PM per detenzione di animale straniero pericoloso. Il padrone rimpiange ancor oggi di non aver dato piuttosto ospitalità a due membri dell'Isis, perché nessuno avrebbe mai avuto a che ridire!
L'ignoto PM senz'altro ha ragionato come tanti suoi colleghi e si è detto "se il guardiano della legge esperto di animali mi dice che il reato c'è, perché mai devo fare la fatica di pensare? Rinvio il padrone della renna a giudizio e sono cavoli suoi!" Ma è anche possibile che abbia detto al suo segugio "appuntato, a queste sciocchezze ci pensi lei" e che si sia disinteressato del caso. Un normale cittadino non può credere che se avesse letto le parole "renna = animale pericoloso" non avrebbe fatto un salto sulla poltrona la quale, come dicono i tedeschi "non deve servire solo per scoreggiarci dentro". Si noti che anche in questa fase non vi è un superiore che possa richiamare chi lavora male e tirargli le orecchie.
Il caso giunge quindi al Tribunale che finalmente legge le carte, si guarda la legge e assolve il padrone della renna.
Il PM lo prende con un torto personale (ma allora il caso se lo era anche studiato …?) e fa ricorso direttamente in cassazione.
La Cassazione non si preoccupa che il Tribunale abbia ritenuto il reato non sussistere, non si preoccupa del fatto che il Procuratore generale della Cassazione sia dello stesso parere, e afferma il principio che la renna è un animale pericolo: fra la renna e il diavolo della Tasmania non vi è alcuna differenza, il pitbull è un amabile cagnolino a cui affidare i bambini, la renna è al servizio di Babbo Natale, noto amico dei bambini e quindi sospetto pedofilo volante.
Spero con questo articolo di salvare dal macello un bel po' di renne pronte a girare per i mercatini di Natale e di evitare che branchi di guardie zoofile si appostino sui monti la notte di Natale per cogliere sul fatto i vecchietti in slitta con la barba bianca e il vestito rosso.
La sentenza sopra riportata è totalmente sbagliata, i giudici non hanno neppure guardato la legge, non l'hanno mai vista, si sono fidati di ciò che ha scritto il PM! Certo, si potrebbe anche ipotizzare che hanno letto la legge e non l'hanno capita, come è successo in altri casi, ma sono per natura un buono e respingo questa ipotesi estrema.
La legge che regola la materia è quella del 7 febbraio 1992 n. 150, Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.
La legge non dà la definizione di animale pericoloso ma stabilisce che essi verranno elencati in un apposito decreto ministeriale. Ciò è avvento con il Decreto del Ministro dell’Ambiente del 19 aprile 1996, che riporto in allegato. Esso stabilisce (art. 1) che : Ai fini dell'individuazione delle specie che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica, sono da considerare potenzialmente pericolosi per l'incolumità e la salute pubblica, tutti gli esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici ovvero provenienti da riproduzioni in cattività che in particolari condizioni ambientali e/o comportamentali, possono arrecare con la loro azione diretta effetti mortali o invalidanti per l'uomo o che non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione possono trasmettere malattie infettive all'uomo.
All'art. 2 aggiunge: Nell'allegato A al presente articolo sono indicate le specie animali che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica individuate sulla base dei criteri stabiliti dal precedente articolo e per le quali è proibita la detenzione.
All'art. 3 regola gli animali pericolosi, ma allevati in Italia: Sono esclusi dal divieto di detenzione riportato nel precedente articolo gli esemplari vivi di mammiferi selvatici ovvero provenienti da riproduzioni in cattività riportati nell'allegato B al presente decreto ed appartenenti ad allevamenti autorizzati ai sensi dell'art. 17 della legge 11 febbraio 1992, n. 157
Ciò significa che se un animale è elencato nel Decreto, esso si considera pericoloso; se non è elencato non è pericoloso. La legge ha dimenticato di dire come ci si deve regolare di fronte ad un animale sicuramente pericoloso, ma non elencato nel decreto (ad esempio il diavolo della Tasmania che è un marsupiale non elencato); si potrebbe sostenere, con molto sforzo, che se vi è prova certa che l'animale è pericoloso, ricade nelle maglie della legge. Sarebbe però la tipica interpretazione per analogia, vietata in diritto penale e al massimo utilizzabile solo per applicare sanzioni amministrative.
Ma è un problema che non ci riguarda perché è noto e provato che la renna non ha nulla di pericoloso perché è un animale semi-addomesticato, utilizzato come cavalcatura e per portare some e che si lascia persino mungere. Sembra essere cosa ovvia e alla portata di ogni mente, per quanto limitata, che per sapere se un animale è pericoloso per l'uomo non si va a cercare in un codice, ma si guarda in una enciclopedia! Purtroppo pare che avesse un po' di ragione quell'umorista il quale diceva che la mente dei giudici assomiglia ad una gabbia in cui svolazzano uccelli che non cantano belle musiche, ma fanno solo CiCi, CiPiPi, CiCiPi, CiPi !
Inoltre, cosa di cui nessun giudice (salvo il Tribunale) si è accorto, l'animale era stato allevato in Italia e perciò automaticamente escluso dalle specie pericolose.
Che hanno fatto invece i giudici della Cassazione? Hanno creduto che la legge dica che deve considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia, trattandosi di reato di pericolo presunto. Affermazione perfetta se la renna fosse stata inserita in un elenco di animali pericolosi e se non fosse stata già allevata in Italia.
Quindi i giudici della Cassazione hanno finito per stabilire che siccome il guardiano della legge ha loro detto che le renne sono pericolose, il fatto è certo e indiscutibile!!
La sentenza cita un precedente, ma del tutto a sproposito, La sentenza n. 26127 del 19/05/2005 recita: La L. 150/1992, all'art. 6 c. 1, vieta la detenzione di animali che "costituiscono pericolo per la salute e la incolumità pubblica"; tale requisito non costituisce un elemento integrativo della fattispecie che il Giudice deve valutare in concreto, in rapporto alle peculiarità del caso, al fine del perfezionamento del reato. Il pericolo in questione rappresenta il punto di riferimento per la emanazione del decreto previsto dall'art. 6 c. 2 (con il quale i Ministri competenti stabiliscono i criteri da applicare nella individuazione delle specie di cui vietare la detenzione) e per la predisposizione, di conseguenza, dell'elenco di tali esemplari. Il DM del 1996, emanato in attuazione dell'art. 6 c. 2, ha inserito l'animale per cui è processo, un canguro tra quelli da considerarsi pericolosi per cui la sua detenzione non era consentita a prescindere da ogni valutazione sulla sua concreta nocività e sulle sicure modalità della sua custodia; questa ultima circostanza può solo costituire un indice per determinare la non gravità della condotta dello imputato ai fini sanzionatori. cod. proc. pen.. Essa quindi dice una cosa ovvia e corretta; il canguro è nell'elenco degli animali proibiti e quindi c'è poco da discutere. Ma la renna nell'elenco non c'è!
Talvolta si discute se una intelligenza artificiale possa sostituire validamente il giudizio del giudice e si obietta che mai potrà essere eguagliata nei casi concreti l'intelligenza dell'uomo. Ragionamento corretto solo quando questa intelligenza c'è; un qualsiasi computer avrebbe saputo che la renna è un animale domestico non pericoloso, che la renna non è mai stata considerata un animale pericoloso, che la renna non ha denti avvelenati o zanne, che la renna in questione non era neppure selvatica, ma nata in un allevamento, che la sentenza citata non c'entra nulla.
17-11-2018
email - Edoardo Mori |
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