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Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 10979/15
Presidente Cortese - Relatore Casa
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa in data 17.3.2014, la Corte di Appello di Messina confermava la decisione del 27.3.2012 con la quale il Tribunale di Mistretta in composizione monocratica aveva condannato C.A. alla pena di venti giorni di arresto per i reati, unificati dalla continuazione, di cui agli artt. 697 e 699 c.p., consistiti nell'aver illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico n. 8 coltelli a scatto (cd. mollette), in particolare, esponendoli per la vendita in occasione della fiera tenutasi a Mistretta nel giugno 2009.
Nel giudizio di appello si era proceduto all'esame del corpo di reato.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato.
La difesa evidenziava la buona fede del ricorrente, il quale, in possesso di regolare licenza per la vendita ambulante di coltelli, senza esclusione per i coltelli a scatto, aveva acquistato quelli in contestazione sulla base di regolare fatturazione presso comuni esercizi commerciali.
Considerata, d'altra parte, l'oscurità della normativa di riferimento (art. 45 Reg. Esec. T.U.L.P.S.) e tenuto conto che l'assimilazione di tale tipologia di coltelli alle armi “bianche" costituiva frutto dell'elaborazione giurisprudenziale, comprensibilmente ignorata dal ricorrente, la Corte avrebbe dovuto fornire idonea motivazione quanto alla specifica incidenza delle predette circostanze sul processo volitivo dell'agente e non liquidare risolutivamente le prospettazioni difensive con motivazione meramente apparente.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va accolto, seppure per ragioni essenzialmente diverse da quelle dedotte del ricorrente.
2. Va, in primo luogo, affrontata la quaestio iuris della definizione giuridica della condotta imputata al ricorrente.
2.1. Sebbene con qualche oscillazione, pur se a volte meramente terminologica (cfr. Sez. 5A, n. 1774 del 19/11/1970, Taurino, Rv. 115940; Sez. 1A, n. 1629 del 12/12/1985, dep. 22/2/1986, Di Donato, Rv. 171969; Sez. 6A, n. 955 del 15/4/1970, Nesci, Rv. 87837; Sez. 6A, n. 5943 del 21/5/1986, Meneghino, Rv. 173183; Sez. F, n. 33396 del 28/7/2009, Balacco, Rv. 244643; e Sez. 1A, n. 33244 del 9/5/2013, Sicuro, Rv. 256988), nella giurisprudenza di questa Corte è ben netto l'orientamento secondo il quale il comune coltello a serramanico (cioè l'utensile dotato di lama pieghevole nella cavità della impugnatura la quale, così, funge anche da guaina) costituisce strumento da punta e/o da taglio, ovverosia arma impropria, il cui porto ingiustificato, fuori della abitazione o delle relative appartenenze, è sanzionato ai termini della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, (Sez. 1A, n. 10832 del 23/10/1984, Angileri, Rv. 166960 e 166961; Sez. 1A, n. 7404 del 31/1/1978, De Rossi, Rv. 139340; Sez. 1A, n. 7011 del 19/5/1993, P.M. in proc. Arditi, Rv. 195502; Sez. 1A, n. 392 dell'1/12/1999, 14/1/2000, Sannibale, Rv. 215145; Sez. 1, n. 37080 dell' 11/10/2011, Scarcella, Rv. 250817; Sez. 1A, n. 46264 dell'8/11/2012, Visendi, Rv. 253968; Sez. 1A, n. 15945 del 21/3/2013, Cancellieri, Rv. 255640); mentre è arma propria (bianca), sicché il porto abusivo è punito ai sensi dell'alt. 699 c.p., quella particolare specie di coltello a serramanico, detto coltello a molla, o molletta, ovvero, anche, coltello a scatto o coltello a scrocco, dotato di congegni che consentono la fuoriuscita della lama dal manico (senza la manovra della estrazione manuale) e il successivo bloccaggio della lama stessa in assetto col manico (Sez. 2A, n. 5189 del 9/2/1979, Di Stefano, Rv. 142173; Sez. 2A, n. 9691 del 10/4/1981, Corso, Rv. 150782; Sez. 1A, n. 9526 del 13/5/1981, Di Gaetano, Rv. 150740; Sez. 1A, n. 3662 del 26/1/1983, Palumbo, Rv. 158647; Sez. 2A, n. 8735 del 26/4/1984, Meneghini, Rv. 166169; Sez. 1A, n. 4218 del 12/2/1985, Bruni, Rv. 169010; Sez. 1A, n. 6536 del 4/3/1985, Premale, Rv. 169961; Sez. 1A, n. 7949 dei 14/3/1985, dep. 8/8/1986, Vaporieri, Rv. 173483; Sez. 1A, n. 6413 dell' 1/4/1985, Audisio, Rv. 169935; Sez. 1A, n. 11078 del 4/7/1985, Lopresti, Rv. 171168; Sez. 1A, n. 448 dell' 11/10/1985, dep. 16/1/1986, Ernovi, Rv. 171594; Sez. 1A, n. 12427 del 24/10/1994, P.M. e Boffa, Rv. 199887; Sez. 1A, n. 2208 del 18/1/1995, Mininni, Rv. 200423; Sez. 1A, n. 16785 del 7/4/2010, P.G. in proc. Pierantoni, Rv. 246947).
È dato, peraltro, censire l'ulteriore indirizzo secondo il quale costituisce arma propria anche il coltello a serramanico, affatto privo di "alcun congegno di scatto", che, tuttavia, assicura il blocco della lama - una volta snudata e in linea colla impugnatura - sicché la "successiva chiusura necessita di un meccanismo di disincaglio" (Sez. 1A, n. 1901 del 18/1/1996, Angugliaro, Rv. 203807; Sez. 1, n. 5213 del 19/4/1996, P.M. in proc. Ben Hassime, Rv. 204670; Sez. 1A, n. 16685 del 27/3/2008, Papagni, Rv. 240278, citata nella sentenza impugnata; Sez. F, n. 33604 del 30/8/2012, Luciani, Rv. 253427; cui adde; Sez. 1A, n. 29483 dell' 11/6/2013, Roso, non massimata).
2.1.1. In tutte le succitate sentenze e in numerose altre, relative alla qualificazione del coltello a scatto o a molla come arma propria, questa Corte non ha mancato di correlare la qualificazione del coltello come arma propria alla attitudine del corpo del reato ad "assumere le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto" (Sez. 6A, n. 617 del 13/3/1969, Giuliano, Rv. 111595; Sez. 6A, n. 4143 del 10/12/1974, dep. 15/4/1975, Castellano, Rv. 129779; Sez. 1A, n. 1757 del 17/11/1978, dep. 16/2/1979, De Risi, Rv. 141187; Sez. 5-A, n. 576 dei 23/10/1979, dep. 18/1/1980, Settimo, Rv. 143974; Sez. 1A, n. 4785 del 12/2/1985, Borelli, Rv. 169231; Sez. 1A, n. 3121 del 24/9/1986, dep. 14/3/1987, Bartoli, Rv. 175347; Sez. 2A, n. 1022 del 5/11/1985, Cherin, Rv. 171715; Sez. 1A, n. 8852 del 19/5/1993, P.M. in proc. Casali, Rv. 197008; Sez. 1A, n. 14 del 3/11/1993, dep. 5/1/1994, P.G. in proc. Toselli, Rv. 198231; Sez. 1A, n. 7471 del 27/4/1994, P.M. in proc. Bombace, Rv. 198362; Sez. 1A, n. 9372 dell' 8/6/1994, Natilla, Rv. 200135; Sez. 1A, n. 10894 del 20/6/1994, P.G. in proc. Albani,
Rv. 200177; Sez. 1A, n. 5509 del 17/11/1994, dep. 17/1/1995, P.M. in proc. Munari, Rv. 200637; Sez. 1A, n. 2388 del 5/12/1994, dep. 11/3/1995, Balsemin, Rv. 200468; Sez. 1, n. 4514 del 20/3/1995, P.M. e Di Renzo, Rv. 201136; Sez. 1A, n. 563 del 30/1/1995, P.M. in proc. Caruso, Rv. 200927; Sez. 1A, n. 4938 del 4/10/1996, P.M. in proc. Giuliani, Rv. 207720).
2.1.2. Sicché, in definitiva, quali che siano le particolari caratteristiche di costruzione del "coltello", alla stregua della varia tipologia, il discrimen tra l'arma impropria (cioè lo strumento da punta e/o da taglio atto ad offendere) e l'arma propria è costituito dalla presenza delle caratteristiche tipiche delle armi bianche corte, quali, appunto, i pugnali o gli stiletti, e, cioè, la punta acuta e la lama a due tagli (v. la recente Sez. 1A, n. 19927 del 9/4/2014, Teti, Rv. 259539).
Il relativo accertamento spetta al giudice di merito.
2.2. Orbene, nella specie, i giudici territoriali non hanno fatto buon governo del principio di diritto richiamato, stimando erroneamente "irrilevante", ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 699 c.p., che i coltelli contestati all'imputato presentassero "un unico filo di lama", mentre tale caratteristica, per quanto sopra precisato, risulta decisiva per attribuire al coltello la qualifica di arma "impropria", il cui porto è punito dall'alt. 4 della legge n. 110 del 1975.
2.3. In relazione a quest'ultima fattispecie di reato, tuttavia, i Giudici hanno omesso di considerare che il C., in qualità di titolare di licenza di commercio dei coltelli in contestazione (la circostanza è pacificamente ricavabile dalle due sentenze di merito), aveva un giustificato motivo per portarli al di fuori della propria abitazione, sicché non poteva essere condannato.
Deve, poi, osservarsi che, appartenendo i coltelli de quibus al novero delle armi "improprie", viene conseguentemente meno anche il reato di detenzione abusiva di armi di cui all'art. 697 c.p., pure contestato, in quanto, a seguito delle modifiche legislative intervenute con le leggi n. 895 del 1967 e 497 del 1974, l'ambito di applicabilità di detta norma è limitato alla detenzione delle armi "proprie" da punta e da taglio e delle munizioni per armi comuni da sparo (Sez. 1A, n. 7948 del 2/4/1984, Rv. 165890).
3. Per le esposte considerazioni, in relazione ad entrambe le fattispecie di reato contestate al ricorrente, riqualificata la condotta di porto nel reato di cui all'art. 4 L. n. 110/75, deve pervenirsi all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Nota: questa è la seconda sentenza sulla distinzione fra coltelli e pugnali; già ho pubblicato la prima sentenza.
Finalmente la Cassazione l'ha capita, il che mi conforta sul fatto che il dare dei cretini ai giudici che sbagliano, qualche frutto lo porta!
Manca ancora un piccolo passo; il riconoscere che non è sufficiete il doppio filo della lama, ma che un pugnale deve avere certe dimensioni che lo rendano micidiale. Ma non siamo lontandi dal giorno in cui vedremo che un giudicie, per stabilire che cosa è un pugnale apre un vocabolario e non il codice!
19-3-15
email - Edoardo Mori |
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