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Nel secondo caso il reo, munito di licenza di porto di fucile per il tiro volo risulta aver portato il fucile per un altro scopo, forse anche illecito (i giudici della Cassazione pare abbiano ritenuto superfluo lo stabilire se il reo con il fucile voleva farci una rapina o andarci a caccia e non ne hanno parlato). Hanno però concluso che è rilevante la finalità per la quale il titolare della licenza porta l’arma fuori dalla propria abitazione in quanto non si tratta di dare rilievo alle motivazioni interiori dell’autore della condotta, ma di valutare se quest’ultima sia o non consentita dal provvedimento concessorio che la permette. In difetto di siffatta corrispondenza, il porto d’armi deve ritenersi, in conformità alla indicata regola generale, vietato. (Cass. 12 aprile 2019 n. 28320)
Massima sconvolgente perché si può arrivare a sostenere che anche il bracconiere porta illegalmente il fucile! Potrebbe essere anche una soluzione opportuna, ma il legislatore ha deciso esattamente il contrario e il giudice ha il dovere di applicare la legge e non di arrampicarsi sugli specchi, basandosi su decisioni del Consiglio di Stato il quale, è noto, applica il diritto amministrativo e non il diritto penale: di rado si ha la sensazione che tuteli i cittadini e pare essere piuttosto il cane da guardia della tranquillità di prefetti e questori.
Ecco il testo della motivazione
1. Con sentenza del 02/05/2018 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di responsabilità di B.A. , in relazione ai reati di cui all’art. 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2, art. 585 c.p., art. 577 c.p., n. 4, (capo A), L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14, art. 61 c.p., n. 1, (capo B), L. n. 497 del 1974, art. 13, art. 61 c.p., n. 1 (capo C), provvedendo a rideterminare la pena in senso migliorativo per l’imputato.
2. Nell’interesse di quest’ultimo è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi..... Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al reato di cui al capo B), richiamando l’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale l’autorizzazione al porto di fucile per l’esercizio della caccia rende legittimo il porto dell’arma anche se strumentale a finalità diverse, persino illecite.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento di recente espresso da Sez. 1, n. 44419 del 01/10/2015 - dep. 20/10/2016, Mongiardo, Rv. 268259, secondo la quale l’autorizzazione al porto di un’arma per un uso sportivo non rende legittimo il porto della stessa ove effettuato per finalità diverse da quella consentita dal provvedimento amministrativo.
Tale decisione muove dalla condivisa premessa che il nostro ordinamento non riconosce come diritto soggettivo pubblico la possibilità per il cittadino di portare un’arma da fuoco fuori dalla propria abitazione. Al contrario, il porto delle armi in difetto dello specifico provvedimento della Autorità della Pubblica Sicurezza che, ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 42, lo consenta - è in generale affatto vietato e costituisce condotta illecita. In tale prospettiva può, quindi, affermarsi che è proprio il rilascio della licenza il fatto costitutivo del "diritto", per il suo titolare, di portare fuori dalla propria abitazione un’arma.
La disciplina nazionale in materia di porto e trasporto di armi comuni da sparo, infatti, consente di rilasciare la licenza di porto d’arma solo per scopi di difesa personale, per il tiro a volo (uso sportivo) e per le altre attività previste dalla L. n. 157 del 1992.
In particolare, il R.D. n. 773 del 1931, art. 42 e R.D. 6 maggio 1940, n. 635, art. 61, e segg. recante l’approvazione del regolamento per l’esecuzione del t.u.l.p.s. disciplinano la licenza di porto d’armi per esigenze di difesa personale; la L. 25 marzo 1986, n. 85, recante norme in materia di armi per uso sportivo, regolamenta l’uso di armi per tale finalità; infine, è la L. 11 febbraio 1992, n. 157 disciplina la licenza di porto d’arma per uso di caccia.
Il rigore e il significato di siffatta regolamentazione sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza amministrativa.
Come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. 3, 22/08/2018, n. 5015), in coerenza con la propria costante giurisprudenza, la regola generale è il divieto di detenzione delle armi; pertanto, l’autorizzazione a detenere armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio in deroga al divieto di portare armi sancito dall’art. 699 c.p. e dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, comma 1, (cui si possono aggiungere la L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14).
Da tali premesse discende che la cd. autorizzazione di polizia rimuove, solo in via di eccezione, tale divieto in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire e che spetta al prudente apprezzamento di detta Autorità di pubblica sicurezza l’individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione degli strumenti di offesa.
Pertanto, l’affermazione secondo cui sarebbero penalmente irrilevanti le finalità per le quali il titolare della licenza porta l’arma fuori dalla propria abitazione (v., per tale considerazione (Sez. 3, n. 14749 del 20/01/2016, Mereu, Rv. 266391; Sez. 1, n. 8838 del 08/01/2010, Curridori, Rv. 246379; Sez. 1, n. 19771 del 24/04/2008, Franchina, Rv. 240376) non è condivisibile, in quanto non si tratta di dare rilievo alle motivazioni interiori dell’autore della condotta, ma di valutare se quest’ultima sia o non consentita dal provvedimento concessorio che la permette.
In difetto di siffatta corrispondenza, il porto d’armi deve ritenersi, in conformità alla indicata regola generale, vietato.
(2-7-2019)
email - Edoardo Mori |
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