Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Il raglio e il morso dell'asino - La Cassazione è incurabile

La Cassazione è proprio senza speranza. In materia di armi non ne azzecca una, neppure quando il caso è elementare e basta leggersi un paio di articoli. Ma allora è proprio vero che sono come quei preti di campagna che se gli si chiudeva il messale non sapevano più andare avanti? Per i giudici il messale è il codice penale che purtroppo è solo uno del 110.000 provvedimenti   contenuto nell'archivio delle leggi! Però non è difficile trovare ciò che serve, anche se per farlo abbiamo dovuto creare il miglior sistema informatico di ricerca giuridica del mondo!
Il caso riguarda una armiere molto noto di San Marino, Gaetano Manzoni Borghese, discendente di Alessandro Manzoni, che conosco da oltre quarant'anni, senza macchia, il quale, fra il 2009-2011,  ha venduto per corrispondenza 247 armi  a due pugliesi i quali gli hanno inviato le loro licenze di porto d'arma falsificate.
Quando i controlli hanno portato a scoprire il fatto, l'armiere si è trovato spedito in galera a Trani, sebbene di 70 anni e gravemente ammalato (in cella d'estate con la bombola di ossigeno, ma i giudici gli hanno rifiutato il doveroso ricovero in una clinica!), accusato di associazione a delinquere, di falso e di reati in materia di armi.
Le prove a suo carico erano:
a) di non aver rispettato la legge di San Marino  n. 40 del 13 marzo 1991 vigente in materia, all'epoca dei fatti, con particolare riguardo all'obbligo del titolare dell'armeria di identificare l'acquirente tramite un documento personale di riconoscimento e di verificare la titolarità in capo allo stesso di un valido titolo di acquisto. Accusa frutto di mera ignoranza e incapacità di ragionare dei PM perché la norma riguarda la vendita fatta in armeria a San Marino, di persona,  e non l'esportazione di armi da San Marino verso il territorio italiano.  Se avessero ragionato non potevano fare a meno di chiedersi "ma come minchia fa un armiere all'estero a controllare i documenti italiani?" Ed  infatti  può essere ovviamente fatto solo dall'autorità di San Marino tramite quella italiana, come stabilito in esatto parallelo dalle norme europee e dalle nostre (è comunque la prima volta in 50 anni che vedo contestare la violazione di una norma penale estera!) e spiegato anche ai più cretini dalla circolare del Min. Int. 557/PAS.10176(I)  del 18 agosto 2011 in cui si stabilisce che l'italiano  che acquista  armi a San Marino, oltre a possedere un valido titolo abilitativo all'acquisto (licenza di porto d'armi o nulla osta all’acquisto rilasciati dall'Autorità di P,S. italiana), deve, in ogni caso, ottenere il nulla osta dalla locale Gendarmeria…. La richiesta del nulla osta deve, comunque, essere sottoscritta sia da chi intende vendere che da colui cita intende acquistare. Non appesa ricevuta la richiesta, la Gendarmeria, a sua volta, provvede immediatamente ad informare i competenti organi dì Polita italiani. In particolare, il citato Corpo curerà l'immediato inoltro alla Questura o Prefettura - U.T.G. competente, pervia telematica, di una comunicazione - completa di tutte le informazioni del caso - concernente l'intenzione del citato soggetto di voler acquisire i materiali in questione e nella quale la stessa Gendarmeria segnala la presenza, o meno, di motivi ostativi all'acquisto medesimo, richiedendo, net contempo, il nulla osta dell'Autorità di pubblica sicurezza italiana.
La Questura o Prefettura - U.T.G. che riceve tale comunicazione, esperiti gli opportuni accertamenti di rito sul richiedente, ne comunica, senza ritardo, l'esito alla Gendarmeria sanmarinese, che, a sua volta, provvede ad autorizzare l'armiere alla vendita del caso.

Procedura che l'armiere aveva seguito a puntino e circolare che la difesa ha subito esibito ai PM e al tribunale del riesame, senza risultato. Che non sapessero che San Marino è uno stato estero?
Il che significa anche, che se a Trani fossero stati in grado di ragionare avrebbero dovuto obbligatoriamente indagare se l'associazione a delinquere non fosse proprio presso la questura di Trani che aveva dato informazioni errate alla Gendarmeria di San Marino!
b) Il grave indizio di aver spedito i pacchi con sopra scritto materiale sportivo; a parte il fatto che erano armi sportive e quindi l'indicazione non era falsa, anche i bambini capiscono che quando si spedisce merce soggetta a pericolo di furto, non si scrive davvero che il pacco contiene armi o diamanti, il che sarebbe come scriverci con insegna luminosa rubami, rubami che ti conviene!  E comunque la dicitura equivoca poteva avere rilevanza se le armi fossero state rubate per mancato controllo del vettore ignaro del contenuto; ma così non è stato. Va da sé che nessuno dei giudici si è proccupato di capire come funzionavaon all'epoca le esportazioni di armi da San Marino (Si veda la storia qui http://www.earmi.it/diritto/leggi/sanmarino.htm e negli articoli collegati)
Mi domando ancora ma dove minchia era la prova di un comportamento doloso dell'armiere rivolto a mettere in piedi una associazione a delinquere con soggetti mai visti, abitanti all'estero a 500 km di distanza?
Eppure quanto sopra è bastato per tenere in carcere un innocente, che per poco ci moriva, per far respingere le sue richieste dal tribunale del riesame, per farlo condannare per tutti i reati dal Tribunale di Trani nel novembre 2015.  Cioè l'imputato è rimasto appeso ad un filo e bloccato nel suo lavoro per quattro anni per celebrare un processo che era una bufala da archiviare di corsa e che poteva semmai essere fatto per direttissima in una settimana!
Una volta si usava che nei plotoni di esecuzione uno dei soldati ricevesse una cartuccia a salve per poter sperare di non essere stato lui a dare il colpo mortale. Forse sarebbe regola utile anche in certi tribunali!
La Corte d'appello di Bari nell'aprile del 2018 assolveva l'armiere da tutte le imputazioni, scrivendo più o meno quanto ho esposto io stesso qui sopra; anche una sola parola in più sarebbe stata superflua.
Non ci crederete, ma il procuratore generale ha fatto appello sostenendo che i giudici non avevano motivato abbastanza!
Per chi conosce i meccanismi della giustizia, le ragioni dell'impugnazione si capiscono: i PM tendono a difendersi l'uno con l'altro a ad evitare che emerga troppo chiaramente che essi hanno commessi errori inqualificabili, inoltre, se riescono a tirare le cose in lungo e far dichiarate prescritti i reati, l'innocente che ha diritto al risarcimento dei danni rimane cornuto e mazziato.  Ne ho visti parecchi di processi lasciato morire negli armadi perché aprendo l'armadio sarebbero usciti gli scheletri. E così capite anche perché un processo che era chiaro fin dal primo giorno, è arrivato in Cassazione 9 anni dopo! Un tempo si diceva di stare attenti al "morso dell'asino" perché l'asino ha la cattiva abitudine di non mollare la presa e finisce per staccare un pezzo di gamba a o braccio. Non è bello che nella giustizia italiana vi siano componenti asinine così accentuate!

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI nel procedimento a carico di:
[NOME IMPUTATO] nato il 20/09/1939 avverso la sentenza del 12/04/2018 della CORTE APPELLO di BARI
Il P.G. conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso del Procuratore Generale di Bari e l'annullamento senza rinvio per sopravvenuta prescrizione dei reati contro la fede pubblica e con rinvio per i rimanenti reati.
udito il difensore
L'avv. TUFARIELLO Maria Grazia conclude per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.      Con sentenza in data 19.11.2015 il Tribunale di Trani condannava [Nome imputato] alla pena di giustizia per il reato associativo di cui all'art. 416 cod.pen. e per una serie di reati fine (questi ultimi aggravati ex art. 4 legge n. 146 del 2006 dalla loro commissione mediante il contributo apportato da un gruppo criminale organizzato operante su base transnazionale) costituiti da delitti di falso, personale e documentale, e violazioni della disciplina delle armi, unificati in continuazione tra loro, commessi negli anni compresi tra il 2009 e il 2011, mediante condotte consistite nell'aver venduto per corrispondenza, in qualità di titolare di un'armeria  situata nella Repubblica di San Marino e previo rilascio di nulla osta da parte della locale gendarmeria, una consistente quantità di armi comuni da sparo (per un totale di 247 unità) a soggetti residenti in Italia e risultati inesistenti, ai quali non erano mai state rilasciate le licenze di porto d'armi allegate in copia alle richieste di acquisto; i reali destinatari delle armi, che non avevano provveduto a denunciarne la detenzione all'autorità di p.s. italiana, erano stati individuati dagli inquirenti nelle persone di xx e yy, soggetti residenti in Puglia, i quali avevano speso false generalità e avevano prodotto, per giustificare gli acquisti, copie di falsi documenti realizzati utilizzando come modello una licenza di porto di fucile originariamente rilasciata al xx dalla Questura di Bari e successivamente revocata; ciò rivelava che il titolare dell'armeria non aveva mai preso visione di alcun documento in originale idoneo a legittimare le transazioni commerciali.
2.      A seguito di appello dell'Imputato, la Corte d'appello di Bari, con sentenza pronunciata il 12.04.2018, ha assolto [Nome imputato] dal reato associativo di cui all'art. 416 cod. pen. per non aver commesso il fatto e dalle residue imputazioni a lui ascritte perché il fatto non costituisce reato.
Con specifico riguardo ai falsi e alle violazioni della disciplina delle armi, la Corte territoriale, pur ritenendo provata la materialità delle condotte e dei fatti ascritti all'imputato, ha escluso che fosse stata acquisita la prova della sussistenza dell'elemento soggettivo di natura dolosa richiesto per la perfezione dei reati, assumendo - al riguardo - la regolarità formale delle vendite di armi, effettuate dall'armeria di cui era titolare il [Nome imputato] previo rilascio di nulla osta da parte della Gendarmeria della Repubblica di San Marino e previa registrazione nei propri libri contabili dei relativi documenti accompagnatori, nel rispetto delia normativa di riferimento, mediante spedizioni effettuate a mezzo di corriere conosciuto (che provvedeva al ritiro della merce presso la sede dell'armeria), a fronte di pagamenti eseguiti con bonifici o vaglia postali; la condotta dell'imputato, che aveva collaborato con gli inquirenti contribuendo con le sue dichiarazioni all'individuazione dei reali destinatari delle armi una volta avuta conoscenza (dopo la vendita) della falsità dei documenti inviati dagli apparenti acquirenti, deponeva per la buona fede del [Nome imputato], che non era contraddetta dall'apposizione della dicitura "articoli sportivi" sui pacchi contenenti le armi, ritenuta compatibile con la destinazione ad uso sportivo della maggior parte delle armi cedute e con le esigenze di sicurezza invocate dal vettore incaricato dei relativi trasporti.
3.     Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Bari, limitatamente all'assoluzione dell'imputato dai reati-scopo di falso e di violazione della disciplina delle armi, deducendo, con unico motivo, violazione di legge nonché carenza e illogicità della motivazione della decisione impugnata.
Il ricorrente censura l'omesso confronto della motivazione assolutoria di secondo grado col ragionamento probatorio seguito dal giudice di primo grado nella valutazione della gravità, della precisione e della coerenza del quadro indiziario acquisito a carico dell'imputato, con riferimento sia alle qualità soggettive e professionali del [Nome imputato], sia alle modalità seriali dell'ordinazione e spedizione delle armi, sia al numero delle armi vendute per corrispondenza che al mancato controllo dell'autenticità dei documenti apparentemente legittimanti i relativi acquisti; lamenta la natura assertiva e priva di coerenza logica dell'assoluzione del prevenuto, basata su un omesso apprezzamento della legge n. 40 del 13 marzo 1991 vigente in materia, all'epoca dei fatti, nella Repubblica di San Marino, con particolare riguardo all'obbligo del titolare dell'armeria di identificare l'acquirente tramite un documento personale di riconoscimento e di verificare la titolarità in capo allo stesso di un valido titolo di acquisto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.     Il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica è fondato, per le ragioni che seguono, sotto il profilo assorbente della carenza e della manifesta illogicità della motivazione con cui la sentenza impugnata ha assolto l'imputato per mancanza di dolo dai reati-fine a lui ascritti.
2.     Questa Corte ha chiarito, con orientamento consolidato, che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia intrinsecamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", che siano indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso, così da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (ex plurìmis, Sez. 1 n. 41738 del 19/10/2011; Sez. 6 n. 10951 del 15/03/2006).
La motivazione della sentenza del giudice di merito, dunque, per superare il vaglio di legittimità demandato a questa Corte suprema dall'alt. 606, comma 1 lett. e) CPP, deve risultare coerente e adeguata nel senso di consentire l'agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova, così da non impedire, per la sua intrinseca oscurità o incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio con riguardo alle acquisizioni processuali e alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 6( n. 7651 del 14/01/2010); pur restando certamente esclusa la sindacabilità dei motivi di ricorso che siano fondati su una diversa prospettazione dei fatti o su spiegazioni alternative - per quanto plausibili o logicamente sostenibili - formulate dal ricorrente, la Corte di cassazione è comunque tenuta, in sede di controllo di legittimità della motivazione, ad accertare che alla base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento degli indizi di colpevolezza e che la motivazione non sia puramente assertiva o affetta da palesi incongruenze o vizi logici (Sez. 6; n. 1762 del 15/05/1998).
3.     Nel caso di specie, dalla lettura della motivazione della decisione assolutoria emessa dalla Corte d'appello di Bari e dal suo raffronto col percorso logico/argomentativo che aveva supportato la sentenza di condanna invece pronunciata, per i medesimi reati, dal Tribunale di Trani, emerge immediatamente il carattere essenzialmente assertivo - e privo di un adeguato e coerente confronto con le risultanze istruttorie valorizzate dal giudice di primo grado - delle affermazioni con cui la sentenza d'appello ha escluso la prova della consapevole volontà del [Nome imputato] di concorrere nei delitti di illecita introduzione di armi comuni da sparo nel territorio dello Stato Italiano, e nei falsi personali e documentali che ne hanno costituito il supporto, commessi in concorso coi soggetti autori degli ordinativi e destinatari della consegna delle armi stesse.
La sentenza di primo grado aveva valorizzato, tra l'altro e in particolare, l'inadempimento accertato dell'imputato all'obbligo, previsto dalla legislazione vigente nella Repubblica di San Marino (in forza della legge n. 40 del 1991), di verificare direttamente la reale identità personale degli acquirenti e destinatari delie armi e l'effettiva titolarità in capo agli stessi di validi titoli di acquisto rilasciati dalle competenti autorità italiane di pubblica sicurezza; la prova dell'inosservanza dei relativi obblighi, da parte del [Nome imputato], è stata tratta dal giudice di prima istanza dalle false generalità (corrispondenti a quelle di persone fisiche inesistenti) spese dagli acquirenti, nonché dall'utilizzo per eseguire gli ordinativi delle armi di titoli di legittimazione contraffatti, realizzati modificando la scansione digitale del medesimo - originario - porto di fucile rilasciato (e poi revocato) a xx, falsità di cui l'imputato, anche in ragione della sua qualità professionale di titolare di un'armeria, si sarebbe agevolmente reso conto se avesse controllato personalmente (come era tenuto a fare, specie a fronte del consistente numero di armi da fuoco - nell'ordine di circa 250 unità - cedute, ad apparente uso sportivo, sempre tramite i medesimi soggetti) gli originali dei documenti di identità e delle licenze di porto d'armi esibite in occasione degli acquisti; così rivelando, col suo comportamento complessivo, e contrariamente all'assunto difensivo, di non aver mai conosciuto o incontrato di persona gli acquirenti, e di non aver mai esaminato in originale i loro documenti.
Con tali argomentazioni logico-giuridiche, fondate sui dati probatori acquisiti, la sentenza d'appello - che non ha contestato la sussistenza materiale dei falsi e delle condotte di introduzione senza licenza di armi nello Stato, ascritte all'imputato in concorso coi complici operanti in territorio pugliese (pagina 3 della motivazione) - ha sostanzialmente omesso di confrontarsi, trascurando anche l'esame puntuale degli obblighi e delle prescrizioni scaturenti a carico del [Nome imputato] dalla legge n. 40 del 1991, così incorrendo nei palesi vizi di motivazione denunciati dal ricorrente.
4.     La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, limitatamente all'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato dai delitti-fine di cui ai capi B e C della rubrica (la statuizione assolutoria per non aver commesso il fatto dal reato associativo sub A non è stata, invece, investita dal ricorso ed è divenuta definitiva), con rinvio per un nuovo giudizio sul punto - libero nei contenuti e negli esiti, ma sorretto da un'adeguata e coerente motivazione - ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Al giudice di rinvio deve essere demandata la verifica della sopravvenienza di eventuali cause di estinzione per prescrizione di singoli reati di cui ai capi B e C, sollecitata in questa sede dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, tenendo conto degli effetti derivanti, sulla misura della pena edittale rilevante agli effetti previsti dagli artt. 157 e seguenti CP, dalla circostanza aggravante ad effetto speciale, ritenuta dal giudice di primo grado, di cui all'art. 4 della legge n. 146 del 2006 (ora art. 61-bis CP).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della
Corte di appello di Bari.
Così deciso in data 17 maggio 2019 - Dep. 7 febbraio 2020
(Complimenti! Oltre sei mesi per scrivere il capolavoro!)


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