Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Cassazione: La nozione di illegalità nei reati in materia di armi ex L. 285/1967

La Cassazione con la sentenza n. 48240 del 28 settembre 2017 ha stabilito il seguente punto di diritto: Le attività in materia di armi, come la vendita, di cui alla L. 2 ottobre 1967 n. 895 per le quali è richiesto che avvengano in modo "illegale" e  cioè contra legem, richiedono che l'attività venga posta in essere attraverso modalità penalmente illecite (falsi, contraffazioni, ecc.) idonee a far sì che circolino armi senza che l’Autorità possa conoscere la presenza delle stesse sul territorio. Anche l'attività autorizzata diventa illegale se svolta al chiaro fine di mettere in circolazione una o più armi mediante cessioni fittizie, registrate con modalità ed indicazioni tali da rendere impossibile il controllo dei movimenti e dell’identità dei possessori. 

Il fatto, secondo le notizie di stampa, è dell'aprile 2009 e l'accusa a carico di una armeria di Saremo era che, dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’esportazione di armi a favore di soggetti di cittadinanza francese, producendo documentazione falsificata, i gestori dell’armeria cedevano le armi a soggetti non autorizzati e legali alla criminalità organizzata.
La simulata esportazione all’estero consentiva all’armeria di registrare sull’apposito registro di scarico l’avvenuta vendita dell’arma, ottenendone che uscisse dal legale circuito di movimentazione, senza ulteriori possibili controlli da parte delle Autorità: le armi in realtà venivano cedute ed utilizzate in canali criminali.
Gli imputati avevano sostenuto di essere stati tratti in inganno da certificazioni false fornite da un acquirente, ma ha pesato a loro carico il fatto che stessero trasportando le armi (un fucile e una pistola) in auto di sera, su di una strada che portava all'abitazione di una persona sospetta.

La sentenza è importante per la chiarezza con cui affronta in modo diretto il problema del significato della parola "illegalmente" usata dal legislatore per descrivere le fattispecie giuridiche regolate ex novo dal legislatore nel 1967. Si noti che il presidente del Collegio era Domenico  Carcano, noto esperto di diritto delle armi.
Prima il principio era stato espresso in modo implicito nella sentenza della Cass. n. 9318 del 5 giugno 1998 scrivendo: Poiché la licenza per la vendita di armi ha carattere specifico, nel senso che abilita alla vendita di armi che - per rendere possibile un efficace controllo - vanno predeterminate quanto alla categoria e al numero (indicazioni che vanno riportate nella licenza stessa), la vendita di coltelli a scatto da parte di soggetto abilitato a vendere armi da sparo integra il reato di cui all'art. 695 cod. pen., non potendosi i primi far rientrare tra le seconde. Il caso riguardava una poveretta di armiera di Crotone che aveva messo in vendita, in bella vista, alcuni coltelli a scatto, convinta che la licenza per la vendita di armi da fuoco la autorizzasse a vendere anche armi bianche, cosa su cui non era d'accordo la Guardia di Finanza che aveva fatto il controllo. Attualmente essa sarebbe stata pacificamente assolta perché i coltelli a scatto non sono armi proprie e per il fatto che è del tutto ovvio che la licenza per la vendita di armi da fuoco autorizza anche alla vendita di armi bianche che non è necessario elencare in quanto non richiedono particolari misure di sicurezza. Il negozio di coltelli nella stessa strada li vendeva senza alcuna licenza, con il beneplacito del Commissariato!  Era chiaramente una sciocchezza che il fatto di indicare nella licenza la possibilità di vendere armi da taglio, consentiva un controllo sulla vendita delle stesse (si noti: esposte in vetrina e non certo occultate), perché il controllo si può fare solo sul registro giornaliero di Ps e di certo non sulla licenza.

La sentenza qui in esame riafferma principi banali del diritto penale che purtroppo vengono dimenticati troppo spesso da quei giudici a cui la parola "arma" fa lo stesso effetto che il drappo rosso al toro: un delitto richiede, per poter essere configurato che il soggetto agente agisca con dolo, con la prava volontà di ledere il bene giuridico che la norna vuol tutelare, con l'uso di mezzi antigiuridici ed al fine di conseguire risultati che il legislatore voleva impedire.  Non vi può essere la illegalità richiesta dal legislatore, la condotta diretta ad agire volontariamente e consapevolmente a fin di male, quando semplicemente non si rispettano formalità burocratiche per errore o per dimenticanza, senza con ciò avere la volontà di conseguire quei risultati che la norma vuole impedire.
Questo principio emerge da infinite norme della legislazione penale in materia di armi in cui le condotte, anche volontarie, vengono punite solo come contravvenzioni. Si veda ad esempio l'art. 35 del TULPS il quale punisce l'armiere che vende un'arma a chi non ha il nulla osta all'acquisto; condotta volontaria e consapevole, condotta illegale, ma che non comporta una vendita illegale ai sensi della legge 285/1967 in quanto, se l'armiere ha regolarmente registrato la vendita sui suoi registri, non ha fatto nessuna azione rivolta a far sparire l'arma e che impedisca il normale controllo si di essa: si sa chi la detiene e dove essa è detenuta,  e tanto basta.

 


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