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Cassazione, 25 Ottobre 2014 n. 29672
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Ragusa, costituito ai sensi dell'art. 324 c.p.p., con ordinanza del 6 febbraio 2014, ha rigettato l'istanza di riesame proposta da M.G. - presidente dell'Associazione Tiro a Segno Nazionale, sezione di Ragusa, nonchè proprietario dell'area (sita in contrada (OMISSIS)) dove la predetta associazione ha svolto la propria attività istituzionale - avverso il decreto in data 19 dicembre 2013 del GIP della sede, che aveva disposto il sequestro preventivo del manufatto utilizzato per il "deposito e la ricarica di munizioni" a ragione dell'elevato quantitativo di munizioni rinvenute al suo interno (3000 cartucce ricaricate, 40.000 proiettili) superiore al limite previsto dall'art. 97, Regolamento TULPS (1500 cartucce per arma lunga e 200 cartucce per arma corta) in assenza della licenza del Prefetto R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 47 e 50, come novellato del D.Lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, ex art. 3, comma 1, lett. h), con conseguente configurabilità a carico del M. del reato di cui all'art. 678 c.p. e non già del reato di cui all'art. 697 c.p., come indicato dal Pubblico Ministero nella richiesta della misura cautelare reale.
1.1 Alle deduzioni poste dalla difesa del M. a fondamento della istanza di riesame, volte a sostenere l'inapplicabilità alle sezioni di Tiro a Segno Nazionale delle disposizioni previste dal TULPS in tema di detenzione di munizioni ed a confutare, in particolare, la necessità della licenza prefettizia in presenza di rilascio da parte dell'Ispettorato delle Infrastrutture dell'Esercito dei certificati di agibilità, il Tribunale opponeva le seguenti considerazioni in fatto ed in diritto:
- i certificati di agibilità riguardano soltanto le postazioni di tiro e non anche il manufatto sottoposto a sequestro (bene estraneo ai controlli dell'Ispettorato);
- le norme del TULPS in materia di detenzione di munizioni devono trovare applicazione anche nei confronti delle sezioni di Tiro a Segno Nazionale.
2. Ricorre per cassazione il M., per il tramite del suo difensore, il quale denunzia l'illegittimità del provvedimento impugnato: con un primo motivo d'impugnazione, per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 678 c.p.), in quanto l'indagato, come emerge dal verbale di sequestro della Guardia di Finanza e della Questura di Ragusa del 26 novembre 2013 e dai suoi allegati, deteneva complessivamente Kg. 3.119,5 di polvere da lancio, e quindi un quantitativo inferiore a i 5 Kg, per cui non era necessaria la licenza prefettizia di cui all'art. 97, Regolamento TULPS; con un secondo motivo per violazione dell'art. 321 c.p.p., difettando i presupposti che giustificano l'adozione della misura cautelare, attesa l'insussistenza del reato ipotizzato, ovvero, in subordine, per violazione dell'art. 127 c.p.p., in quanto "i motivi non sono stati contestuali al rigetto".
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L'impugnazione proposta nell'interesse di M.G. è inammissibile.
1.1 Al riguardo è opportuno premettere che le decisioni assunte in sede di riesame di provvedimenti cautelari reali sono ricorribili per cassazione soltanto per violazione di legge e non possono, quindi, essere sindacate per eventuali difetti di motivazione, fatta eccezione per i casi di motivazione meramente apparente.
In tal senso si è espressa questa Corte, nella sua più autorevole composizione (sentenza n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), affermando che "il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendo comprendersi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice".
Nel caso di specie il provvedimento è congruamente motivato, e sul presupposto del fumus commissi delicti, fa legittimo rinvio per relationem all'informativa di reato del 28 novembre 2013 che segnalava l'elevato numero di munizioni detenute, superiore rispetto a quello che comporta il conseguimento della licenza prefettizia di cui all'art. 97, Regolamento TULPS nonchè le precarie condizioni di sicurezza del manufatto, avuto riguardo alla promiscua e disordinata presenza delle munizioni e polvere da sparo, detenute unitamente ad un'automobile ed a bidoni di materiale infiammabile, in una condizione di irregolarità dei presidi antincendio.
Le censure mosse dalla difesa all'ordinanza su tali punti, ed in particolare sulla non necessità del rilascio della licenza con riferimento al quantitativo di polvere da lancio complessivamente detenuto, oltre a risolversi in deduzioni in fatto indimostrate, in violazione del generale principio di autosufficienza del ricorso operante anche nel giudizio penale di legittimità (si veda ex multis Cass., Sez. 1^, sentenza n. 16706 del 18/3/2008 Rv. 240123, Falcone), non considerano neppure che ai fini dell'astratta configurabilità dell'ipotesi di reato contestata -prevista e punita dall'art. 678 c.p. - rileva anche l'adozione di determinate cautele nella detenzione - e quindi anche l'insufficiente predisposizione di presidi antincendio - che nel provvedimento impugnato, in base alla informativa di reato, si assumono fossero irregolari.
1.2 Affermata dai giudici del riesame la sussistenza del fumus commissi delicti, in forza di plausibili argomentazioni, deve infine rilevarsi che, contrariamente a quanto genericamente dedotto dal ricorrente, nessun ulteriore profilo di illegittimità risulta fondatamente ravvisabile con riferimento alle modalità di deliberazione del provvedimento impugnato, posto che in tema di svolgimento del procedimento camerale l'art. 127 c.p.p., prevede unicamente che la comunicazione o notificazione dell'ordinanza debba avvenire "senza ritardo" e non già che la decisione debba essere immediata e che il giudice non possa quindi riservarsi di provvedere anche in un momento successivo allo svolgimento dell'udienza camerale.
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non ricorrendo ipotesi di esonero - al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 1000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.
email - Edoardo Mori |
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