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Non da meno in giudici i quali si sono trasformati in ottusi automi:il PM riceve una denunzia e non si preoccupa di valutarla; il GUP condanna e Corte di Appello conferma, senza che nessuno si chieda: siamo qui per fare giustizia o siamo i passacarte di ogni imbecille che ci manda una denuzia? Siamo capaci di distinguere un onesto da un delinquente?
Non da meno tutti coloro, politici o capi, che non si chiedono: ma chi li paga i costi di tre gradi di giudizio per un caso inutile? Ma vi sembra giusto che un imbecille possa far spendere ad un cittadino migliaia di euro senza aver fatto nulla di male o di dannoso?
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 luglio - 2 dicembre 2015, n. 47712 - Presidente Cortese - Relatore Magi
Con sentenza emessa in data 21 maggio 2013 il GUP dei Tribunale di Busto Arsizio ha affermato la penale responsabilità di B.F. in relazione al reato di cui all'art. 697 co. 1 cod.pen. (detenzione di 26 cartucce cal. 38 in assenza di previa denunzia all'autorità). B.F. risulta condannato alla pena di mesi due di arresto, con doppi benefici.
Dette cartucce, ad avviso del primo giudice, non risultano espressamente ricomprese nella denunzia che il B. presentò ai carabinieri , pure essendo stato denunziato il possesso dell'arma di riferimento, ereditata dal padre. Non viene ritenuto rilevante l'eventuale errore nella elaborazione della denunzia, data la qualità soggettiva dell'imputato, già assistente della polizia di stato.
La Corte di Appello di Milano in data 29 gennaio 2014 rideterminava la pena (in Euro 200 di ammenda) e confermava nel resto la decisione in quella sede impugnata.
Ad avviso della Corte di merito, in particolare, la qualifica soggettiva dell'imputato esclude la rilevanza dell'errore.
Posta di fronte ad una obiezione difensiva circa la "prassi" esistente presso la stazione dei carabinieri che ebbe a ricevere l'atto (esplicitata in una comunicazione del 20 ottobre 2011) la Corte non ne sviluppa in modo espresso i contenuti, ed in sentenza si afferma sul punto "vedere se la comunicazione del 20 ottobre 2011 è in atti".
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, B.F., deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorrente evidenzia l'omessa valutazione della deduzione difensiva basata sui contenuti della nota del 20 ottobre 2011. La comunicazione, presente in atti, riguardava la prassi dell'ufficio che ebbe a ricevere la denunzia di non indicare il quantitativo di munizioni correlate all'arma denunziata, sino ad un limite di 200 munizioni.
Al di là della correttezza o meno di tale prassi, il suo mancato esame impedisce di valutare la rilevanza penale del fatto e rende del tutto priva di motivazione la decisione di conferma.
Si ribadisce che la condotta tenuta dal B., alla luce di tale circostanza di fatto, non può ritenersi penalmente rilevante.
Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni che seguono.
La Corte di secondo grado ha effettivamente omesso di valutare un dato emergente in modo pacifico dagli atti.
In particolare risulta che B.A., padre dell'attuale ricorrente, aveva regolarmente denunziato in data 17.11.1977 il possesso del revolver calibro 38 marca Franchi e delle relative cartucce calibro 38 special.
Il possesso della medesima arma è stato successivamente denunziato da B.F. presso la Stazione Carabinieri, con ripetizione della denunzia per cambiamento di domicilio nell'anno 2010.
Altrettanto pacifico è il dato rappresentato dai contenuti della nota sottoscritta dal comandante della Stazione. In tale comunicazione si legge che "quest'ufficio di prassi non indica nelle denunce di detenzione armi ma vengono ammoniti i denunzianti sui quantitativi previsti dalla legge, 200 max per arma corta".
Dunque il tema della decisione è rappresentato dal fatto se l'omessa denunzia delle 26 cartucce calibro 38 possa o meno essere ritenuta conseguenza di tale prassi, con assenza di rimproverabilità della condotta al soggetto denunziante.
Il tema, data l'evidenza dei dati conoscitivi, può essere risolto nella presente sede di legittimità.
Sul punto si osserva che il dato della pertinenzialità delle munizioni (calibro 38) all'arma oggetto di regolare (e ripetuta) denunzia può ritenersi anch'esso pacifico e che, pertanto, il fatto va dichiarato penalmente irrilevante.
Se è vero, infatti che la denunzia dell'arma non ricomprende quella del relativo munizionamento - posto che l'art. 26 della legge n.110 del 1975 esonera dall'obbligo di denunzia, in tal caso, solo chi possiede cartucce a pallini nel limite massimo di 1.000 cartucce (da ultima Sez. I n. 605 del 9.12.2009) - nel caso in esame la norma di "esenzione" risulta interpretata dall'Ufficio che ebbe a ricevere l'atto di denunzia dell'arma in modo diverso, sì da Includere nella esenzione il limite massimo di 200 munizioni per arma corta (derivante dalla diversa previsione di legge di cui all'art. 97 Reg. Tulps, norma che fissa in 200 il limite massimo di munizioni per arma corta detenibili senza licenza di vendita, ma previa denunzia).
Tale interpretazione non risulta condivisibile, ma è del tutto evidente che, per quanto risulta dagli atti, la parte che ebbe a denunziare regolarmente l'arma venne indotta in errore circa l'esatta conoscenza del precetto (quanto al dovere di denunzia delle munizioni) e pertanto non è rimproverabile.
Nel tormentato percorso di attuazione dei contenuti della nota decisione emessa dalla Corte Costituzionale (n. 364 del 1988) sui connotati della colpevolezza e sul rapporto tra la condotta e l'errore sui contenuti del precetto (art. 5 cod.pen.), è infatti più volte stato evidenziato che la buona fede (che esclude nei reati contravvenzionali l'elemento soggettivo) ben può essere determinata da un fattore positivo esterno che abbia indotto il soggetto in errore incolpevole, specie lì dove tale "fattore esterno" sia ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa (competente alla tutela dell'interesse protetto) idoneo a determinare uno scusabile convincimento di liceità della condotta posta in essere (tra le altre, Sez. IlI n. 49910 del 4.11.2009; Sez. IlI n. 42021 del 18.7.2014).
Nel caso in esame, pertanto, non poteva essere opposta - al fine di ritenere consumato il reato - la qualifica soggettiva dell'agente, a fronte di una chiara indicazione proveniente dall'ufficio che ebbe a ricevere la denunzia dell'arma (con prassi ribadita nella comunicazione in atti). Detta indicazione, peraltro, pur se da ritenersi erronea (posto che l'obbligo di denunzia va ritenuto insussistente solo lì dove le cartucce per arma comune da sparo non superino la ordinaria capienza del caricatore dell'arma, Sez. I n. 24506 del 9.6.2010) non era immediatamente percepibile come tale, e ciò in virtù del fatto che la norma di cui all'art. 26 della legge n.110 del 1975 tende, effettivamente, a determinare una qualche incertezza nell'interprete sulla estensione oggettiva della esenzione dall'obbligo di denunzia delle munizioni in presenza di regolare denunzia dell'arma (si compie riferimento, nel testo normativo alla detenzione libera, in presenza di regolare denunzia dell'arma, di munizioni per arma comune da sparoeccedentiladotazione di 1.000 cartucce a pallini per fucili da caccia, con espressione che può determinare, in fatto, erronee convinzioni in termini di equivalenza, lì dove la norma si riferisce alle sole munizioni spezzate per le quali risulta tollerata l'omessa denunzia nei termini quantitativi indicati, come espresso da Sez. I del 6.6.1983, ric. Galelli).
Va pertanto ritenuta sussistente, nel caso in esame, la induzione in errore del B. - sulla base della diretta percezione del contenuto della nota in atti - e la decisione impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
email - Edoardo Mori |
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