Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
     
 

 

 

Il pallottoliere della Cassazione - Bombolette lacrimogene

Ho scritto, non molto tempo fa, che i burocrati mi ricordano quegli scarabei sacri che da millenni rotolano imperterriti la loro pallina di sterco, incuranti di ogni novità o cambiamento, preoccupati solo del mantenimento della loro specie.
Ho commesso un errore perché non ho chiarito che fra i burocrati vi rientrano anche i giudici, i quali la loro pallina la fanno con le sentenze del passato, ma il risultato e la materia non cambiano.
È appena uscita la sentenza della cassazione 7 luglio 2021 n. 30140 in cui si dice  che una bomboletta lacrimogena del tipo non liberalizzato è un'arma comune da sparo. Quindi il suo porto è punito con la reclusione, come il porto di una pistola e non come semplice contravvenzione al codice penale.
Affermazione la quale dimostra che neppure hanno provato a leggersi le tre parole della legge che secondo loro portano a questa conclusione.
Tutto nasce dalla sentenza  n. 1300 del 10/11/1993 in cui la cassazione aveva ritenuto che le bombolette lacrimogene contenessero gas paralizzante, come certamente aveva sentenziato in atti l'appuntato Cacace, e quindi un aggressivo chimico da classificare fra le armi da guerra,  in relazione alle rispettive caratteristiche e all'attitudine a recare offesa alla persona. Seguiva poi la sentenza n. 21932 del 09/06/2006 (Presidente: Sossi M.  Estensore: Mocali P.). in cui si scriveva: la corte territoriale  non ha tenuto conto né del disposto dell'art. 2 della legge n. 110/1975 (che contempla, fra l'altro, le armi ad emissione di gas, includendole fra quelle comuni da sparo) né del principio giurisprudenziale affermato da questa Corte, secondo il quale costituisce il delitto originariamente contestato la detenzione o il porto di una bomboletta spray contenente gas paralizzante, da ritenersi aggressivo chimico, purché si tratti di congegno atto all'impiego e quindi efficiente per essere utilizzato secondo la sua destinazione.
Strano che a scrivere questa scemenza sia stato un collegio presieduto dal giudice Sossi, con cui avevo lavorato assieme e che s'intendeva di armi, tanto che aveva trattato della legge 1975 su di una rivista della polizia, e con estensore il giudice Mocali che non aveva affatto pregiudizi in materia di armi. È vero che una volta aveva scritto che un coltello da tasca con blocco della lama diventa un coltello a serramanico, ma non era colpa sua se alla Cassazione, ed anche in qualche vocabolario della lingua italiana, si era fatta confusione e si riteneva che coltello a serramanico fosse quello in cui la lama si serra nel manico, cioè che diventa a lama fissa una volta aperto. In realtà nella lingua italiana il coltello a serramanico è quello in cui la lama può essere ripiegata entro il manico in modo da renderlo tascabile e la cassazione aveva sempre affermato il principio, anche su usando parole sbagliate, che era considerato arma solo il coltello con l'apertura a scatto, in cui la lama si fissava automaticamente senza interventi manuali. Però aveva anche scritto sentenze corrette e favorevoli al cittadino in materia di custodia delle armi, aveva capito che un machete non è un'arma, e che non commette alcun reato chi ha la licenza di porto di fucile da caccia e la usa per altri motivi, persino se illeciti.
Il fatto è che entrambi i giudici sono caduti vittime del sistema della pallina dello scarabeo sacro per cui invece di andarsi a guardare la norma di legge (cosa che consiglio a tutti, perché ogni volta che si rilegge una norma, vi si scopre qualcosa di nuovo), vanno a guardare quanto ha scritto un loro predecessore; il tutto in nome della sacralità della pallina, che di sacrale non ha proprio nulla. Tutt'altro!
Che dopo oltre 15 anni da quella scemenza vi sia un altro scarabeo, che invece di aprire un codice e di guardarsi la legge e le sentenze successive, si va a leggere, senza fare alcun controllo, ciò che ha scritto un suo simile, è cosa che può solo riempire di sconforto.Ancora pià criticabile che come unico motivo contro nuove argoementazoini della difesa, adduca solo vecchie decisioni che non hanno tenuto conto di tali argomentazioni.
Mi fa sentire come quel polipo di una nota barzelletta: in una trattoria vi è una vasca con dentro un polipo vivo, al cliente viene offerto di cucinarlo fresco fresco al momento, il polipo viene tolto dalla vasca battuto con il batticarne davanti al cliente per mostrare come viene ammorbidito; poi il cuoco torna in cucina, butta il polipo in un secchio e cucina il solito polipo scongelato. Il polipo si agita stordito per un po' nel secchio e poi dice: "ma si può campare in questo modo? ", E questo è sicuramente l'effetto provocato da una lunga catena di palline che ogni anno escono dalla cassazione, senza che emerga che il giudice si sia preoccupato di capire che cosa stava dicendo.
La norma di legge è chiarissima.
La legge 110 del 1975 è una legge che regola solo le armi comuni da sparo, vale dire quelle armi, secondo le definizioni europee e internazionali, che possono lanciare un proiettile attraverso una canna, mediante una energia chimica quale quella della polvere da sparo. Esse quindi si contrappongono alle armi da sparo da guerra e alle armi proprie bianche. Purtroppo però fino al 1981, gli scarabei erano talmente affezionati alle loro palline di anteguerra che insistevano a dire che la baionetta era un'arma da guerra con la conseguenza che qualcuno chiamava le armi bianche non da guerra, armi bianche comuni. La conseguenza fu che qualcuno non riuscì più a capire che armi comuni da sparo ed armi bianche erano due categorie completamente diverse. Altrimenti avrebbe capito che nella legge 110 non poteva esserci una norma che trattava delle armi bianche.
L'articolo due della legge 110 elenca le armi comuni da sparo, con la canna, ed aggiunge poi:
Sono infine considerate armi comuni da sparo quelle denominate  "da bersaglio da sala"', o ad emissione di gas, nonché le  armi  ad  aria compressa o gas compressi, sia lunghe  sia  corte  i  cui  proiettili erogano un'energia cinetica superiore a 7,5 joule,  e  gli  strumenti lanciarazzi, salvo che si tratti di armi destinate alla pesca  ovvero di armi e strumenti per i quali il Banco nazionale di prova  escluda, in relazione alle rispettive caratteristiche, l'attitudine  a  recare offesa alla persona.
Indubbiamente e certo che la scelta delle parole da parte del ministero nel redigere la legge 110 (è noto che venne seguita, per la parte relativa alle armi dal capo della polizia dottor Parisi) fu infelice e frutto di un errore, ma la norma era interpretabile fin dall'inizio, solo se si avesse avuto presente che la legge concerneva solo le armi da sparo nel senso sopra detto. Anche gli strumenti lanciarazzi regolati sono solo quellii aventi struttura di arma; gli altri rimangono artifici pirotecnici, eventualente lanciati con strumenti privi di cana (molla, balestra, elastici)..Ed in effetti neppure le prime interpretazioni della legge, mai caddero nell'equivoco in cui poi è caduta la cassazione.
Se poi qualcuno avesse voluto approfondire la questione era sufficiente tener conto della Convenzione europea di Strasburgo. Essa venne pubblicata nel 1978, ma era già nota e allo studio degli uffici ministeriali da molti anni e in essa si fa espresso riferimento, alle armi a propulsione a gas. Pare quindi ovvio che gli uffici ministeriali, nel predisporre il progetto della legge L. n. 110/1975, abbiano fatto propria la classificazione adottata nel progetto della convenzione di Strasburgo, eliminando, senza considerare che rendevano l’espressione un po’ equivoca, le due parole a propulsione. Che questa sia stata l’origine dell’errore, trova una conferma nel fatto che quando nel 1990 si iniziò a discutere il progetto di direttiva europea, nel testo francese si parlava di armi a propulsione a gas, mentre nella traduzione italiana si parlava di armi a gas. Non è certo la prima volta che traduttori italiani di documenti europei in materia di armi li stravolgono per pura ignoranza linguistica.

Il problema drammatico è che la sentenza del giudice di Brescia, impugnata dal PM  (comico che nella provincia delle armi i PM non ne capiscano nulla!), confermata in appello e riformata dalla cassazione, aveva chiaramente analizzato il problema tenendo conto di quanto detto sopra. Ma per gli scarabei sacri è molto meglio la pallina stantia di una volta, di un chiaro dato di fatto testuale.

Ma vi è un altro punto fondamentale e chiarissimo che la sentenza ha ignorato; una bomboletta non può essere "ad emissione di gas" perché non contiene un gas! L'olio di peperoncino è, come dice il suo nome una sostanza oleosa; essa viene diluita in un solvente innocuo sotto pressione, in modo da formare un aerosol che poi viene espulso dalla bomboletta. Ed un aerosol non è certo un gas, ma è soltanto una emulsione di liquidò e grasso.
Cosa che del resto aveva pacificamente riconosciuto già la sentenza n. 9703 del 05/07/1995.
Ma come è possibile che i giudici, quando si guardano le vecchie sentenze, vadano proprio a cercare quelle che servono per condannare l'imputato, nonostante tutto?
Sembra proprio che certi giudici si sentano investiti da compiti di plotone d'esecuzione ed abbiano del tutto dimenticato che essi sono lì non per condannare ad ogni costo e contro ogni logica, ma per far rispettare il principio costituzionale in dubio pro reo. E se di una questione non ne capiscono nulla tanti giudici, ci vuol poco a capire che non si può pretendere che ne capisca il cittadino!

In conclusione, è solo una bufala giudiziaria che le bombolette lacrimogene non liberalizzate siano armi da sparo. Sono armi proprie bianche regolate ancora dalle norme del codice penale e non certo dalle leggi sulle armi da fuoco. E vuol dire non avere il senso della giustizia. se non si capisce che non si può punire con le stesse pene previste per le pistole chi porta una bomboletta lacrimogena che contiene qualche grammo di olio al peperoncino, buono solo per far bruciare gli occhi e la pelle.
È appena il caso di dire che anche le vecchie sentenze. in cui si consideravano queste bombolette armi da guerra, erano pure bufale, dovute però, più che i giudici, ai periti ed operatori della polizia giudiziaria che li avevano male informati, non facendo presente che erano cosa ben diversa dagli analoghi oggetti in uso in ambito militare.
Resta però il problema gravissimo di una giustizia che non va mai guardarsi le leggi, non cerca di capirle, non sa neppure dove trovare i libri di dottrina che ne parlano, e si accontenta di rimasticare acriticamente vecchie massime superate dai tempi e dalla logica. Il massimo del successo dello scarabeo sacro: non solo fa le sue palline e le spinge avanti con convinzione, ma è anche ghiotto delle palline altrui, stagionate da decenni! Siamo alla giustizia del pallottoliere di m…. !

Non riporto la sentenza perché non è proprio il caso di darle pubblicità. Meglio stendere un velo pietoso e sperare che qualcuno tiri le orecchie a chi ha deciso certe cose.

 


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