Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Affidamento di arma - Cassazione , 19 dicembre 2018 n. 4824

È deprimente vedere come la Cassazione affronti problemi giuridici penali (cioè problemi per cui se si sbaglia si condanna un innocente) con "insostenibile leggerezza del pensare"! Il caso che esamineremo dimostra chiaramente che i giudici non sono stati in grado di sistemare un fatto semplice entro lo schema giuridico della legge, per il solo motivo che hanno fatto a meno di guardarsela e, come avviene tutti i giorni, si sono affidati alla scienza della guardia venatoria. Perché studiare se c'è già chi ha studiato per noi? Non arrivano a porsi la domanda elementare: ma perché a me danno uno stipendio che è cinque volte quello della guardia, se poi il risultato non cambia?
   L'episodio al loro esame era semplice: un cacciatore va a caccia con un amico, privo di porto d'armi, e gli mette in mano il proprio fucile con cui questi spara un colpo ad un selvatico.  Il tribunale e la C. di Appello lo hanno condannato per illegale cessione di armi a norma art. 2 L. 895/1967 e la Cassazione ha confermato tale decisione.
   È certo che fra tutte le ipotesi di reato formulabili, quella scelta era improponibile: essa regola la cessione definitiva di un'arma in modo illegale, tale da non consentire la tracciabilità dell'arma, il che sicuramente non è accaduto nel caso in esame in cui l'arma dopo dieci minuti è ritornata in mano al legittimo detentore che era sempre rimasto sul posto. Non si può confondere una cessione con un affidamento temporaneo e credere, in contrasto con la normativa in materia di armi, che sia un delitto doloso da punire con le stesse pene che si applicano ai trafficanti di armi. Le norne del 1967 erano state scritte per le armi da guerra che, per natura di cose, erano detenute illegalmente e potevano circolare solo illegalmente. Nessuno si è mai sognato di applicare queste norme alla cessione ad un soggetto identificato e capace di un'arma legalmente detenuta, ma dimenticandosi di fare la prescritta denunzia. Il cedente risponderà solo della contravvenzione per violazione all'art. 38 TULPS, perché di norma l'arma rimane rintracciabile (l'acquirente ha tutto l'interesse a denunziarne la detenzione); del resto non si capisce perché il detentore di un'arma registrata dovrebbe dolosamente non denunziarne la cessione certo essendo che al primo controllo verrà scoperto e condannato!  Può capitare che qualcuno organizzi un traffico criminale in questo modo; ma il dolo deve essere provato dall'accusa e non è certamente in re ipsa: se non è provato il dolo si ricade, se del caso, in ipotesi contravvenzionali.
   Se avessero letto l'art. 21 bis della L. 110/1975 vi avrebbero trovato che Chiunque consegna a minori degli anni diciotto, che non siano in possesso della licenza dell'autorità, ovvero a persone anche parzialmente incapaci, a tossicodipendenti o a persone imperite nel maneggio, un'arma fra quelle indicate nel primo e secondo comma dell'articolo 2, munizioni o esplosivi diversi dai giocattoli pirici è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'arresto fino a due anni. Da ciò si deduce che non è vietato consegnare, senza perderne il controllo (vale a dire: si sa chi ce l'ha, si sa dove è, si può recuperare subito) un'arma ad una persona maggiorenne e capace di mente; cosa pacifica nella prassi perché in casa le armi si possono lasciare a disposizione dei conviventi capaci, nel campi di tiro a volo  anche i minorenni possono sparare ed allenarsi purché vi sia un istruttore, nelle armerie i clienti devono poter maneggiare le armi e anche provarle se vi è  un tunnel di tiro.
   Ma vi è di più. Se il cedente avesse chiamato a casa sua l'amico e gli avesse ceduto l'arma, aveva 72 ore per denunziare la cessione; se non si fosse fidato dell'amico e non avesse controllato se egli era o meno legittimato a riceve l'arma egli sarebbe stato punibile per le contravvenzioni previste dall'art, 35 TULPS. Ma mi voglio spiegare quelli della Cassazione come pene fanno a ritenere che se consegno l'arma in casa, in via definitiva, vi è una contravvenzione, ma se la consegno nel bosco per dieci minuti (quindi con chiara volontà non di cederla, ma di farla usare per un attimo) vi è un delitto come se fossi un fornitore dell'ISIS? Inoltre, se avessero ritenuto che l'affidamento era illegale, il cedente avrebbe dovuto rispondere in concorso con il ricevente di porto illegale dell'arma. Conclusione ovvia. ma che rischiava di far colassare i neuroni della pubblica accusa!
     La conclusione è che nel caso in esame vi era solo da accertare in fatto se il possessore dell'arma ne aveva o meno perduto il controllo. Se non aveva perduto il controllo non vi era alcuna infrazione, salvo, eventualmente quelle alle leggi venatorie. Se ne aveva perduto il controllo si poteva al massimo configurare una violazione dell'art. 35 TULPS. Se il PM avesse conosciuto le legge e avesse avuto una mente speculativa, il processo si chiudeva di sicuro in un mese con un patteggiamento e non dopo tre costosi gradi di giudizio.
  
   Segnalo come curiosità che il Tar di Bologna nella sua sentenza 87/2019 ha scritto come cosa ovvia, che è del tutto legittimo  che a una persona che non può detenere armi vengano affidate armi in un campo di tiro a volo: va evidenziato come l’attività sportiva non viene compromessa dai provvedimenti contestati dio divieto di detenzione armi; il ricorrente ben può continuare a recarsi nei poligoni dove svolge gli allenamenti per la preparazione delle competizioni internazionali da lui sostenute ed in quel contesto potrà utilizzare le armi ivi presenti..
Non è un principio di diritto stabilito dalla sentenza, come sbandierato da alcuni improvvisati giuristi, ma solo un obiter dictum, una opinione dell'estensore, utile per evidenziare come spesso si abbia la mente più aperta alla base (a Bologna, non certo a Trento) che non al vertice.

Ecco il testo della sentenza   
IN FATTO E IN DIRITTO
   1.      La Corte di Appello di Trento, con sentenza emessa in data 10 maggio 2017 ha confermato, nei confronti di *** , la decisione emessa in primo grado dal Tribunale di Trento.
   Con tali conformi decisioni di merito e stata affermata la penale responsabilità di entrambi gli imputati con condanna alla pena - sospesa - di mesi otto di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa (previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e riduzione per il rito abbreviato) per il reato di concorso nel porto non consentito di un fucile calibro 12.
   1.1    In fatto, va evidenziato che la vicenda oggetto di giudizio si incentra sulla temporanea "cessione" dell'arma - durante una battuta di caccia - dal X (soggetto autorizzato al porto) al Y. (soggetto non autorizzato al porto).
   Secondo la Corte di Appello tale momentaneo utilizzo dell'arma da parte del Y. è punibile, in ragione della consistenza temporale del possesso - quantificato in circa 15 minuti sulla base delle deposizioni acquisite - e del fatto che il X. utilizzò l'arma in questione per esplodere un colpo. Entrambi gli imputati erano consapevoli dell'assenza di titolo abilitativo in capo al Y.
   2.      In particolare, esaminando il contenuto dei motivi di appello, la Corte di secondo grado afferma che:
   - il rapporto del C. con l'arma e stato effettivo e non ridotto a pochi attimi, dunque non rileva che durante l'azione X. sia rimasto nei pressi, essendo transitata l'arma nel dominio di fatto del soggetto non titolato;
   - non risultano applicabili altre fattispecie, atteso che nel momento in cui l'arma e entrata nella materiale disponibilità di Y., per un tempo apprezzabile, si concretizza il reato di porto abusivo, né il contesto venatorio può fungere da esimente;
   - il concorso di X. consiste nella cessione temporanea dell'arma, accompagnata da indicatori fattuali che rivelano la consapevolezza della assenza di abilitazione in capo al Y.
   3.      Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione - a mezzo del comune difensore X e Y. - articolando distinti motivi.
   3.1    Al primo motivo si deduce vizio di motivazione.
   Si ribadisce che il possesso dell'arma in capo a Y. e durato circa quindici minuti (sulla base della attività di osservazione svolta dagli operanti) e X. era nei pressi. Non vi sarebbe un reale "potere di fatto" sull'arma da parte di Y.. Non vi era, pertanto, alcun obbligo di denunzia e la condotta non sarebbe penalmente rilevante.
   Non si tratta - in tesi - di una "cessione" in senso proprio, ma di un momentaneo rapporto con l'arma, da parte del soggetto non titolato, avvenuto sotto il costante controllo del soggetto titolato.
   3.2    Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla qualificazione del fatto.
   La proposta di riconduzione della condotta alla previsione di legge di cui all'art. 35 Tulps e stata ingiustamente disattesa.
   Ma in ogni caso si evidenzia che non vi e stata alcuna "cessione" dell'arma, in senso giuridico-formale.
   La cessione è momentanea e non punibile. Si afferma, in particolare, che se l'uso momentaneo dell'arma avviene sotto il costante controllo del soggetto titolato non vi è alcun reato.
   3.3    Al terzo motivo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione di legge in riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato a carico di X
   L'arma, si afferma, e stata solo "provata" dal C. perché costui era interessato al suo acquisto.
   Non vi e alcuna prova della consapevolezza soggettiva, in capo a X, dell'assenza di titolo abilitativo in capo a Y.
   3.4    Al quarto motivo si deduce ulteriore vizio argomentativo. Si ritiene che la decisione di secondo grado sia meramente riproduttiva dei contenuti espressi dal primo giudice, senza adeguata risposta alle censure.
   4.      I ricorsi sono infondati, per le ragioni che seguono.
   4.1    Il ricorrente riproduce le censure già esposte in sede di merito, cui e stata fornita risposta che il Collegio ritiene adeguata ed immune da vizi in diritto.
   Va premesso che in tema di armi la legislazione e ispirata ad un condivisibile rigore, in ragione delle potenziali conseguenze lesive di condotte poste in essere da soggetti inesperti. Il rapporto, anche temporaneo, con l'arma - purché di durata apprezzabile comporta l'obbligo della denunzia (e la verifica dei requisiti soggettivi di idoneità) anche se la detenzione deriva da affidamento, cessione o qualsivoglia altro motivo (cosi Sez. 1, n. 3490 del 26.9.1986, rv 175396; Sez. I n. 6912 del 29.4.1992, rv 190557).
   4.2    Ora, il caso in esame - per come congruamente ricostruito in sede di merito - ha visto il trasferimento dell'arma, durante la battuta di caccia, dal soggetto "titolato" a quello "non titolato". Le modalità del fatto sono incontestate, essendo pacifico che Y. ha imbracciato l'arma e ha mantenuto il possesso per almeno quindici minuti, anche adoperando l'arma.
   Ciò, effettivamente, attribuisce al fatto - come si e ritenuto in sede di merito - caratteri di illiceità del porto, atteso che non si e trattato di una semplice "esibizione" dell'arma ma di un - sia pur temporaneo - impossessamento da parte del soggetto sprovvisto di abilitazione. A nulla rileva, sul punto, la compresenza del soggetto "titolato", ribadita nel ricorso, posto che la durata apprezzabile del "rapporto diretto" tra il soggetto "non titolato" e l'arma determina la fuoriuscita di questa dalla sfera di controllo del legittimo detentore e - specularmente - l'ingresso nel dominio volontaristico della persona sprovvista di titolo, il che e aspetto sufficiente a concretizzare (proprio per l'assenza di una reale volontà di cessione definitiva) l'illegittimità del porto.
   A conclusioni del tutto analoghe e pervenuta questa Corte in un caso caratterizzato da profonde analogie con il presente (cessione temporanea dell'arma durante una battuta di caccia), deciso con sentenza emessa da questa Prima Sezione il 16.1.2018 (n. 20186 del 2018) ai contenuti, condivisi dal Collegio, si opera rinvio.
   4.3    Quanto detto sopra esclude la fondatezza dei primi due motivi di ricorso. Il terzo ed il quarto motivo sono, invero, inammissibili per manifesta infondatezza.
   La consapevolezza, da parte del L., dell'assenza di titolo abilitativo in capo al C. e stata argomentata razionalmente, in sede di merito, sulla base delle concrete emergenze istruttorie, sicché la doglianza si traduce in una mera richiesta di rivalutazione, non consentita nella presente sede di legittimità.
   Le argomentazioni in fatto e in diritto esposte nella decisione impugnata ricalcano, infine, legittimamente quelle impiegate dal primo giudice, posto che i motivi di appello riproponevano - come del resto e normale che sia, in assenza di nova - i temi già trattati.
   Non vi e dunque alcun omesso esame delle censure quanto una condivisione dei profili argomentativi già esposti in primo grado.
   I ricorsi vanno, nel loro complesso rigettati. Ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

   5 marzo 2019
  

 


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