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La Direttiva europea CEE 18 giugno 1991 n. 477 relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi, le suddivide in quattro categorie la prima delle quali (la cat. A) ricomprende:
1. Dispositivi di lancio ed ordigni per uso militare ad effetto esplosivo
2. Le armi da fuoco automatiche
3. Le armi da fuoco camuffate sotto forma di altro oggetto
4. Le munizioni a pallottole perforanti, esplosive o incendiarie, nonché i proiettili per dette munizioni.
Si tratta di una categoria residuale in cui sono comprese tutte le armi che non appartengono alle cat. B, C, D, o perché sono da guerra (nr. 2 e 4) e quindi soggette alle norme sull’armamento miliare o perché comunque è meglio che non circolino. Fra le armi da fuoco camuffate vi sono i bastoni-fucile, formati da un bastone al cui interno è nascosta una canna da fucile, le penne-pistola, i telefonini che nascondono una canna pronta a sparare ed altri congegni simili di produzione artigianale e che di certo non possono essere fatti rientrare fra le armi da guerra. Il D. L.vo 30 dicembre 1992 n. 527 si è bellamente dimenticato di questa categoria, forse perché si pensò che le norme sul materiale di armamento bastassero, e così in Italia non è vietato costruire una penna pistola purché la si denunzi; nelle collezioni di armi rare si trovano di frequente bastoni-fucili di un tempo, legittimamente privi di segni distintivi. Ciò rappresenta una violazione della Direttiva.
Il D.L.vo 204/2010 ha utilizzato questa categoria, senza dirlo espressamente, quando ha deciso di togliere dalle armi da guerra le pistole cal. 9 para (o 9 Luger o 9x19). Era ormai del tutto insostenibile a livello mondiale che il calibro universalmente usato per le armi corte non fosse comune, la Commissione Consultiva più volte aveva espresso l’opinione che fossero comuni. La stessa Commissione aveva catalogato come armi comuni alcuni modelli di rivoltelle in tale calibro. Il voler insistere a consideralo da guerra era solo il risultato della azione della lobby italiana di produttori di queste armi, che così riusciva a frapporre ostacoli alla importazione di pistole straniere in cal. 9 para. Il superamento di queste lobbies si è avuto solo quando esse stesse si sono accorte che questa stupidaggine ostacolavo di molto l’esportazione delle armi italiane!
Perciò il D.L.vo 204/2010 ha aggiunto all’art. 2 della legge 110/2010 questo periodo: Salvo che siano destinate alle Forze Armate o ai Corpi armati dello Stato ovvero all'esportazione, non è consentita la fabbricazione, l'introduzione nel territorio dello Stato e la vendita di armi da fuoco corte semiautomatiche o a ripetizione, che sono camerate per il munizionamento nel calibro 9x19 parabellum. Nei casi consentiti è richiesta la licenza di cui all'art. 31 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931 n 773.
La norma era oscura ma rappresentava comunque un passo avanti sulla chiarezza della nozione di arma da guerra o tipo guerra che a livello europeo ha escluso che possano mai essere tali le armi corte. Il legislatore riconosce che il 9 para è munizione per arma comune (già catalogata come tale da tempo); per le armi in 9 para riconosce che esse sono armi comuni, ma ne vieta il commercio e detenzione in Italia. Cosa grave vieta le armi a ripetizione che non si sa che cosa siano, ma che potrebbero essere i revolver già catalogati in cal. 9 para. La frase sembra meglio inserirsi non nello art. 2 della 110, ma nel 28 del TULPS, però in modo caotico e inconsulto che non consente una interpretazione razionale. Viene forse creata la categoria delle armi vietate, ma non è prevista alcuna sanzione per la detenzione di esse! Che cosa avviene dei revolver già regolarmente detenuti? La norma non ne vieta la detenzione e non sono da guerra; quindi sono detenibili normalmente e cedibili.
Il decreto correttivo 121/2013, dopo aver disposto limiti al numero do colpi contenibili in un serbatoio o in un caricatore , ha integrato la frase precedente inserendo dopo la parola parabellum, la seguente frase: nonché di armi comuni da sparo, salvo quanto previsto per quelle per uso sportivo, per le armi antiche e per le repliche di armi antiche, con caricatori o serbatoi, fissi o amovibili, contenenti un numero superiore a 5 colpi per le armi lunghe ed un numero superiore a 15 colpi per le armi corte, nonché di tali caricatori e di ogni dispositivo progettato o adattato per attenuare il rumore causato da uno sparo. Per le repliche di armi antiche è ammesso un numero di colpi non superiore a 10.
Ciò significa che ha riunito sotto un identico regime giuridico le armi in cal. 9 para, le armi con caricatore o serbatoio di capacità superiore al consentito, questi caricatori stessi, i silenziatori.
Il regime giuridici creato è il seguente:
- Gli oggetti elencati non possono essere fabbricati, importati , messi in vendita, salvo che per l’esportazione o per la fornitura di Corpi armati e con licenza ex art. 31
- Il divieto non concerne le munizioni che quindi sono sicuramente comuni
- Il divieto non concerne la detenzione e quindi chi già detiene questi oggetti po’ continuare a detenerli
- I caricatori, siano essi a norma e meno, non sono soggetti a denunzia e ne è consentita al vendita o cessione a qualsiasi titolo fino al 5 novembre 2015; le armi con serbatoio non a regola, possono egualmente essere ceduto fino alla stessa data. Dopo il 15 novembre 2015 caricatori e serbatoi si potranno detenere, ma, in caso di cessione dovranno essere regolarizzati.
In applicazione di questi principi il Banco di Prova ha già classificato come armi comuni (fino al 22-4-2014) 31 carabine semiautomatiche in calibro 9 para.
La norma è particolarmente stupida in materia di serbatoio perché chi l’ha scritta pensava solo alle armi semiautomatiche e si è dimentica che molte carabine e moschetti a ripetizione manuale (tra cui il vecchio 91) hanno un serbatoio per sei colpi e che è un attentato alla storia andare a modificarli. Per le armi a ripetizione manuale, la capacità del caricatore o del serbatoi è priva assolutamente di importanza pratica e quindi si potrebbe ovviare al problema con una semplice circolare interpretativa.
Sorge il problema di capire quali sono le sanzioni applicabili a chi viola i divieti stabiliti dalle norme esaminate.
Ormai non è più discutibile che le armi lunghe cal. 9 para sono armi comuni e che le cartucce in detto calibro rientrano fra le munizioni comuni. Solo le armi corte a ripetizione sono armi proibite, ma non da guerra. Se ora si considera che il decreto 204 ha stabilito che nei casi in cui certe attività sono consentire, occorre la licenza di cui all’art. 31 TULPS, cioè la licenza che regola le attività (importazione, vendita) in materia di armi comuni, si deve concludere che il fabbricare vendere o importare armi vietate è punibile a norma dello stesso TULPS che all’art. 17 prevede la sanzione generale per ogni violazione per cui non è indicata una pena specifica: arresto fino a tre mesi oppure ammenda fino a 206 euro. Il reato è oblabile mediante il pagamento di 103 euro+spese.
Ma quale reato commette il privato cittadino che vende o acquista questi oggetti? Mentre vi è una previsione per chi vende senza licenza, non vi è una sanzione per il divieto di vendita o cessione imposto ai privati per i quali non è prevista alcuna licenza; inoltre il divieto non è contenuto nel TULPS, ma nell’art. 2 L. 110/1975. Si può perciò concludere che non vi è sanzione per la vendita o cessione fra privati di armi e caricatori non regolamentari e di silenziatori.
Segnalo che la Cassazione in due recenti sentenze ha detto che le norme sopra viste non hanno cambiato nulla e che il cal. 9 rimane fa guerra. Però la motivazione è talmente ottusa, basata su frasi fatte che la Cassazione ripete da decenni, che è facile concludere che la Cassazione le nuove norme neppure le ha lette. Ma ormai la Cassazione si è talmente squalificata che delle sue decisioni se ne fregano, giustamente, Ministeri e Banco di Prova.
(22-4-2014)
email - Edoardo Mori |
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