Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Custodia armi - chiara sentenza

Corte di Cassazione, sez. I Penale, 20 marzo 2017, n. 13570
Presidente Cortese - Relatore Vannuccì

Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa il 15 aprile 2015 il Tribunale condannò R.S.G. alla pena di duecento Euro di ammenda avendolo ritenuto responsabile della commissione, in Margherita di Savoia, il 21 dicembre 2012, della contravvenzione di cui all'alt. 20, primo e secondo comma, della legge n. 110 del 1975, consistita nel non avere custodito, con la doverosa diligenza, nell'interesse della sicurezza pubblica, all'interno della propria abitazione, la pistola, il relativo caricatore e cinquanta cartucce, da tale persona legalmente detenuti.
A fondamento di tale decisione il Tribunale: accertò che R. , che viveva da solo all'interno della propria abitazione, deteneva la pistola sotto il materasso del proprio letto, custodiva cinquanta cartucce per tale pistola all'interno di un cassetto del mobile collocato nella veranda di tale abitazione e il caricatore dell'arma all'Interno di una cassapanca in muratura collocata accanto al camino di una sala; ritenne che tali modalità di detenzione costituivano la contestata contravvenzione sul rilievo che all'Interno dell'abitazione "potevano comunque accedere delle persone anche senza risiedervi, ed essere le stesse parimenti esposte al pericolo di un facile rintraccio dell'alma ed ai contestuale rischio che della stessa qualcuno potesse farne uso improprio".
Per la cassazione di tale sentenza il Signor R. ha proposto ricorso, dallo stesso personalmente sottoscritto, deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione.
In primo luogo il ricorrente evidenzia che le due parti dell'arma (corpo della pistola e relativo caricatore) e le munizioni erano da lui custodite in tre luoghi diversi (quelli descritti nella sentenza) della propria abitazione, collocata fuori del centro abitato e assicurata da cancelli di protezione blindati, ove esso ricorrente abitava da solo: da ciò deriverebbe l'insussistenza del reato nel caso concreto, avendo esso ricorrente adottato tutte le cautele esigibili da persona di normale prudenza.
Il Tribunale, inoltre, non aveva indicato per quale ragione avesse ritenuto sussistente il reato nonostante le cautele da esso ricorrente in concreto adottate.
Considerato in diritto
L'art. 20 della legge n. 110 del 1975 dispone che la custodia delle armi deve essere assicurata “con ogni diligenza nell'interesse della sicurezza pubblica".
Tale obbligo - quando il relativo titolare non sia soggetto che eserciti professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi - è adempiuto a condizione che siano in concreto adottate le cautele, proporzionate al pericolo che la norma intende scongiurare, che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit (in questo senso, cfr., fra le molte, Cass. Sez. 1, n. 6827 del 13 dicembre 2012, dep. 2013, Arconte, Rv. 254703; Cass. Sez. 1, n. 47299 del 29 novembre 2011, Gennari, Rv. 251407; Cass. Sez. 1, n. 1868 del 21 gennaio 2000, Romeo, Rv. 215211).
Nel caso di specie, è stato accertato che: l'imputato viveva, da solo, all'interno della propria abitazione in (OMISSIS) ; in tale luogo egli deteneva legittimamente la pistola e le relative munizioni di cui era proprietario; la pistola, senza colpo in canna, e priva del relativo caricatore, era nascosta sotto il materasso del letto collocato all'interno della camera da letto della casa; cinquanta cartucce per tale pistola erano collocate all'interno di un cassetto del mobile collocato nella veranda di tale abitazione; infine, il caricatore dell'arma era occultato all'interno di una cassapanca in muratura collocata accanto al camino di una sala.
Non risulta che la casa di abitazione del Signor R. osse frequentata da minorenni (ricorrendo tale caso l'obbligo di custodia delle armi è rafforzato e la omessa custodia è autonomamente sanzionata dall'alt. 20-bis della citata legge, la cui violazione non è stata contestata).
In considerazione delle modalità di custodia sopra descritte (la pistola, separata dal relativo caricatore, era occultata sotto un materasso, con la conseguenza che occorreva intenzionalmente sollevare quest'ultimo per rinvenire l'arma, di per sé inefficiente; il caricatore era custodito all'interno di cassapanca collocata in altra stanza dell'edificio), deve ritenersi che l'imputato abbia prestato adempimento all'obbligo in questione, anche tenuto conto del fatto che l'abitazione è dotata di normali sistemi di chiusura delle porte con serrature; non sussistendo, come detto, per il privato cittadino alcun obbligo, derivante dalla norma di legge in questione, di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa contro i furti in abitazione.
Modalità di custodia sostanzialmente non dissimili da quelle adottate dall'odierno ricorrente sono state, del resto, dalla giurisprudenza di legittimità più volte ritenute idonee ad escludere la configurabilità del reato in discussione (cfr., oltre alle decisioni sopra citate, Cass. Sez. 3, n. 76 del 12 gennaio 1996, Depetro, Rv. 203840; Cass. Sez. 1, n. 7154 del 14 dicembre 1999, dep. 2000, Cariello, Rv. 214960; Cass. Sez.
1, n. 12295 del 3 dicembre 2003, dep. 2004, P.G. in proc. Medilo, Rv. 227624; Cass. Sez. 1, n. 46265 del 6 ottobre 2004, Aiello, Rv. 230153).
La sentenza impugnata non ha correttamente interpretato la norma di legge rilevante in funzione della relativa applicazione al caso concreto con essa accertato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, essa è quindi da annullare senza rinvio perché il fatto contestato all'imputato non sussiste (artt. 620, lett. f), cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

NOTA
Giurisprudenza costante, chiara e sostenuta dalla  normativa, così interpretata da quarant'anni.
Unici  non capire il problema sono le forze di polizia ed i PM.
Le forse di polizia ogni volta che fanno un controllo o vi è un furto di arma, spaccano il capello in quattro per dimostrare che la custodia non era adeguata.
L'unico motivo è che  nelle loro statistiche risulta una ambita denunzia in più per armi, che è facile fare il frocio con il culo degli altri e che è molto più facile denunziare il derubato che non il ladro.
I PM ormai sono ridotti allo stato del cane di Pavlov che sbava solo a sentite la parola "osso". Loro sbavano quando leggono "notizia di reato". Poi vedono che si tratta di armi e la passano al maresciallo della  PG, esperto di armi perché ha la pistola, e che fa tutto: legge la notizia di reato, fa il capo d'imputazione, fa il decreto penale o il rinvio a  giudizio e un poveretto innocente si trova condannato da 4 giudici (uno di primo grado e tre di appello) i quali non hanno fatto la fatica di pensare o non erano in grado di pensare o pensavano alla grandezza del diritto italiano!
Sicuramente arriva poi i solito questore che vede al notizia di reato, se ne strafrega se il cittadino risulta innocente a prima vista, e gli toglie armi e licenze; e se il cittadino viene assolto si inventa qualche cosa per non ridargliele.
Per il cittadino innocente ciò vuol dire aver speso diecimila euro per farsi assolvere, essere rimasto senza armi e licenze, più altri tremila euro per il ricorso al TAR, solo perché  è incappato in funzionari pubblici stronzi.
Cose che se le facesse un normale cittadino risponderebbe di calunnia per la denunzia infondata e di stalking per aver perseguitato un cittadino. Ma non solo non vi è denunzia penale, ma non ho mai visto che qualche superiore scrivesse una lettera all' inferiore per dirgli "ma che cavolo fai? Ti sembra il modo di lavorare e di mangiare pane a tradimento?"
Che essere stronzo  sia una vocazione?

22-3-2017

 

 

 


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