Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Trattato del diritto della caccia - Reati venatori

La legge sulla caccia prevede infrazioni penali (art. 30) punite con l’ammenda e/o l’arresto, dette con termine tecnico contravvenzioni.
Non prevede infrazioni punite con la multa e/o la reclusione, dette con temine tecnico delitti, ma esse possono derivare dall’uso di armi (porto illegale, lesioni colpose, omicidio colposo) o da condotte commesse in relazione alla attività venatoria (resistenza, furto, danneggiamento, ecc.).
Contravvenzioni e delitti formano la più generale categoria dei reati,
Vi sono altre infrazioni alle norme venatorie che vengono punite solo con sanzioni amministrative (art. 32); sono le violazioni amministrative.
Vediamo ora come bisogna comportarsi quando ci si vede contestare un reato. A tutti può capitare di trovarsi la polizia sull’uscio di casa per un controllo sulle armi o comunque di essere accusati in relazione al porto od uso di armi.
Le situazioni che possono presentarsi sono due: il controllo di polizia puro e semplice per vedere quante e quali armi ci sono e se sono custodite bene e la perquisizione vera e propria.
Nel caso di controllo amministrativo il funzionario chiede di poter controllare le armi e le munizioni denunziate e ha il diritto di entrare in casa, di essere accompagnato nel luogo ove sono le armi e di controllarne la consistenza. È una operazione puramente amministrativa, per cui non è prevista neppure la redazione obbligatoria di un verbale, che però di regola verrà redatto.
Questo controllo può sfociare perciò in un nulla di fatto, se nulla di irregolare viene stabilito, oppure trasformarsi in una operazione di polizia giudiziaria.
Può accadere infatti che il controllo porti all’accertamento di un presunto reato e vi può essere o meno necessità di procedere al sequestro del cosiddetto corpo di reato.
Se non vi è necessità di sequestro il funzionario, che diventa agente od ufficiale di polizia giudiziaria, dovrà comunicare all’interessato che procede ad indagini a suo carico, indicando il reato ipotizzato, invitarlo a nominare un difensore di fiducia e redigere un verbale in cui raccoglie la elezione di domicilio e la nomina del difensore. Può rinviare la redazione del verbale ad un momento successivo invitando l’interessato nei propri uffici.
Se vi è invece necessità di sequestro il relativo verbale deve essere redatto sul posto, salvo gravi motivi di impedimento.
Se le operazioni si limitano a quanto detto finora, l’interessato non ha diritto a far intervenire un difensore.
Talvolta però chi opera può avere interesse ad interrogare l’indagato; ciò è consentito solo se l’indagato non viene arrestato e deve essere obbligatoriamente convocato il difensore di fiducia o, se non nominato, quello di ufficio (detto per inciso, poi l’indagato dovrà pagarlo anche se perfettamente innocente!).
Nel corso di questa operazione di polizia si innesta quasi sempre una operazione di perquisizione che può avvenire o per iniziativa di chi ha accertato un reato oppure su mandato scritto del pubblico ministero che indaga su di un reato. Si ricorda che la perquisizione della abitazione o di un veicolo è una perquisizione domiciliare o locale; la perquisizione della persona, dei suoi abiti, di contenitori che abbia con sé, è una perquisizione personale. La P.G. può procedere a perquisizioni senza ordine del PM solo in flagranza di reato; non quindi per il sospetto che sia stato commesso un reato (art. 352 CPP).
Ricordo che chi NON ha compiti di PG non può procedere al sequestro delle armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, ma può solo richiedere solo a chi è in visibile possesso di armi o arnesi atti alla caccia e solo se lo stesso è in esercizio o in attitudine di caccia, la esibizione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, del tesserino regionale, del contrassegno della polizza di assicurazione nonché della fauna selvatica abbattuta o catturata. Il soggetto controllato non è tenuto a mostrare il contenuto di borse o tasche, salvo che da esse sporga la coda di un fagiano!
In materia di armi vi è l’art. 41 T.U. Leggi di P.S., norma incostituzionale (salvo che per la Corte Costituzionale!) la quale, unico residuo della dittatura, consente di eseguire una perquisizione solo per il sospetto della sussistenza di un reato in materia di armi; in parole povere consente alla polizia di fare una perquisizione, magari in base ad una informazione anonima o perché un vicino di casa ha sentito il rumore del tappo dello spumante! Di recente però la Cassazione si è un po’ ravveduta ed ha scritto che è configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza ad un pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il suo domicilio una perquisizionefinalizzata alla ricerca diarmie munizioni, fondandosi su meri sospetti e non sulla base di un dato oggettivo certo, anche solo a livello indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel luogo in cui viene eseguito l'atto. *Cass., 18 novembre 2009, n. 48552.)
Ad ogni modo nel momento in cui si deve procedere a perquisizione, chi procede deve informare il perquisendo che egli ha diritto di nominare un difensore, di conferire con lui al telefono riservatamente e di farlo intervenire. Quindi deve attendere l’arrivo del difensore che annunzi di arrivare in tempo ragionevole (ovvio che dovrà essere un avvocato della zona!). Se l’avvocato scelto non è disponibile, l’indagato ha tutto il diritto di cercarsene un’altro che lo sia o di far presenziare una persona di fiducia come testimonio.
Chi procede deve anche dichiarare quale tipo di prova od oggetto stia cercando perché se perquisisce per ricercare armi, non può mettersi a sfogliare la corrispondenza, dove di certo un fucile non può essere nascosto.
Il difensore che presenzia alla perquisizione ha diritto di interloquire e di chiedere il rispetto delle norme di legge. Della perquisizione deve essere redatto verbale. Di solito, se non viene trovato nulla, poco importa ciò che vi si scrive, salvo che far constatare eventuali danni arrecati; se viene trovato qualche cosa di utile, deve essere redatto anche il verbale di sequestro. In uno di questi due il difensore può far inserire sue osservazioni, quali eccezioni di nullità o contestazione delle norme giuridiche da applicare.
Ed infine l’ipotesi più spiacevole: l’arresto in flagranza di reato. In tal caso l’arrestato ha il diritto a che venga subito informato il suo difensore di fiducia (anche in questo caso può indicarne più di uno fino a che non trova quello disponibile subito). Il difensore può intervenire subito o, se ciò non è possibile, può incontrare l’arrestato in carcere prima dell’interrogatorio da parte del giudice, al fine di consigliarlo (e se non lo facesse, meglio cambiarlo subito!). Devono essere informati anche i familiari dell’arrestato.
Un caso particolare è quello del controllo dell’autovettura; in pratica la situazione non è diversa da quella descritta, ma devo ricordare che non si è affatto tenuti a dichiarare spontaneamente che si portano o trasportano armi così innescando controlli di esito imprevedibile. Anzi, è cosa saggia (anche per prevenire furti) che l’arma o il suo contenitore non siano in bella vista … e saper affrontare il controllo senza tremore alle mani e sguardo sfuggente, come se si fosse colpevoli!
Vediamo ora come deve comportarsi l’indagato, specialmente se è innocente e quindi sprovveduto e quindi propenso a credere che la sua innocenza sia così ovvia da non aver bisogno di dimostrazione. Diceva invece un famoso giurista “se mi accusano di aver rubato il duomo di Milano, io per prima cosa scappo in Svizzera”. Purtroppo la maggior parte degli innocenti sono specialisti “nel darsi la zappa nei piedi” e nel giustificarsi con scuse peggiori della verità, di solito coinvolgendo nella grana i migliori amici (del tipo: non ho denunziato la pistola perché il mio amico maresciallo mi ha detto che potevo fare con tutto comodo).
Quando si svolge una attività così temeraria e pericolosa come quella di detenere armi, peggio se inattive, occorre premunirsi con ogni mezzo e non pensare scioccamente “sono una persona onesta che non fa nulla di male e quindi non mi verranno mai a cercare”. Dice un proverbio che la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo ed è meglio essere preparati a tutto. Ricordarsi sempre che vi sono legioni di figli pronti a passare sui corpi delle loro madri (… uno più, uno meno”!), pur di compiere una operazione di polizia che migliora le loro statistiche o che va sul giornale.
È perciò necessario prima di tutto di essere il più possibile in regola. Per fare ciò bisogna sapere bene ciò che è consentito e ciò che è vietato.
Ma non basta: siccome i sullodati figli hanno in materia opinioni tanto più consolidate quanto più sbagliate, bisogna essere sicuri del fatto proprio ed essere pronti a dimostrarlo. Non è male avere in casa o in auto qualche scritto che sostenga quanto si dice o che almeno faccia sorgere qualche dubbio nella mente di chi procede.
In caso di contestazioni la regola da seguire è di dire il meno possibile, salvo ciò che è strettamente necessario per spiegare perché si ritiene di essere dalla parte della ragione. Se non si è sicuri è senz’altro meglio non dire nulla e attendere l’evoluzione dei fatti. Ad esempio siete andati nella casa di campagna con il vostro fucile e vi contestano di non aver denunziato il trasferimento. È ovvio che sarebbe suicida raccontare che siete lì con il fucile già da un mese, quando si ha il diritto di non dire nulla e di lasciare poi che l’avvocato racconti che voi eravate lì da un mese, ma che il fucile eravate andato a prenderlo la sera prima! Oppure vi trovano un coltello in tasca: se avevate un chiaro motivo per portarlo (siete andati a funghi e avete i porcini nel cesto) è giusto dirlo subito; se non avete un motivo chiaro, meglio tacere perché se nessuno vi chiede nulla sarà ben difficile che poi il P.M. possa dimostrare che non avevate quel giustificato motivo che l’avvocato saprà senz’altro scoprire (fermo restando che quando si può fare oblazione, questa costa sempre dieci volte meno dell’avvocato; ma spesso una condanna in materia di armi può pregiudicare il rilascio di licenze di PS per anni e la confisca delle armi).
Altra regola fondamentale è di non sottoscrivere nessuna dichiarazione se non dopo essersi consigliati con il proprio difensore. Nel nostro diritto tutte le dichiarazioni orali che un indagato fa non possono essere utilizzate contro di lui. Quelle scritte possono essere utilizzate se si tratta di spontanee dichiarazioni firmate oppure se sono fatte in presenza del difensore. In caso di malaugurato arresto, per quanto spiacevole sia la situazione, non bisogna lasciarsi prendere dall’ansia di compiacere il PM con confessioni fiume in cui si racconta che anche moglie e figli sapevano benissimo che l’arma non era denunziata: spesso sono meglio due o tre giorni di carcere all’inizio, che due o tre anni alla fine! La propria difesa deve tener conto dell’esigenza di lasciare il più possibile di porte aperte all’avvocato per poter adattare i fatti al diritto e viceversa.
Da quanto detto è evidente che è molto opportuno avere già le idee chiare sul nome dell’avvocato da poter nominare senza indugio in caso di problemi; avvocato che dovrà essere un penalista. Se si ha molto a che fare con le armi, potrebbe non essere una cattiva idea quella di sottoscrivere un’assicurazione per le spese legali, con libertà di scelta del difensore (attenzione, le clausole possono essere molto limitative in caso di delitto).
Spesso in caso di sequestro di armi ci si dovrà porre il problema se sia o meno opportuno ricorrere contro il sequestro. La cosa può essere opportuna solo se vi è alla base del problema una questione di diritto: una bella memoria ben documentata e che spiega ai giudici del tribunale del riesame quali sono le norme da applicare, può essere risolutiva e “spezzare le reni” al P.M. che si è fidato della cultura giuridica del commissario di P.S. Se invece vi sono questioni di fatto sul tipo di armi, loro efficienza, o simili, è inutile ricorrere perché il tribunale non avrebbe gli elementi sufficienti per decidere e troppo spesso non ha alcuna fiducia nelle perizie di parte.
Di fronte ad una denunzia ingiusta da parte delle forze di polizia è sempre consigliabile di inviare al PM una breve e concisa memoria in cui si espongono le proprie ragioni. È più probabile che gli atti vengano letti; senza la memoria verrebbero inseriti nella macchina giudiziaria, il capo di imputazione verrebbe formulato da qualche agente di PG che certo non si fa venir dubbi sulle ragioni dei suoi colleghi, e il cittadino si trova condannato con un decreto penale senza che mai un giudice abbia letto le carte!
Non mi soffermo a parlare di come dovrebbe comportarsi l’indagato colpevole perché esso, anche se ha agito senza intenti criminali, ma magari solo per passione, deve ringraziare solo sé stesso e la sua stupidità per non essersi astenuto dal commettere un reato e per non aver fatto tutto ciò che è necessario per non essere scoperto!
Per finire, e per comune consolazione, ricordo quelle massime di antica saggezza secondo cui è meglio un brutto processo che un bel funerale e che è peggio essere condannato dal medico che da un giudice.
Dopo la denunzia da parte della polizia giudiziaria gli atti passano al PM il quale può chiedere l’archiviazione, se si è convinto che il denunziato è innocente oppure chiedere al GIP l’emissione di un decreto penale oppure citare a giudizio avanti ad un giudice del Tribunale.
A questo punto il cittadino, divenuto imputato, può scegliere fra richiedere l’oblazione, se il reato lo consente, oppure il patteggiamento o, in certi casi, il giudizio abbreviato. Non vi è sostanziale differenza fra accettare il decreto penale o fare patteggiamento, salvo che per il patteggiamento occorre un difensore di fiducia o d’ufficio da retribuire; non si pagano spese processuali e il reato si estingue dopo 5 anni per i delitti e dopo 2 anni per le contravvenzioni. Chi vuole opporsi al decreto penale e affrontare il giudizio, normale od abbreviato, deve presentare opposizione al decreto penale entro 15 giorni dalla notifica. Con l’opposizione si può chiedere di essere ammesssi alla oblazione.
Fare oblazione significa pagare un importo fisso, oltre a poche decine di euro di spese. Si può fare oblazione per tutti reati puniti con la sola ammenda e per quelli puniti alternativamente con l’arresto o l’ammenda. Nel primo caso l’importo da pagare è pari a un terzo della pena massima; nel secondo caso è pari alla metà della pena massima. (art. 162 e 162 bis C.P.).
Non si può fare oblazione per quelli puniti congiuntamente con l’arresto e l’ammenda.
Sulle formalità per l’opposizione è opportuno chiedere alla Cancelleria del PM competente che dirà l’importo delle spese e quello dell’eventuale deposito di somme. Se è già stato messo il decreto pernale, occorre presentare opposizione al GIP e in esso richiedere di essere ammessi all’oblazione (art. 141 d.att. C.P.P.)..
Recidiva e continuazione
La recidiva è la situazione regolata dal diritto penale in cui si trova chi, dopo essere stato condannato per un delitto con sentenza definitiva, commette ulteriori delitti (art. 99 C.P.) e può subire un aggravamento della pena. Non si tiene conto delle contravvenzioni.
Purtroppo però i legislatore, tanto per fare un po’ di confusione, ha previsto all’art. 32, lett. a LC., delle pene accessorie limitatamente alle ipotesi di recidiva di cui all’art. 99 secondo comma n. 1 C.P., frase che crea due problemi interpretativi:
1) L’ipotesi che ci sia una recidiva per le contravvenzioni nel diritto penale non esiste. A voler essere molto comprensivi verso le debolezze del legislatore si può ritenere che egli abbia usato questa bislacca formulazione volendo semplicemente richiamare la condotta indicata nel nr. 1 dell’art. 99.
2) Il nr. 1 dell’art. 99 C.P. definisce la cosiddetta recidiva specifica che si ha quando chi ha già commesso un delitto ne commette dolosamente un secondo della stessa indole (ad es. chi è già stato condannato per rapina commette un furto o un’altra rapina, chi è stato condannato per lesioni commette altre lesioni o un omicidio. Questo concetto, abbastanza comprensibile in relazione ai delitti (art. 101 C.P.), diviene inafferrabile quando si parla di contravvenzioni in cui, come è noto non si distingue neppure fra dolo e colpa e dove quindi non si può parlare di indole.
Perciò la norma può essere intesa (interpretazione che sicuramente attirerebbe molto la terza sezione della Cassazione) sia nel senso che ogni contravvenzione alla legge venatoria dimostra l’indole antiambientalista del reo per cui è recidivo, ad esempio, anche chi una volta ha detenuto un animale imbalsamato non consentito e la volta successiva caccia sparando da un veicolo, sia nel senso che bisogna anche stabilire se la condotta sia riconducibile ad un comportamento doloso del soggetto, volto a violare consapevolmente la normativa venatoria.
Questa pare la tesi più ragionevole e l’unica che può spiegare il motivo per cui i legislatore non ha semplicemente scritto “chi già condannato per una contravvenzione prevista nell’art. 30 LC commette altra contravvenzione punita a norma dello stesso articolo, è soggetto...ecc.”
In relazione alla sanzioni amministrative, nella legge non si parla di recidiva, ma di violazione nuovamente commessa. Nella tabella abbiamo usato l’espressione “ripetizione della violazione”. Ora il D. L.vo 30 dicembre 1999 n. 507 la chiama reiterazione.
La continuazione (art. 81 C.P.) si ha quando un soggetto con una stessa azione viola più norme di legge (ad es. detenzione di arma non denunziata e clandestina) oppure quando un soggetto compie più reati in attuazione di un medesimo disegno criminoso; tipico esempio quello di chi decide di darsi al bracconaggio e quindi porta un’arma senza licenza, usa mezzi di caccia vietati, uccide specie protette sia che lo faccia in un solo giorno, sia che continui a lungo finché non viene scoperto. In questi casi egli viene punito con la pena prevista per il reato più grave, aumentata al massimo fino a tre volte. Questa regola si può applicare anche se il reo è già stato condannato per alcuni dei reati da unire sotto il vincolo della continuazione.
In relazione alle infrazioni amministrative si configura la continuazione mediante una condotta unica, ma non quella mediante condotte ripetute, salvo che in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria (art. 8 L. 689/1981).

Si vedano anche le pagine Violazioni amministrativePoteri degli agenti accertatori


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