Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Trattato del diritto della caccia - Diritto della caccia - Storia - Rapporti Stato-Regioni

Dopo la costituzione del Regno d'Italia e fino alla unificazione della legislazione venatoria, conseguita nel 1923, nel nostro paese vigevano sette leggi fondamentali, oltre ad un rilevante numero di norme speciali. Le leggi generali erano costituite:
- per il Piemonte, Liguria, Sardegna e Lombardia dalla L. 29-12-1836, completata dalle regie patenti del 16-08-1844, seguite dal D. 1-08-1845 e dalla L. 26-06-1853;
-per il Veneto, dalla L. 13-11-1804, seguita dai D. 7-07-1804 e 21-091805;
- per le province di Parma e Piacenza, dalla L. 1-09-1824, modificata, poi, dalle risoluzioni sovrane del 18-06-1824, 23-04-1835 e 28-05-1835;
-per le province dell'ex ducato di Modena, dalla L. 6-02-1815;
-per le province ex pontificie, dalla L. 1-08-1826, modificata con successivi atti del 14-08-1839, 1-04-1840 e 15-09-1841 e, dopo l'annessione al Piemonte, con i D. 6-11-1860 e 11-12-1860;
- per le province toscane, dalla L. 8-07-1836;
-per le province napoletane, dalla L. 18-10-1819.
Ad una legge unitaria si giunse solamente con la legge unificatrice 24-06-1923, n. 1420, per la protezione della selvaggina e l'esercizio della caccia.
La legge si uniformava sostanzialmente alla concezione romanistica della caccia, intesa come attività diretta all'acquisto della proprietà degli animali res nullius mediante occupatio, e tendeva a disciplinare organicamente l'esercizio della caccia per eliminare usanze di indiscriminata distruzione della selvaggina e per conseguire un razionale miglioramento della situazione venatoria attraverso la previsione di una serie di limiti protettivi di carattere pubblicistico, la determinazione di luoghi, di tempi, di modi, di mezzi di caccia, l'introduzione di tipici istituti venatori quali le bandite, le riserve, i parchi nazionali di ripopolamento, la creazione di organi consultivi e la organizzazione della classe dei cacciatori.
Dalla sua pratica sperimentazione emersero problematiche, in parte risolte con provvedimenti particolari, che portarono all’ottimo T. U. 15-1-1931, n. 117. Emersero poi alcuni aspetti pratici da migliorare (i giuristi spesso hanno difficoltà a comprendere che non basta scrivere belle frasi per raggiungere un certo scopo) che portarono al nuovo T. U. emanato con R. D. 5-5-1939, n. 1016, che, pur presentando le linee fondamentali della precedente legge. la rende di più facile ed utile applicazione.
La situazione rimase pressoché immutata per trent’anni fino a quando si iniziò a dare corpo alle Regioni con la legge quadro 16 maggio 1970 nr. 281, Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario. Essa all’art. 11 stabiliva: L'emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall'articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti.

 Le Regioni esercitano la predetta funzione legislativa ad emanazione avvenuta dei corrispondenti decreti previsti dal primo comma dell'articolo 17 della legge concernente provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario, o comunque dopo un biennio dall'entrata in vigore della predetta legge. Entro lo stesso biennio, in attuazione della IX disposizione transitoria della Costituzione, la Repubblica adegua la propria legislazione alle competenze legislative attribuite alle Regioni.
Quindi lo Stato avrebbe dovuto emanare una legge quadro o cornice, come si chiamano in gergo, che stabilisse i principi fondamentali a cui le regioni dovevano attenersi. Ciò avvenne ben sette anni dopo con la Legge 27 dicembre 1977, n.968. Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia. Le regioni dovevano emanare le proprie norme entro un anno e fino alla emanazione di esse restavano in vigore (in linea di massima) le norme del 1939.
Infine nel 1992, sotto la spinta di movimenti ambientalisti, viene emanata la legge 11 febbraio 1992, n. 157. Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, abroga la legge 27 dicembre 1977, n. 968, ed ogni altra disposizione in contrasto con la presente legge. È facile comprendere che si trattava di una specie di gioco delle tre carte del legislatore il quale, essendo vincolato dalla Costituzione e dagli Statuti a garantire certi spazi di autonomia alla Regioni a Statuto speciale, ha pensato bene di far sparire le caccia e di sostituirla con una legge più ampia di tutela ambientale, materia non regolata dagli Statuti.
Con legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 venivano modificati gli art. 116 e 177 della Costituzione e si stabiliva, per quanto ci riguarda:
- che restavano fermi i poteri contenuti negli Statuti speciali regionali;
- che le regioni devono rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
- la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
- la competenza legislativa concorrente delle Regioni in altre materie, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Quindi attualmente le Regioni a statuto ordinario hanno competenza concorrente e devono attenersi ai principi fondamentali contenuti in una legge quadro; quelle a statuto speciale hanno le competenze riconosciute dai rispettivi statuti.
Il punto critico della vicenda sta proprio nel determinare il contenuto dell’obbligo delle regioni a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale in relazione la fatto che la legge quadro sulla caccia non esiste più, ma vi è solo una legge sulla tutela della fauna che non si presenta come legge quadro e che non dice quali siano i principi in essa contenuti da considerare come fondamentali.
Si noti che il nuovo art. 117 ha eliminato l’obbligo originario che la normativa non fosse in contrasto con l’interesse nazionale e l’interesse delle altre regioni.
 I limiti posti alle Regioni a Statuto speciale non sono del tutto uniformi e, per la materia caccia sono i seguenti.
Sicilia
R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, modificato dalle leggi costituzionali 23 febbraio 1972, n. 1, 12 aprile 1989, n. 3 e 31 gennaio 2001, n. 2).
Art. 14: L'Assemblea, nell'ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali della Repubblica, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti materie: (caccia)
Sardegna
LC 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), così come da ultimo modificate dalla LC 31 gennaio 2001, n. 2.
Art. 3: In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: (caccia).
Valle D’Aosta
Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 così come da ultimo modificate dalla LC 31 gennaio 2001, n. 2:
In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materi: (caccia),
Provincia Bolzano e provincia di Trento
Legge costituzionale 10 novembre 1971 n. 1:
Le Provincie hanno competenza a legiferare in materia di caccia rispettati i limiti di cui all’art. 4 e cioè In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali - tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali - nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.
Friuli Venezia Giulia
Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche ed integrazioni:
In armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: (caccia)

Quindi le differenze fra le Regioni in materia di caccia sono le seguenti
- Le regioni a statuto ordinario legiferano nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali, e dei principi fondamentali individuati dallo Stato con legge quadro.
- La Regione Sicilia legifera solo nel rispetto delle leggi costituzionali, dei vincoli comunitari e internazionali e nel rispetto delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano. Vedo da atti della Regione che essa ammette di dover rispettare i principi di grandi riforme economico sociali, anche se obbligo non esplicito nello Statuto; si può concludere che le riforme ecomico-sociali sono state intese come le riforme agrarie e industriali.
- Le regioni Sardegna, Valle D’Aosta e le Province autonome di Trento e Bolzano legiferano nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico, dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica. Si noti come non si parli di principi specifici individuati da una legge quadro ma di norme fondamentali relativi alle sole riforme economico sociali.
- La Regione Friuli Venezia Giulia, per una evidente svista di chi ha fatto lo Statuto, si becca anche il rispetto degli interessi nazionali e degli interessi delle altre Regioni che nulla hanno a che vedere con uno Statuto speciale! Per fortuna ora l’obbligo è venuto meno con la legge 3/2001.
La legge del 157/1992 regola poi i poteri amministrativi delle province e regioni nel seguente modo:
- L’art. 9 stabilisce che le regioni esercitano le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria di cui all'articolo 10 e svolgono i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali. Alle province spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (legge sull’ordinamento delle autonomie locali), che esercitano nel rispetto della presente legge. Le regioni a statuto speciale e le province autonome esercitano le funzioni amministrative in materia di caccia in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti.

Da esse sorgono due ordini di problemi:
1) La Legge 27 dicembre 1977, n.968 era specificamente dichiarata essere la legge quadro (Principi generali sulla…) in materia di caccia e tutela della fauna. La legge 157/1992 l’ha abolita, non parla più di caccia, ma solo di protezione della fauna, in nessun punto dice di voler formulare dei principi fondamentali, mai si autodefinisce legge quadro. Entro quali limiti vale come legge quadro? Quali sono i principi fondamentali in materia di caccia? È stato violato l’obbligo costituzionale di una specifica legge quadro?
2) Per le Regioni a Statuto speciale quale è la differenza tra l’obbligo di rispettare una legge quadro previsto per le regioni ordinarie è l’obbligo di rispettare solo le norme fondamentali delle riforme economico sociali, evidentemente più ristretto? E quali sono queste norme? Può una norma sulla tutela della fauna rientrare fra riforme economico-sociali? Parrebbe proprio di no!
La situazione creata è altamente anomala. Vi sono leggi costituzionali che attribuiscono alle regioni competenza legislativa in materia di caccia (il che significa anche che la caccia è riconosciuta come istituzione con norma costituzionale), salvo il rispetto di alcuni limiti, più ampi per le regioni ordinarie, molto più ristretti per le regioni speciali. La logica giuridica impone perciò di ritenere che i limiti che lo Stato può imporre alle Regioni sono limiti di natura eccezionale, soggetti a stretta interpretazione non estendibile per analogia o per interpretazione estensiva, e che in mancanza di questi limiti, le Regioni possono regolare la caccia come meglio credono. Ciò richiede che i limiti siano chiaramente espressi in una legge.
Ed invece che cosa è successo? Sotto la spinta della mentalità antiregionalista vigente fino al 2000, si sono confuse le carte, sia da parte dello Stato che della Corte Costituzionale, usando dei trucchi per limitare al massimo i poteri delle regioni. Si cerca di far sparire la nozione ed il nome stesso di caccia, si pongo dei limiti che non riguardano la caccia direttamente, ma la tutela della fauna, si fa sparire la legge quadro sulla caccia, così che non si riesce più a capire quali sono i principi fondamentali che è obbligatorio rispettare, si nega che le Regioni speciali abbiano minori limiti di quelle ordinarie. Per contro si presentano come principi ineludibili regole che sono altamente opinabili nella loro mancanza di elasticità e di adattabilità alle esigenze locali (cosa necessaria se si vuol parlare di regionalismo e federalismo).
Si veda l’esempio dei mezzi di caccia. Ma a chi si vuol far credere che vietare l’uso del furetto per cacciare i conigli sia un principio fondamentale? O che il cal. 22 debba essere necessariamente vietato ovunque? O che la scelta fra caccia vagante o caccia da postazione fissa abbia un senso salvo che in due o tre regioni italiane? O che qualche giorno in più o in meno del calendario venatorio violi norme fondamentali di riforme sociali ed economiche? Eccetera, eccetera.

Sono problemi delicati di diritto costituzionale che volentieri lasciamo agli specialisti della materia, ma che è giusto porsi e chiarire. Chiaro però che per l’interprete diviene veramente difficile individuare i principi fondamentali a cui deve attenersi la legiferazione regionale.
Questi problemi sono stati più volte sollevati di fronte alle Corte Costituzionale in relazione ai poteri delle Regioni speciali; già nel 2002 essa aveva espresso la sia opinione con la sentenza 0536/ 2002 (norme venatorie della Sardegna), scrivendo:
L'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione esprime una esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali. Come già affermato da questa Corte, la tutela dell'ambiente non può ritenersi propriamente una "materia", essendo invece l'ambiente da considerarsi come un "valore" costituzionalmente protetto che non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie (governo del territorio, tutela della salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo (sentenza n. 407 del 2002). E, in funzione di quel valore, lo Stato può dettare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione. Già prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, la protezione dell'ambiente aveva assunto una propria autonoma consistenza che, in ragione degli specifici ed unitari obiettivi perseguiti, non si esauriva né rimaneva assorbita nelle competenze di settore (sentenza n. 356 del 1994), configurandosi l'ambiente come bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va pertanto salvaguardato nella sua interezza (sentenza n. 67 del 1992). La natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di competenza di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela, già ricavabile dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, trova ora conferma nella previsione contenuta nella lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che affida allo Stato il compito di garantire la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
5. - Entro questa cornice, occorre verificare anzitutto se l'art. 117, secondo comma, della Costituzione, sia applicabile o meno alla Regione Sardegna, in quanto regione a statuto speciale, tenuto anche conto della clausola della immediata applicazione alle regioni speciali delle parti della legge costituzionale n. 3 del 2001 che prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.
Sul punto, il ragionamento della resistente non può essere condiviso. Lo statuto speciale della Regione Sardegna attribuisce la materia caccia alla competenza primaria della regione, prevedendo limiti specifici, quali il rispetto dei "principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica", delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica", nonché degli "obblighi internazionali" (art. 3, primo comma, dello statuto speciale per la Sardegna). La previsione per cui il nuovo regime stabilito dalla riforma si applica anche alle Regioni a statuto speciale ove sia più favorevole all'autonomia regionale (art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) non implica che, ove una materia attribuita dallo statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con un ambito ora spettante in forza del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione alla potestà esclusiva statale, la regione speciale possa disciplinare la materia (o la parte di materia) riservata allo Stato senza dovere osservare i limiti statutari imposti alla competenza primaria delle Regioni, tra cui quelli derivanti dall'osservanza degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali.
In questo quadro, la disciplina statale rivolta alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema può incidere sulla materia caccia, pur riservata alla potestà legislativa regionale, ove l'intervento statale sia rivolto a garantire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, trattandosi di limiti unificanti che rispondono a esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato. Entro questi limiti, la disciplina statale deve essere applicata anche nella Regione Sardegna, fermo restando che altri aspetti connessi alla regolamentazione dell'esercizio venatorio rientrano nella competenza di quest'ultima.
6. - Con specifico riferimento alla questione sottoposta all'esame di questa Corte, occorre precisare che la delimitazione temporale del prelievo venatorio disposta dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde all'esigenza di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema per il cui soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera s) ritiene necessario l'intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale. Come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 323 del 1998, vi è un "nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi - accanto all'elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio".
La legge regionale impugnata ha inciso proprio su questo nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, procrastinando la chiusura della stagione venatoria oltre il termine previsto dalla legge statale. In base alla legge impugnata, la stagione di caccia è stata così prolungata per diverse specie di fauna selvatica (alzavola, cesena, colombaccio, beccaccia, beccaccino, marzaiola, pavoncella, tordo bottaccio e tordo sassello) oltre il termine del 31 gennaio, secondo quanto risulta dal calendario venatorio 2002/2003 contenuto nel decreto dell'Assessore della difesa dell'ambiente della Regione Sardegna del 3 luglio 2002, n. 19/V. L'estensione del periodo venatorio operata in tal modo dalla regione costituisce una deroga rispetto alla previsione legislativa statale, non giustificata da alcun elemento peculiare del territorio sardo, anche in considerazione del fatto che l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), organismo tecnico scientifico cui lo Stato italiano ha affidato compiti di ricerca e consulenza sulla materia, ha espresso in proposito un valutazione negativa. Nè essa può farsi rientrare tra le deroghe al regime di protezione della fauna selvatica che la direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, consente all'art. 9 solo per le finalità ivi indicate, rivolte alla salvaguardia di interessi generali (sentenza n. 168 del 1999), fra le quali non possono essere comprese quelle perseguite dalla legge regionale impugnata.
La deroga stabilita dalla Regione Sardegna non trova alcuna giustificazione nemmeno nella normativa comunitaria e internazionale in materia di protezione della fauna selvatica che richiede, rispettivamente, che gli Stati membri provvedano, in relazione alle specie migratrici, "a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione" (art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE), e che debbano essere protetti, "almeno durante il periodo della riproduzione, tutti gli uccelli, e, inoltre, i migratori durante il loro percorso di ritorno verso il luogo di nidificazione e in particolare in marzo, aprile, maggio, giugno e luglio " [art. 2, lettera a) della Convenzione di Parigi per la protezione degli uccelli del 18 ottobre 1950, resa esecutiva in Italia con la legge n. 812 del 1978].
Se è vero, come sostiene la regione resistente, che le suddette normative non prevedono termini inderogabili per l'esercizio dell'attività venatoria, occorre, pero, precisare che esse si prefiggono primariamente l'obiettivo di garantire la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi allo stato selvatico che devono essere protette dalle legislazioni nazionali.
La impostazione seguita trova conferma nella sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza del 7 dicembre 2000, causa C-38/99) per violazione dell'art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE, con specifico riferimento alla disciplina francese, richiamata peraltro, quanto alla regolamentazione della caccia in Corsica, dalla resistente per ulteriormente dimostrare la presunta irrazionalità della previsione della data del 31 gennaio come termine assoluto e indifferenziato per lo svolgimento dell'attività venatoria. Nella richiamata decisione, la Corte di giustizia ha ribadito quanto già affermato nella sentenza del 19 gennaio 1994 (causa C-435/92), e cioè che, per quanto riguarda lo scaglionamento delle date di chiusura della caccia, "le autorità nazionali non sono autorizzate dalla direttiva sugli uccelli a fissare siffatte date scaglionate in ragione delle specie di uccelli, a meno che lo Stato membro interessato possa fornire la prova, avallata da dati tecnico-scientifici appropriati a ciascun caso specifico, che uno scaglionamento delle date di chiusura della caccia non sia di ostacolo alla protezione completa delle specie di uccelli che da tale scaglionamento possono essere interessati".
7. - La disciplina statale che prevede come termine per l'attività venatoria il 31 gennaio si inserisce, dunque, in un contesto normativo comunitario e internazionale rivolto alla tutela della fauna migratoria che si propone di garantire il sistema ecologico nel suo complesso. La suddetta disciplina risponde senz'altro a quelle esigenze di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema demandate allo Stato e si propone come standard di tutela uniforme che deve essere rispettato nell'intero territorio nazionale, ivi compreso quello delle Regioni a statuto speciale. La legge della Regione Sardegna, privilegiando un preteso "diritto di caccia" rispetto all'interesse della conservazione del patrimonio faunistico che è stato più volte riconosciuto come prevalente da questa Corte (sentenze n. 1002 del 1988; n. 35 del 1995; n. 169 del 1999), non rispetta il suddetto standard di tutela uniforme e lede, pertanto, i limiti stabiliti dallo Statuto della Regione Sardegna (art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3).

Analoghi principi sono stati ribaditi di recente in materia di caccia in provincia di Bolzano con sentenza 487/2008
 - La disciplina contenuta nella norma censurata è riconducibile all'ambito materiale della “caccia”, che rientra nella competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano ai sensi dell'art. 8, n. 15, dello Statuto Trentino-Alto Adige/Südtirol. Si deve tuttavia rilevare come questa Corte abbia costantemente affermato che, anche a fronte della competenza legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, spetta pur sempre allo Stato la determinazione degli standard minimi ed uniformi di tutela della fauna, nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, secondo quanto prescrive l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex plurimis, sentenze n. 391 del 2005, n. 311 del 2003, n. 536 del 2002). Il fondamento di tale competenza esclusiva statale si rinviene nell'esigenza insopprimibile di garantire su tutto il territorio nazionale soglie di protezione della fauna che si qualificano come “minime” nel senso che costituiscono un vincolo rigido sia per lo Stato sia per le Regioni - ordinarie e speciali - a non diminuire l'intensità della tutela. Quest'ultima può variare, in considerazione delle specifiche condizioni e necessità dei singoli territori, solo in direzione di un incremento, mentre resta esclusa ogni attenuazione, comunque motivata. Si deve pure osservare che la materia “tutela dell'ambiente” non è contemplata nello Statuto Trentino-Alto Adige/Sudtirol, con la conseguenza che tutti gli oggetti, che non rientrano nelle specifiche e delimitate competenze attribuite alle Province autonome, rifluiscono nella competenza generale dello Stato nella suddetta materia, la quale implica in primo luogo la conservazione uniforme dell'ambiente naturale, mediante precise disposizioni di salvaguardia non derogabili in alcuna parte del territorio nazionale.

A quanto detto si deve aggiungere che, ai sensi degli artt. 4 e 8 dello stesso Statuto Trentino-Alto Adige/Südtirol, la legislazione regionale e provinciale è assoggettata agli obblighi internazionali e quindi ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea.
Si noti quanto sia in conferente il richiamo alle norme internazionali, che comunque non venivano lese dalle norme provinciali. Ma la corte spesso afferma che le norme internazionali corrispondono a principi fondamentali, dimenticando che per la Costituzione sono due cose diverse che ben possono avere diversa estensione, non foss’altro per il fatto che le norme internazionali richiedono quasi sempre adattamenti locali.

Molto sopra le righe appare la sentenza 387/2008 in materia di piccoli parchi zoologici in provincia di Bolzano in cui si finisce per affermare che ogni norma statale in materia di giardini zoologici e mantenimento di animali in cattività contiene principi fondamentali! Come dire che una regione non è libera di stabilire come tenere due caprioli in un prato, ma deve seguire le stesse norme previste per i circhi equestri! La stessa sentenza afferma poi che lo stabilire se vi siano da abbattere cervi troppo cresciuti di numero e divenuti dannosi, non è questione locale, ma nazionale.
In sostanza si può rilevare come la Corte Costituzionale si sia distinta per un rigido spirito antiautonomistico, pronta a riconoscere in ogni norma statale principi fondamentali assolutamente opinabili, pronta ad interpretare le norme di modifica costituzionale del 2001 come rivolte ad aumentare il potere centrale, in perfetto contrasto con lo spirito della legge; mai si è posta il problema se per ipotesi le norme regionali non rappresentassero un miglioramento rispetto ai cosiddetti “principi fondamentali”; mai si è posta il problema di stabilire la differenza fra i principi fondamentali delle leggi quadro, valevoli per le regioni a statuto ordinario e le norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica valevoli per le Regioni a Statuto speciale; per queste, anzi, neppure si è mai preoccupata di darne una definizione. Eppure è cosa contraria ad ogni regola di interpretazione giuridica l’affermare che quando i legislatore ha usato due espressioni diverse, voleva in effetti significa la stessa cosa! Queste espressioni sono diventate una delle tante vuote formulette giuridiche (l’ordine pubblico, i principi generali del diritto, ecc.) troppo spesso usate per giustificare l’attaccamento inconsulto a regole del passato
Mai, infine, si è posta il problema della legittimità di assorbire interamente la materia della caccia in quella più ampia della tutela ambientale così svuotando di fatto certe competenze delle Regioni speciali.

Per principi generali del diritto costituzionale le regioni non hanno mai competenza in materia di norme penali e di diritto processuale; non possono quindi creare, modificare od eliminare delitti e contravvenzioni, stabilire o modificare l’importo delle sanzioni penali. Le Regioni non possono stabilire chi ha o meno compente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza.
Le Regioni possono prevedere sanzioni amministrative per infrazioni contenute nella legge statale o regionale; possono aumentare (ma con qualche dubbio giuridico) l’importo delle sanzioni amministrative previste dalla legge statale, ma non possono diminuirlo.


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