Trattato del diritto della caccia - Risarcimento danno da selvaggina
Nella legislazione del 1939 la selvaggina era considerata res nullius, vale a dire un bene che ciascuno poteva prendere, rispettando le regole venatorie. Lo Stato quindi non poteva avere alcuna responsabilità per danni cagionati dalla selvaggina. Gli animali che producevano danni alle culture potevano essere fatti rientrare fra i nocivi e quindi cacciabili senza problema in tempo di caccia aperta, ma eliminabili anche con altri mezzi controllati.
Quando la legge del 1977 ha stabilito che la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato, è sorto il problema se lo Stato divenisse responsabile per i danni prodotti da essa in base all’art. 2052 C.C.
La giurisprudenza ritenne subito inapplicabile la norma stabilendo che il danno cagionato dalla fauna selvatica, che ai sensi della legge 27 dicembre 1977 n. 968 appartiene alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato, non è risarcibile in base alla presunzione stabilita nell'art. 2052 cod. civ., inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 cod. civ., anche in tema di onere della prova. Cass., 14 febbraio 2000, n. 1638.
Il richiamo all’art. 2043 CC sta significare che al di fuori di una espressa previsione di responsabilità dell’ente pubblico per i danni cagionati dalla selvaggina al coltivatore, il danno potrà essere risarcito solo se il danneggiato prova che il fatto si è verificato per colpa della pubblica amministrazione. Quindi se un orso si sbrana un turista, questo deve dimostrare che vi è stato un difetto di previsione dell’evento da parte di chi doveva tenere al situazione sotto controllo.
La Corte Costituzionale dichiarava la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa al fatto che solo certi danni venissero risarciti dalla legge del 1992, scrivendo: infatti le norme che prevedono un regime probatorio di favore per il risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica alla produzione agricola non sono estensibili 'sic et simpliciter', attesa la diversità delle fattispecie, alle ipotesi di danni causati dalla suddetta fauna a singole persone o cose, al di fuori dell'esercizio dell'attività agricola. Né tale diversità di disciplina normativa viola i beni tutelati dagli artt. 32 e 42 della Costituzione, ai quali appresta adeguata protezione l'art. 2043 cod. civ. ….
….. Il legislatore ha cioè inteso approntare una peculiare tutela all'agricoltura indennizzando gli effetti negativi ad essa derivanti dalla presenza di quegli animali sul territorio, presenza che nell'attuale contesto storico sociale è ritenuta meritevole di protezione nel quadro di un armonico equilibrio ambientale. *Corte Cost. Ord. 581/2000.
Sentenza molto opportunistica perché non vi è ragione al mondo per ritenere giusto risarcire i contadino se un cinghiale gli mangia le patate, ma non risarcirlo se il cinghiale gli ha danneggiato l’automobile parcheggiata nel campo di patate, oppure negare il risarcimento a chi si è trovato a passare nel branco con la sua auto. Il richiamo allo armonico equilibrio ambientale è ridicolo: perché mai questo deve andare a carico di singoli cittadini e perché mai solo i contadini devono essere tutelati. Questa era la domanda a cui la Corte doveva rispondere! Lo Stato di fronte a queste situazioni ha due possibilità; o non risarcisce nessuno (principio del “a chi tocca, tocca”) oppure risarcisce tutti, ripartendo la spesa su tutta la collettività. Ma non può risarcire qualcuno sì e qualcuno no; e tantomeno potrebbe prelevare i soldi dalla tasche dei cacciatori (ora dalla tasse regionali) i quali sono i controllati e non i controllori!
Anche il richiamo all’art. 2043 CC è una presa per i fondelli perché la P.A., che deve rispettare la normativa venatoria, non ha alcuna possibilità di effettivo controllo sulla selvaggina nociva e quindi mai potrà essere ritenuta in colpa per non essere intervenuta preventivamente.
Quindi, allo stato delle cose, il cittadino, in base alla legge quadro, non ha diritto ad ottenere un risarcimento per danni provocati da selvatici, se non è un conduttore di fondi rustici.
La normativa statale è la seguente in base alla quale si individuano due tipi di danno:
- quello subito da conduttori agricoli a coltivazioni e opere, regolato dalla legge venatoria;
- quello subito da qualsiasi cittadino per colpa o dolo della pubblica amministrazione e regolato dall’art. 2043 C.C.
L’art. 10 LC stabilisce che i piani faunistico-venatori devono indicare i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati quali oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri pubblici di riproduzione.
Il legislatore avrebbe più correttamente parlare non di risarcimento (che presuppone una responsabilità), ma di indennizzo.
L’art. 14 LC prevede che l’organo di gestione degli ambiti territoriali di caccia provveda all'erogazione di contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall'esercizio dell'attività venatoria nonché alla erogazione di contributi per interventi, previamente concordati, ai fini della prevenzione dei danni medesimi.
Non si comprende perché si parli di “contributi per il risarcimento”. O si paga il danneggiato ed allora è un risarcimento o un indennizzo; se si eroga un contributo ciò significa che questo viene percepito da un soggetto il quale poi lo integra con mezzi propri e provvede al pagamento al danneggiato. Ma allora andava spiegato chi è questo misterioso intermediario.
L’art. 26 LC prevede che per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate, sui terreni coltivati e a pascolo, della (rectius dalla) fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi delle tasse venatorie regionali.
Anche questa norma presenti punti oscuri. Quali possono essere i danni non altrimenti risarcibili? Se il contadino ha una assicurazione personale, il diritto al risarcimento passa necessariamente alla assicurazione che ha pagato i danni. Forse il legislatore ipotizzava un danno da illecito ex art. 2043 C.C., ma, come già detto, è una ipotesi molto teorica.
E per quale motivo non deve essere risarcibile un danno cagionato ad un bosco? Che cosa vuol dire che vengono risarciti in particolare i danni provocati da specie protette? Al contadino gliene importa ben poco di sapere se chi gli ha mangiato le patate era protetto o meno! E se il danno va comunque risarcito, che cosa comporta il fatto che sia stato prodotto da una specie non protetta?
Il fondo viene gestito da un comitato a cui il proprietario o il conduttore del fondo è tenuto a denunciare tempestivamente i danni; il comitato procede entro trenta giorni alle relative verifiche anche mediante sopralluogo e ispezioni e nei centottanta giorni successivi alla liquidazione.
La domanda di risarcimento va proposta di fronte al giudice ordinario e contro la Regione (non la Provincia; si vedano massime qui sotto).
Il problema è stato sottovalutato dal legislatore il quale nel 1992 era scioccamente succube di quelle fantasie che vedevano il mondo spopolato di animali, tutti in via di estinzione. Invece, è vero che vi sono specie a rischio di estinzione, quasi sempre in zone limitate e per l’eccessivo numero di presenze di esseri umani (il cosiddetto carico antropico) o per l’eccessivo sfruttamento agricolo, ma è anche vero che altre specie si riesce a controllarle solo con una eliminazione costante di capi perché perfettamente ambientatesi nella nuova situazione.
Si consideri che in una sola provincia dell’Emilia si sono pagati danni per quasi un milione di euro, di cui 8% cagionati dal fagiano, 15 % dalla lepre, 21% dal cinghiale. A ciò si aggiungano danni cagionati, a seconda delle zone, da caprioli, storni, cormorani, nutrie, ecc. Si consideri che in Toscana in una annata venatoria in cui i cinghiali hanno cagionato danni risarciti con circa 800.000 euro, ne sono stati abbattuti ufficialmente 70.000 senza che si sia notata una significativa diminuzione nella loro consistenza! La regione sta giustamente progettando di autorizzarne la caccia in ogni periodo dell’anno.
Qualunque persona logica ne concluderebbe che il milione di euro potrebbe essere risparmiato per aiutare i contadini a darci da mangiare pane, polenta e patate e che i cacciatori dovrebbero essere favoriti nel fornirci adeguato “companatico”. Giurisprudenza • Poiché con la legge regionale 7 settembre 1964 n 30 della regione Trentino alto Adige, la gestione delle riserve di caccia costituite di diritto nei territori di cui all'elenco allegato alla legge stessa, e affidata, per il territorio delle province di Trento e Bolzano, alle Sezioni provinciali dei cacciatori di quelle città a vantaggio dei cacciatori iscritti e non iscritti, la federazione italiana della caccia, da cui quelle Sezioni dipendono, non si colloca nella posizione di un qualsiasi titolare di mero diritto di godimento (come l'affittuario della riserva) di fronte al titolare della concessione, ma assume la ben diversa figura del concessionario ex lege della medesima situazione soggettiva spettante al titolare della riserva e cioè al comune, al quale della titolarità residua il puro nomen, sia perche non gli e dato esercitarne la facoltà, (impedendo che la gestione passi alla Federcaccia), sia perche nessun altro diritto esso può vantare all'infuori di quello di percepire un canone. (la Corte di Cassazione ha formulato tale principio per escludere in capo alla federazione della caccia una contrapposizione tra titolarità della riserva e gestione della stessa al fine di un riconoscimento della legittimazione alla tutela risarcitoria nei confronti di cacciatori di frodo).*Cass., 26 giugno 1972, n. 2188. • La domanda, con la quale il proprietario di un fondo, incluso dalla competente autorità amministrativa in zona di divieto assoluto di caccia (a norma dell'art 23 del RD 5 giugno 1939 n 1016), chieda alla amministrazione il risarcimento dei danni cagionati alle culture dalla selvaggina già presente, non più cacciabile per effetto di detto divieto e della sorveglianza espletata dagli agenti all'uopo incaricati, nonché dei danni derivanti dall'immissione di nuova selvaggina e dallo spargimento di bocconi avvelenati per i cani da caccia, con conseguente impedimento anche dell'impiego di cani per la custodia dell'immobile e dei prodotti, spetta alla cognizione del giudice ordinario nei limiti in cui deduca modalità attuative del suddetto provvedimento, non necessarie e non contemplate dallo stesso (immissione di nuova selvaggina e spargimento di bocconi avvelenati), e, come tali, integranti un'attività illecita e lesiva di posizioni di diritto soggettivo, per violazione del principio generale del neminem laedere; resta sottratta ad ogni tutela giurisdizionale, nella parte in cui censuri le scelte amministrative circa la introduzione del divieto di caccia e gli Atti di necessaria esecuzione (sorveglianza della zona), a fronte dei quali le posizioni del privato hanno natura di meri interessi di fatto; e, infine, devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, nella parte in cui denunci vizi di legittimità di quel provvedimento, e, quindi, coinvolga posizioni di interesse legittimo *Cass., Sez. U, del 13 luglio 1981, n. 4557 • La domanda proposta dal proprietario di un fondo, inserito in una riserva di caccia, nei confronti del titolare della concessione della riserva medesima, per denunciare che quest'ultimo, in violazione degli obblighi inerenti al mandato ricevuto per la tutela degli interessi di esso proprietario, abbia indebitamente chiesto ed ottenuto dal comitato provinciale della caccia un provvedimento di esclusione di parte di detto fondo da quella riserva, nonché per conseguirne la condanna al risarcimento dei danni, investe posizioni di diritto soggettivo inerenti al suddetto rapporto di mandato, senza interferire sul citato provvedimento amministrativo, e, pertanto, resta devoluta alla cognizione del giudice ordinario.*Cass., Sez. U, 29 marzo 1983, n. 2247.
Per il caso di abbattimento di animale selvatico nella regione Trentino-Alto Adige, senza il prescritto permesso della competente Sezione locale della federazione italiana della caccia, deve riconoscersi a detta federazione la legittimazione ad agire, contro l'autore dell'infrazione, per il risarcimento del danno, indipendentemente dall'appartenenza di detto animale allo stato, considerando che la federazione medesima; in qualità di concessionaria "ex lege" della gestione dei territori di quella regione istituiti in riserva di caccia (legge regionale 7 settembre 1964 n. 30), è titolare dei poteri e delle facoltà del concedente, e quindi è abilitata ad agire per il ristoro del pregiudizio subito dal concedente medesimo, e che, inoltre, in relazione ai suoi specifici compiti di tutela ed incremento del patrimonio faunistico (D.P.G.R. 13 agosto 1965 n. 129, e successive modificazioni), può ricevere anche in proprio un danno patrimoniale, per effetto dell'indicata infrazione.*Cass., 28 ottobre 1988, n. 5855. • Poiché a norma degli artt. 5, 6, e 15 della legge 27 dicembre 1977 n. 968 le regioni esercitano le funzioni amministrative in materia di caccia, predispongono piani annuali o pluriennali che prevedano, tra l'altro, oasi di protezione destinate al rifugio, alla riproduzione, ed alla sosta della fauna selvatica, nonché, provvedono alla gestione sociale del territorio, passivamente legittimata rispetto all'azione di risarcimento dei danni derivanti a terzi dalla violazione delle norme relative alla istituzione delle oasi di protezione della fauna selvatica, è la regione, anche se abbia delegato i relativi poteri alla provincia, in quanto delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante. *Cass., 1° agosto 1991, n. 8470. • Le disposizioni di cui all'art. 39 della legge regionale toscana n. 17 del 1980 (a norma del quale, per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alle produzioni agricole dalla selvaggina e dalla attività venatoria, il fondo di tutela viene ripartito tra le amministrazioni provinciali) e di cui al precedente art. 17 (secondo il quale, agli effetti dell'esercizio venatorio, sono considerati selvaggina gli uccelli ed i mammiferi di cui sia consentita la caccia) integrano uno stretto ed inscindibile collegamento tra l'esercizio della caccia e la risarcibilità dei danni arrecati dalla selvaggina alle colture agricole (tant'è che il settimo comma del citato art. 39 prevede la non indennizzabilità dei danni imputabili all'esercizio della caccia al di fuori dei periodi e dei giorni in cui questa è consentita), mentre il limite a detta risarcibilità (posto dal sesto comma del detto art. 39, che richiede la adozione di recinzioni del fondo tali da impedire il libero passaggio di animali o persone) non può essere invocato in relazione a vicende di animali che, nonostante chiusure o recinzioni, abbiano, comunque, la facoltà di "accesso" al fondo, come nel caso degli uccelli, per i quali non è, ovviamente, ipotizzabile alcuna ragionevole possibilità di chiusura o recinzione, ed in relazione ad i quali non è legittimo prospettare una esclusione "tout court" dal novero degli animali produttori di danni risarcibili, avendo, al contrario, il legislatore regionale adottato espressa previsione in tal senso, considerandoli esplicitamente come "selvaggina", e ricoprendoli, per l'effetto, nel novero degli animali i cui danni al fondo generano l'obbligo risarcitorio a carico dell'ente territoriale competente (nella specie, la Provincia). *Cass., 7 agosto 1997, n. 7301. • Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio") attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma terzo) e affida alle medesime (cui la legge n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni Provincie e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle Provincie le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990 (art. 9, comma primo). Ne consegue che la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 cod. civ. dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme. *Cass., 24/09, n. 13907. • Il ristoro del danno non altrimenti risarcibile arrecato alla produzione agricola dalla fauna selvatica deve essere richiesto nei confronti della Regione, a norma dell'art. 26 della legge 11 febbraio 1992, n.157 (e, nel caso di specie, anche dell'art. 47 della legge regionale n. 26 del 1993 Regione Lombardia). Detta forma di compensazione dell'interesse leso (qualificata dalle leggi regionali talvolta come risarcimento e talvolta come indennizzo) non rientra nell'ipotesi di responsabilità aquiliana, non trattandosi di danno ingiusto, non potendosi tuttavia escludere in astratto che, allorché tale danno abbia i caratteri dell'ingiustizia, di esso debba rispondere l'autore secondo i principi propri della responsabilità aquiliana.(Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ammesso la citazione ai sensi dell'art. 2043 cod.civ. del consorzio di comuni gestore della riserva avicola dalla quale provenivano gli uccelli che avevano prodotto danni alle colture, rilevando che l'intervento della Regione ex l. 157 del 1992 cit. era previsto solo in ipotesi di danno "non altrimenti risarcibile"). *Cass., 28 luglio 2004, n. 14241. • L'intervento economico a carico della Regione Calabria, impropriamente denominato "risarcimento", previsto dall'art. 2 commi 1-3 della legge reg. 27 gennaio 1986, n. 3 (nel testo sostituito dall'art. 25 comma quarto della legge reg. n. 10 del 1988) e volto a ristorare il danno arrecato da specie di animali che la legge stessa intende proteggere dall'estinzione o dai cani randagi o inselvatichiti, è ricompreso nella "materia", disciplinata dalla medesima legge reg. e da leggi statali, intesa alla reintegrazione economica dei patrimoni danneggiati da eventi non dipendenti da fatti o comportamenti antigiuridici dell'Amministrazione, cui non possono applicarsi i principi dettati in tema di responsabilità aquiliana e neppure, in caso di mancata corresponsione dell'indennizzo da parte della Regione, le regole che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova nel relativo giudizio promosso dall'avente diritto. (Principio enunciato ai fini della individuazione dei limiti di censurabilità di decisione del giudice di pace pronunciata "in subiecta materia"). *Cass., 13 aprile 2005, n. 7685. • La domanda di condanna della P.A. al risarcimento dei danni sofferti dal privato proprietario di colture danneggiate da animali selvatici la cui caccia sia preclusa spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che assuma alcun rilievo la procedimentalizzazione dell'accertamento del fatto prevista dalla normativa regionale (nella specie, la legge reg. dell'Emilia Romagna 15 febbraio 1994, n. 8), in quanto, non essendo in discussione il modo di esercizio di un potere pubblico, la posizione del richiedente non è inquadrabile nello schema "norma - potere - effetto giuridico", bensì in quello "norma - fatto - effetto giuridico"; né la tutela della situazione giuridica del danneggiato può essere condizionata dalle limitazioni dei mezzi finanziari dell'ente territoriale, costituendo siffatte limitazioni elementi estranei non previsti dal sistema, che si risolvono in una condizione di privilegio del debitore meramente soggettiva, e come tale irrilevante. Cass., Sez. U, 20 aprile 2006, n. 9163. • In tema di risarcimento dei danni sofferti dal privato proprietario di un fondo danneggiato da animali selvatici la cui caccia sia preclusa, la domanda di condanna della P.A., proposta a seguito della conclusione del procedimento amministrativo previsto dalla normativa regionale (nella specie, la legge reg. della Campania 10 aprile 1996, n. 8), che abbia accertato l'avvenuta verificazione di un fatto suscettibile di riparazione, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario: infatti, non essendo in discussione il modo di esercizio di un potere pubblico, la posizione del richiedente non è inquadrabile nello schema "norma - potere - effetto giuridico", bensì in quello "norma - fatto - effetto giuridico"; né la tutela della situazione giuridica del danneggiato può essere condizionata dalle limitazioni dei mezzi finanziari dell'ente territoriale, costituendo siffatte limitazioni elementi estranei non previsti dal sistema, che si risolvono in una condizione di privilegio del debitore meramente soggettiva, e come tale irrilevante.*Cass., Sez. U, 20 aprile 2006, n. 9159. • La legge 11 febbraio 1992, n. 157 ha attribuito alle Regioni la competenza ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela della fauna selvatica e ad esercitare le funzioni di programmazione e pianificazione al riguardo, per cui compete ad esse l'obbligo di predisporre le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose. Ne consegue che va proposta nei confronti della Regione la domanda di risarcimento del danno, il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, provocato alla proprietà privata dalla fauna selvatica. Non osta all'applicazione di tale principio l'art. 15 della legge n. 394 del 1991, in quanto la norma, significativamente intitolata "Acquisti, espropriazioni ed indennizzi", disciplina una materia diversa da quella del risarcimento dei danni cagionati alla proprietà privata dalla fauna selvatica (fattispecie relativa a danni ad un'autovettura causati da un cinghiale all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso). *Cass., 10 ottobre 2007, n. 21282. • Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio") attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma terzo) e affida alle medesime (cui la legge n. 142 del 1990, nel definire i rapporti tra Regioni Provincie e Comuni, ha attribuito la qualifica di ente di programmazione e di coordinamento) i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle Provincie le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna ad esse delegate ai sensi della legge n. 142 del 1990 (art. 9, comma primo). Ne consegue che la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 cod. civ. dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme. *Cass., 24 settembre 2002, n. 13907.