Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Trattato del diritto della caccia - Caccia in deroga

Voce collegata: Specie cacciabili

La Direttiva 79/409/CEE ha preceduto la nostra legge sulla caccia del 1992 ed è sempre stata oggetto di contestazioni interpretative, stiracchiata pro e contro da ambientalisti e cacciatori, in particolare per quando riguarda il margine di libertà dei singoli stati e delle regioni. Si potrebbe scrivere un libro sulle sue vicende, ma molti dei problemi sono stati superati, bene o male, dalle interpretazioni ufficiali della Corte di giustizia europea. È quindi opportuno partire dalla sentenza del 15 luglio 2010 nella causa promossa dalla Commissione europea contro l’Italia in cui sono stati fissati importanti criteri interpretativi.
La sentenza inizia esponendo i principi fondamentali della direttiva:
- Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 79/409, essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico ed è volta a disciplinarne lo sfruttamento.
- L’art. 2 di tale direttiva dispone che gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all’art. 1 di quest’ultima ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative.
- In forza dell’art. 3 della direttiva 79/409, tenuto conto delle esigenze di cui all’art. 2 di tale direttiva, gli Stati membri adottano le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli di cui all’art. 1 della medesima direttiva, una varietà e una superficie di habitat.
- Ai sensi dell’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409 «al di fuori delle zone di protezione speciale, gli Stati membri cercheranno inoltre di prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat».
- L’art. 5 della citata direttiva impone altresì agli Stati membri di instaurare un regime generale di protezione che comprenda in particolare il divieto di uccidere, catturare o disturbare gli uccelli di cui all’art. 1 di quest’ultima e di distruggere i nidi.
- L’art. 6 della direttiva 79/409 vieta, fatte salve alcune deroghe, di porre in commercio le specie di uccelli tutelate dalla direttiva.
- In forza dell’art. 7, n. 1, della direttiva 79/409, le specie elencate nell’allegato II possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale. L’art. 7, n. 4, di tale direttiva dispone, in particolare, che «gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili sull’applicazione pratica della loro legislazione ... sulla caccia».
- Conformemente all’art. 9 della direttiva 79/409, gli Stati membri possono, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, derogare a tale regime restrittivo per la caccia nonché alle altre restrizioni e divieti di cui agli artt. 5, 6 e 8 della direttiva, per le ragioni elencate nel citato art. 9, n. 1, lett. a) c), e cioè, in primo luogo, nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica nonché della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni all’agricoltura, per la protezione della flora e della fauna, in secondo luogo, ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni e, in terzo luogo, per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità. Ai sensi dell’art. 9, n. 2, della citata direttiva, le deroghe dovranno menzionare le specie che formano oggetto delle medesime, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser compiute, l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone, nonché i controlli che saranno effettuati.
- In forza dell’art. 10, n. 2, della direttiva 79/409, gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni necessarie relativamente alle ricerche e ai lavori necessari per la protezione, la gestione e l’utilizzazione della popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all’art. 1 di tale direttiva.
- Conformemente all’art. 11 della citata direttiva, gli Stati membri consultano la Commissione in merito all’introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri.
- Ai sensi dell’art. 13 della direttiva 79/409, l’applicazione delle misure adottate in forza di tale direttiva non deve provocare un deterioramento della situazione per quanto riguarda la conservazione delle specie di uccelli di cui all’art. 1 della citata direttiva.
- L’art. 18, n. 2, della direttiva 79/409 esige che il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno adottate nel settore disciplinato da tale direttiva sia comunicato alla Commissione.
La sentenza passa poi ad esaminare la situazione della legislazione italiana rilevando che:
- In forza dell’art. 1, n. 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, le regioni e le province provvedono ad istituire lungo le rotte di migrazione dell’avifauna, segnalate dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica, zone di protezione finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi e provvedono al ripristino dei biotopi distrutti e alla creazione dei biotopi.
- Le specie menzionate all’art. 2, n. 1, lett. b) e c), della legge n. 157/1992 sono particolarmente protette.
- In forza dell’art. 3 di tale legge, è vietata ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati.
- Conformemente all’art. 10 della legge citata, tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto, per le regioni e le province, a pianificazione faunistico-venatoria finalizzata alla conservazione delle specie mediante la destinazione differenziata del territorio.
- In forza dell’art. 16 della legge n. 157/1992, le regioni possono autorizzare l’istituzione di aziende faunistico-venatorie al fine di garantire l’obiettivo naturalistico e faunistico.
- L’art. 18 della legge n. 157/1992 indica i periodi nel corso dei quali è consentito abbattere talune specie e autorizza le regioni a modificarne i termini per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali.
- Conformemente all’art. 19 bis, n. 1, della legge n. 157/1992, le regioni disciplinano l’esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409. In forza di tale art. 19 bis, n. 4, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della legge citata e della direttiva 79/409.
- Conformemente all’art. 20 della legge n. 157/1992, il Ministro dell’agricoltura e delle foreste autorizza l’introduzione dall’estero di fauna selvatica viva, purché appartenente alle specie autoctone, a scopo di ripopolamento e di miglioramento genetico.
- Ai sensi dell’art. 21, n. 1, della legge n. 157/1992, in linea di principio è vietato a chiunque: di prendere e detenere uova, nidi e piccoli nati di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica, di vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica; di detenere, acquistare e vendere esemplari di fauna selvatica;
- L’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, dispone che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano per i proposti siti di importanza comunitaria opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate e adottano per le zone speciali di conservazione le misure di conservazione necessarie che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici od integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali.
- In forza dell’art. 6 del decreto n. 357/1997, la rete «Natura 2000» comprende le zone di protezione speciale previste dalla direttiva 79/409 e dall’art. 1, n. 5, della legge n. 157/1992, alle quali si applicano gli obblighi derivanti, segnatamente, dall’art. 4 di tale decreto.
- Conformemente all’art. 1, nn. 1 e 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle aree protette, tale legge detta principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese, vale a dire le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
- In forza dell’art. 1, n. 3, di tale legge, i territori nei quali siano presenti i valori di cui al comma 2 di tale articolo sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione, allo scopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità:
- conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;
- applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali, nonché
- promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili e difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.
La sentenza passa poi all’esame delle singole contestazioni all’Italia:
I) Violazione dell’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409
La Commissione sostiene che l’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409 non è stato trasposto nell’ordinamento giuridico italiano. A tale proposito essa afferma che la normativa di trasposizione dell’art. 4, n. 4, della direttiva 79/409 – e cioè gli artt. 4 e 6 del decreto n. 357/1997 – predispone idonee misure di prevenzione atte ad impedire l’inquinamento e il deterioramento degli habitat riguardo alle zone di protezione speciale e non nei confronti degli habitat esterni a tali zone. Inoltre, la Commissione contesta le affermazioni contenute nel controricorso della Repubblica italiana, secondo le quali l’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409 è stato recepito, in realtà, con le leggi nn. 394/1991 e 157/1992. Secondo la Commissione, le disposizioni delle due leggi invocate dalla Repubblica italiana non presentano alcun contenuto specificamente ornitologico e hanno una portata più limitata di quella dell’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409.
La Repubblica italiana afferma che diverse disposizioni delle leggi nn. 394/1991 e 157/1992 garantiscono la protezione degli habitat fuori delle zone di protezione speciale di cui all’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409.
Anzitutto, la Repubblica italiana osserva che l’art. 1, n. 1, della legge n. 394/1991 prevede varie zone protette finalizzate alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio naturale del paese, fermo restando che, a suo parere, esse sono in parte esterne alle zone di protezione speciale. Tale Stato membro rileva poi che, ai sensi dell’art. 1, n. 3, della legge citata, i territori sui quali insistono dette aree sono sottoposti, nel loro complesso, ad uno speciale regime di tutela e di gestione, allo scopo, in primo luogo, di perseguire, in particolare, la conservazione di specie animali o vegetali e, in secondo luogo, l’applicazione di metodi di gestione e di restauro ambientale.
Inoltre, la Repubblica italiana afferma che, conformemente all’art. 10 della legge n. 157/1992, tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria, nell’ambito della quale le amministrazioni provinciali devono provvedere ad attuare, da una parte, programmi volti al ripristino ed alla tutela degli habitat e dall’altra, azioni mirate volte a tutelare l’avifauna migratoria lungo le rotte di migrazione. Infine, tale Stato membro rileva che, in forza dell’art. 16 della legge n. 157/1992, le regioni possono autorizzare l’istituzione di aziende faunistico-venatorie per prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche e che, in base ai regolamenti regionali ed ai disciplinari provinciali, il rilascio della concessione aziendale è subordinato alla presentazione di programmi di conservazione e di ripristino ambientale al fine di garantire l’obiettivo naturalistico e faunistico.
Sul punto la sentenza ha così deciso:
Sebbene l’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409 non imponga obbliga-toriamente che si ottengano taluni risultati, cionondimeno gli Stati membri devono porsi seriamente l’obiettivo di proteggere gli habitat al di fuori delle zone di protezione speciale (v. sentenza 13 dicembre 2007, causa C 418/04, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I 10947, punto 179 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, è giocoforza rilevare che, nel caso di specie, la Repubblica italiana deve adoperarsi per adottare le misure adeguate al fine di evitare l’inquinamento o la perturbazione degli habitat.
Come sostiene la Commissione, la Repubblica italiana, avendo riconosciuto che il decreto n. 357/1997 non costituisce una trasposizione dell’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409, afferma che le leggi nn. 394/1991 e 157/1992 consentono di garantire il rispetto dell’obbligo risultante da tale disposizione della citata direttiva.
Occorre esaminare, pertanto, se può ritenersi che le disposizioni delle leggi nn. 394/1991 e 157/1992, invocate dalla Repubblica italiana, consentano di garantire la protezione degli habitat degli uccelli selvatici al di fuori delle zone di protezione.
Al riguardo, occorre rilevare che l’art. 1 della legge n. 394/1991 verte esclusi-vamente sull’istituzione e la gestione delle aree naturali protette ai fini della conservazione e della valorizzazione del patrimonio naturale del paese e non contiene alcun riferimento specifico alle considerazioni ornitologiche previste dall’art. 4 della direttiva 79/409. La circostanza che tali zone siano assoggettate ad un regime speciale di protezione e di gestione ai fini della conservazione, in particolare, di specie animali non consente di ritenere che gli interessi ornitologici siano specificamente protetti. Pertanto, è giocoforza rilevare che la legge n. 394/1991 non prevede misure adeguate per prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat di cui è causa al di fuori delle zone di protezione speciale (v., in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 182).
Quanto alle disposizioni della legge n. 157/1992 invocate dalla Repubblica italiana, nemmeno tali disposizioni prevedono misure idonee ai fini del conseguimento dell’obiettivo previsto dall’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409. Si deve rilevare, infatti, anzitutto, che l’art. 10 di tale legge, in forza del quale le province elaborano una pianificazione faunistico-venatoria nonché piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la riproduzione naturale di fauna selvatica nonché piani di immissione di fauna selvatica, ha una portata più limitata di quella dell’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409 e non contiene alcun riferimento specifico alle considerazioni di ordine ornitologico. In particolare, se è pur vero che il soggiorno della fauna migratoria, conformemente all’art. 10 della legge n. 157/1992, deve essere tutelato in taluni territori, occorre rilevare che l’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409, mira alla tutela degli habitat di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico ai sensi dell’art. 1 di tale direttiva. Del pari, l’obbligo, legato all’istituzione di aziende faunistico-venatorie, di elaborare programmi di conservazione e di ripristino ambientale, previ-sto dall’art. 16 della legge n. 157/1992, non consente di ritenere che gli interessi ornitologici saranno specificamente e sistematicamente protetti.
Ciò premesso, si deve concludere che le disposizioni delle leggi nn. 394/1991 e 157/1992 non possono ritenersi costitutive di un’adeguata trasposizione dell’art. 4, n. 4, seconda frase, della direttiva 79/409. Pertanto, si deve dichiarare che la censura della Commissione relativa alla violazione di quest’ultima disposizione è fondata.
II) Violazione dell’art. 9 della direttiva 79/409
 La Commissione sostiene, in primo luogo, che la normativa di attuazione dell’art. 9 della direttiva 79/409, e cioè l’art. 19 bis della legge n. 157/1992, istituisce un procedimento di controllo di legittimità delle deroghe a livello regionale «sostanzialmente inefficace e intempestivo». In secondo luogo, la Commissione afferma che la normativa relativa ai prelievi venatori nelle regioni Abruzzo, Lazio, Lombardia nonché Toscana e i singoli provvedimenti che autorizzano i prelievi in dette regioni e nelle regioni Emilia Romagna, Marche, Calabria e Puglia non soddisfano i requisiti di cui all’art. 9 della direttiva 79/409 o, quantomeno, non li soddisfacevano alla scadenza del termine impartito nel parere motivato.
Per quanto riguarda la Regione Abruzzo, la Commissione rileva che l’art. 59 della legge regionale 28 gennaio 2004, n. 10, relativa all’esercizio delle deroghe previste dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, consente in maniera generale la caccia di due specie protette, cioè il passero e lo storno, senza che siano rispettate le esigenze di cui all’art. 9 della direttiva 79/409, considerato che tali due specie sono menzionate in una legge la cui applicazione non è limitata a specifiche stagioni venatorie e che non indica i motivi per cui il prelievo di tali due specie rappresenterebbe l’unica soluzione possibile al fine di prevenire rilevanti danni alle colture. Inoltre, essa ritiene che la citata normativa della Regione Abruzzo lasci un ampio margine alla Giunta regionale per disciplinare il prelievo venatorio in deroga delle specie interessate dalla direttiva 79/409 al fine di tutelare l’agricoltura, l’allevamento, la flora e la fauna. La Commissione aggiunge che vari provvedimenti di attuazione evidenziano che la Regione Abruzzo ricorre al prelievo venatorio in deroga facendo applicazione della citata normativa.
Per quanto riguarda la regione Lazio, la Commissione osserva che l’art. 35 bis della legge regionale 2 maggio 1995, n. 17, introdotto dalla legge 20 gennaio 2002, n. 3, consente in maniera generale la caccia di tre specie protette, vale a dire passero, storno e passera mattugia, senza menzionare le ragioni astratte, né tantomeno i motivi concreti che giustificano l’autorizzazione del prelievo di dette specie protette. A suo parere, tale normativa non indica né i mezzi né gli impianti e tantomeno i metodi di cattura e di uccisione autorizzati. La Commissione aggiunge che, sebbene la citata normativa sia stata modificata dall’art. 81 della legge regionale 28 dicembre 2007, n. 26, recante legge finanziaria regionale per l’esercizio 2008 (art. 11 della legge regionale 20 novembre 2001, n. 25) e le specie oggetto della deroga non siano più menzionate, non per questo essa soddisfa i requisiti di cui all’art. 9 della direttiva 79/409, in quanto non è necessario che i singoli atti menzionino le ragioni che giustificano la deroga, i motivi precisi che costituiscono il nesso di casualità tra il prelievo e l’esigenza che esso è inteso a soddisfare, né che il criterio attinente all’assenza di altre soluzioni soddisfacenti sia soddisfatto. La Commissione rileva inoltre che provvedimenti concreti adottati al fine di auto-rizzare il prelievo venatorio in deroga contravvengono parimenti l’art. 9.
Quanto alla regione Lombardia, la Commissione osserva che il prelievo venatorio in deroga di varie specie protette è stato autorizzato senza rispettare l’art. 9 della direttiva 79/409. Infatti, le leggi regionali 2 agosto 2004, n. 18 (stagione venatoria 2004/2005) e 3 agosto 2005, n. 13 (stagione venatoria 2005/2006) non riportano motivazioni sufficienti per spiegare le ragioni dei prelievi venatori in deroga di esemplari appartenenti alle specie fringuello e peppola autorizzati ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), di tale direttiva e di esemplari appartenenti alle specie passero d’Italia, passera mattugia e storno autorizzati in forza dell’art. 9, n. 1, lett. a), della direttiva medesima. La Commissione osserva inoltre che il prelievo per le specie fringuello, peppola e storno è stato successivamente autorizzato dalla legge regionale 6 agosto 2007, n. 20 (stagione venatoria 2007/2008), senza tuttavia fornire alcuna indicazione sulle ragioni astratte e sui motivi concreti che renderebbero necessario il prelievo di alcuni esemplari di tali specie, né sull’assenza di altre soluzioni soddisfacenti. La Commissione aggiunge che varie delibere dimostrano che la normativa della Regione Lombardia non è conforme all’art. 9 della direttiva 79/409.
Per quanto riguarda la Regione Toscana, la Commissione osserva che l’art. 37 bis della legge regionale 11 ottobre 2002, n. 36, recante modifica alla legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) non richiede che le singole deroghe indichino le ragioni e i motivi che giustifichino tali deroghe, informino circa l’esame concreto delle altre possibili soluzioni e menzionino l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate. Secondo la Commissione, le leggi regionali 5 dicembre 2003, n. 57, 8 ottobre 2004, n. 51, e 30 settembre 2005, n. 57, nonché le delibere di applicazione delle medesime, presentano gli stessi vizi.
Per quanto riguarda le regioni Emilia Romagna, Marche, Calabria e Puglia, la Commissione sostiene che gli atti applicativi che autorizzano il prelievo in deroga siano in contrasto con l’art. 9 della direttiva 79/409.
La Commissione ne conclude che dalla trasposizione e attuazione dell’art. 9 della direttiva 79/409 nell’ordinamento giuridico italiano consegue l’autorizzazione di un regime semi-permanente di caccia agli uccelli rispetto ai quali la caccia è vietata.
Sul punto la sentenza ha così deciso:
Si deve osservare anzitutto, da un lato, che la direttiva 79/409, come emerge dal suo art. 1, mira alla conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri e si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e, dall’altro, che l’efficace protezione degli uccelli costituisce un problema ambientale tipicamente transfrontaliero, che implica responsabilità comuni degli Stati membri (sentenza 12 luglio 2007, causa C 507/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I 5939, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).
Occorre poi ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri destinatari di una direttiva ha l’obbligo di adottare, nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue (v., in particolare, sentenza 24 giugno 2003, causa C 72/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I 6597, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).
Peraltro, sempre secondo giurisprudenza costante, la sussistenza di un inadempi-mento dev’essere valutata alla luce della situazione esistente nello Stato membro interessato alla scadenza del termine fissato nel parere motivato. Ora, nel caso di specie è assodato che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, la Repubblica italiana non aveva adottato i provvedimenti atti a garantire la corretta trasposizione dell’art. 9 della direttiva 79/409.
Inoltre, la Corte ha già dichiarato che la circostanza che uno Stato membro abbia affidato alle proprie regioni l’attuazione di direttive non può avere alcuna influenza sull’applicazione dell’art. 258 TFUE. Infatti, sebbene ogni Stato membro sia libero di ripartire come crede opportuno le competenze normative sul piano interno, tuttavia, a norma dell’art. 258 TFUE, esso resta il solo responsabile, nei confronti dell’Unione, del rispetto degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione (v. sentenza 10 giugno 2004, causa C 87/02, Commissione/Italia, Racc. pag. I 5975, punto 38 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e termini imposti dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 2005, causa C 67/05, Commissione/Germania, punto 9, e giurisprudenza ivi citata).
Ciò premesso, la circostanza che la caccia ricada nella competenza esclusiva delle regioni non può dispensare la Repubblica italiana dall’obbligo di garantire che le deroghe al regime restrittivo della caccia adottate dalle autorità competenti rispettino i requisiti e le esigenze posti dall’art. 9 della direttiva 79/409.
Conseguentemente, si deve dichiarare che la censura della Commissione attinente alla violazione di detto art. 9 è fondata.
III) Violazione degli artt. 2, 3, 5 7, 10, 11, 13 e 18 della di-rettiva 79/409
 In primo luogo, la Commissione afferma di non aver rinvenuto nell’ordinamento giuridico italiano alcuna disposizione di trasposizione degli artt. 2, 10, n. 2, e 13 della direttiva 79/409. Essa ne deduce che le disposizioni citate non sono state trasposte in tale ordinamento giuridico. In secondo luogo, la Commissione sostiene che la normativa di trasposizione dell’art. 3 della direttiva 79/409, e cioè l’art. 1, n. 5, della legge n. 157/1992, non prevede che, all’atto dell’emanazione dei provvedimenti di cui all’art. 3 della direttiva 79/409, le autorità competenti debbano tener conto dei requisiti menzionati all’art. 2 di quest’ultima.
In terzo luogo, la Commissione afferma che la normativa di trasposizione dell’art. 5 della direttiva 79/409, e cioè gli artt. 2, n. 1, lett. b) e c), 3 e 21, n. 1, lett. o) e ee), della legge n. 157/1992, non prevede alcun divieto di distruzione e danneggiamento deliberato delle specie di uccelli tutelate da tale direttiva.
In quarto luogo, la Commissione osserva che l’art. 21, n. 1, lett. bb), della legge n. 157/1992, che traspone nell’ordinamento giuridico italiano l’art. 6 della direttiva 79/409, non vieta il trasporto per la vendita degli uccelli menzionati all’art. 1 di tale direttiva.
In quinto luogo, la Commissione sostiene che l’art. 18 della legge n. 157/1992, con cui è stato trasposto nell’ordinamento giuridico italiano l’art. 7 della direttiva 79/409, non richiede espressamente che i periodi di caccia rispettino il divieto di caccia durante il periodo della nidificazione o durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza. Essa deduce inoltre l’assenza di una disposizione di diritto interno che preveda modalità adeguate di informazione sull’applicazione concreta della legislazione sulla caccia.
In sesto luogo, la Commissione osserva che la normativa di trasposizione dell’art. 11 della direttiva 79/409, cioè l’art. 20 della legge n. 157/1992, non prevede che la Commissione sia consultata nei casi di eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo.
In settimo luogo, la Commissione afferma che, non avendo comunicato i testi delle leggi regionali emanate dalle regioni Lazio, Lombardia, Toscana e Puglia, la Repubblica italiana ha violato l’obbligo di cooperazione e di aggiornamento della situazione normativa interna in relazione al recepimento e all’applicazione della direttiva 79/409, sancito dall’art. 18, n. 2, di quest’ultima.
La Repubblica italiana riconosce la mancata trasposizione delle summenzionate disposizioni e afferma che il governo italiano ha sottoposto all’esame del Senato un disegno di legge che tiene conto delle osservazioni della Commissione.
 Sul punto la sentenza ha così deciso:
A tal riguardo, è giocoforza rilevare che dalla giurisprudenza citata al punto 64 della presente sentenza emerge che la sussistenza di un inadempimento deve essere valutata alla luce della situazione esistente nello Stato membro interessato alla scadenza del termine fissato nel parere motivato.
Orbene, nel caso di specie è assodato che alla scadenza del termine fissato nel parere motivato i provvedimenti necessari per la corretta trasposizione della direttiva 79/409 sotto questi diversi profili non erano stati emanati.
Si devono pertanto ritenere fondate le censure della Commissione relative alla vi-olazione degli artt. 2, 3, 5 7, 10, 11, 13 e 18 della direttiva 79/409.
Alla luce del complesso delle considerazioni sin qui svolte si deve dichiarare che, poiché la normativa di trasposizione nell’ordinamento italiano della direttiva 79/409 non è completamente conforme a tale direttiva e il sistema di recepimento dell’art. 9 di quest’ultima non garantisce che le deroghe adottate dalle autorità italiane competenti rispettino le condizioni e i requisiti previsti da tale articolo, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 2 7, 9 11, 13 e 18 della citata direttiva.

La sentenza, pur avendo chiarito molti punti, in pratica ha una efficacia limitata perché si limita a richiedere una maggior impegno formale da parte dello stato italiano e delle regioni, sia nel precisare a livello locali gli obblighi imposti dalla direttiva, sia nel motivare adeguatamente le ragioni delle deroghe. Per un agricoltore abruzzese è del tutto ovvio che l’unico mezzo per salvare l’uva e le olive dagli storni è quello di eliminarli, ma ai giudici del Tar o della Corte di giustizia è anche necessario spiegare che cosa sono gli storni e che non bastano davvero alcuni spaventapasseri vestiti con toghe nere per farli digiunare! Del resto pare veramente eccessivo che per togliere un po’ di piccioni da Venezia (animali inquinanti e pericolosi per l’igiene, peggio dei ratti, e dannosi per gli edifici!) sia necessario il parere dell’ISPRA, che magari tentenna, quando un severo e permanente controllo dovrebbe essere obbligatorio.

Le norme da applicare
L’art. 9 della Direttiva recita
1. Sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare agli articoli 5, 6, 7 e 8 per le seguenti ragioni;
a) - nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica,
- nell’interesse della sicurezza aerea,
- per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,
- per la protezione della flora e della fauna;
b) ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni;
c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
2. Le deroghe dovranno menzionate:
- le specie che formano oggetto delle medesime,
- i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata,
- le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte,
- l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone,
- i controllo che saranno effettuati.
3. Gli Stati membri inviano ogni anno alla Commissione una relazione sull’applicazione del presente articolo.
4. In base alle informazioni di cui dispone, in particolare quelle comunicatele ai sensi del paragrafo 3, la Commissione vigila costantemente affinché le conseguenze di tali deroghe non siano incompatibili con la presente direttiva. Essa prende adeguate iniziative in merito.

La legge italiana ha regolato le possibilità concesse dalla direttiva di derogare alle regole generali, negli artt. 18 (periodi di caccia) e 19 LC (controllo fauna selvatica), che richiamano interamente le regole della direttiva demandandone l’applicazione alla singole regioni sotto il controllo statale.
La situazione al momento è ancora un po’ confusa. Il TAR del Veneto, che in precedenza aveva bocciato le deroghe introdotte dalla regione, con ordinanza del 27 ottobre 2010 n. 748 ha approvato le deroghe introdotte con la delibera n. 2371 del 5 ottobre 2010 in relazione a determinate specie di uccelli in buono stato di conservazione. Il TAR ha rilevato che la deroga che la deroga è consentita dall’art. 9 lett. e) della Direttiva Uccelli e che il provvedimento è correttamente motivato in quanto l'iter logico seguito dalla delibera della Giunta regionale veneta si è basato sul rigoroso principio del controllo, che in Veneto è stato garantito dall'approntamento delle schede sui prelievi da compilarsi puntualmente con la trasmissione temporale delle medesime agli uffici regionali, onde evitare il superamento dei carnieri stagionali consentiti dalla delibera. L'adeguata preparazione del servizio di vigilanza conferma l'assunto così puntualmente indicato e inoltre la precisa predisposizione dell'elenco delle specie prelevabili e dei carniere giornaliero e annuale complessivo completano l'impostazione dell'ampia delibera. La Regione ha effettuato accertamenti istruttori sull'andamento demografico delle specie in esame - a fronte dell'inerzia dell'Ispra il cui parere è obbligatorio, ma non vincolante, richiesto sul punto - trovando le popolazioni inferiori alla stagione precedente, comunque entro il limite della percentuale stabilita a livello comunitario, tenuto anche conto che la Lombardia non ha concesso alcuna deroga. Quindi, se lì non spara, si può farlo nel Veneto. Tanto più conclude il Tar che non si può imputare alla Regione l'eventuale mancato rispetto dei limiti di prelievo da parte dei cacciarori, eludendo i controlli.
Non si riporta qui il vasto materiale relativo alle controversie insorte su numerose leggi regionali, sia perché impugnate dallo Stato avanti alla Corte Costizionale, sia perché contestate avanti ai vari TAR. In effetti da esso si vede come la maggior parte dei problemi siano derivati dal fatto che le regioni non hanno affrontato i problemi reali con adeguata motivazione e nel rispetto delle regole formali imposte dalla leggi statali e internazionali. Vi sono realistiche possibilità di cacciare in deroga ai principi generali, ma occorre dimostrare che esistono i presupposti di legge e occorre una giustizia che non sia ottusamente contraria alla caccia, ma si renda conto che per la legge essa è una attività lecita e utile.

Giurisprudenza
• L’art. 19, comma 2, della l. n. 157/1992 prevede, anche per ragioni sanitarie, la possibilità di adottare misure di controllo delle specie nocive, che prescindano dalla normale attività di caccia. Tuttavia, ciò può avvenire alle condizioni previste dalla medesima disposizione, cioè con l’utilizzo, di norma, di metodi ecologici: solo in subordine all’accertamento dell’inefficacia di siffatti metodi, si può ricorrere a piani di abbattimento, che però devono essere autorizzati. Da un simile complesso normativo è evidente che l’ordinamento considera l’abbattimento e pertanto l’eliminazione cruenta degli animali (persino se, in ipotesi, nocivi sotto il profilo sanitario) l’extrema ratio, cioè la soluzione utilizzabile solamente quando tutte le altre si dimostrino inefficaci. Al predetto interesse, anzi, l’ordinamento attribuisce particolare rilevanza, se è vero che ne effettua il bilanciamento con interessi primari, pure di rango costituzionale (salute pubblica, tutela del suolo, tutela del patrimonio storico artistico, ecc.). TAR Toscana, 2 dicembre 2009, n.2584


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