Lanciafiamme LPO-50 della ex DDR (Germania Orientale)
Lo sviluppo delle invenzioni è condizionato dalla tecnica. Leonardo da Vinci ebbe
l'idea buona per centinaia di invenzioni, ma la tecnica del suo tempo non ne consentiva
la realizzazione pratica.
Il fuoco è un'arma eccezionale, sovente molto più
distruttivo degli esplosivi, ma il suo impiego diretto come arma è sempre stato
alquanto limitato. Dico impiego diretto, perché ovviamente il fuoco è
sempre stato usato per provocare incendi in danno del nemico: lancio di frecce incendiarie
o di involucri incendiari sui tetti delle città nemiche o sulle navi nemiche,
barche incendiarie spinte contro le flotte del nemico, sostanze bollenti o infiammate
rovesciate sugli assedianti o sulle loro macchine d'assedio.
La prima traccia
storica di una macchina sputa-fiamme, (salvo incerte incisioni assire) usata
però non come arma, ma come una gigantesca torcia per bruciare le palizzate
della città assediata, si trova in Tucidide che descrive l'assedio della
fortezza di Delio in Beozia (da non confondere con Delo, isola delle Cicladi e sede
del culto di Apollo, come purtroppo avviene in qualche autorevole enciclopedia!)
avvenuto nel 424 a. C.
I Beoti e loro alleati "segarono per il lungo un grande
tronco e lo svuotarono completamente; quindi ricomposero le due metà, come
si fa per costruire un flauto; ad una estremità fissarono con catene un
braciere collegato con un tubo di ferro che entrava nel tronco; per mezzo di carri
l'accostarono al muro, la dove era principalmente costruito con graticci di vite e pali; quando
fu vicino soffiarono con grandi mantici nel tronco. L'aria così spinta che,
attraverso il tubo di legno giungeva sul braciere pieno di carboni accesi, di zolfo
e di pece, sviluppava grandi fiammate con le quali venne incendiato il muro, tanto
che nessuno vi poté rimanere ".
Nel 360 a. C. lo scrittore Ainaia, il Tattico,
insegna come costruire vasi incendiari da lanciare sui tetti del nemico e consiglia
un miscuglio di pece, zolfo, stoppa, incenso, trucioli di legno resinoso; egli sa
già bene che questi composti non vengono spenti dall'acqua, che anzi li
diffonde, e consiglia di usare invece l'aceto.
Le frecce incendiarie trovano
scarsa applicazione per l'elevato pericolo che il fuoco si estingua a causa della
loro stessa velocità (Aristotele, che di frecce ne aveva viste poche, era
ancora dell'idea che una freccia potesse accendersi da sola per la velocità
del suo volo!).
La prima descrizione tecnica si trova in Ammiano Marcellino (Rerum
Gestarum, XXIII, 4), nel quarto secolo d. C. e, nello stesso periodo Vegezio
introduce nella ricetta il bitume e il petrolio, già noti ai Greci fin
dal tempo di Alessandro.
Il primo indizio di apparecchi per lanciare liquidi
infiammabili si trova in un testo del bizantino Teofane (nato attorno al 760 d. C.)
il quale riferisce che l'imperatore Costantino Progonatos (671 d. C.) aveva fatto
armare le sue navi "con pentole incendiarie e sifoni" e che qualche anno dopo un
certo Callinico aveva introdotto il "fuoco navale" dalla Siria. È a
questo periodo che risale la nozione del "fuoco greco" in cui poi molti autori
hanno voluto vedere, del tutto a torto, un precursore degli esplosivi; tutte
le ricette di miscele incendiarie, che sono rinvenibili nel libro medievale
"Liber ignium ad comburendum hostes" di Marco Greco, basato su fonti greche
ed arabe, nulla hanno a che vedere con le sostanze esplosive, neppure quando
contengono salnitro.
Qualche tempo dopo i bizantini scoprivano che mescolando
della calce viva nelle miscele incendiarie, si potevano produrre degli ordigni
che si incendiavano da soli.
Si tenga presente che il termine "sifoni" stava
ad indicare quegli apparecchi con una specie di pompa che già i romani
usavano per spegnere gli incendi; se si considera che fin dal tempo di Plinio
i romani erano in grado di distillare l'acqua ragia, si comprende come
l'abbinamento delle due tecniche poteva rendere agevole lo spruzzare il
nemico con
prodotti molto infiammabili: poco importa poi se già accesi o da
accendere
dopo averli spruzzati.
Nella cronaca Alexiade, scritta (1148) da Anna Comnena, figlia di Alessio,imperatore di Bisanzio e che racconta l'assedio di Durazzo nel 1108, si descrive l'impiego di cerbottane con cui i bizantini soffiavano vampate di fuoco sul volto degli aggressori normanni; anche in questo caso si trattava di zolfo e di resina polverizzata che si infiammava passando su di una fiamma o brace posta alla bocca di un lungo tubo.
Studi recenti hano dimostrato cghe uan senpmlice miscel di nafta, grasso animale o vegetal e cera, se scaldaro atorno ai 200 gradi evepora e si infiamma in modo quasi esplosivo.
L'introduzione della polvere da sparo, che agli effetti incendiari unisce quelli esplosivi, mette in ombra le macchine incendiarie e bisogna giungere all'inizio del ventesimo secolo per ritrovarle impiegate in guerra. Esse, con il nome di lanciafiamme, vennero impiegate dapprima dai tedeschi a Malencourt (26 febbraio 1915) e, poco dopo, dagli austriaci sul Carso. Pare che a proporli all'esercito tedesco fosse stato, anni prima, un certo Richard Fiedler. La loro efficacia era molto limitata, ma grande era l'effetto psicologico. Ricordiamo che per indicare un mostro veramente terribile, la favolistica ha sempre usato il drago che sputa fiamme!
Schema del modello USA M2A1-7 - Gruppo serbatoio
A - Serbatoi per combustibile; B - Serbatoio per il gas compresso;
C - Valvola di pressione; D - Tubo di racordo;
E - Bocchetta di innesto della lancia
Lancia di emissione del mod. M2A1-7 : A - Testa di emissione; B - Canna;
C - Tubo per combustibile; D - Gruppo valvola; E - Leva di emissione;
F - Impugnatura posteriore; G - Leva di sicurezza;
H - Grilletto; I - Impugnatura anteriore.
Il serbatoio è di 15 litri, la portata oltre 70 metri.
Il principio costruttivo è alquanto semplice: si tratta di proiettare sul nemico, attraverso un tubo, sostanze incendiarie, di solito derivati dal petrolio con flemmatizzanti (addensanti i quali, oltre a rendere il liquido meno scorrevole sul nemico, raddoppiano la portata rispetto al liquido non addensato). La miscela viene incendiata nel momento in cui esce dal tubo, mediante una scintilla o un accenditore pirico.
Accanto
a lanciafiamme leggeri, a forma di zaino, con capacità di circa
10 litri di liquido e una portata di 20-30 metri, vennero prodotti
lanciafiamme di posizione con grande provvista di liquido e portata fino
a 50 metri.
L'impiego tattico era sia difensivo che offensivo, mediante
brevi serie di fiammate, particolarmente indicate per distruggere
postazioni di tiro, nidi di mitragliatrici, piccole fortificazioni.
Dopo
la prima guerra mondiale i lanciafiamme vennero notevolmente migliorati
e vennero installati su veicoli; la provvista di liquido raggiunse
anche i 500 litri e la portata salì a 120 metri. Il carro sovietico
KW porta 570 litri di liquido che gli consentono fin a 57 lanci di fiamme.
La pressione necessaria varia ovviamente a seconda del modello; è
di circa 25 atmosfere per gli apparecchi portatili e di 150 atmosfere per
quelli più grandi.
Il congegno di accensione può essere a scintilla (il che, prima dell'avvento dell'elettronica) implicava la presenza di un generatore di corrente), scarsamente efficiente con liquidi flemmatizzati, oppure congegni di accensione pirica costituita da un tamburo rotante contenente un numero di cariche (bengalotto) sufficiente a garantire l'accensione fino all'esaurimento del liquido.
Modello italiano T-148
Capacità 3 x 3,3 litri, peso pieno 23 kg,
Portata: 20 metri con benzina, 70 metri con benzina addensata.
Attualmente il liquido usato per la loro carica è il napalm.
La benzina brucia troppo rapidamente per riuscire a trasferire sufficiente
calore al bersaglio; perciò nel 1942 gli scienziati di Harward
studiarono come migliorarne gli effetti incendiari e scoprirono che una
miscela di sapone a base di polvere di alluminio, naftene e palmitato
(acidi naftenici e palmitici, da cui napalm) unito alla benzina, la
trasformava in una specie di sciroppo che brucia a circa 1000 gradi,
contro i 675 gradi della benzina. Nei lanciafiamme il napalm veniva
aggiunto nella misura del 6% (nelle bombe si usa il 12-15%).
Dopo la
seconda guerra mondiale è stato sviluppato un tipo di napalm
più maneggevole (Napalm B, o NP2) in cui non si usano più
i saponi ma polistirolo e benzene (46 parti polistirolo, 33 parti di
benzina e 21 parti di benzene). Questo napalm (che non contiene
più napalm!) richiede inneschi speciali ad alta temperatura
(alla termìte).
Attualmente l'industria militare sta seguendo una strada diversa che
assicura risultati ben più efficaci, nello stesso impiego tattico.
Trattasi delle bombe FAE il cui più moderno sviluppo è rappresentato
dalla nuova arma russa: lo Shmel, un piccolo tubo lanciarazzi (una specie
di corto bazooka) di 92 cm e del peso di 12 kg che spara piccole granate
di 4,5 kg (bumblebee) cal. 93 mm alla velocità di 125 ms ; la carica di
lancio si separa immediatamente dalla granata; gittata utile 1000 metri,
gittata efficace dai 20 ai 600 metri.
Le granate sono di tre tipi: lo RPO-A termico contenente 2 kg di miscela
termobarica, lo RPO-Z illuminante-incendiario e lo RPO-D fumogeno a base
di fosforo rosso. Le tre granate sono esternamente identiche, salvo due
strisce rosse per il tipo A, una o due strisce gialle per il tipo D e una
striscia rossa sul cappuccio per il tipo Z.
La munizione incendiaria RPO-Z , sparata in un locale chiuso, infiamma
ogni prodotto combustibile nello spazio di 100 metri cubi; sparata
all'aperto provoca almeno 20 focolai d'incendio su di una superficie di
300 mq.
È opportuno quindi fare qui un breve excursus sulle bombe FAE (Fuel Air
Explosive).
Esse rappresentano l'applicazione militare delle esplosioni di vapori e
polveri che tanti incidenti provocano nelle industrie.
Queste esplosioni sono un ben noto fenomeno nelle miniere di carbone, nei
silos di granaglie e nelle industrie che lavorano legno o carta. Tutti
questi prodotti liberano delle minuscole particelle che, per effetto di
correnti d'aria, formano una nuvola in un ambiente chiuso. Se si
raggiunge la giusta concentrazione rispetto all'ossigeno, questa miscela
di aria e polvere esplode violentemente.
La maggior parte delle sostanze organiche (zucchero, cotone, farina,
plastica), in forma di polvere, si incendiano a temperature inferiori a
500°. Essenziale è la misura delle particelle che quanto più piccole,
tanto più restano in sospensione nell'aria e tanto più facilmente si
incendiano. Vi è quindi un ambito di concentrazione ottimale al di sotto
ed al di sopra del quale non vi è esplosione.
Per i vapori di benzina la concentrazione esplosiva va dal 5 al 15%
Vi sono notevoli differenze fra l'esplosione di vapori e quella di
esplosivi tradizionali.
Per la stessa quantità di energia la sovrappressione dell'onda esplosiva è
più alta e l'impulso più basso in un esplosivo tradizionale che non in una
esplosione di gas. L'onda d'urto del TNT è di breve durata rispetto
all'onda d'urto dell'esplosione di idrocarburi, il che influisce sugli
effetti su strutture rigide.
In via generale si può affermare che i vapori deflagrano a velocità
subsonica invece di detonare a velocità supersonica. Gli effetti della
deflagrazione (velocità dell'espansione della fiammata) aumentano
notevolmente se l'esplosione avviene in uno spazio chiuso.
Le Bombe FAE ("bombe a vuoto" come dette in Russia in quanto consumando
istantaneamente tutto l'ossigeno presente nell'aria creano anche una forte
onda retrograda) sono più efficaci di esplosivi tradizionali contro
persone in rifugi o bunker. L'esplosione agisce contro persone all'aria
aperta, materiale di equipaggiamento, veicoli, aerei a terra, ripari di ogni genere, serve per creare varchi in campi minati, per creare spazi di atterraggio per elicotteri, per distruggere nuclei di resistenza nel combattimento negli abitati.
Le bombe distruggono ogni vegetazione e cultura.
Più bombe lanciate contemporaneamente rafforzano reciprocamente i loro
effetti (si calcola che l'efficacia distruttiva sia sei volte quella di
un esplosivo convenzionale contro analoghi bersagli).
Una bomba FAE è fondamentalmente formata da un contenitore di liquido
(ossido di etilene o metano) e da due cariche separate.
Dopo che la carica è lanciata o sparata, la prima carica fa esplodere il
contenitore e disperde il liquido in modo da formare una nuvola con l'aria. La nuvola circonda oggetti e penetra in strutture. La seconda carica fa deflagrare la miscela o aereosol, che dir si voglia.
L'esplosione agisce sulle persone provocando gravi lesioni interne,
specialmente ai polmoni, e gravi bruciature. Le vittime inalano i vapori
infiammati e, anche in caso di mancata esplosione, i vapori sono altamente
tossici.
I russi hanno sviluppato anche delle munizioni a effetto rinforzato, impiegando testate con miscela di alluminio e nitrocellusa oppure con slurry di esplosivi miscelati ad un combustibile. In questi casi (bombe termobariche) si raggiungono temperature di 800 gradi con maggiori effetti incendiari.
Il FAE è il frutto di studi iniziati dagli americani del 1960 e che
portarono a produrre, per l'impiego in Vietnam, la bomba cluster CBU-55B.
Questa era formata da tre bidoni contenenti ciascuno 32,6 kg di ossido di
etilene liquido. I bidoni, lanciati da velivoli a bassa quota, esplodono
all'impatto con il terreno ed il liquido volatilizza producendo una densa
nube alta 2,5 metri e del diametro di una quindicina di metri. A quel
punto, quando la nube ha la giusta densità, un innesco elettronico la fa
esplodere. L'esplosione crea per circa 200 millisecondi una
sovrappressione di 22 kg/cmq su di un'area di circa 200 metri quadri.
L'impiego delle bombe Cluster era volto principalmente alla bonifica
rapida di aree minate e, secondariamente, allo sgombero di vegetazione
nella giungla, per creare zone di atterraggio di elicotteri. Risulta che
nella guerra del Golfo, bombe FAE siano state impiegate anche contro opere
della fortificazione permanente e colonne di mezzi corazzati.
E' stata registrata un'ottima efficacia nei confronti delle mine anticarro
ed antiuomo a pressione di tipo tradizionale. Scarsa, invece, l'efficacia
nei confronti delle mine che detonano dopo una pressione prolungata
(come le ottime anticarro italiane prodotte da MISAR, Valsella e
Technovar), oppure attivate da una doppia pressione.
Le granate termobariche sono efficaci anche contro veicoli con corazzatura
leggera e possono danneggiare anche carri armati, fondendo con il calore
tutte le parti ottiche esterne e le parti in gomma o plastica.
Ovviamente gli effetti sono distruttivi se la miscela entra dentro al
veicolo.