Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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La nozione di micidialità - esplosivi e bombe molotov

La legge 895 del 1967 includeva nella nozione di armi da guerra o tipo guerra, soggette alla normativa speciale, oltre alle armi vere e proprie, gli esplosivi di ogni genere, gli aggressivi chimici o altri congegni micidiali.
La legge 110 del 1975 elencava fra le armi da guerra, oltre alle armi vere e proprie, "le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, biologici, radioattivi, i congegni bellici micidiali di qualsiasi natura, le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari".
Le due norme erano scritte male, come sempre avviene quando non si riesce a combinare il linguaggio del giurista con quello del tecnico. Ad esempio chi scrisse la norma del 1967 non sapeva che per il testo unico di pubblica sicurezza rientrano fra gli esplosivi anche le munizioni per armi comuni, gli artifici pirotecnici, la polvere da sparo; tutti prodotti i quali, anche se quasi sempre assoggettati a controllo di pubblica sicurezza, mai  sono stati considerati meritevoli di essere inquadrati, come regime, sanzioni e pene, fra i materiali da vietare totalmente ai privati, comminando pene draconiane.
Nella stessa legge restava poi, come pura espressione verbale la nozione di congegni micidiali; neppure si capiva ad esempio se una bomba rientrava fra gli esplosivi o fra questi congegni.
La legge del 1975 cercava di essere un po' più precisa, richiamava espressamente le bombe, ma precisava che gli ordigni micidiali dovevano essere di natura bellica; aggiungeva poi le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari.
Purtroppo anche questa volta i giuristi che scrivevano la norma hanno usato belle parole molto vacue! Ed è ormai chiaro a tutti che l'articolo 1 della legge 110 ha commesso l'errore di voler trovare un'unica definizione di arma o prodotto da guerra che ricomprendesse tutto, dal missile intercontinentale alla cartuccia da caccia; ricerca ovviamente del tutto vana e che ha portato solo ad una gran confusione fino alla legge sui materiali di armamento del 1990 che ha portato un po' più di chiarezza tecnica.
Rimane quindi della legge 110 la nozione molto oscura di congegni militari di qualsiasi natura; con un po' di sforzo si può immaginare che il legislatore intendesse riferirsi principalmente agli ordigni esplosivi casalinghi come, ad esempio, una pentola a pressione riempita di chiodi ed esplosivo; ma, con lo stesso sforzo mentale si potrebbe anche pensare che essa rientri fra gli involucri esplosivi. Certo che il termine congegno è molto generale e quindi potrebbero rientrare in esso anche quelle trappole della guerriglia fatte con tronchi chiodati, con lacci, con pietre, ma dubito molto che il legislatore sapesse della loro esistenza!
La nozione di involucri esplosivi o incendiari è ancora più misteriosa; un involucro esplosivo non può essere altro che una bomba; se un attentatore prende quattro candelotti di dinamite, ci inserisce un detonatore e fa un bel pacchetto con carta e nastro adesivo, forse sarà un involucro per chi lo guarda, ma per un tecnico rientra in tutto e per tutto nella nozione di bomba. Quasi impossibile capire che cosa sia un involucro incendiario; a me vengono in mente solo quei prodotti usati per avviare il fuoco nei grill o una scatola di fiammiferi. Non esistono involucri incendiari, ma solo prodotti incendiari i quali ovviamente sono confezionati in qualche modo, a meno che non si voglia sostenere che una tanica di benzina è un involucro incendiario severamente vietato.
Il legislatore ha infine regolato, assieme agli involucri, le bottiglie esplosive o incendiarie, creando ulteriore indegna confusione linguistica e tecnica. Le bottiglie esplosive non esistono. Se uno prende una bottiglia e la riempie di esplosivo e ci mette un innesco crea una bomba vera e propria e poco importa se le schegge saranno di vetro invece che di acciaio; di fronte a un esplosivo potente poco importa se esso viene inserito a scopi delittuosi in una scatola di cartone o in un contenitore di acciaio: sempre di una bomba si tratta, la cui micidialità può essere maggiore o minore a seconda di dove è collocata e dei componenti.
Rimangono quindi da esaminare le bottiglie incendiarie; è ormai pacifico che il legislatore intendeva riferirsi alle cosiddette bombe molotov (e bene avrebbe fatto chiamarle con questo nome). Esse sono costituite da una bottiglia di vetro piena di sostanza infiammabile, di solito benzina, e ben tappata, al cui esterno vengono legati una corda o un nastro o uno straccio, pure bagnati o impregnati di una  sostanza infiammabile; al momento dell'uso si accende l'innesco esterno e si lancia la bottiglia contro il bersaglio; la bottiglia, se urta contro un corpo duro (carro armato, autoblinda, automobile, pavimento, eccetera), va in frantumi, proietta schizzi di benzina verso l'alto e attorno di sé, essa si infiamma e provoca una fiammata durevole. La bomba molotov è molto pericolosa sui veicoli perché la benzina penetra all'interno di essa bruciando chi vi è dentro, e contro le persone perché può bagnare i loro abiti e trasformarle in una torcia.
Ho precisato che si tratta di bottiglie di vetro perché è il materiale più ovvio e sicuro da usare. Però non si può escludere che esistano altri materiali che all'impatto si frantumino creando effetti analoghi; in teoria si potrebbe anche pensare ad un palloncino di gomma ripieno di benzina, ma direi che in questo caso abbiamo forse trovato proprio uno di quei misteriosi involucri incendiari di cui parla il legislatore.

Ciò premesso sorge il problema se il legislatore abbia ricompreso fra i materiali da guerra qualsiasi bottiglia o involucro contenente sostanze incendiarie, oppure se egli si sia riferito solo ai prodotti micidiali.
Il dubbio poteva sorgere nel 1975, ma ormai è superato da una regola di valore generale stabilita dalla Cassazione in materia di esplodenti, ma sicuramente applicabile a tutti i prodotti delle leggi del 1967 e del 1975: non può essere considerato una bomba un oggetto con dentro una quantità minima di esplosivo (ed infatti gli inneschi per le cartucce sono del tutto liberi) e una bottiglietta tipo campioncino di liquori, non potrà mai funzionare da bomba molotov.

Fui il primo in Italia a sollevare il problema della differenza tra esplosivi micidiali e non micidiali. Con ordinanza 10 aprile 1978, quale giudice istruttore del tribunale di Bolzano, sottoposi il problema alla Corte Costituzionale. Il caso era indicativo della totale assurdità della giurisprudenza fino ad allora adottata dai giudici in quanto si trattava di un tizio che aveva smontato alcune decine di cartucce (la cui detenzione illegale e punita con una piccola ammenda, oblabile) conservandone la polvere in essa contenuta e si trovava imputato di detenzione di esplosivi, punita con un anno di reclusione!
La corte costituzionale, con sentenza 19 marzo 1986 numero 62, prendeva atto della incongruenza, ma poi concludeva che i giudici che dovevano interpretare la legge ben potevano adattarla alla situazione concreta.
A seguito di ciò la Cassazione a sezioni unite, con sentenza numero 10901 del 19 aprile 1986 stabiliva  quanto sintetizzato nella seguente massima:
La deroga alla disciplina generale ex art. 678 cod. pen. sulla fabbricazione e commercio e quindi detenzione abusiva degli esplosivi operata dalla normativa speciale ex leggi 2 ottobre 1967 n. 895, 14 ottobre 1974 n. 497 e 18 aprile 1975 n. 110 è limitata alle condotte aventi per oggetto gli esplosivi dotati di caratteristiche che li assimilino alle armi e specificamente alle armi da guerra, tali cioè che il loro uso possa produrre morte e comunque offesa alla vita e all'incolumità personale, mentre per le condotte aventi ad oggetto quei prodotti esplosivi che di detta potenzialità e destinazione siano ontologicamente sprovvisti si applica la normativa generale che le qualifica reati contravvenzionali. (nella fattispecie è stata ritenuta la sussistenza del reato di cui all'art. 678 cod. pen. in relazione alla illegale detenzione di 430 "tracchi").

Seguivano quindi anni di sforzi della Cassazione per cercare di afferrare la distinzione concreta tra esplodenti micidiali.
La giurisprudenza successiva, fino al 1986, era praticamente costante nell’affermare che le contravvenzioni previste dal codice penale agli artt. 678 e 679 dovevano ritenersi abrogate e che ogni reato concernente gli esplosivi doveva essere punito come delitto. Non mancavano però massime che con maggior equilibrio affermavano che la micidialità andava accertata caso per caso. Questa giurisprudenza portava a conseguenze assurde perché finiva per punire con pene draconiane condotte del tutto irrilevanti ai fini della lotta alla criminalità: il tabacchino che vendeva qualche fuoco d’artificio carnevalesco, il cittadino che li acquistava, il fochino che deteneva un po’ di miccia, il cacciatore che deteneva un po’ di polvere da sparo, ecc.
Dal 1984 in poi la giurisprudenza mutava e, in perfetta contraddizione con quanto affermato fino ad allora in una serie di massime degna del museo degli orrori giuridici, dichiarava che il concetto di micidialità, che l’art. 1, L. n. 895/1967 sembrava riferire solo ai congegni, andava invece riferito anche agli esplosivi; di conseguenza erano delitti solo i reati riguardanti quegli esplosivi che per qualità, quantità, confezionamento, destinazione di fatto, erano da considerare idonei a produrre la morte o rilevanti effetti distruttivi o, come detto in una sentenza delle Sezioni Unite del 1986, finalmente giunta a risolvere il dilemma, tali che il loro uso possa produrre morte o comunque offesa alla vita e all’incolumità personale. Gli altri esplosivi, più genericamente ricondotti alla più generale categorie delle materie esplodenti, continuavano ad essere regolati dagli articoli del c.p. e del T.U. di P.S.
Se la prima giurisprudenza esagerava nell’applicare in troppi casi la normativa del 1067, la seconda esagerava nella direzione opposta e non risolveva granché perché affidava al giudice la soluzione di delicati problemi di fatto, con necessità di accertare la pericolosità di un prodotto esplodente e lo scopo della detenzione, in una materia in cui i giudici hanno scarse nozioni e i periti esperti sono una vera rarità. Si consideri, ad esempio, che un detonatore che contiene una quantità minima di esplosivo, non è di per sé micidiale, ma è il componente essenziale per provocare l’esplosione di una carica di esplosivo; si consideri ancora che la polvere da sparo è di libera detenzione se caricata entro 1000 cartucce da caccia (da cui può essere recuperata facilmente), diventa materia esplodente se contenuta entro artifici pirotecnici e diventa un esplosivo micidiale se confezionata in un ordigno. Il legislatore perciò avrebbe dovuto distinguere tra prodotti la cui detenzione illegale non poteva essere in alcun modo giustificata, da prodotti destinati invece ad usi comuni e stabilire pene differenziate in relazione alla pericolosità della condotta, tenendo conto anche dello scopo del reo (diversa è evidentemente la situazione del fochino che non distrugge un po’ di esplosivo per usarlo il giorno dopo, da quella del fochino che lo conserva per rivenderlo a criminali).
I gravi limiti di questa giurisprudenza sono dovuti al fatto che essa ha voluto fondarsi su parametri di micidialità largamente opinabili e soggetti a mutare a secondo della destinazione dell’esplosivo e che essa ha preteso di trovare un’unica definizione di esplosivo da usare sia per applicare le norme sulla lotta alla criminalità, sia per quelle concernenti la prevenzioni di infortuni. Un esempio chiarirà meglio i problemi.
Una bomba carta (involucro di carta robusta, riempito con polvere nera da sparo o altro composto similare, legato con filo robusto) è un petardo da ricomprendere tra gli artifici pirotecnici e quindi, per destinazione naturale non è destinato ad offendere e non ha quindi caratteristiche micidiali. Ciò non toglie che già un petardo contenente 50 grammi di polvere può portare via una mano e che un petardo di due etti crea nel terreno un cratere di una decina di centimetri di profondità ed è sicuramente micidiale: esso può essere usato per compiere un attentato contro una persona o per sfondare una porta e il suo contenuto può essere utilizzato per confezionare una bomba con chiodi e frammenti.
Si consideri ancora che la legge consente di detenere senza particolari controlli, salvo la denunzia, fino a cinque chili di polvere nera da mina o da sparo; ciò significa che il legislatore non la ha di certo classificata tra gli esplosivi micidiali e nessuno si sognerebbe di condannare altrimenti che per una contravvenzione, il fochino che avesse in casa un chilo di polvere da mina. Diverso però dovrebbe essere l’atteggiamento del giudice se la polvere venisse trovata confezionata in un petardo o semplicemente detenuta da un noto attentatore.
D’altra parte però, ai fini della prevenzione degli infortuni, le misure di sicurezza da adottare sono alquanto modeste in quanto i petardi adeguatamente confezionati non esplodono per simpatia e, anche in caso di incendio, scoppiano uno ad uno e non cumulativamente.
Si dovrebbe quindi concludere che la scelta tra l’applicare le norme contro la criminalità o le norme sulla sicurezza dovrebbe essere basata non sulla natura dell’esplosivo, ma sulla verosimile probabilità che esso venga o meno destinato ad usi criminosi.
Molte delle più recenti sentenze hanno correttamente colto queste esigenze, ma non si sono ancora poste il problema se le nome della legge speciale si applicano solo quando vi è il pericolo di un uso criminale degli esplosivi oppure anche quando vi è solo il pericolo di infortuni gravi.
Inoltre è altrettanto chiaro che il tipo di micidialità richiesto è quello tipico prodotto da un prodotto esplosivo; un detonatore che scoppi in mano può provocare lesioni solamente alla mano: tipiche lesioni da esplosivo ad alta velocità, ma non certo micidiali; se però uno se lo fa scoppiare in un orecchio o in bocca, la sua morte è molto probabile, ma basta ciò per dire che un detonatore singolo è un esplosivo micidiale? Direi proprio di no in quanto la micidialità deriva da un uso del tutto anomalo; vi è un'infinità prodotti chimici o di congegni che se usati in modo anomalo sono pericolosi per la vita umana, ma che non possono essere considerati micidiali (spara chiodi, lancia arpioni ecc.)
A questo punto è facile trarre le conclusioni: è ormai chiaro che la nozione di micidialità non si applica soltanto agli esplodenti ma anche ai congegni esplosivi e non vi è nessuna ragione logica al mondo per ritenere che essa non si debba applicare anche agli ordigni o congegni incendiari.
Le bottiglie incendiarie sono severamente vietate non in quanto possono provocare un incendio, poiché altrimenti si dovrebbe punire in modo ancora più grave chi, allo stesso scopo, detiene una tanica di 20 litri di benzina. Esse sono state assimilate agli ordigni esplosivi proprio perché la loro possibile micidialità deriva dal fatto di poter essere lanciate e di potersi frantumare all'impatto con effetti lesivi gravi per una persona che sia investita dagli spruzzi. Di certo non rientrerebbe tra le bottiglie incendiarie una bottiglia di plastica la quale, tra l'altro, neppure potrebbe incendiarsi se non in modo lentissimo e tale da consentire a chiunque di allontanarsi di qualche passo da essa.
Ma non può rientrare fra di esse neppure una bottiglia di vetro con l'innesco di accensione che contenga una quantità di benzina tale da non creare pericolo di vita per chi venga investito dalla modesta fiammata che si può realizzare.

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