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La Cassazione ha affermato un principio di  assoluta ovvietà: che un’arma non catalogata non è necessariamente da guerra,  che di fronte ad un’arma non catalogata spetta al giudice di merito di  accertare se essa ha la spiccata potenzialità che porterebbe ad un rifiuto di  catalogazione. 
  Il principio fa anche piazza pulita delle  fesserie propagandate dal Ministero e recepite in vecchie sentenze, per cui  bastano le scritte su di un’arma per farla diventare da guerra: ciò che conta è  la spiccata potenzialità superiore a quella delle armi già catalogate. 
Ciò che però sconvolge è la totale  inconsistenza e pericolosità della giustizia napoletana non nuova a simili  episodi. Si veda questo articolo. 
  Sembra di leggere quella novella di Mark  Twain sul giornalista finito a dirigere un giornaletto di agricoltura e che  aveva scritto un articolo per segnalare che era tempo di  scrollare le patate dagli alberi e altre  simile amenità. Questo per dire che la cosa più inutile del  modo è essere dei grandi giuristi e non sapere poi di che cosa si sta parlando. 
  Non mi si dica che a Napoli i giudici hanno  troppo lavoro perché dal cervello esce ciò che uno vi ha messo dentro e perché  nulla può mai giustificare la superficialità o irresponsabilità nel condannare;  se non hanno tempo o voglia per capire un processo, la legge e la morale li  obbliga ad assolvere, non a condannare! Oppure è d’obbligo il dubbio  che ciò che manca sia proprio la capacità. 
  Come nell’altro caso i giudici di Napoli (PM  – GUP – Corte d’Appello) hanno condannato un tizio a tre anni di reclusione per  detenzione di due pistole, sicuramente comuni, dichiarate armi da guerra in base alle sole  affermazioni del verbalizzante (una pare sia stata dichiarata anche  clandestina, ma non si capisce perché). E per fare ciò hanno fatto queste amene  affermazioni:
  - che se un’arma non è nel catalogo  nazionale è da guerra;
  - che il cal, 7,62 para è da guerra, anche  se vi sono armi catalogate in tal calibro   perché lo aveva detto il verbalizzante; purtroppo negli atti non vi era  una parola al riguardo!
Come nell’altro caso hanno dimostrato una  sublime indifferenza per la realtà e per la prova: Napoli è piena di periti  balistici, ma nessuno pensa sia necessario chiamarne uno per sentire che cosa  ne pensa di un’arma; il difensore produce documentazione decisiva ed essa neanche viene presa in  considerazione. 
    Che vergogna!
LA SENTENZA
 CASSAZIONE, Sez. 2, Sentenza n. 28911   del 2008  
  La mancata previsione di un'arma nel catalogo nazionale  delle armi comuni da sparo non è rilevante ai fini della configurabilità, in  relazione a tale oggetto, di reati concernenti le armi. La finalità della catalogazione è  essenzialmente quella di creare una distinzione tra le armi comuni da sparo e  le armi da guerra, soggette a distinto regime sanzionatorio. Ne consegue che, in presenza di un  oggetto definibile come arma da sparo ma non catalogato, spetta al giudice  stabilire, con riferimento alle indicazioni fornite dagli artt. 1 e 2 L. 18 aprile 1975 n. 110, ed in particolare con riguardo alla  eventuale "spiccata potenzialità di offesa" che a norma dell'art. 1 citato caratterizza le armi da guerra,  quale sia la natura dell'oggetto e la disciplina cui debba conseguentemente  farsi riferimento. 
MOTIVI DELLA DECISIONE
    Con sentenza del 11.5.2007,  il G.U.P. del Tribunale di Napoli, dichiarò Petito Antonio  responsabile dei reati di ricettazione e detenzione di due pistole una delle  quali clandestina e - unificati i reati sotto il vincolo della continuazione,  con la diminuente per il rito - lo condannò alla pena di anni 3 mesi 4 di  reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.  Avverso tale pronunzia l'imputato propose gravame, ma la Corte d'appello di  Napoli, con sentenza in data 12.2.2008, confermò la decisione  impugnata. 
    Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato deducendo:
    1. vizio  di motivazione in ordine alla responsabilità dell'imputato, risultante dal  testo del provvedimento impugnato, dai motivi di appello e dal verbale di perquisizione  e sequestro in data 8.11.2006 in quanto la Corte territoriale ha ritenuto di non  accogliere il motivo di gravame relativo alla richiesta di riqualificare il  reato in quello di detenzione di armi comuni da sparo sull'assunto che la  pistola di marca FRSJ non rientrasse nel catalogo delle armi comuni da sparo;  la difesa aveva prodotto documentazione volta a dimostrare che il calibro 7,62  non è proprio solo delle armi da guerra, in quanto la pistola Zastava, di tale  calibro, è inserita nel catalogo delle armi comuni da sparo, ma la Corte  d'appello ha ritenuto di escludere che l'arma FRSJ fosse comune da sparo in  quanto la documentazione riguardava altra arma; inoltre il giudice d'appello ha  affermato che l'arma conteneva nel caricatore 9 cartucce del tipo utilizzato da  armi da guerra, richiamando in proposito il verbale di perquisizione  e sequestro, ma in tale verbale si elencano solo armi e munizioni senza  qualificarle; nessun argomento invece è espresso rispetto alla pistola Beretta  per rigettare la tesi difensiva;
    2. vizio  di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche sull'assunto  che le pistole fossero micidiali e pronte all'uso, senza un accertamento  peritale sulla loro natura e sulla base di precedenti giudiziari e non penali  dell'imputato. Il primo motivo di ricorso è fondato. 
    In primo luogo nessuna indicazione  la Corte territoriale ha fornito in ordine al motivo di appello sulla natura di  arma da guerra o comune da sparo della pistola Beretta cal. 7,65  parabellum. Un'arma di tale tipo è peraltro indicata quale arma comune  da sparo nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, sicché sarebbe  stato necessario che il giudice di merito specificasse se l'arma sequestrata  corrispondesse o meno a quella inserita nel catalogo nazionale e comunque  chiarisse se dovesse essere considerata arma comune da sparo o da guerra, a fronte  della specifica doglianza. Quanto alla pistola cal. 7,62  contrassegnata dalla sigla FRSJ, non vi è menzione dell'inserimento della  stessa nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo. La  mancata previsione di un'arma nel catalogo nazionale delle armi comuni da  sparo non è rilevante ai fini della configurabilità, in relazione a tale  oggetto, di reati concernenti le armi. La  finalità della catalogazione è essenzialmente quella di creare una distinzione  tra le armi comuni da sparo e le armi da guerra, soggette a distinto regime  sanzionatorio. Ne consegue che, in presenza di un oggetto definibile come  arma da sparo ma non catalogato, spetta al giudice stabilire, con riferimento  alle indicazioni fornite dalla L. 18 aprile 1975, n. 110,  artt. 1 e 2 ed in particolare con riguardo alla eventuale  "spiccata potenzialità di offesa" che a norma dell'art. 1  citato caratterizza le armi da guerra, qua le sia la natura dell'oggetto e la  disciplina cui debba conseguentemente farsi riferimento. (V. Cass. Sez. 1 sent. n. 3672  del 20.3.1996 dep. 15.4.1996 rv 204335). 
    La Corte territoriale ha fatto  riferimento all'inserimento nel caricatore di munizioni da guerra, sull'assunto  che tale natura di munizioni da guerra risultasse dal verbale di perquisizione  e sequestro. 
    Dal verbale di perquisizione  e sequestro in data 8.11.2006 risulta solo la descrizione delle armi menzionate,  senza l'indicazione di elementi atti a qualificarle da guerra. 
    Nel verbale di arresto il calibro  7,62 è indicato come calibro esclusivamente militare, ma ciò è smentito  dall'inserimento nel catalogo delle armi comuni da sparo della pistola Zastava  di tale calibro. 
    Il giudice di rinvio, espletati i  necessari accertamenti, dovrà specificamente motivare sulla natura di armi da  guerra o comuni da sparo delle pistole sequestrate. 
    Anche il secondo motivo di ricorso  è fondato. 
    Poiché le attenuanti generiche  sono state escluse anche sulla base della ritenuta micidialità delle armi, la  tenuta di tale motivazione dipende anche dalla qualificazione delle armi come comuni  da sparo o da guerra, ferma la possibilità per il giudice di rinvio di motivare  altrimenti il loro eventuale diniego. 
  La sentenza impugnata deve  pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di  Napoli per un nuovo giudizio. 
    (5-4-2009)
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