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L'uva fragola (detta anche Uva americana, Isabella, Raisin de Cassis) è la più antica "vite americana" introdotta in Europa ben prima che sorgesse il problema della fillossera ed ascrivibile alla specie linneana Vitis Labrusca (ma per alcuni potrebbe essere un ibrido americano tra la V. labrusca e la Vitis vinifera). In Francia si hanno le sue prime notizie nel 1820 e in Italia nel 1825.
È un vitigno poco resistente alla fillossera ed alla peronospora, ma
resiste bene al freddo, il che spiega la sua diffusione nelle vallate alpine.
Il vino che se ne produce, detto fragolino, ha un particolare aroma di fragola
che i francesi chiamano framboisier o cassis e gli anglosassoni foxy (volpino).
Questo aroma in passato non è stato molto apprezzato, ma ora il fragolino
sta trovando sempre più estimatori.
Vi sono però dei problemi giuridici che ne ostacolano la vendita. Per
comprendere la situazione attuale occorre ripercorrere la storia dell'uva fragola
All'inizio del secolo l'unica vite coltivata nel vecchio continente, e cioè
la Vitis vinifera, venne aggredita da un parassita animale, la fillossera, che
ne minacciava la distruzione. Unica soluzione per salvare i nostri vigneti fu
di importare, come portinnesti, dei vitigni americani divenuti resistenti al
parassita, alcuni puri, altri ibridi di specie americane e, successivamente,
altri ibridi di specie americane con specie europee. Vennero compiuti anche
degli esperimenti di ibridazione tra specie europee ed americane per cercare
di evitare l'innesto sul piede americano (e vennero detti perciò ibridi
produttori diretti), ma con scarsi risultati e molti difetti: modesta resistenza
ai parassiti ed alle malattie e aromi anomali. Tra i più noti il Clinton,
il Noah o Clinton bianco, l'Elvira, il Taylor, (ibridi tra la Labrusca e la
Riparia), lo York-Madeira (Labrusca +Aestivalis), l'Othello (Labrusca + Riparia
+ Vinifera), lo Jacquez e l'Herbemont (Aestivalis + Cinere + Vinifera), questi
ultimi privi del sapore foxy.
Il dilagare di questi ibridi produttori diretti, troppo spesso considerati la
soluzione nazionale al problema vinicolo, portarono ad una sovraproduzione di
vini scadenti e alla percezione del pericolo che rappresentavano per la qualità
del prodotto. Intervenne il legislatore con la legge 23 marzo 1931 nr. 376 che
vietava "la coltivazione dei vitigni ibrdi produttori diretti" salvo
che nelle province in cui gli organi ministeriali "ne riconoscano l'utilità"
e con modalità da stabilirsi con decreto ministeriale. Esso non riguardava
perciò l'uva fragola. Però pochi anni dopo, con la legge 2 aprile
1936 nr. 729 si estendeva la norma anche da essa stabilendo che il divieto si
applica "anche alla coltivazione del vitigno isabella (vitis labrusca)
sotto qualunque nome venga qualificata. Tale coltivazione è peraltro
ammessa anche fuori dei limiti stabiliti, nei casi nei quali risulti accertato
che è fatta solo allo scopo di produzione di uva destinata al consumo
diretto".
Per consumo diretto doveva ovviamente intendersi sia il consumo come uva da
tavola che la sua vinificazione.
Queste norme venivano poi riprodotte nel T.U. del R.D. 16 luglio 1936 nr. 1634.
Le disposizioni appena viste non sono mai state applicate con molta rigidità
e sia l'uva fragola che gli ibridi produttori diretti hanno continuato ad essere
coltivati. Né il ministero ha mai emanato i decreti che avrebbero dovuto
disciplinarne la coltivazione. L'uva fragola si trova del resto in regolare
vendita sul mercato ortofrutticolo.
Si può quindi concludere che, a parte il divieto teorico della coltivazione
e privo di sanzioni (salvo ovviamente quella patrimoniale di non poter chiedere
contributi per l'impianto di coltivazioni di uva fragola o di clinton!), nulla
impediva all'epoca di coltivare uva fragola, di venderla e di vinificarla.
Si puņ anche concludere che il legislatore non ha mai inteso vietare il vino di
uva fragola per il fatto che esso contiene una percentuale superiore alla media
di metanolo, come č invece opinione diffusa tra i profani.
Meno favorevole è la situazione del vino prodotto con queste uve, a partire
dal 1965.
L'art. 22 DPR 12 febbraio 1965 nr. 162 proibiva, sic et simpliciter, la vinificazione
di uve diverse dalla vitis vinifera; però subito, a seguito delle proteste
dei coltivatori, interveniva il legislatore a correggere la legge; così
l'art. 1 della legge 6 aprile 1966 n. 207 stabiliva che "sono vietati la
detenzione a scopo di commercio ed il commercio dei mosti e dei vini non rispondenti
alle definizioni stabilite o che abbiano subito trattamenti ed aggiunte non
consentiti o che, anche se rispondenti alle definizioni e ai requisiti del presente
decreto, provengono da vitigni diversi dalla vitis vinifera, eccezion fatta
per i mosti ed i vini provenienti da determinati vitigni ibridi, la cui coltivazione
potrà essere consentita con decreto del ministro per l'agricoltura e
le foreste in relazione alle particolari condizioni ambientali di alcune zone
ed alle caratteristiche intrinseche dei vitigni stessi…Si intendono detenuti
a scopo di commercio i mosti o i vini che si trovano nella cantina o negli stabilimenti
o nei locali dei produttori e dei commercianti".
Ci vuol poco a comprendere che il legislatore, secondo un uso ben consolidato,
non sapeva bene di che cosa stesse parlando e perciò si è rifugiato
in una espressione generica (vitigni bridi) che nulla dice e che demanda tutto
a decreti ministeriali che possono concernere sia ibridi produttori diretti,
sia ibridi di altro tipo, sia l'uva fragola, di cui non si sa bene se sia o
no un ibrido, ma che senz'altro il legislatore voleva salvaguardare, visto che
esso era proprio il prodotto principale per cui era stata sollecitata la correzione
della legge! La legge però contiene un notevole miglioramento della situazione
giuridica del fragolino: mentre la legge del 1936 ne consentiva solo l'uso diretto,
tale limitazione è sparita nella legge del 1966 la quale autorizza, alla
sola condizione della preventiva autorizzazione, la coltivazione della vitis
labrusca, senz'altra limitazione e quindi anche al fine di vinificarla e di
porla in commercio.
Da come è formulata la norma (molto male!) si deduce anche che è
impossibile ravvisare una sanzione a carico di chi vinifichi uva fragola senza
autorizzazione sia che lo faccia per uso proprio sia al fine di porlo in commercio.
Non può applicarsi la norma che vieta di porre in commercio vino non
proveniente dalla vitis vinifera perché è il legislatore stesso
a consentire la vinificazione e la detenzione del relativo prodotto a scopo
di commercio; non si può punire la coltivazione senza autorizzazione
perché nessuna sanzione è prevista.
Stando alla lettera della legge non parrebbe neppure vietato di chiamare il
fragolino "vino", anche se ragioni di cautela (essendo il termine
"vino" riservato al prodotto della vitis vinifera anche in norme comunitarie)
consigliano di evitare ciò e di chiamarlo solo "fragolino"
o "bevanda a base di uva fragola".
Quindi, a partire dal 1966 l'uva fragola poteva essere coltivata per produrre
uva destinata al consumo diretto, non vi è alcuna sanzione per chi vendeva
l'uva fragola come uva da tavola, la vinificazione dell'uva fragola è
consentita, era consentito porre in commercio il prodotto della vinificazione
dell'uva fragola.
A seguito dell'entrata in vigore di normative europea, la situazione giuridica
è stata ulteriormente modificata. Il Regolamento n. 822/1987 del 16 marzo
1987 ha fissato l'elenco dei vitigni che possono essere utilizzati per la produzione
di prodotti vinosi in esso si prevede una deroga temporanea per gli incroci
interspecifici (ibridi produttori diretti)
Infine il Regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 relativo
all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, all'art. 19, ha stabilito
che:
"1. Gli Stati membri compilano una classificazione delle varietà
di viti per la produzione di vino. Tutte le varietà classificate appartengono
alla specie Vitis vinifera o provengono da un incrocio tra questa specie e altre
specie del genere Vitis. La classificazione non può applicarsi alle varietà
seguenti: Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbémont.
2. Nella classificazione gli Stati membri indicano le varietà di viti
atte alla produzione di ciascuno dei v.q.p.r.d. prodotti nel loro territorio.
Tali varietà appartengono alla specie Vitis vinifera.
3. Soltanto le varietà di viti menzionate nella classificazione possono
essere impiantate, reimpiantate o innestate nella Comunità per la produzione
di vino. La restrizione non si applica alle viti utilizzate a scopo di ricerca
ed esperimenti scientifici.
4. Le superfici piantate con varietà di viti per la produzione di vino
non menzionate nella classificazione devono essere estirpate, tranne nei casi
in cui la produzione è destinata esclusivamente al consumo familiare
dei viticoltori."
Questa disposizione, che ribadisce la possibilità di coltivare la vitis
labrusca per il consumo diretto, non avrebbe inciso più di tanto se il
legislatore italiano, con la legge 4 novembre 1987 nr. 460, che convertiva il
D.L. 7-9-1987 nr. 370 non avesse stabilito l'obbligo di estirpare le viti proibite,
pena la rimozione d'ufficio a spese del coltivatore (art. 4) e non avesse comminato
la pena della multa da lire 210.000 per ogni quintale di mosto o vino prodotto
con uve diverse da quelle consentite da regolamento europeo del 1987 e detenute
a scopo di commercio, posto in vendita o somministrato, pena comunque non inferiore
a lire 1.200.000.
La legge si è dimenticata del tutto della coltivazione dell'uva fragola da utilizzare come frutto per la distillazione di acquaviti. Non esiste ragione al mondo di vietare questo impiego ed è evidente che la legislazione, nella sua preoccupazione, ormai superata, di vietare la coltivazione del vitigno andrebbe interamente rivista: se si vuole (o si deve per obblighi comunitari) mantenere il divieto di vinificazione per uso commerciale,si deve però riconoscere che l'uva fragola è un frutto come un'altro che è insensato non coltivare.
In conclusione lo stato attuale della questione è il seguente:
- È consentito coltivare l'uva fragola in tutto il territorio italiano
"per il consumo familiare dei viticoltori". L'espressione sembra restrittiva
rispetto a quella precedente che vietava solo la produzione a scopo di commercio,
ma in realtà è praticamente coincidente: il consumo familiare
non esclude ovviamente la possibilità di regalarlo ad estranei alla famiglia.
- L'obbligo di estirpazione per i vigneti che superano l'estensione richiesta
per destinare l'uva ad un uso familiare, sia pure allargato, concerne solo le
viti "per la produzione di vino"; non si applica perciò a coltivazioni
destinate a produrre uve da tavola.
- È punibile chi mette in commercio vino fragolino prodotto da vitis
labrusca. Se poi egli riesce a produrlo in altro modo … sono fatti suoi!
- Non è punibile chi distilla l'uva fragola.
Edoardo
Mori |