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Edoardo Mori
Per un testo completo sulle distanze nelle costruzioni cliccare qui.
Il diritto è una cosa molto complicata perché
non basta leggere l'articolo di legge che regola l'argomento che ci interessa,
ma occorre conoscere i suoi collegamenti con tutto il sistema, collegamenti
spesso difficili da trovare ed incerti per gli stessi giudici.
Le norme sulle distanze per gli alberi contenute nel codice civile (articoli
892-896) non fanno eccezione a questa regola. Vediamo perciò di chiarirne
la portata, per quanto possibile, distinguendo due situazioni: quella in cui
gli alberi devono essere piantati e quella in cui gli alberi già insistono
sul terreno.
L'obbligo di rispettare determinate distanze è rivolto sia ad evitare
l'invasione del fondo altrui con radici, sia che gli alberi tolgano luce e
vista. Quindi sussiste anche se l'albero è piantato in una vasca ricavata
nel terreno. Non vale per piante in vaso.
La distanza si misura a partire dal punto della semina o dalla base esterna
dell'albero piantato, a livello del terreno. Ciò significa che nulla
vieta di piantare un albero a tre metri di distanza e poi di forzarlo a crescere
in direzione del terreno del vicino!
Premetto che le espressioni usate dal legislatore sono alquanto infelici dal
punto di vista botanico perché egli ha preteso di distinguere le piante
a seconda che esse siano di alto fusto, di medio fusto o arbusti, senza rendersi
conto che lo sviluppo di una pianta non può essere determinato in astratto,
ma solo in relazione alle concrete condizioni climatiche ed alle modalità
di coltivazione. La stessa pianta, ad es. un Ficus elastica, può essere
una pianta d'appartamento a Bolzano e una pianta d'alto fusto in Sicilia (o
un bonsai a Roma!). Anche la nozione di arbusto è, spesso, solo orientativa
perché molti di quelli che noi consideriamo arbusti possono, col tempo,
diventare alberelli e alberi (bosso, fino a 16 metri; corniolo, 8 m; ginepro,
15 m; salicone, 8 m; alloro, 12 m; carpino, 25 m; nocciolo, 10 m, sorbo degli
uccellatori, 15 m. ecc.).
La conseguenza di questo fatto è però grave sul piano giuridico:
significa che l'obbligo di rispettare le distanze (o il diritto di chiederne
il rispetto) non sempre scatta nel momento in cui la pianta viene piazzata
nel terreno, ma solo nel momento in cui è chiaro che essa si avvia
ad essere un albero piuttosto che un arbusto. È ovvio però che
se una persona pianta un noce o un castagno a giusta distanza da altri alberi,
con il suo spazio vitale, si deve presumere che intenda farlo sviluppare regolarmente.
Ha detto la Cassazione: Gli alberi di alto fusto che, a norma dell'art. 892, n 1, cod. civ., debbono essere piantati a non meno
di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in
botanica come "di alto fusto", ovvero, se trattisi di pianta non classificata come di alto fusto, con
riguardo allo sviluppo da essa assunto iGli alberi di alto fusto che, a norma dell'art. 892, n 1, cod.
civ., debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla
specie della pianta, classificata in botanica come "di alto fusto", ovvero, se trattisi di pianta non
classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il
tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri ( n. 21865 del 26 febbraio 2003).
La prima situazione è regolata dall'art. 892 il quale ci dice che chi vuol piantare o seminare alberi in vicinanza del confine deve osservare le distanza stabiliti da regolamenti od usi locali oppure, se questi mancano, le seguenti distanze:
- Le piante di alto fusto (quali noci, castagni, querce, pini, cipressi, olmi, pioppi, platani, ecc.) a tre metri dal confine. Diciamo quindi, a lume di naso, e tenuto conto degli esempi proposti dal legislatore, che sono di alto fusto (e nella nozione di fusto vanno comprese le ramificazioni principali) le piante che, nella zona climatica in cui vengono piantati, supereranno agevolmente i seisette metri di altezza complessiva o che hanno un tronco, prima delle biforcazioni, di più di tre metri di altezza. Non sono di alto fusto, di conseguenza, meli, peri, susini, peschi, sambuchi, evonimi, ecc. La distinzione comunque va fatta in concreto, rispetto allo specifico albero piantato: una betulla può arrivare all'altezza di venticinque metri, ma se è stata capitozzata per formare una chioma a due metri da terra, non diventerà mai di alto fusto. La Cassazione ha sostenuto il contrario affermando che comunque la pianta potrebbe poi diventare di alto fusto, ma è decisione irrazionale ed in contrasto con l'art. 892 CC che prevede espressamente che castagni e robinie vengano potati a ceppaia.
- Le piante non di alto fusto ad un metro e mezzo dal confine. La norma stabilisce che si considerano tali gli alberi il cui fusto si ramifica ad un altezza non superiore a tre metri.
- Gli arbusti (anche più alti di tre metri), le viti, le piante rampicanti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza, in concreto, non superiore a due metri e mezzo (pare che il legislatore si riferisca all'altezza del tronco prima delle biforcazioni), possono essere piantati a mezzo metro dal confine. A questa regola generale fanno eccezione:
- le siepi di piante che vengono ottenute recidendole in modo da sfruttare i polloni del ceppo (castagno, ontano, ecc.), da piantare ad un metro di distanza;
- le siepi di robinie, da piantare ad un metro e mezzo.
Siepe non è solamente la siepe di recinzione, ma anche quella che serve ad altri scopi, quale tenere lontano animali, proteggere dal vento o dal rumore, ecc. Il legislatore contempla quindi tre tipi di siepi:
- quella di canne, cespugli, arbusti, anche se più alti di tre metri; in questo tipo dovrebbero rientrare i bambù (distanza mezzo metro);
- quella di ceppaie, cioè di piante di alto fusto tagliate periodicamente vicino al ceppo (distanza un metro); la Cassazione ha affermato che la regola vale per ogni tipo di pianta di alto fusto usata per siepi e che il taglio a ceppaia è solo un esempio; anche altri tipi di taglio o potatura possono portare allo stesso risultato;
- quella di robinie (distanza due metri).
Le distanze ora viste non devono essere osservate quando sul
confine vi è un muro (ovviamente senza aperture), poco importa se comune
o di proprietà esclusiva di uno dei due confinanti, a condizione che
le piante siano potate in modo da non superare l'altezza del muro. Ricordo
che il muro sul confine può essere alto fino a tre metri (art. 878
CC); se però si ha il diritto di tenere sul confine un muro di maggior
altezza, anche le piante possono essere fatte crescere vicino ad esso fino
alla sua altezza. Ciò vale anche per il caso in cui sul confine vi
sia il muro di una costruzione qualsiasi, privo di aperture, ma le piante
devono rispettare la distanza dagli spigoli iniziali e finali del muro (non
si può piantare l'albero sullo spigolo della casa altrui). La presenza
di altro tipo di recinzione (rete, filo spinato, staccionata) non incide sulle
distanze in esame.
Ciò significa che il confinante in questo caso non può protestare
ed agire prima che le piante abbiano superato l'altezza del muro. E che il
proprietario delle piante, se è un tipo rognoso, può scegliere
fra accorciare le piante o alzare il muro fino alla massima altezza consentitagli!
In tutti gli altri casi ora visti il confinante può esigere che si
estirpino le piante cresciute o piantate a distanza non legale; per quanto
detto sopra, in alcuni casi invece di estirpare la pianta, potrà essere
sufficiente potarla in modo da darle una struttura definitiva che le consente
di rientrare in una categoria inferiore.
La seconda situazione dà origine a situazioni più
complesse in quanto occorre distinguere i casi in cui si è acquisito
il diritto di tenere la pianta a distanza minore di quella legale, da quelle
in cui il diritto non è ancora stato acquisito.
Il diritto in questione (in termini tecnici è una servitù) può
essere acquisito o per contratto, o per ""destinazione del padre
di famiglia"" (ad esempio a seguito di divisione del terreno il
confine è venuto a trovarsi presso l'albero oppure il proprietario
dell'albero ci ha venduto il terreno stesso confinante) oppure per usucapione
ventennale; questa situazione è la più frequente e si realizza
quando il confinante per almeno vent'anni non reagisce al fatto che una pianta
sul fondo vicino cresca a distanza non legale (i venti anni non decorrono
dal momento in cui l'albero germoglia dal seme, ma dal momento in cui è
chiaro, in concreto, che diverrà una pianta superiore e tre metri).
Si tenga inoltre presente che per le piante anteriori al 1942 valgono le diverse
distanze legali indicate dal precedente codice civile del 1865, comunque pressoché
identiche (in esso, più chiaramente di oggi, ad es. in relazione a
robinie, gelsi, si distingueva a seconda della conformazione data alla pianta).
Se il diritto non è ancora stato acquisito, il confinante può
richiedere in qualunque momento che l'albero venga reciso o ridotto nel senso
già detto sopra.
Nel caso in cui si è acquisito il diritto, si può conservare
l'albero, ma se questo muore o viene abbattuto non può essere sostituito.
In altre parole il diritto sussiste ""vita natural durante""
dell'albero. La Cassazione ha detto che per quelle piante di cui si sfruttano
i polloni (castagno per pali o travi), il taglio dell'albero non obbliga all'eliminazione
della ceppaia.
Unica eccezione: la legge consente di sostituire l'albero o gli alberi che
facciano parte di un filare lungo il confine. Non quindi se l'albero è
il primo di un filare perpendicolare al confine. Non è chiaro che cosa
succeda se viene tagliato l'intero filare; è probabile che si perda
il diritto di ripiantarlo.
La Cassazione con sentenza 3289 del 6 marzo 2003 ha affermato il principio che se il vicino ha acquisito il diritto di tenere la pianta a distanza minore di quella prescritta, può impedire al proprietario del fondo confinante di costruire a meno della distanza prescritta dall'albero (cioè se vi è un albero di alto fusto, il vicino deve costruire ad almeno tre metri da esso); ma è verosmile che un albero in quella situazione non abbia vita lunga perché se muore, il vicino riacquista il suo dirito di costruire sul confine!
L'art. 896 CC regola i rapporti del confinante con l'albero
che lo "invade". Scrive il legislatore che il proprietario
di un terreno può, in qualunque tempo, costringere il vicino a recidere
i rami di un albero (poco importa se a distanza legale o meno) che si protendono
sul suo fondo. Il legislatore ha regolato il caso più comune in cui
per recidere i rami occorre salire sull'albero e quindi entrare sul fondo
altrui; ha quindi stabilito che è il proprietario dell'albero a dover
provvedere e che avrà la scelta tra tagliare l'intero ramo oppure accorciare
il ramo in modo che non oltrepassi il confine. Si deve ritenere però
che anche il proprietario invaso, se vi riesce, possa tagliare, stando sul
proprio terreno, quella parte di ramo che oltrepassa la linea ideale del confine.
Ed infatti per le radici il legislatore stabilisce che sempre possono essere
tagliate lungo il confine le radici entrate nel fondo proprio.
Riguardo ai frutti, quelli portati da rami protesi sul fondo altrui e cadutivi
naturalmente, appartengono al proprietario del fondo su cui sono caduti. Ciò
significa che questi non ha diritto di raccogliere i frutti portati dai rami
protesi sul suo fondo (e che spettano al proprietario dell'albero il quale
può cercare di staccarli egli stesso), ma che deve attendere che i
frutti cadano per cause naturali; ad es. non può abbacchiare le noci!
In certe zone gli usi locali consentono al proprietario dell'albero di entrare
nel fondo altrui per raccogliere i frutti caduti o per effettuare la raccolta.
Il diritto di recidere rami o radici di un albero può trovare limitazioni
in particolari norme locali che sottopongano a tutela alberi di certe specie
o dimensioni, in quanto la recisione comporti un danno per l'albero.
A proposto del diritto di protendere rami sul fondo altrui, la Cassazione
è più oscillante dei rami al vento. In una sua sentenza del
1980 e poi in una del 1999, ha affermato che sarebbe possibile acquisire non
solo il diritto di servitù di tenere l'albero a distanza inferiore
del consentito, ma anche quello di protendere i rami sul fondo del vicino.
Se così fosse verrebbe meno il diritto di far recidere i rami. Nel
1978 e poi nel 1993 ha affermato il principio contrario negando l'esistenza
di una simile servitù.
La prima giurisprudenza è, a mio avviso, errata per vari motivi:
- L'art. 896 è chiaro nel dire che i rami possono essere recisi in qualunque tempo;
- non è possibile calcolare un momento iniziale da cui far decorrere l'usucapione perché il ramo cresce continuamente e ogni giorno si concretizza una situazione nuova a cui il proprietario del fondo servente ha diritto di reagire (può tollerare e gradire un metro di ramo e può reagire quando il ramo gli entra in casa! E se così è i vent'anni decorrono dal momento della semina, oppure dal momento in cui il ramo ha superato il confine oppure dal momento in cui ha assunto dimensioni intollerabili?
- Se fosse valida la tesi della Cassazione, il proprietario
del fondo servente non potrebbe togliere i rami per costruire nella zona su
cui si protendono, con assurda limitazione del suo diritto di proprietà.
Stante la situazione è però meglio giocare al gratta e vinci
piuttosto che iniziare una causa!
Ad ogni modo con sentenza n. 4361 del 27/03/2002 la Cassazione mi ha dato ragione affermando che: "Il diritto di fare protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante non può essere
acquistato per usucapione perché l'art. 896 cod. civ. implicitamente lo esclude, riconoscendo
espressamente al proprietario del fondo sul quale i rami si protendono il potere di costringere il
vicino a tagliarli in qualunque tempo".
Un problema mai esaminato è quello che concerne la sorte non dei rami che invadano il fondo del vicino, ma quello del tronco stesso che, crescendo invade il terreno del vicino (ricordo il castagno dell'Etna, detto dei Cento Cavalli, che aveva 18 metri di diametro!).
Le siepi tra due fondi si presumono comuni, salvo prova contraria;
se la siepe recinge tutti i lati di un fondo si presume però che essa
appartenga tutta al proprietario del fondo recintato.
Gli alberi entro la siepe e quelli sulla linea di confine si presumono egualmente
comuni.
Se un albero serve da limite di confine può essere tagliato solo con
il consenso del confinante.
La legge fa specifico richiamo ai regolamenti locali ed agli usi locali che, se esistenti, prevalgono in tal caso sulle norme del codice. Le norme regolamentari sono contenute, di solito, in regolamenti di polizia urbana o rurale reperibili presso i Comuni. Gli usi sono contenuti in raccolte curate dalle locali Camere di Commercio. È possibile invocare usi non contenuti in queste raccolte, ma la prova è oltremodo difficile.
Per ottenere il rispetto delle distanze legali o la recisione
di rami occorre svolgere azione giudiziaria di negazione di servitù,
rivolgendosi ad un legale; naturalmente solo quando il vicino non abbia dato
seguito alle intimazioni di rito con lettera raccomandata.
In genere è cosa prudente evitare che si consolidino delle servitù
e perciò, anche quando l'albero non dà noia è consigliabile
pretendere dal vicino, prima che siano trascorsi i fatidici vent'anni, una
dichiarazione in cui riconosce di non avere alcun diritto a tenere l'albero
a distanza non legale.
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